“Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”: il parco archeologico del Colosseo propone un viaggio alla scoperta delle abitazioni succedutesi sul colle nel corso dei secoli. Quinta puntata: la Domus Flavia, il palazzo per eccellenza

Dall’età arcaica e ancora in parte fino alla fine del XIX secolo il colle su cui nacque Roma fu una zona prevalentemente “residenziale”. La vocazione abitativa del Palatino culminò nel I secolo d.C. con la costruzione dei palazzi imperiali: essi si identificarono così strettamente con il colle su cui sorgevano, che il suo nome latino, Palatium, è ancora oggi utilizzato in molte lingue moderne con il significato di “edificio residenziale”. Il parco archeologico del Colosseo propone “Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”, viaggio alla scoperta delle abitazioni – e dei loro abitanti – che nel corso dei secoli si sono succedute sul colle Palatino. In questa quinta puntata si parla della Domus Flavia, il palazzo per eccellenza.

Con l’evolversi della figura del princeps e con il ruolo politico che andava man mano assumendo cambia anche la configurazione funzionale del palazzo dell’imperatore. Il processo inizia con l’introduzione del nuovo sistema politico proposto da Augusto che prevedeva la gestione di nuovi servizi dello Stato da parte del princeps. Questo comportò man mano l’espansione del palazzo imperiale che richiedeva più spazio per uffici e archivi ma anche ambienti per svolgere le cerimonie della salutatio e del convivium, le due funzioni pubbliche per eccellenza. Con Domiziano, l’ultimo dei Flavi, si arriva alla costruzione di un palazzo imperiale che occupa l’intero colle e che doveva, fisicamente e materialmente, sovrastare i comuni mortali, quasi una dimora celeste. Nasce così una nuova tipologia architettonica: il palazzo dinastico.

Il complesso residenziale si articola principalmente in due settori: uno pubblico, la Domus Flavia, ed uno privato, la Domus Augustana, costruiti e progettati, secondo le fonti, da Rabirio, uno dei pochi architetti romani di cui conosciamo il nome. La denominazione di Domus Augustana, utilizzata oggi per indicare solo il settore privato della residenza, doveva in realtà indicare tutto il complesso, che occupava la zona meridionale del colle, per distinguerlo dal settore a Nord conosciuto come Domus Tiberiana.

Non tradendo la funzione abitativa del colle, la residenza degli imperatori andò a sovrapporsi, e ovviamente obliterò, il quartiere abitativo tardo-repubblicano e parte delle residenze neroniane. Osservando oggi l’imponenza dei resti in laterizio, possiamo solo immaginare come si presentasse l’antica e ricca residenza un tempo rivestita di marmi policromi, con ampi cortili colonnati e numerose stanze affrescate: tutti questi elementi giocheranno un ruolo fondamentale nella formazione di un nuovo linguaggio architettonico. Questo grande intervento delineò una nuova fisionomia del colle: per la sua costruzione furono innalzati cumuli di terra e realizzati terrazzamenti che modificarono l’assetto originario del terreno, creando così “una dimora alta come il cielo”, come ci racconta Marziale (Epigr. VIII, 26. 12).

Le strutture della Domus Flavia, ai nostri occhi così imponenti e maestose, non dovevano comunque essere “abbastanza” come residenza privata dell’imperatore. Grazie a quanto riportato da Svetonio, capiamo infatti che gli imperatori, a partire dal primo della dinastia Flavia, non risiedevano in modo stabile sul Palatino, ma commissionavano anche costruzioni di residenze lussuose fuori dall’Urbs dove soggiornavano per lunghi periodi.

Così il fulcro della Domus Flavia era costituito di fatto dagli spazi destinati ai momenti pubblici. Su un maestoso peristilio, con al centro una grande fontana ottagonale, si affacciavano vari ambienti: a settentrione l’Aula Regia dove dovevano tenersi le udienze e gli incontri ufficiali della corte imperiale e, a Ovest dell’Aula Regia, la Basilica; sul lato meridionale la sala da pranzo dell’imperatore: la celebre Cenatio Iovis. Qui gli invitati mangiavano sdraiati sui triclini mentre erano allietati da giochi d’acqua e, quando necessario, godevano della sala riscaldata: questo era possibile grazie a un sistema con doppio piano pavimentale (suspensurae) che permetteva la circolazione di aria calda.
Ferragosto 2020. Qualche idea per passare le “Feriae Augusti” nel segno dell’archeologia e dintorni da Treviso a Napoli, da Torino a Bologna, da Roma a Reggio Calabria
Il Riposo di Augusto, Feriae Augusti, da cui Ferragosto, venne istituito dall’imperatore Augusto nel 18 a.C.. In quello stesso mese si festeggiavano i Vinalia Rustica (il vino dell’anno precedente e il raccolto d’uva da venire), i Nemoralia (la sospensione della caccia) e i Consualia (Conso era il dio della terra e della fertilità), ed era il periodo di riposo (detti anche Augustali) per animali e uomini alla fine dei lavori agricoli. Nel corso dei festeggiamenti, in tutto l’impero si organizzavano corse di cavalli e gli animali da tiro, buoi, asini e muli, ma anche i cani da caccia, venivano dispensati dal lavoro e agghindati con fiori. La festa originariamente cadeva il primo agosto; lo spostamento a metà mese si deve alla Chiesa Cattolica che volle far coincidere la ricorrenza laica con la festa religiosa dell’Assunzione di Maria. Il 15 agosto ricorre anche la data in cui, nel 1275, 745 anni fa, morì Lorenzo Tiepolo, doge in Venezia eletto il 23 luglio 1268. Era figlio terzogenito del doge Giacomo Tiepolo (1229-1249) e di Maria Storlato. Giace a Venezia nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo dove si trovano le spoglie anche del padre e del fratello Giovanni. Sabato 15 e domenica 16 agosto 2020 a villa Tiepolo Bassi a Carbonera di Treviso visita guidata “Ferragosto. In onore di Augustus e in memoria del Doge Lorenzo Tiepolo” alle 11 (presentarsi alle 10:50) con ingresso da via Brigata Marche, 24 – Carbonera (TV). Prenotazione obbligatoria: 329 7406219 / info@villatiepolopassi.it. Informazioni: parcheggio auto interno, la visita si effettua anche in caso di pioggia. Raccomandazioni: indossare la mascherina, mantenere la distanza interpersonale di almeno 1 metro, evitare strette di mano, abbracci e baci, eseguire le azioni corrette quando si starnutisce o tossisce, avvisare il personale in caso di problemi di salute, soprattutto stati influenzali o febbrili.
Qualche altra idea per un Ferragosto nel segno dell’archeologia. Il parco archeologico del Colosseo sabato 15 agosto 2020 sarà regolarmente aperto con orario 10.30-19.15 (ultimo ingresso alle 18.15). E da venerdì 14 agosto 2020 è nuovamente aperto al pubblico l’ingresso al PArCo dall’Arco di Tito. Sempre da venerdì 14 sarà possibile prenotare le visite al PArCo per il mese di settembre. Del museo Egizio di Torino già abbiamo ricordato l’iniziativa “Vacanze egiziane” che prevede l’apertura del museo per tutto il mese di agosto, e quindi anche a Ferragosto, con orario 9-10.30. E per i bimbi c’è un evento speciale “Storie egizie” promosso da Spazio Zerosei del museo Egizio. Sabato 15 agosto 2020, dalle 10 alle 16, c’è “Chi era la dea delle stelle?”: con una lettura all’ora, i piccoli visitatori potranno ascoltare storie diverse e affascinanti sui miti e le leggende dell’antico Egitto, nella magica atmosfera del museo Egizio di Torino. La partecipazione è gratuita, su prenotazione: https://bit.ly/spazio-egizio-form-prenotazioni. I bambini da 0 a 6 anni dovranno essere accompagnati da un genitore che dovrà indossare la mascherina, ci sarà comunque spazio per stare comodi e in sicurezza, nel rispetto delle distanze e delle normative; le storie durano 15/20 minuti, quindi si raccomanda la puntualità per iniziare la lettura tutti insieme; all’ingresso dello spazio sarà misurata la temperatura e occorrerà firmare il modulo di autocertificazione; l’area con fasciatoio, libri, poltrona allattamento è a disposizione e periodicamente igienizzata; i bagni all’interno di Spazio sono accessibili e periodicamente igienizzati.

L’Atlante Farnese simbolo e fulcro della mostra “Thalassa” al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Graziano Tavan)
Ferragosto al museo Archeologico nazionale di Napoli: da non perdere le grandi mostre “Thalassa” e “Gli Etruschi e il MANN”. Un tuffo simbolico tra le meraviglie sommerse del Mediterraneo e un viaggio senza tempo alla scoperta delle antiche civiltà che popolarono il nostro territorio: anche a Ferragosto, con i soliti orari (ore 9-19.30), cittadini e turisti potranno esplorare le bellezze delle collezioni permanenti e delle esposizioni del museo Archeologico nazionale di Napoli. “I primi giorni di agosto hanno già fatto segnare un netto superamento dei numeri dei visitatori dell’intero mese di luglio”, commenta il direttore dell’Archeologico, Paolo Giulierini. “Il museo è vivo e offre due splendide mostre (‘ Gli Etruschi e il MANN’ e ‘Thalassa’) e si prepara al rilancio di settembre, quando verrà presentato il prossimo piano strategico e sarà inaugurata l’ala del Braccio Nuovo”. Per chi resta a Napoli, Ferragosto sarà anche occasione per visitare, a prezzi promo, il museo con ticket dei siti Extramann (sul nostro portale, il dettaglio dei siti che fanno parte della rete). Riservato a chi è tornato o è in partenza verso l’isola azzurra, l’accordo che lega il MANN alla villa San Michele e al museo Casa Rossa di Anacapri: anche in questo caso, scontistica integrata per un viaggio imperdibile nel nome dell’arte. Le vie del mare porteranno all’Archeologico anche grazie alle convenzioni siglate con Snav e Traghetti Lines; infine, sempre in tema di promozione turistica in quest’estate 2020, anche gli ospiti di strutture associate Federalberghi Napoli ed Unione Industriali di Napoli riceveranno due euro di riduzione per visitare il MANN.
Al museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria Restano ancora pochi posti disponibili prima di registrare il “tutto esaurito” per poter visitare nel mese di agosto. È già completo il calendario degli ingressi programmati fino a ferragosto. La prenotazione è obbligatoria, telefonando al numero di telefono: 320.7176148, o al nuovo numero 320.7620091. È stato temporaneamente sospeso, per questo mese, il servizio di prenotazione online. Le norme governative e regionali di prevenzione dalla diffusione e dal contagio da COVID-19 (Coronavirus) hanno imposto le nuove regole di prenotazione obbligatoria e le limitazioni agli ingressi, in forma contingentata, per gruppi composti da massimo 10 persone, scaglionati in turni di visita ogni 15 minuti. Le misure di sicurezza nel rispetto di un protocollo condiviso comportano l’impossibilità di soddisfare tutti coloro che desidererebbero potere ammirare i Bronzi di Riace, protagonisti assoluti del ricco patrimonio archeologico e culturale calabrese, insieme ai Bronzi di Porticello e agli altri “tesori” della collezione museale. I giorni di apertura ordinaria del MArRC al pubblico sono dal martedì alla domenica. Ma proprio per venire incontro alle numerose richieste dei tanti “ammiratori” e dare a tutti una maggiore opportunità, la direzione ha scelto di aprire il museo alle visite in via straordinaria anche i prossimi lunedì 17 e 24 agosto 2020, il mese che registra la massima affluenza e il più elevato numero di richieste nell’arco dell’anno.
Musei aperti per ferie. Anche quest’anno l’Istituzione Bologna Musei offre molteplici proposte, fruibili in sicurezza, per un’estate all’insegna dell’arte e della cultura: le collezioni permanenti, le mostre temporanee, gli eventi, le attività e i nuovi contenuti dell’app MuseOn, scaricabili gratuitamente, per creare un’esperienza di visita più coinvolgente attraverso percorsi ricchi di informazioni e curiosità. I musei civici aperti a Ferragosto 2020: museo civico Archeologico (via dell’Archiginnasio 2), dalle 10 alle 20; museo civico Medievale (via Manzoni 4), dalle 10 alle 18.30.
Ercolano a 360°: in questo quarto episodio il direttore del parco archeologico di Ercolano, Francesco Sirano, ci porta alla scoperta del teatro antico, il primo monumento scoperto a Ercolano nel 1738, oggi visitabile a 20 metri di profondità lungo i cunicoli borbonici
Quarto video a 360° elaborato da TimeLooper per la App 3D del parco archeologico di Ercolano, realizzata da D’Uva (info https://bit.ly/30OOU84): con il direttore Francesco Sirano scopriamo il Teatro di Herculaneum, il primo monumento ritrovato nel 1738: nell’attesa della sua riapertura al pubblico, grazie al video a 360° è possibile ammirare la bellezza e la maestosità di questa meravigliosa struttura attualmente conservata a oltre 20 metri di profondità. Oggi il teatro antico si visita attraverso i cunicoli borbonici: è un’esperienza unica che permette di rivivere la strada del Grand Tour. “Nel 79 d.C. Ercolano aveva circa 4mila abitanti, e poco più della metà poteva comodamente godere degli spettacoli nei giorni previsti per i ludi nel loro bellissimo teatro dove si potevano accomodare 2500 persone. Questo magnifico edificio, che gli scavi del 1700 trovarono ancora con tutti i suoi arredi, sia pure abbattuti all’eruzione, era stato costruito all’epoca dell’imperatore Augusto. Conosciamo anche il nome del magistrato, il duoviro, una specie di sindaco, che se ne occupò: Lucio Annio Mammiano Rufo, appartenente a una delle famiglie più importanti di Ercolano. E conosciamo anche il nome dell’architetto, Publio Numisio. Avviciniamoci a conoscere meglio questo edificio. Innanzitutto il fronte scena che si presenta come una facciata architettonica su due ordini con colonne in marmi colorati e nicchie, all’interno delle quali si trovavano molte statue. Presenta inoltre le tre caratteristiche porte: quella centrale, la cosiddetta porta regia, e le due laterali dette anche valve hospitales, dove entravano gli attori a seconda dei loro ruoli. Qui nel mondo romano nel 79 d.C. non avremmo assistito a tragedie del grande teatro greco e romano, ma probabilmente avremmo udito grandi risate, perché qui si recitavano in prevalenza mimi e farse. Ai lati del fronte scena abbiamo dei passaggi verso l’uscita del teatro, le cosiddette parodoi, al di sopra delle quali si trovavano i tribunalia. Due loggiati, sui quali prendevano posto magistrati o personaggi particolarmente onorati dalla comunità locale. Nel caso di Ercolano abbiamo da un lato la statua di Marco Nonio Balbo, il grande benefattore della città, e dall’altra di Appio Claudio Pulcro, membro di una delle famiglie senatoriali più importanti di Roma. Se ci giriamo alle nostre spalle vediamo la cavea. La cavea ha la caratteristica forma semicircolare suddivisa in tre ordini, a seconda della classe sociale degli spettatori. La ima cavea, consacrata ai personaggi più importanti, le persone eminenti della comunità locale; la media cavea, con i sedili di tufo, era dedicata al grosso del pubblico locale; e la summa cavea, che solo si intravede dal basso, era probabilmente occupata dal pubblico femminile. Sul punto più alto della cavea si trovavano anche tre piccoli tempietti, due laterali e uno al centro. È in questo templi che probabilmente erano esposte statue di imperatori. I giochi scenici potevano durare anche molte ore e avvenivano molto spesso durante il giorno. Ecco il motivo per cui era necessario stendere un velarium, avere delle forme di copertura che consentivano di creare ombra per gli spettatori che passavano qui molte ore di queste bellissime giornate di festa”.
“Lapilli di Ercolano”: con la 15.ma clip il direttore Sirano ci porta sulla seconda grande terrazza sopra l’antica spiaggia, area sacra col santuario di Venere, e ci fa scoprire gli ambienti di servizio e la presenza di due templi dedicati alla stessa divinità, ma con due aspetti diversi
Con la 15.ma clip dei “Lapilli del parco archeologico di Ercolano” siamo ancora sulle due terrazze artificiali che aggettavano sull’antica spiaggia di Ercolano. Così dopo aver conosciuto la terrazza dedicata a Marco Nonio Balbo, stavolta il direttore Francesco Sirano ci porta sull’altra, un’area sacra, dove c’è il santuario di Venere. All’epoca dell’imperatore Augusto il culto di Venere era un culto estremamente importante perché Venere era la divinità da cui si riteneva discendesse la famiglia Giulio-Claudia cui apparteneva lo stesso Augusto. “Non a caso – spiega Sirano – troviamo proprio affrontati l’ingresso del recinto in onore di Marco Nonio Balbo, che faceva parte della cerchia di persone della sfera più stretta di Augusto, e l’ingresso al santuario di Venere. Il santuario di Venere di Ercolano è un esempio eccezionale non solo per la presenza dei templi dedicati a questa divinità, ma soprattutto di grande interesse perché ci permette di cogliere l’intera articolazione di un piccolo santuario di età romana. E questa è una rarità”. Il culto di Venere era ben attestato ad Ercolano già nel II sec. a.C. come dimostra un’iscrizione in osco dedicata a Erempas, che è il termine osco della divinità che noi conosciamo come Venere. Quello che ora vediamo è la sistemazione del santuario nell’età degli imperatori Flavi, poco prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Dopo l’ingresso ci si trova di fronte a un portico di cui restano le basi degli archi che creavano un corridoio coperto con alcune zone di attesa dove i fedeli potevano sostare prima di poter procedere al loro culto, e poi alcuni ambienti che erano utilizzati dai sacerdoti e dagli addetti al culto. “Molto interessante è l’ultima cameretta perché lì vediamo la presenza di una banchina che serviva per cucinare. Sappiamo infatti che durante i culti in onore delle divinità romane e in particolare anche di Venere avvenivano alcuni banchetti sacri a cui partecipavano ma vi partecipavano in particolare i membri della confraternita dei Venerei, cioè coloro che si consacravano al culto di Venere. Infatti proprio sul vertice opposto, in diagonale, dell’area sacra c’è l’ingresso dell’edificio che era dedicato alla sala di riunione dei Venerei”.
Con Sirano entriamo eccezionalmente nella cucina che di solito è visibile dall’esterno. “Questa cucina – continua il direttore – presenta il bancone rivestito di lastre di terracotta, la pietra ollare sulla quale si cucinava, si appoggiavano le pentole, e poi, sotto, c’è il posto dove si mettevano le fascine per poter riscaldare. Si vede bene la trave di legno, ancora conservata carbonizzata e in parte anche in legno vivo nella parte finale, che sorreggeva il banco dove si cucinava. Come detto, i banchetti sacri erano fondamentali all’interno del culto perché le cerimonie prevedevano dei momenti di aggregazione in cui la comunità di culto si riuniva e intorno alla quale si sentiva unificata e fortificata nella sua fede”.

Veduta panoramica della terrazza sull’antica spiaggia con l’area sacra del santuario di Venere (foto Graziano Tavan)
Il centro del santuario era costituito dai templi. Questo santuario di Venere ne aveva due, collocati entrambi su un podio: di quello a destra c’è ancora la cella, di quello a sinistra è andata perduta la copertura per il terremoto e il cataclisma del Vesuvio. Gli studiosi ritengono che entrambi questi templi fossero dedicati a Venere sotto due diverse accezione di questa divinità. “Questi edifici – ricorda Sirano – hanno anche una storia un po’ diversa. Il tempio a sinistra è più antico dell’altro: presenta infatti una fase di età tardi ellenistica; fu poi rinnovato nell’età di Augusto e di nuovo subito dopo il terremoto del 62 d.C. quando una ricca liberta del luogo, Vibidia Saturnina, ha completamente riedificato a nome suo e di suo figlio l’intero pronao, cioè tutta la facciata del tempio che era stata danneggiata dal terremoto. Le membrature architettoniche, colonne e capitelli, sono esposti ora proprio all’interno dell’area sacra e chiunque li può vedere. Sull’asse dei due templi ci sono gli altari: uno era di tipo proprio basso, e l’altro era un altare di cui ora manca la parte superiore. Qui avvenivano i sacrifici cruenti in onore della divinità. Gli addetti al culto erano gli unici che potevano salire sul podio e andare nella cella, noi ora immaginando di essere degli antichi sacerdoti, saliamo all’interno del pronao da dove si vedono bene le quattro basi delle colonne della facciata con una colonna anche su ogni lato”.

I quattro rilievi con altrettante divinità ricollocati in copia sulla facciata del bancone della cella del tempio più antico di Venere a Ercolano (foto Paerco)
Attraverso una porta, di cui si può ancora vedere la grande soglia di marmo, si entra nella cella che era il luogo riservato alla statua di culto della divinità. Sul fondo della cella, che aveva le pareti dipinte, di cui rimangono ampie tracce, c’è un bancone sul quale i sacerdoti potevano salire durante delle cerimonie per poter fare qualcosa con due statue di legno di cui restano le basi. “Evidentemente – ipotizza Sirano – durante alcune cerimonie si procedeva a vestire oppure a prelevare le statue e a portarle in processione”. Sulla facciata di questo bancone ci sono quattro rilievi nel cosiddetto stile neo-attico. Raffigurano il dio greco Efesto, che a Roma è Vulcano; Poseidone che a Roma è Nettuno; Ermes che a Roma è Mercurio; e la dea Atena nota qui come Minerva. “Questi quattro rilievi furono trovati non in questa cella”, ricorda il direttore, “ma sull’antica spiaggia. In un primo momento si era pensato che fossero stati portati via dal flusso piroclastico sulla spiaggia. Si ricollocarono qui le copie ma le misure, come si vede, non coincidono perfettamente con questo basamento ed inoltre ci si pone il problema di come mai, se abbiamo quattro rilievi di divinità, sono solo due basi le statue di culto. Quindi è molto probabile che questa collocazione non sia da accettare, cioè che questo tempio non fosse dedicato alle quattro divinità ma ancora una volta a Venere sotto due aspetti di cui ora parleremo. Piuttosto questi rilievi potrebbero essere stati utilizzati per decorare le facciate, i quattro lati dell’altare. In questa maniera sarebbero state delle divinità che condividevano con la divinità principale il culto di questo santuario”.

Il direttore Francesco Sirano con alle spalle una delel due immagini di timone in legno nella cella del tempio di Venere Euploia a Ercolano (foto Paerco)
Siamo al secondo tempio e qui eccezionalmente entriamo nella cella che normalmente si vede solo da fuori. “Appena entrati troviamo la mensa di marmo sulla quale erano esposti i vasi rituali che si utilizzavano durante le cerimonie religiose. Le pareti della cella erano decorate a tutta altezza con delle grandi pitture che raffiguravano dei giardini esotici, ricchi di piante di ogni genere e alcune di queste le vediamo ancora qui conservate come questa palma. Molto importanti sono due immagini che troviamo ai lati della porta: su entrambi si distingue un timone di legno. La raffigurazione di timoni ha fatto formulare l’ipotesi sulla titolarità di questo santuario che sarebbe dedicato a Venere sotto due aspetti. Uno è quello della dea della fertilità, della rinascita della vegetazione, quindi più tradizionalmente legato alla dea dell’amore. L’altro, molto importante, è quello di Venere protettrice della navigazione. Una divinità Euploia, cioè che favorisce la navigazione, così come succedeva nel culto di Afrodite che protegge la navigazione, che noi sappiamo ben conosciuto proprio nella vicina Neapolis”.
“Lapilli di Ercolano”: con la 14.ma clip il direttore Sirano ci porta sulla grande terrazza sopra l’antica spiaggia, e ci fa conoscere Marco Nonio Balbo, patrono e benefattore di Ercolano, cui la città per gratitudine dedicò diverse statue
Nella 14.ma clip dei “Lapilli del parco archeologico di Ercolano” il direttore Francesco Sirano ci racconta la storia e le origini del progetto architettonico della terrazza dedicata a Marco Nonio Balbo, un personaggio a cui l’antica Herculaneum manifestò la propria gratitudine proprio attraverso la costruzione di numerosi edifici pubblici e la collocazione di diverse statue. Subito fuori dalla porta che dà sulla marina ci si affaccia sulle due terrazze artificiali, quella di Marco Nonio Balbo e il santuario di Venere, poste sui ripari delle barche che si trovavano sull’antica spiaggia. Le due terrazze si aprono alla vista dei visitatori appena entrano negli scavi seguendo l’itinerario principale. Per raggiungerle si scende una rampa da poco completamente liberata dopo la messa in sicurezza del muro che sostiene la Casa dei Cervi: così ora per la prima volta si possono apprezzare due strade che convergevano per andare poi verso l’antica spiaggia.

Le due terrazze artificiali, quella di Marco Nonio Balbo e quella del santuario di Venere, che si presentano alla vista dei visitatori che entrano nell’area archeologica di Ercolano (foto Graziano Tavan)
La rampa porta all’interno di questo spazio recintato che corrisponde a una sorta di zona sacra, una sorta di Heroon dove viene eroizzato uno dei personaggi di Ercolano nell’età dell’imperatore Augusto. “Si tratta di Marco Nonio Balbo, di cui qui vediamo il monumento funerario con la statua, ora qui esposta in copia, e l’altare funerario”, spiega Sirano. “All’interno di questo altare, al momento degli scavi archeologici, sono stati ritrovati anche i resti delle sue ceneri: all’interno di una olla e una pentola c’erano le ceneri e anche un pezzettino del dito della mano che riporta al cosiddetto “os resectum”, un tipico rito che avviene prima dell’incinerazione di un defunto. Marco Nonio Balbo apparteneva a una famiglia di Nocera di rango dei cavalieri che erano entrati in Senato. Faceva parte di quelle élite locali sulle quali l’imperatore Augusto contava per poter portare avanti il suo programma di rinnovamento di tutta l’Italia attraverso la soppressione di fatto dell’ordinamento repubblicano e l’inizio della monarchia”.
Marco Nonio Balbo fu un personaggio chiave all’interno della politica augustea. “Nel 32 a.C., quando a Roma era tribuno della plebe”, ricorda Sirano, “Marco Nonio Balbo espresse il veto per fermare alcune leggi che avrebbero contrastato la politica dell’imperatore Augusto, che gli fu eternamente grato. Augusto lo fece diventare governatore di Creta e Cirene, due province chiave nell’impero mediterraneo di Roma. E a Ercolano Marco Nonio Balbo è vestito con il paludamento di un generale vittorioso”.

Il monumento funerario e la statua di Marco Nonio Balbo visibili a chi arrivava dal mare a Ercolano (foto Graziano Tavan)
“Marco Nonio Balbo, ormai estremamente ricco, diventa patrono di Ercolano ed elegge la città a sua sede di residenza, e restaura molti monumenti all’interno della città. Il popolo di Ercolano gli sarà per sempre grato: gli dedica non solo questo monumento subito al di fuori della città ma, come recita l’iscrizione che ricorda le sue benemerenze, gli vengono concessi una serie di onori – tra i quali ben 10 statue all’interno della città di Ercolano, nei luoghi più importanti ovviamente -, e inoltre gli vengono dedicati alcuni giochi ginnici da parte dei giovani in occasione di solennità importanti per tutto il mondo romano come i Parentalia. Il monumento a Balbo si trova nel luogo che chiunque vedeva arrivando dal mare, quando si avvicinava a Ercolano e andava al piccolo approdo dei pescatori qui sotto, oppure”, conclude Sirano, “alla nostra sinistra dove riteniamo si collocasse il porto della città antica”.
#iorestoacasa. Nel Foro Triangolare di Pompei la base di una statua di Marco Claudio Marcello dà l’occasione al direttore Osanna di raccontare la storia del nipote prediletto di Augusto
Il Parco archeologico di Pompei è chiuso, si sa. Ma nel rispetto dell’impegno #iorestoacasa ecco una nuova “pillola” per gli appassionati. Nel Foro Triangolare di Pompei si possono ripercorrere delle tracce significative della storia romana. In questo nuovo video il Direttore Generale Massimo Osanna, partendo dalla base della statua sulla quale poggiava la sua statua, ci racconta la storia di Marco Claudio Marcello, un personaggio di grande rilievo per la storia di Roma del I secolo a.C. Marco Claudio Marcello, figlio di Gaio Claudio Marcello, console nel 50 a.C., e di Ottavia minore, sorella dell’imperatore Augusto, di cui era il nipote prediletto. La sua importanza crebbe quando fu chiaro che era uno dei primi candidati alla successione di Augusto. E per scavalcare Tiberio nella linea di successione il suo cursus honorum fu “accelerato” di 10 anni per decreto del Senato del 24 a.C. Ma fu inutile. L’anno dopo, il 23 a.C., Marcello morì a Baia a soli 19 anni. Virgilio lo ricorda nel VI libro dell’Eneide: “Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati, tu resterai Marcello”. Si racconta che quando Virgilio lesse ad Augusto in anteprima i versi dell’Eneide che parlavano del defunto Marcello, Ottavia svenne per l’emozione.
La statua di Augusto “velato” del museo Archeologico nazionale di Aquileia troneggia a Roma nella mostra “Ovidio. Amori, miti e altre storie”: è la prima volta che la monumentale opera lascia il Friuli per un prestito. Alle Scuderie del Quirinale presenti molti reperti dal museo aquileiese

La statua monumentale di Augusto del museo Archeologico nazionale di Aquileia troneggia nella seconda sezione della mostra “Ovidio. Amori, miti e altre storie” alle Scuderie del Quirinale (foto Graziano Tavan)
La grande statua in marmo di Augusto, in vesti sacerdotali, capolavoro del museo Archeologico nazionale di Aquileia, troneggia nella seconda sezione della grande mostra “Ovidio. Amori, miti e altre storie”, curata da Francesca Ghedini, aperta alle Scuderie del Quirinale di Roma fino al 20 gennaio 2019: oltre 200 opere tra reperti archeologici, sculture antiche, affreschi, manoscritti medievali e dipinti di età moderna, provenienti da numerosi musei e biblioteche, un viaggio alla scoperta del mondo poetico di Ovidio attraverso l’amore, la seduzione, il rapporto con il potere e il mito. Perché proprio “questo” Augusto in mostra? L’imperatore, simbolo della sua epoca, fu una figura determinante nella vicenda personale di Ovidio, dai fasti dorati della Roma imperiale fino esilio nella lontana Tomi sul mar Nero. E proprio nella seconda sezione della mostra, come spiega la curatrice, si affronta “il grande scontro tra l’imperatore Ottaviano Augusto e il poeta, costretto alla fine all’esilio. Sappiamo che i motivi alla base dell’ira di Augusto sono legati ai versi “licenziosi” di Ovidio sull’amore, e al suo modo dissacrante di rapportarsi e trattare le divinità, proprio quelle divinità che sono le fondamenta della politica e della morale di Augusto” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/10/16/ovidio-il-poeta-alle-radici-delleuropa-alle-scuderie-del-quirinale-la-grande-mostra-ovidio-amori-miti-e-altre-storie-nel-bimillenario-della-morte-del-poeta-nostra-interv/).

L’Augusto in vesti sacerdotali conservato al museo Archeologico nazionale di Aquileia, in mostra alle Scuderie del Quirinale (foto Graziano Tavan)
La statua in marmo di Augusto, in vesti sacerdotali, della I metà del I sec. d.C., proveniente dalla zona delle Marignane presso l’area del circo di Aquileia, fa parte di un ciclo imperiale raffigurante la famiglia giulio-claudia, in cui dovevano comparire anche i ritratti di Claudio e Antonia Minore. Augusto indossa la toga, veste tipica del cittadino romano con la quale si fa riconoscere durante le cerimonie e i riti sacri. Il capo è velato, prescritto nei riti, a sottolineare così la sua massima devozione. Non dimentichiamo che dal 12 a.C. assume il titolo di Pontefice Massimo. “Non è una scelta casuale”, spiegano i curatori della mostra: “Anche nell’arte ufficiale Augusto fa sottolineare sempre il proprio carattere di uomo pio, in forte adesione al suo programma politico di moralizzazione e riforma dei costumi”. La monumentale statua di Augusto, particolarmente importante nel percorso espositivo della mostra di Roma, è la prima volta che lascia per un prestito il museo Archeologico nazionale di Aquileia, per il cui nuovo allestimento – inaugurato il 3 agosto 2018 – è stata anche restaurata.

Reperti in ambra di squisita lavorazione che ritraggono Amore e Psiche dal museo Archeologico nazionale di Aquileia in mostra a Roma (foto Graziano Tavan)
Il museo Archeologico nazionale di Aquileia – assicura la direzione – ha colto con entusiasmo l’opportunità di collaborare all’importante progetto espositivo su Ovidio attraverso il prestito di numerose opere della collezione permanente, che si inseriscono felicemente nella narrazione ideata dai curatori della mostra e contribuiscono a restituire al grande pubblico le atmosfere del raffinato ambiente che all’opera di Ovidio fece da sfondo e intorno al quale egli esercitò la sua arte poetica. Manufatti in ambra di squisita lavorazione che ritraggono Amore e Psiche, anelli intagliati con ritratti di raffinate matrone romane dalle acconciature elaborate, ma anche piccole sculture e oggetti da toeletta, come le pissidi e le scatoline lavorate a intaglio, o il grande specchio in bronzo e la rarissima trousse per cosmesi, rinvenuta a sud di Aquileia agli inizi degli anni Novanta e oggetto di un accurato restauro proprio in occasione di questa esposizione, amuleti, collane e gemme vitree, ci raccontano di un mondo elegante dai gusti ricercati che molto doveva ai consigli del cantore dell’Ars Amatoria. In mostra spiccano anche le minutissime mosche in lamina d’oro destinate a essere cucite su di una veste e provenienti dal corredo funerario di una ricca domina aquileiese, che ben testimoniano il fasto e la ricercatezza dei costumi nel I secolo d.C.
1937-2017: ottant’anni fa veniva aperta al pubblico la visita delle rovine di villa Jovis, il primo palazzo imperiale romano, il “nido di falco” voluto da Tiberio su un promontorio dell’isola di Capri davanti alla penisola sorrentina. Fu scavata dall’archeologo Amedeo Maiuri che si ha lasciato una romantica descrizione
Ottant’anni: tanti ne sono passati dall’apertura al pubblico di villa Jovis, la residenza ufficiale dell’imperatore Tiberio, sul promontorio del versante orientale di Capri, isola particolarmente cara al successore di Augusto, tanto che qui fece costruire altre undici ville. Ma fu villa Jovis quella più amata, per il clima mite e gli ampi panorami. Quando il sito archeologico di villa Jovis fu aperto al pubblico era il 1937, anno speciale perché scadeva il bimillenario della nascita dell’imperatore Augusto, celebrato con grande enfasi e solennità dal regime fascista. Il recupero e la riscoperta della residenza imperiale fu affidata a un maestro dell’archeologia, quell’Amedeo Maiuri che, dopo aver scavato con successo nell’Egeo, assumendo anche la direzione del museo Archeologico di Rodi, dal 1924 era stato nominato soprintendente alle Antichità di Napoli e del Mezzogiorno, nonché direttore del museo Archeologico di Napoli. Quando all’inizio degli anni Trenta del Novecento Maiuri venne a Capri il sito di villa Jovis, come lui stesso avrebbe scritto nel 1938 sul Corriere della Sera, “era un cumulo informe di macerie da cui erompevano, quasi paurosamente, le occhiaie vuote delle volte delle cisterne: fulmini, nembi e terremoti, abbattendosi su quel picco di roccia, avevano scrollato le mura della gran fabbrica e sulle malte sgretolate i venti avevano seminato una prodigiosa macchia di ginestre e allevato qualche querciuolo contornato; la grande rampa che saliva all’umile chiesetta aveva sepolto la parte migliore del palazzo; corridoi, logge, terrazze erano coperti da magri filari di vigna; all’ingresso un torracchione sgretolato, la Torre del Faro, quella che aveva dato con il suo crollo un sinistro presagio di morte, pencolante sull’abisso, e di quell’abisso la leggenda aveva fatto la rupe del sangue, della carneficina. Il mito di Tiberio riviveva in quella selvaggia e deserta solitudine, e uomini e natura sembravano congiurare a rendere il suo nome più esecrabile”.
La prima campagna di scavo iniziò nell’inverno 1932-1933. In pochi anni, è ancora Maiuri a scrivere, “le ricerche al gran sole di Capri, o al soffio rabbioso dello scirocco, hanno fatto di questa tragica e muta rovina uno dei più grandiosi complessi che la romanità ci abbia dato. E l’imperatore che non ha lasciato fama di gran costruttore e al quale si faceva anzi colpa di estrema parsimonia di opere pubbliche, ci ha dato invece un superbo esempio di organicità struttiva e architettonica che non è possibile non attribuire a suo personale gusto e a una deliberata volontà preordinatrice. Era facile quassù fare opera di grandiosa scenografia architettonica, di superflua magnificenza, e invece ci troviamo dinanzi alla rude e austera saldezza di una rocca, di una cittadella attanagliata alla rupe, di un palazzo abbarbicato al nudo sasso come un eremo di solitudine o un castello di difesa. E tutto appare subordinato ad una rigorosa, razionale funzionalità delle strutture, con una serrata logica di ideazione e di esecuzione: le immense cisterne affondate nel vivo della roccia, che occupano tutto il cuore del palazzo come il mastio di un castello; il quartiere del bagno degno di un ospite imperiale collegato direttamente a quelle cisterne; il quartiere degli alloggi del seguito disposti lungo i corridoi di servizio dei quattro piani del palazzo, come altrettante celle monastiche d’una badia di frati; la grande sala di ricevimento in forma di esedra-ninfeo; la sua stanza, la più remota e appartata, al di sotto della più alta terrazza del belvedere, proprio ai piedi della chiesetta; e il quartiere della loggia, dell’ambulatio imperiale, aerea, sospesa sulle rupi, tutt’aperta sull’immenso scenario del golfo di Napoli. Segno e suggello infine del soggiorno imperiale – conclude Maiuri la sua descrizione – la torre massiccia del Faro, piantata sul crinale delle rupi, in modo da non servire solo di faro ai naviganti. Ma da lanciare segnalazioni e messaggi al vicino Capo di Sorrento e al più lontano porto di Miseno dove ormeggiavano al sicuro, pronte ai comandi, le navi della flotta tirrena”.
Per raggiungere il promontorio di monte Tiberio e ammirare le rovine della splendida villa Jovis e conoscere le tecniche geniali di costruzione dei romani bisogna affrontare una salita di 45 minuti a piedi dalla famosa Piazzetta tra giardini di ville e viste su Marina Grande. Vicino all’ingresso della villa si trova il cosiddetto “salto di Tiberio”, una scogliera di 297 metri, che, secondo la leggenda, era da dove Tiberio faceva gettare sotto i suoi nemici. Villa Jovis, considerata il primo palazzo imperiale romano e un importante testimone dell’architettura romana del primo secolo, copre una superficie di 7mila metri quadrati. Dall’alto del promontorio il panorama è mozzafiato: a nord, il blu del Golfo di Napoli e l’isola di Ischia fino a Punta Campanella; a sud, il centro di Capri. “Già la scelta del luogo era d’eccezione”, scriveva Maiuri. “I romani amavano disporre le loro ville a mezza costa o lungo il litorale, in vista di una valle o a specchio della marina, innanzi ad aspetti sereni e dolci di colli e di piano o entro seni anfrattuosi di mare; e Capri pur aspra e petrosa aveva dovizia di questi luoghi, e Augusto aveva scelto per sé il più agevole, il più comodo, la bella spianata tutta verde di selva e di vigneti di Palazzo a mare, presso la marina; Tiberio volle invece per sé il picco più solitario, le rupi più abissali, il luogo più remoto da ogni altro abitato, e vi costruì il suo nido di falco. Fu una villa fortezza, più castello che palazzo, più eremo che magione imperiale; a guardarla oggi con la sua gran mole che copre il cocuzzolo del monte, si direbbe il vecchio castello di un signore feudale che imponesse chissà quale odioso diritto di preda ai naviganti: e fu invece la casa di un imperatore che consolidò saldamente sul mare e sulla terra l’impero di Augusto”.
Il Mausoleo dell’imperatore Augusto a Roma aperto eccezionalmente al pubblico nei sabati di giugno. Poi finalmente inizierà il restauro nell’ottantesimo anno della sua chiusura
L’annuncio della soprintendenza Capitolina non può che far piacere: il mausoleo di Augusto a Roma nel mese di giugno 2016 sarà aperto eccezionalmente al pubblico per un ciclo di visite guidate. “L’iniziativa”, spiegano, “che si inserisce nell’ambito delle attività didattiche promosse dalla soprintendenza Capitolina nei monumenti e nelle aree archeologiche di Roma Capitale, costituisce una opportunità unica offerta ai cittadini per vedere il Mausoleo prima che l’imminente restauro ne rinnovi l’antico splendore per riportarlo a nuova vita”. L’ingresso al monumento e le visite guidate saranno gratuite e verranno effettuate, tutti i sabati di giugno alle 11, da funzionari archeologi della soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Le date previste per le visite sono: 4, 11, 18 e 25 giugno sempre alle 11. La prenotazione è obbligatoria allo 060608 (max 30 persone per ciascun gruppo), a partire dalla settimana precedente la data prevista per la visita. Il sito presenta barriere architettoniche.

Il Mausoleo con il suo diametro di 300 piedi romani (circa m 87) è il più grande sepolcro circolare che si conosca
Dunque sembra proprio che stavolta il restauro del più grande mausoleo circolare giuntoci dall’antichità parta davvero. Sembrava infatti già fatta a ottobre 2015 quando, dopo anni di annunci, si era aperta la gara per la prima tranche di lavori al Mausoleo di Augusto. Forte dei 6 milioni di euro messi a disposizione dalla Fondazione Telecom – in aggiunta ai 4,2 milioni di fondi comunali e statali già stanziati -, il Campidoglio aveva annunciato l’inizio del cantiere per “gennaio 2016” e l’apertura al pubblico “nel marzo 2017”. Ma un nuovo “ostacolo” aveva fatto slittare ora a data da destinarsi dell’avvio dei lavori, per un restauro che aveva già mancato clamorosamente – nonostante le promesse – l’appuntamento con le celebrazioni del bimillenario della morte di Augusto, nell’agosto del 2014 (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2014/08/17/bimillenario-di-augusto-il-19-agosto-ara-pacis-a-colori-aperta-fino-a-mezzanotte-insieme-alla-mostra-larte-del-comando/). Per il sepolcro del primo imperatore gli anni del degrado e dell’abbandono, insomma, continuano, nell’ottantesimo anniversario della sua chiusura al pubblico. In una “maledizione” già evocata il 19 agosto 2014 quando, proprio nel giorno del bimillenario e delle visite guidate straordinarie al Mausoleo che ne avrebbero dovuto ricordare i fasti, una conduttura dell’acqua si ruppe e allagò il fossato intorno al monumento, portando tristemente a galla, davanti agli occhi del mondo, erbacce e rifiuti.
La costruzione del Mausoleo nell’area settentrionale del Campo Marzio (all’epoca non ancora urbanizzato, ma già in precedenza occupato dai sepolcri di alcuni uomini illustri) fu iniziata da Ottaviano Augusto nel 28 a.C., al ritorno dalla campagna militare in Egitto, conclusasi con la vittoria di Azio del 31 a.C. e la sottomissione di Cleopatra e Marco Antonio. Lo storico greco Strabone descrisse il monumento come “un grande tumulo presso il fiume su alta base di pietra bianca, coperto sino alla sommità di alberi sempreverdi; sul vertice è il simulacro bronzeo di Augusto e sotto il tumulo sono le sepolture di lui, dei parenti, dietro vi è un grande bosco con mirabili passeggi”. Il Mausoleo con il suo diametro di 300 piedi romani (circa m 87) – spiegano gli archeologi della soprintendenza capitolina -, è il più grande sepolcro circolare che si conosca. Il monumento si componeva di un corpo cilindrico rivestito in blocchi di travertino, al centro del quale si apriva a sud una porta preceduta da una breve scalinata; in prossimità dell’ingresso, forse su pilastri, erano collocate le tavole bronzee con incise le Res Gestae, ovvero l’autobiografia dell’imperatore, il cui testo è trascritto sul muro del vicino Museo dell’Ara Pacis. Nell’area antistante erano collocati due obelischi di granito, poi riutilizzati uno in piazza dell’Esquilino, alle spalle di S. Maria Maggiore (1587), l’altro nella fontana dei Dioscuri in piazza del Quirinale (1783). “All’interno del sepolcro”, conclude la nota della soprintendenza, “vennero deposte le ceneri dei membri della famiglia imperiale: il generale Marco Agrippa, secondo marito di Giulia figlia di Augusto, Druso Maggiore, i due bimbi Lucio e Gaio Cesare figli di Giulia, Druso Minore, Germanico, Livia, seconda moglie di Augusto, Tiberio, Agrippina, Caligola, Britannico, Claudio, e Poppea, moglie di Nerone; quest’ultimo fu invece escluso dal Mausoleo per indegnità, come già Giulia, la figlia di Augusto. Per breve tempo il Mausoleo ospitò le ceneri di Vespasiano e infine di Nerva e dopo oltre un secolo dall’ultima deposizione si riaprì per ospitare le ceneri di Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio Severo”.
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