Roma. Al Palazzo delle Esposizioni la conferenza “Quello che Omero ha taciuto. Il viaggio dei Troiani verso Occidente tra archeologia, storia e mito” con Massimo Cultraro (Cnr-università di Palermo) nell’ambito della rassegna “Mirabilia Urbis. Racconti d’arte a Roma”
Sold-out in un lampo. È la conferenza “Quello che Omero ha taciuto. Il viaggio dei Troiani verso Occidente tra archeologia storia e mito” con Massimo Cultraro, dirigente di ricerca del CNR e docente di Archeologia egea all’università di Palermo, martedì 29 ottobre 2024, alle 18.30, al Palazzo delle Esposizioni a Roma, nell’ambito della rassegna “Mirabilia Urbis. Racconti d’arte a Roma” a cura di Ivana Della Portella e Irene Berlingò.

Heinrich Schliemann (1822-1890)
Nell’autunno del 1875 Heinrich Schliemann (1822-1890), il celebre scopritore di Troia, in un momento di difficoltà con le autorità ottomane che gli avevano revocato il permesso di scavo ad Hissarlik, si trasferisce a Roma, dando avvio ad un nuovo e ambizioso progetto di ricerca. Nasce l’idea di ricostruire la storia degli esuli troiani in Italia, attraverso una combinazione di indagini archeologiche e la rilettura del celebre mito della fuga di Enea dalla città di Troia. Seguendo il viaggio dei Troiani, Schliemann esplora prima Segesta ed Erice, alla ricerca della tomba di Anchise, per poi spostarsi nel Lazio, dove alcuni saggi di scavo presso Marino rivelano una necropoli ad incinerazione dell’età del Ferro, identificata con la mitica Alba Longa.
Torino. Al museo Egizio l’archeologo Massimo Cultraro (Cnr- Ispc Catania) parla di “Da Micene al Nilo. Le ricerche di Heinrich Schliemann in Egitto (1886-1888)”. Conferenza in presenza e on line in collaborazione con Acme
Heinrich Schliemann (1822-1890), imprenditore tedesco diventato famoso per la scoperta di Troia e per l’esplorazione della civiltà micenea, fin dalle sue indagini in area egea ha sempre guardato con attenzione all’Egitto. Giovedì 11 gennaio 2024, alle18, nella sala conferenze del museo Egizio di Torino, conferenza “Da Micene al Nilo. Le ricerche di Heinrich Schliemann in Egitto (1886-1888)” con Massimo Cultraro: nuovo appuntamento con le conferenze organizzate con l’Associazione ACME, Amici e Collaboratori del Museo Egizio, dove Massimo Cultraro ci parlerà delle ricerche di Heinrich Schliemann in Egitto. Introduce Christian Greco, direttore del museo Egizio. Ingresso è libero con prenotazione su Eventbrite: : https://www.eventbrite.it/…/biglietti-da-micene-al-nilo…. La conferenza sarà trasmessa anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo. Il programma di incontri è realizzato in collaborazione con il dipartimento di Studi storici dell’università di Torino. La scoperta a Micene di un gruppo di manufatti di produzione egizia risalenti al Nuovo Regno lo spinge a riflettere sull’origine della civiltà elladico-micenea, per la quale non escludeva un contributo dall’area nilotica. Nei continui viaggi compiuti in Italia entra in contatto con la grande scultura greco-romana nelle collezioni di Roma, mostrando uno spiccato interesse per la figura di Cleopatra. Solo a partire dal 1886, oramai celebre ma con una salute assai cagionevole, può avviare il sogno di esplorare l’Egitto, avviando le indagini ad Alessandria alla ricerca del palazzo di Cleopatra. I taccuini di viaggio permettono di ricostruire una pagina inedita e affascinante del lungo soggiorno di Schliemann in Egitto, facendo luce sulle scoperte archeologiche, pressoché sconosciute, e sulle preziose descrizioni di luoghi e costumi dell’Egitto nella seconda metà dell’Ottocento.

Massimo Cultraro, dirigente di ricerca dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale (Cnr-Ispc) (foto parco naxos)
Massimo Cultraro è archeologo, dirigente di ricerca al Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto delle scienze del Patrimonio Culturale, Catania. Insegna Archeologia egea e Preistoria del Mediterraneo nelle università di Palermo, Messina e Salerno. Visiting professor alla Brown University di Providence (USA), tiene corsi di archeologia egea nell’Università di Göttingen. Nel 2006-2011 ha diretto il progetto di ricostruzione del museo nazionale di Baghdad, promosso dal ministero degli Affari Esteri e CNR, progetto premiato al G8 degli Enti di Ricerca a Venezia nel 2008. Insignito del premio nazionale “Sabatino Moscati” per la divulgazione scientifica in campo archeologico, si occupa di mondo egeo-miceneo e di Preistoria euro-asiatica, dirigendo dal 2014 una missione di ricerca nel Caucaso. Autore di sei saggi scientifici, alcuni dei quali dedicati alla figura di H. Schliemann.
Cagliari. Conferenza, in presenza e on line, di Massimo Cultraro (Cnr Catania) su “I bronzetti “sardo-feniciani” e le donne di Cagliari. L’inatteso viaggio di Heinrich Schliemann in Sardegna”, sessantottesimo incontro della rassegna “Dialoghi di archeologia, architettura, arte e paesaggio”
Un naufragio nella notte, l’approdo a Cagliari, la folgorazione per i bronzetti nuragici, ma anche per le donne sarde, tutti gli ingredienti per una nuova avventura, assolutamente inedita, dell’impareggiabile Heinrich Schliemann. Giovedì 30 novembre 2023, alle 17, nella basilica di San Saturnino in piazza San Cosimo a Cagliari, e in diretta live, l’incontro “I bronzetti “sardo-feniciani” e le donne di Cagliari. L’inatteso viaggio di Heinrich Schliemann in Sardegna” con l’archeologo Massimo Cultraro, primo ricercatore al CNR di Catania e docente Paletnologia e Preistoria egea dell’università di Palermo, 68mo appuntamento della rassegna “Dialoghi di archeologia architettura arte e paesaggio” a cura di Maria Antonietta Mongiu e Francesco Muscolino. Ecco il link per seguire l’evento in streaming https://www.facebook.com/events/321290237507700.
Berlino. Ultima estate per ammirare la Porta di Ishtar di Babilonia o la Porta del Mercato di Mileto: dal 23 ottobre chiude il Pergamon Museum per una complessa ristrutturazione che finirà non prima del 2037 (tra 14 anni!). Nel 2027, riapertura parziale con l’Altare di Pergamo (ora non visibile)

La Porta di Ishtar di Babilonia tra i capolavori del Pergamon Museum di Berlino (foto SMB / Becker)

La chiusura del Pergamon Museum annunciato da Il Mitte, il quotidiano di Berlino per italofoni
Dal 1° luglio 2023 gli orari di apertura del Pergamon Museum sono prolungati il martedì, il mercoledì, il venerdì, il sabato e la domenica dalle 9 alle 19 e il giovedì dalle 9 alle 20. E questo orario rimarrà in vigore fino a domenica 22 ottobre 2023. Perché proprio fino a ottobre e non fino alla fine dell’estate, come sarebbe più logico? Perché da lunedì 23 ottobre 2023 il Pergamon Museum, uno dei più visitati musei di Berlino, il museo che riunisce inestimabili collezioni di antichità classiche, del vicino Oriente e di arte islamica, non sarà più visitabile al pubblico. E non per poco. Quasi quattro anni, cioè fino al 2027, per una prima riapertura parziale. Ma solo nel 2037, a lavori di ristrutturazione completati, il Pergamon Museum tornerà accessibile al pubblico nella sua interezza. Quindi questa è l’ultima estate disponibile per ammirare la Porta di Ishtar e la via processionale di Babilonia o la Porta del Mercato di Mileto, tanto per fare qualche esempio eclatante. L’Altare di Pergamo, che ha dato il nome al museo berlinese, già ora non è visibile. I lavori di ristrutturazione, inclusi nel Museumsinsel Master Plan, sono già in corso infatti da tempo nell’edificio: i primi interventi risalgono al 2013. Le operazioni fin qui svolte sono state portate avanti garantendo la parziale accessibilità della struttura museale; la fase in arrivo impone però la chiusura completa della prestigiosa istituzione. Il primo step, nel 2027, prevede il completamento dei lavori nell’ala nord che comprende l’altare di Pergamo, la quale sarà nuovamente aperta ai visitatori.

Heinrich Schliemann con gli scavatori che riportano alla luce l’antica Troia sulla collina di Hissarlik in Turchia
Dopo la scoperta di Troia da parte del famoso mercante e archeologo Heinrich Schliemann, nel XIX secolo scoppiò la febbre degli scavi. I ricercatori tedeschi si recarono a Pergamo, Mileto, Babilonia, Uruk, Assur e in Egitto. L’impero ottomano concesse loro generose quote dei reperti rinvenuti: fu così che importanti monumenti architettonici, sculture e piccoli oggetti antichi approdarono a Berlino. I reperti vennero subito esposti sull’Isola dei musei, all’interno del predecessore del Museo di Pergamo. Ben presto, però, lo spazio non fu più sufficiente. Il Museo di Pergamo fu costruito tra il 1910 e il 1930 su progetto dell’architetto Alfred Messel e in poco tempo divenne una delle principali attrazioni di Berlino. Oltre all’imponente altare di Pergamo, vero e proprio capolavoro dell’arte ellenistica, la porta del Mercato di Mileto, alta 17 metri, e la magnifica porta di Ishtar costituiscono il cuore del museo. Ogni ala dell’edificio ospita una delle tre collezioni: parte della collezione di antichità classiche nell’edificio centrale, il Museo del Vicino Oriente al pianoterra dell’ala sud e il Museo di arte islamica al piano superiore.

La Porta del Mercato di Mileto tra i capolavori del Pergamon Museum di Berlino (foto SMB / Becker)
Come si diceva, attualmente sono in corso le opere previste per l’ala nord e per la parte centrale, con interventi che riguardano sia la sala ellenistica che il vasto ambiente con l’Altare di Pergamo. Ma è l’ala sud quella che ha bisogno di una ristrutturazione urgente, poiché le pessime condizioni e il degrado complessivo incidono sulla stabilità delle architetture e sulla sicurezza dei reperti. E poi, nel Museumsinsel Master Plan, è prevista la costruzione della quarta ala, e, successivamente, la costruzione delle sezioni di collegamento ancora mancanti con il Bode-Museum e con il New Neues Museum, nonché la ristrutturazione degli spazi esterni e la realizzazione del ponte sul Kupfergraben, il cosiddetto Pergamonsteg. Basta questo per comprendere questa lunghissima, epocale, chiusura.
Massimo Cultraro, archeologo del Cnr, nel libro “Schliemann alla ricerca di Troia” (Corriere della Sera) rivela gli aspetti meno noti dell’archeologo e descrive le vicende che portarono alla grande scoperta

Copertina del libro “Schliemann alla ricerca di Troia” di Massimo Cultraro
La scoperta di Troia a opera di Heinrich Schliemann, quando mise piede per la prima volta a Hissarlik nel 1868, segna il punto di svolta dell’archeologia moderna. La Grecia omerica cessa di essere un palinsesto di eroi mortali e divinità per assumere i connotati di una raffinata cultura materiale al pari di altre civiltà del Mediterraneo del II millennio a.C. Figura dalla personalità sfuggente e contraddittoria, abile narratore e instancabile viaggiatore, Schliemann incarna lo stereotipo dell’uomo d’affari che trasforma, grazi al talento innato e al duro lavoro, i sogni giovanili in stupefacenti successi nel campo della nascente archeologia, a cui ha lasciato un’importante eredità storica. Un saggio di Massimo Cultraro, ricercatore dell’ISPC CNR istituto di Scienze del Patrimonio culturale, “Schliemann alla ricerca di Troia”, edito dal Corriere della Sera, rivela gli aspetti meno noti dell’archeologo e descrive le vicende che portarono alla grande scoperta.

Massimo Cultraro, archeoologo del CNR ISPC
“Massimo Cultraro, archeologo e ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche, esperto di civiltà minoica e micenea, nel libro “Schliemann alla ricerca di Troia”, il primo della collana “Grandi imprese della storia”, del Corriere della Sera”, scrive Sandra Fiore nella recensione scritta per l’Almanacco del Cnr, “conduce il lettore, passo dopo passo, nella straordinaria vita dell’archeologo, scrutandone la personalità contraddittoria, lo spirito di intraprendenza tra luci e ombre, la capacità di tessere relazioni; nello svolgersi delle vicende non mancano le perplessità sollevate dal coevo mondo accademico e dai detrattori, nel tentativo di offuscare l’immagine dell’autodidatta. Nato da una famiglia umile, fu infatti avviato presto al lavoro. Abile negli affari, raggiunse una ricchezza tale da consentirgli di dedicarsi allo studio della storia del Mediterraneo antico, di viaggiare instancabilmente, dalla California alla Cina, dall’America Latina all’Italia, all’Egitto, arrivando a conoscere 15 lingue. Sullo sfondo della biografia, il fermento dei rapporti commerciali tra i turchi Ottomani e l’Occidente, che consentì la produzione delle elaborazioni cartografiche della Troade e la circolazione di reperti i quali andarono ad arricchire le prime raccolte museali europee, come quella del British Museum”.

Heinrich Schliemann con gli scavatori che riportano alla luce l’antica Troia sulla collina di Hissarlik in Turchia
“Il mito di Troia – continua Fiore – è sopravvissuto alla sua distruzione e da sempre esercita un irresistibile fascino. Tant’è che divenne elemento fondativo per l’Europa, spiega Cultraro. Non solo la civiltà romana, ma anche Burgundi, Goti, Teutoni, Britanni, popoli barbarici, rintracciarono nei profughi troiani e nei discendenti l’origine dei loro regni. Il fil rouge che sottende la vita del protagonista è il desiderio di contribuire alla ricostruzione di questo frammento di storia del mondo antico e di essere celebrato per un’impresa eccezionale. Infatti, “le vicende di Heinrich Schliemann continuano ad alimentare, a quasi due secoli, uno dei miti della storia dell’archeologia, la disciplina che egli stesso contribuì a creare, essendo pioniere dello scavo stratigrafico”. Il saggio ripercorre le vicende di scavo sulla collina di Hissarlik, dove il viceconsole britannico Frank Calvert aveva acquistato i terreni, avendo già ipotizzato di poter trovare le rovine della città. Nella seduta del Royal Archaeological Institute of London del 7 luglio 1865, venne data la notizia del ritrovamento di “Un elemento architettonico con iscrizione riferibile a un tempio di Atena. Pochi misero in relazione la notizia con le fonti antiche relative ai pellegrinaggi e sacrifici in onore di Atena Iliaca”. La notizia fu colta invece in tutta la sua portata da Schliemann con l’intuizione che lo porterà, tra il 1872 e il 1873, a coronare il sogno di bambino”.
Roma. Per il bicentenario della nascita di Heinrich Schliemann, due conferenze di Massimo Cultraro (maschera Agamennone e guerra di Troia) al dipartimento di Studi umanistici dell’università Roma Tre
Il dipartimento di Studi umanistici dell’università Roma Tre in questo scorcio di 2022, celebra ancora il bicentenario della nascita di Heinrich Schiliemann con due conferenze di Massimo Cultraro in aula Paolo Radiciotti e in streaming. Per maggiori informazioni contattare roberta.fabiani@unirom3.it. La prima, “Archeologia della contraffazione o strategie di denigrazione? Heinrich Schliemann e la maschera di Agamennone”, si tiene lunedì 21 novembre 2022, dalle 17 alle 19. In occasione del bicentenario della sua nascita, Massimo Cultraro (CNR e università di Palermo) si concentra sulla fascinosa ma controversa figura di Heinrich Schliemann e su un oggetto celeberrimo, recentemente al centro di accese discussioni: la maschera di Agamennone. Il seminario si svolgerà in presenza in aula Radiciotti, ma sarà possibile partecipare via Microsoft Teams cliccando sul seguente link Link identifier #identifier__18372-1https://bit.ly/3TecL8F.
La seconda, “Lo scontro infinito. Nuovi dati su Troia e le sue guerre”, si tiene martedì 22 novembre 2022, dalle 11 alle 13. Massimo Cultraro (CNR e università di Palermo) presenta un quadro aggiornato su Troia nella tarda Età del Bronzo, in relazione al problema dell’identificazione del luogo cantato nei poemi omerici, anche grazie all’inaspettato contributo di fonti ittite. Il seminario si svolgerà in presenza in aula Radiciotti, ma sarà possibile partecipare via Microsoft Teams cliccando sul seguente link Link identifier #identifier__85618-1https://bit.ly/3zW01Nc.
La maschera di Agamennone è vera o falsa? Incontro on line per “Comunicare l’antico” promosso dal parco archeologico di Naxos Taormina sul preziosissimo reperto in oro scoperto da Schliemann e conservato ad Atene. Confronto tra due archeologi esperti: Massimo Cultraro, profondo conoscitore di Schliemann, e Lorenzo Nigro, archeologo del Vicino Oriente, che ha sollevato dubbi sull’autenticità della maschera

“Senza di lui la storia della Grecia Antica non sarebbe stata la stessa”, afferma Massimo Cultraro, archeologo, dirigente di ricerca al CNR-ISPC Catania e docente di Preistoria e Archeologia Egea all’università di Palermo. “Sto parlando di Heinrich Schliemann, l’imprenditore tedesco col pallino dell’archeologia passato alla storia per aver dimostrato l’esistenza di Troia, per aver scoperto l’antica città di Micene e il leggendario Tesoro di Priamo (centinaia di pezzi in oro misteriosamente scomparsi al termine della Seconda Guerra mondiale)”. Proprio Schliemann, del quale Il 6 gennaio 2022 sono ricorsi i 200 anni dalla nascita, sarà il protagonista del primo appuntamento dell’anno con “Comunicare l’antico”, il ciclo di incontri organizzati dal parco archeologico Naxos Taormina e Naxos Legge – Festival delle narrazioni della lettura e del libro. E non perché questo uomo coltissimo, intraprendente e poliglotta – parlava 25 lingue – ha scavato anche in Sicilia, e nella stessa Taormina, dove si è fermato alcuni giorni nel novembre del 1875 per curiosare fra le Naumachie. No, si parlerà di un preziosissimo reperto in oro, la famosa maschera di Agamennone, oggi pezzo forte del museo Archeologico nazionale di Atene, sospettato, da alcuni decenni, di essere un falso. Quindi la domanda: sarà vera o no?


L’archeologo Massimo Cultraro

L’archeologo Lorenzo Nigro
Appuntamento on line (i tempi impongono prudenza, ma così tutti potranno seguirlo) martedì 25 gennaio 2022, alle 19, con “Schliemann e la maschera di Agamennone. Tra autenticità e contraffazione” in compagnia di due eccezionali e preparatissimi studiosi, gli archeologi Massimo Cultraro e Lorenzo Nigro. Introduce Gabriella Tigano, direttore del parco archeologico Naxos Taormina; modera Fulvia Toscano, direttore artistico di Naxos Legge e presidente dell’archeoclub Naxos-Taormina-Valle Alcantara. Diretta streaming sulla pagina Facebook del parco archeologico Naxos Taormina. Massimo Cultraro, profondo conoscitore di Schliemann e autore di numerose pubblicazioni a lui dedicate, replicherà all’interessante e provocatoria ipotesi che Lorenzo Nigro, professore ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico e di Archeologia Fenicio-Punica alla Sapienza di Roma, ha lanciato in una recente intervista rilasciata ad Andrea Cionci, storico dell’arte, giornalista e scrittore, che si occupa di storia, archeologia e religione, nella quale dichiara: “La maschera potrebbe essere, non solo un falso, ma anche una straordinaria BURLA che resiste da 149 anni” (vedi La Maschera di Agamennone una burla? Il prof Nigro: forse un “autoritratto” di Schliemann – Libero Quotidiano).

“La Maschera di Agamennone”, afferma Nigro a Cionci, “potrebbe essere nient’altro che un RITRATTO GIOVANILE dello stesso Schliemann. I baffi ci sono, l’ovale del viso anche, come nella foto che l’archeologo avrebbe potuto affidare a un parente orafo della moglie qualche giorno prima del ritrovamento”. Una beffa per i suoi nemici archeologi, un po’ come quella delle false sculture di Modigliani del 1984. Schliemann avrebbe potuto screditare i suoi critici, all’occorrenza, rivelando lo scherzo, ma nel 1890 morì, a soli 68 anni, portandosi il segreto nella tomba. Assumono così un profumo ironico le sue note sulla maschera in “Micene: una narrazione di ricerche” (1880): “Anche la barba è ben rappresentata, e in particolare i baffi, le cui estremità sono rivolte verso l’alto a punta, a forma di mezzaluna, niente di nuovo sotto il sole. Non ci sono dubbi sul fatto che gli antichi micenei usassero l’olio o una sorta di pomata per acconciarsi i capelli. […] Nessuno dubiterà per un momento che fossero destinate a rappresentare i ritratti del defunto […] Gli antichi orafi micenei potevano fare quanto qualsiasi orafo moderno”. “L’autoritratto-beffa – spiega Cionci – è una spiegazione coerente al mistero di “un falso che non sembra un falso”. Il museo archeologico di Atene, a parer nostro, dovrebbe consentire senza timori l’esame con la fluorescenza a raggi X o sui minerali contenuti nel metallo: se il pezzo dovesse risultare autentico, tanto meglio. In caso contrario, si potrebbe puntare sulla genialità di questo scherzo, che racconta molto di più di una fiabesca attribuzione ad Agamennone: sarebbe il simbolo della necessità costante per gli studiosi di dubitare, dello humor di un grandissimo archeologo sui generis, della continuità del mito che si sviluppa nel corso della storia”.

Sulla querelle è intervenuta recentemente anche Mariangela Galatea Vaglio, dottore in Storia antica alla Sapienza di Roma, insegnante e scrittrice di saggi e racconti storici, sul suo sito ValigiaBlu (vedi I dubbi sulla maschera di Agamennone, Heinrich Schliemann e la fantarcheologia – Valigia Blu). E dopo aver ripercorso le vicende storiche delle scoperte archeologiche di Schliemann, aver ricostruito la sua figura e i suoi epigoni, si chiede: alla fine la Maschera di Agamennone è un falso? “Probabilmente – scrive – non lo sapremo con certezza mai. Al di là dei dubbi basati sullo stile (effettivamente la maschera presenta dei tratti diversi dalle altre che risultano trovate nel medesimo contesto) e dall’usura (sembrerebbe meno rovinata e quindi forse più recente) anche facendo esami e analisi di laboratorio oggi sarebbe difficile risolvere il dubbio. Ma è poi così importante determinare se la maschera sia un falso? Forse no. Oggi il contesto archeologico miceneo è stato tracciato sulla base di migliaia di scavi e indagini in tutta la Grecia e anche nel resto del Mediterraneo, per cui, anche se la maschera fosse un falso, la nostra conoscenza dell’età micenea non verrebbe sconvolta”.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale si presenta il libro “Heinrich Schliemann a Napoli” che restituisce la figura dello scopritore di Troia ma anche il suo profondo legame con la città partenopea e i siti vesuviani

Tutti conoscono il nome di Heinrich Schliemann, il mitico scopritore di Troia e poi di Micene, Tirinto e Orcomeno. Al pensiero di Micene i nostri ricordi vanno alla “maschera d’oro di Agamennone”, raffigurata nel libro di storia della terza elementare. Meno noto è il suo legame con Napoli, dove morì nel 1890. Di quest’ultimo aspetto, soprattutto, si parla nel libro “Heinrich Schliemann a Napoli” (Francesco D’Amato Editore) con saggi di Umberto Pappalardo, Sybille Galka, Amedeo Maiuri, Carlo Knight, Lucia Borrelli, Massimo Cultraro, e una nota di Paolo Giulierini. Il libro “Heinrich Schliemann a Napoli” sarà presentato mercoledì 22 settembre 2021, alle 17, nel Giardino delle Fontane del museo Archeologico nazionale di Napoli. Interverranno Paolo Giulierini (direttore del Mann), Umberto Pappalardo (direttore del Centro Internazionale di Studi Pompeiani), Massimo Cultraro (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e Lucia Borrelli (Centro Musei delle Scienze Naturali e Fisiche dell’università Federico II). Il giornalista Carlo Avvisati de “Il Mattino” modererà il dibattito. Per partecipare è obbligatoria la prenotazione inviando una mail a info@damatoeditore.it.


Heinrich Schliemann con gli scavatori riportano alla luce l’antica Troia sulla collina di Hisarlik in Turchia
Il nome di Troia ci riporta invece al liceo, all’Iliade e alll’Odissea, alla questione omerica, dove ci si domandava: ma Omero sarà mai esistito? E come era possibile che un cantore della fine dell’VIII secolo (la scrittura fu introdotta intorno al 750 a.C.) potesse descrivere con tanti dettagli una città messa a ferro e fuoco intorno al 1250 a.C., ovvero 500 anni dopo? Tanti interrogativi Schliemann non se li pose, guidato dalla fede assoluta nella veridicità di Omero e bene armato di zappa e pala (come lui stesso scrive), scavò sulla collina di Hissarlik, in Turchia, e trovò Troia. Ma Schliemann è stato anche lo scopritore della “civiltà micenea”, restituendo all’umanità ben mille anni di storia dei quali, prima di lui, non si conoscevano – al di fuori dei racconti omerici – le testimonianze concrete.


Copertina del libro “Heinrich Schliemann a Napoli”
Questo valore di Schliemann quale “artefice” o “restitutor” della storia è ben delineato nel primo saggio di Sybille Galka, cuore e anima della Società e del Museo “Heinrich Schliemann” di Ankerhagen, che fu la città dove egli trascorse la sua prima infanzia. Seguono un saggio del celebre archeologo Amedeo Maiuri, che fu soprintendente di Pompei ed Ercolano (e non solo) e direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli e uno di Umberto Pappalardo sulla sua intensa attività di viaggiatore: infatti Schliemann fece scorrerie per il mondo immaginabili per un uomo di quell’epoca, giungendo in America (dove prese la cittadinanza), Africa, India, Cina e Giappone.

Heinrich Schliemann, morto a Napoli nel 1890
Venne anche almeno dieci volte a Napoli, non solo perché da qui prendeva la nave per raggiungere la sua casa ad Atene, ma anche perché amava questa città. Nonostante Napoli non fosse più la splendida capitale europea del secolo XVIII ma fosse divenuta nell’Ottocento socialmente molto problematica, c’erano tante cose da vedere: Pompei, Ercolano, il Museo Archeologico, il Teatro San Carlo e poi il Vesuvio, Sorrento, Capri e tanto altro ancora! Non è quindi un caso che morì proprio a Napoli, a Natale del 1890, prima di imbarcarsi per Atene… voleva ancora rivedere le nuove scoperte di Pompei e le nuove acquisizioni del museo Archeologico nazionale. In Italia aveva conosciuto dapprima a Pompei il giovane ispettore Giuseppe Fiorelli, che avrebbe poi rivisto a Napoli come direttore del Museo Nazionale e nuovamente a Roma in qualità di direttore generale delle Antichità del nuovo Regno d’Italia. Con Fiorelli ebbe dunque un lungo sodalizio, testimoniato da un frequente scambio epistolare. Carlo Knight spiega perché alcune di queste lettere, proprio alcune fra le più importanti, non ci sono pervenute. Possedute dal napoletano Domenico Bassi, che nel 1927 le pubblicò nell’ormai raro libro “Il carteggio” di Giuseppe Fiorelli. In Italia ne sono custoditi solo due esemplari, uno a Milano e uno a Venezia, qui riprodotto in appendice insieme alle trascrizioni dei diari di viaggio napoletani, i cui originali sono custoditi oggi presso l’American Academy di Atene.
Dalla guerra alla caduta di Troia, con i suoi protagonisti Achille, Ulisse, Enea: a Comacchio la mostra “Troia. La fine della città. La nascita del mito” in collaborazione con il Mann. Seconda parte: il viaggio iniziato con Omero si conclude con Virgilio, che celebra Roma nuova Troia

Locandina della mostra “Troia. La fine della città. La nascita del mito” a Comacchio fino al 27 ottobre 2019
È il 1898 quando Heinrich Schliemann, seguendo fedelmente quanto descritto da Omero nell’Iliade, scopre Troia. Nel nostro viaggio spazio-temporale affrontato visitando la mostra “Troia. La fine della città. La nascita del mito”, aperta fino al 27 ottobre 2019 a Palazzo Bellini di Comacchio, curata da Carla Buoite e Lorenzo Zamboni, da un’idea di Paolo Giulierini, Alice Carli e Roberto Cantagalli, partendo da Omero e passando attraverso alcuni miti greci siamo arrivati alla scoperta sulla collina di Hisarlik, nell’attuale Turchia nordoccidentale, delle vestigia della mitica Troia, dando vita a una campagna di scavi che arriva fino ai nostri giorni, e non vede ancora la fine (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/09/11/cantami-o-diva-del-pelide-achille-lira-funesta-a-comacchio-la-mostra-troia-la-fine-della-citta-la-nascita-del-mito-in-collaborazione-con-il-m/).
Ma quella individuata da Schliemann non era la Troia omerica o almeno non solo. Dietro il mito di Troia c’è una città che conosce una vita lunghissima, tra l’Antica età del Bronzo e il periodo bizantino (dal 3000 a.C. alla fine del 1200 d.C. circa) scandita dagli studiosi in dieci periodi (I-X). Molte delle fasi edilizie di Troia mostrano segni di incendi, distruzioni e terremoti. Secondo diversi ipotesi, la città descritta da Omero coinciderebbe con il periodo VI finale, oppure VII iniziale (circa 1300-1200 a.C.). In questi livelli gli scavi hanno messo in luce una cittadella di circa 2 ettari, circondata da mura possenti, e una “città bassa” estesa per almeno altri 27 ettari. Se il mito riconduce la guerra di Troia al rapimento di una donna, gli attacchi militari che la città ha subito suggeriscono la sua importanza strategica nello scacchiere geopolitico del mondo antico. Troia sorgeva infatti a controllo dello stretto dei Dardanelli, punto di passaggio obbligato tra Europa e Asia, e via d’accesso al mar Nero (un ruolo che secoli più tardi sarà ereditato da Costantinopoli, l’odierna Istanbul).

Guerrieri achei e anatolici del XIV e XIII secolo a.C., ricostruzione ipotetica dell’abbigliamento e dell’armamento dell’epoca
Mura incrollabili. Una delle particolarità del sito di Hisarlik è che fin dalla sua nascita è dotato di una cerchia difensiva, costantemente rinnovata e rinforzata nel corso dei secoli, segno di ricchezza e potere. Nelle fasi della tarda età Bronzo, alla fine del I millennio a.C., la cortina muraria di Troia mostra alcuni dettagli tecnici notevoli, con mura composte di grandi blocchi squadrati per tutta la profondità, dotate di pendenza e contrafforti sporgenti. Le difese erano completate da torri, ingressi obliqui (le porte Scee) e rampe di accesso. Gli eroi di Omero sono stati rappresentati, nei secoli, nei modi più diversi e fantasiosi. Anche in questa mostra li vediamo spesso abbigliati, di volta in volta, come guerrieri greci del periodo arcaico e classico, o reinventati secondo canoni romantici e immaginari. In realtà possiamo ricostruire l’armamento e l’abbigliamento dei Micenei grazie agli scavi e alle raffigurazioni dell’epoca su affreschi e ceramiche dipinte. Anche i nomi dei personaggi trovano testimonianza archeologica. Dai documenti scritti dell’epoca, le tavolette in Lineare B, sappiamo infatti che esistette effettivamente un popolo chiamato A-ka-wi-ja-de (gli Achei), presso cui il potere era in mano a un re, il wanax, e ai suoi comandanti, i la-wa-ge-tas, e che adorava una divinità femminile chiamata A-ta-na Po-ti-ni-ja (Atena). I nomi con cui Omero ha immortalato i suoi eroi sono micenei: A-ki-re-u (Achille), E-koto (Ettore), Pi-ri-ja-me-ja (Priamo). Interessante però che questi nomi fossero di persone comuni, di bassa estrazione sociale, inservienti, pastori, schiavi.

Affresco di Achille e Chirone, 65-79 d.C., da Ercolano, Basilica: Chirone insegna al giovane Achille a suonare la lira (foto Giorgio Albano, Mann)
L’educazione di un eroe: Achille. “Uomo grande e generoso, nobile pedagogo, che a maggior tua gloria allevasti un intero popolo di eroi…”, scrive Goethe nel Faust (7, II, 15). I monti della Tessaglia, nella Grecia centrale, sono il regno dei Centauri, irascibili, rozze e selvagge creature per metà uomini e per metà cavalli. Al contrario dei suoi primitivi compagni, il mite Chirone, amante delle scienze mediche e umane, vive da eremita nella grotta del monte Pelio, dedicandosi all’insegnamento. Sotto la sua guida vengono formate le giovani promesse del mito greco: Eracle, Teseo, Giasone, Aiace, Enea, e persino il padre della medicina, Asclepio. Tra i suoi celebri allievi c’è anche Achille, che da Chirone impara i segreti della caccia, della guerra, della medicina, della chirurgia e dell’arte oratoria, temprato nel corpo e nell’animo. L’anomalo centauro forgiò inoltre la lancia magica che solo Peleo e poi suo figlio Achille erano in grado di brandire. La stessa lancia con cui venne prima ferito e poi curato Telefo.

Pelike apula a figure rosse, Gruppo di Ruvo, 375350 a.C. Achille affranto per la morte di Patroclo, consolato dalla madre, la dea marina Teti, che gli porta assieme alle sorelle Nereidi le nuove armi forgiate da Efesto (foto Giorgio Albano, Mann)
L’ira funesta. Nei versi dell’Iliade le passioni e le emozioni sono protagoniste assolute: ira, superbia, desiderio, gloria, vendetta, violenza, ma anche dignità, senso dell’onore, leale amicizia, cura, premura e amore muovono le azioni dei protagonisti. Il poema si apre con l’ira di Achille, funesta, rovinosa, che esplode per l’ingiustizia subita dall’arrogante sovrano Agamennone, che gli sottrae la sua amata Briseide. Non solo i suoi sentimenti vengono feriti, è la stessa immagine pubblica di Achille a subire un disonore incancellabile. Per non cedere alla violenza, Achille si chiude in un’ostinata solitudine, allietata solo dalle arti e dai banchetti. Achille è un eroe complesso, in cui alla spietata violenza in battaglia si affiancano le delicate premure che riserva ai suoi amici e compagni più cari, su tutti l’inseparabile Patroclo. La perdita dell’amico prediletto, che ne veste le armi per sfidare il campione troiano Ettore, lo getta nel baratro di un’inconsolabile disperazione. Per Patroclo Achille versa fiumi di lacrime che nemmeno la divina madre Teti può fermare. Per vendicarlo torna in battaglia più feroce e spietato che mai, infierendo sul corpo del rivale Ettore. Ma ancora una volta mostra la sua grandezza d’animo, ascoltando le toccanti parole di Priamo, piangendo insieme a lui per le reciproche perdite, e consentendo a un anziano padre di dare onorevole sepoltura al figlio amatissimo.

Cratere apulo a figure rosse, da Ruvo di Puglia, tomba 111, attribuito al pittore dell’Ilioupersis, 370-360 a.C. Achille trascina il corpo di Ettore alla presenza dell’immagine di Patroclo (foto Giorgio Albano, Mann)
La caduta di Troia. Ilio, nome greco della città di Troia, è caratterizzata dall’epiteto delle sue celebri mura, che vengono definite “forti”, “ben costruite”, o semplicemente “belle”. Dopo nove anni di sanguinose battaglie, e nonostante la morte di Ettore, i Greci ancora non sono riusciti a espugnare le possenti mura troiane, erette da Apollo e Poseidone, che torreggiano tra il mare e le piane dell’Asia. Sfiniti dalla guerra, i Greci, ispirati dal multiforme ingegno di Ulisse e con l’aiuto divino di Atena, erigono un cavallo simile a un monte dai fianchi d’abete intrecciati, e lo lasciano davanti alle porte della città, come dono votivo ad Atena, protettrice di Troia, prima di fingere la ritirata. In realtà, come da recenti studi dell’archeologo navale Francesco Tiboni, Omero avrebbe parlato mai parlato di un cavallo ma avrebbe fatto riferimento a una nave fenicia, l’hippos (cavallo) appunto (da qui l’interpretazione errata nei secoli successivi, quando si era persa nozione dell’imbarcazione fenicia), usata all’epoca – carica di doni preziosi – come tributo degli sconfitti lasciata davanti alla città inespugnata (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2018/02/19/tourisma-2018-il-cavallo-di-troia-una-clamorosa-fake-news-dellantichita-larcheologo-navale-tiboni-omero-non-ha-mai-scritto-di-un-cavallo-ilio-fu-vinta-con-lin/). Riprendiamo il racconto. Il sacerdote troiano Laocoonte subito s’avvede dell’inganno, e prova a mettere in guardia i suoi compagni, pronunciando la famosa frase immortalata nei versi dell’Eneide virgiliana: “… temo i Greci anche se recano doni”. Ma ecco emergere dalle acque tranquille del mare due serpenti dalle spire immense e dalle creste rosso sangue, che avvolgono e straziano le carni del sacerdote e dei suoi due figli col loro corpo squamoso, soffocandone le disperate grida. I Troiani, persuasi che la cruenta fine di Laocoonte sia una divina punizione per le sue empie parole, spalancano esultanti le porte della città all’inganno acheo: gravida di armati la macchina fatale sale alle mura. I festeggiamenti per la fine della guerra e la ribadita supremazia di Troia proseguono fino a notte, mentre la spiaggia è ormai deserta.

Aiace Oileo strappa Cassandra dal Palladio, davanti a Priamo, da Pompei, I sec. d.C. (foto Patrizio Lamagna, Mann)
Il massacro. Tra cigolii, passi furtivi e bisbigli, nel cuore delle mura il cavallo immane vomita soldati armati che lesti aprono le porte della città ai compagni. I Troiani tentano un’ultima disperata difesa: si lotta porta a porta, fino all’ultimo uomo. Ma i Greci sciamano ormai inarrestabili, incendiando e distruggendo qualsiasi cosa incontri le loro armi: ammazzano, sgozzano, predano come fiere assetate di sangue, mentre i Troiani, impreparati e inermi, soccombono. Dovunque la città è sconvolta da grida di dolore: crescono i clamori e un fragore orrendo di armi sovrasta la notte. La Cittadella, cuore pulsante della città, cade preda di nemici pronti a ogni nefandezza ed efferato crimine. Quella di Troia è principalmente una vicenda di guerra, in cui prevalgono la violenza bruta e la prevaricazione del più forte sul più debole. E la sfida non è solo il duello eroico, due valenti guerrieri che si misurano ad armi pari gareggiando per l’onore e la gloria. Il mito, come la storia, è costellato di azioni vili e turpi, dove sono soprattutto gli anziani, le donne e i bambini a subire l’orrore e l’oltraggio. L’ultima, fatale notte di Troia è infatti un crescendo di episodi truculenti e di violenze intollerabili. Il vendicativo figlio di Achille, Neottolemo, fa strage di Troiani, arrivando a scagliare dalle mura Scee il corpo del piccolo Astianatte, figlio di Ettore. Tra gli ultimi a venire ucciso è il vecchio re, Priamo, ormai annichilito e prostrato sui gradini dell’altare, mentre tenta invano di opporsi al suo destino. Risuonano, agghiaccianti e concitate, le urla delle donne troiane: ma la morte è per loro quasi un sollievo, al confronto dell’umiliazione e della schiavitù che le aspetta quali bottino di guerra. Cassandra, che tutto ha già visto, aggrappata all’altare di Atena leva inutilmente gli occhi al cielo, mentre cade, inerme, tra le grinfie dell’empio Aiace Oileo. Come sua madre Ecuba, come le sue sorelle, come Andromaca, la sposa di Ettore, la attende un cupo futuro di prigionia presso le corti nemiche. Per Elena, oggetto di odio e rancori sia da parte dei Troiani che dei Greci, la resa significa il disprezzo del suo stesso popolo. Eppure, Menelao, marito tradito, la riporta a casa e la perdona, e nell’Odissea Ulisse la rincontrerà onorata e rispettata regina.

Terracotta da Pompei con Enea, Anchise e il piccolo Ascanio in fuga da Troia, I sec. d.C. (foto Patrizio Lamagna, Mann)
L’ultimo, fatale capitolo della nostra storia è ormai compiuto. Calcante, sacerdote e indovino dell’esercito greco, lo aveva predetto nel II libro dell’Iliade (“Nove anni a Troia durerà la guerra, il decimo la città cadrà…”), e la sua visione trova ora un tragico compimento. Distruzione e saccheggio regnano ormai sulla sacra rocca di Troia. Crollano per sempre le belle mura di Ilio, avvolte dalle fiamme. Ben pochi sono i superstiti. Tra questi Enea, principe troiano, al quale gli dei hanno affidato una missione da portare a compimento. Con l’anziano padre Anchise in spalla, il figlioletto Ascanio per mano e le ceneri degli antenati, Enea fugge, nella notte, tra i flutti del mare…

Anfora attica a figure nere, fine del VI secolo a.C., da Nola (Napoli). Enea, Anchise e il piccolo Ascanio in fuga da Troia (foto Patrizio Lamagna, Mann)
Fughe e ritorni. Nonostante la vittoria, gli eroi greci vivranno dei ritorni difficili: sono i nostoi, le peripezie e i ritorni degli eroi omerici, fatti di imprevisti, di vagabondaggi, di errori che apriranno nuovi scenari, premesse di nuove storie. Il più famoso dei ritorni è quello di Ulisse, che durerà ben dieci anni, e che viene narrato nell’Odissea. Dei Troiani, Enea è uno dei pochi a sopravvivere. Lo vediamo ormai in fuga verso l’Occidente, con il padre Anchise, il figlioletto Ascanio, detto Iulo, e un manipolo di compagni. Di Enea e del suo viaggio narra Virgilio nell’Eneide, un’opera modellata sui poemi omerici, dei quali si propone come un “sequel”. Le vicende sono quelle successive alla fuga da Troia, caratterizzate da lunghe peregrinazioni e da numerose perdite. Le tappe principali sono le isole greche di Delo, Creta e le Strofadi, l’Epiro, nell’odierna Albania, la Sicilia, il regno di Cartagine sulla costa nordafricana, persino l’Averno, il mondo dei morti. Il viaggio si concluderà in Lazio, e con il matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Latino, Enea diviene l’illustre antenato della civiltà romana.

Rilievo in marmo pentelico, originale greco della fine del V – inizi del IV secolo a.C., da Pompei, Casa V, 3, 10. Scena di sacrificio offerto da una famiglia a una divinità femminile, Afrodite o Demetra (foto Patrizio Lamagna, Mann)
Sacrifici e rinascite. Il rilievo di marmo, esposto in mostra a Comacchio, è un prezioso originale greco, simbolo del lusso e del livello culturale sfoggiato in alcune case di Pompei, dove è stato rinvenuto, posato a terra contro un muro in attesa di una collocazione definitiva. La Casa V, 3,10, dotata di altri arredi originali, tra cui statue bronzee, testimonia l’uso di veri e propri pezzi d’antiquariato greco, icona di una ricchezza colta e ricercata. Nei secoli la cultura greca plasma infatti la società romana nel profondo, attraverso le tecniche, le scienze, le arti e la letteratura. La scena rappresentata è una processione sacrificale: un gruppo di devoti accompagna in sacrificio un ariete al cospetto di una divinità femminile, nettamente sovradimensionata. Si tratta forse di Afrodite, amorevole madre e protettrice di Enea, oppure, secondo un’altra interpretazione, di Demetra, dea ancestrale della rinascita e della fertilità.

Busto di Ottaviano di marmo, di età tiberiano-claudia (14-54 d.C.), da Fondi (Latina) (foto Patrizio Lamagna, Mann)
Roma, una nuova Troia. Siamo alla fine del nostro viaggio che iniziato con Omero e trova il suo compimento in Virgilio: quindi da Troia a Roma. Nell’Eneide di Virgilio infatti l’eroe troiano Enea, tramite il figlio Iulo, viene celebrato come il capostipite della gens Iulia, una delle più importanti famiglie della repubblica romana, il cui esponente più illustre è Giulio Cesare. Mediante adozione, Ottaviano Augusto entra a far parte della famiglia Iulia, e sfrutta abilmente a fini propagandistici questo mito delle origini. I poeti della sua corte, tra i quali Virgilio, sono incaricati di trasporre in versi un mito inventato ad arte, quello della genealogia eroica e divina della prima dinastia imperiale. Una delle caratteristiche del nuovo Enea virgiliano, la pietas, ne fa il prototipo dell’uomo obbediente agli dèi e umile di fronte alla loro volontà, rispettoso delle tradizioni e dei vincoli familiari. Ora da celebrare non sono più gli antichi eroi omerici, ma un nuovo ordine morale, di cui Ottaviano Augusto si pone come restauratore. Si chiude il capitolo del mito, si apre quello della storia.
Schliemann voleva donare all’Italia parte della collezione troiana. Al museo Egizio di Torino l’archeologo Massimo Cultraro presenta il suo libro “L’ultimo sogno dello scopritore di Troia. Heinrich Schliemann e l’Italia (1858-1890)”
Nel 1858 Heinrich Schliemann (1822-1890) compie il suo primo viaggio in Italia da turista e uomo di affari. Non è ancora il personaggio famoso che il mondo celebrerà come lo scopritore di Troia. Tornerà negli anni successivi girando per tutta la penisola, dall’Emilia fino alla Sicilia e Sardegna, forte della gloria che l’ambiente scientifico gli tributava e con le immense ricchezze accumulate grazie alle proficue attività commerciali in Russia e negli Stati Uniti. Quale è stato il rapporto tra lo studioso tedesco e l’Italia? Quali i suoi contatti con gli ambienti accademici nazionali, ma anche con personalità del mondo della politica e della cultura? A questi interrogativi dà una risposta il libro “L’ultimo sogno dello scopritore di Troia. Heinrich Schliemann e l’Italia (1858-1890)” (Ediz. Storia e Studi Sociali), che viene presentato dall’autore, Massimo Cultraro, venerdì 13 settembre 2019, alle 18, nella sala conferenza del museo Egizio di Torino. Ingresso libero in sala conferenze fino a esaurimento posti. Dialoga con l’autore Paolo Del Vesco del museo Egizio.
Massimo Cultraro è archeologo, primo ricercatore al Consiglio nazionale delle Ricerche di Catania, insegna Paletnologia e Preistoria Egea all’università di Palermo. Allievo della Scuola Archeologica Italiana di Atene, è stato visiting professor alla Brown University, Providence (Usa). Ha diretto il progetto “The Virtual Museum of Iraq”, un’iniziativa internazionale promossa dal Cnr e dal ministero degli Affari Esteri (2006-2011) e si occupa di attività di ricerca in Grecia e nel Caucaso. Ha ricoperto, negli anni 2010-2017, il ruolo di componente della Commissione del Miur per la diffusione e promozione della cultura scientifica nazionale. Autore di un oltre un centinaio di articoli su riviste scientifiche, ha pubblicato Antiche Civiltà: Grecia, con M. Denti (Milano 1998), L’Anello di Minosse (Milano, 2001) e i Micenei (Roma 2006).

Copertina del libro “L’ultimo sogno dello scopritore di Troia. Heinrich Schliemann e l’Italia (1858-1890)” di Massimo Cultrone
Il libro ricostruisce il trentennale sistema di relazioni tra lo scopritore di Troia e l’Italia, attraverso lo studio delle lettere e diari personali conservati nel Fondo Schliemann della Biblioteca Gennadius di Atene, insieme con altre fonti archivistiche italiane presentate per la prima volta. Dopo la scoperta del “Tesoro di Priamo”, in un momento in cui era ancora aperto un contenzioso giuridico con le autorità ottomane, Schliemann rifletteva sulla possibilità di donare al giovane Regno d’Italia una parte della collezione troiana. Era un omaggio a quella terra che aveva cominciato ad apprezzare studiandone la lingua, un paese descritto, nei suoi diari, con sagacia intellettuale e curiosità, ma anche attraverso la lente di un fine antropologo che interpreta la storia e le trasformazioni sociali dagli anni preunitari all’unificazione, fino al tragico evento della morte dello studioso avvenuta a Napoli il 26 dicembre 1890. I diari sono una fonte preziosa per far luce, in modo inatteso e stimolante, su aspetti insoliti della complessa personalità di Schliemann, uomo di natura energica e stravagante, eccentrico ed egocentrico, ma pur sempre dotato di vasti orizzonti. L’interesse per il mondo dell’arte, le prime esperienze da collezionista di antichità, ma anche l’attenzione all’universo femminile e alla cultura gastronomica, sono i tasselli mancanti di uno spaccato della vita privata, da cui emerge un individuo che appare molto più affascinante di quanto l’annalistica biografica ci abbia lasciato.





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