Pozzuoli. All’Anfiteatro flavio il parco archeologico dei Campi Flegrei ha aperto il nuovo percorso espositivo “Proiezioni”, in stretta connessione con la mostra “Gladiatori” al museo Archeologico nazionale di Napoli: tra le arcate tornano le sculture originarie, nei sotterranei i gladiatori diventano suggestioni sonore e visive


Locandina della mostra “Proiezioni” aperta all’anfiteatro flavio di Pozzuoli fino al 26 settembre 2021
L’hanno chiamato “Proiezioni”. È il nuovo percorso espositivo all’Anfiteatro di Pozzuoli: PROIEZIONI di statue che lasciano i loro abituali spazi di conservazione per sporgersi verso la città e ristabilire un contatto con nuovi spettatori; PROIEZIONI di gladiatori, immagini antiche e modernissime al tempo stesso, che ripopolano i loro luoghi e che scandiscono il nostro percorso; PROIEZIONI di voci, eco di frasi antiche, che dalle gradinate dell’anfiteatro giungono nell’intimità dei sotterranei ripristinando un contatto tra spazi e tempi diversi; PROIEZIONI di memorie che dall’antico si protendono verso il contemporaneo. Inaugurato il 20 maggio 2021, il nuovo percorso espositivo “Proiezioni”, organizzato in collaborazione con il museo Archeologico nazionale di Napoli, in stretta connessione con la mostra “Gladiatori”, sarà visitabile fino al prossimo 26 settembre 2021. Il percorso sarà visitabile negli orari di apertura dell’Anfiteatro di Pozzuoli. Tutte le informazioni su www.pafleg.it

“Abbiamo voluto offrire questo nuovo percorso espositivo per dare energia alla riapertura dei nostri luoghi e vitalità alla ripartenza delle attività che ruotano intorno ad essi”, dichiara il direttore del parco archeologico dei Campi Flegrei, Fabio Pagano. “L’iniziativa è anche una splendida occasione per rinsaldare la nostra collaborazione con il museo Archeologico nazionale di Napoli. L’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, uno dei più evocativi esempi di questa tipologia di edifici, si mette in mostra per contenere e accompagnare virtualmente gli oggetti esposti e le storie raccontate nella bella mostra del Mann”.

Il percorso di visita ha una doppia dimensione: espositiva e multimediale. Le pregevoli sculture che erano parte della decorazione originaria dell’anfiteatro tornano a disvelarsi allo sguardo dei visitatori e della città, nel contesto di un allestimento temporaneo realizzato all’interno delle arcate strutturali dell’edificio. Sarà inoltre visibile al pubblico una delle epigrafi dedicatorie che in antico erano apposte sugli ingressi dell’anfiteatro e che ricordavano come la sua costruzione fosse avvenuta totalmente a spese della colonia romana.

I sotterranei, invece, ospitano un percorso fatto di suggestioni visive e sonore. I gladiatori armati diventano una viva presenza attraverso le immagini visualizzate da monitor a tutta altezza, mentre un tappeto sonoro evoca ciò che verosimilmente doveva percepire chi all’epoca si fosse addentrato in quegli spazi ipogei: versi di animali che nelle gabbie attendevano di essere issati nell’arena per i combattimenti, rumore di spade che venivano affilate nelle fasi preparatorie degli scontri, il fragore della folla che era sugli spalti e, infine, il sottofondo musicale che accompagnava con i suoi ritmi cadenzati lo svolgimento dei giochi. Nell’ambito del percorso saranno esposti anche due plastici dell’Anfiteatro, oggetto di un recente intervento di recupero e sistemazione; il primo raffigura l’effettivo stato di conservazione in cui l’edificio è giunto fino a noi, mentre il secondo propone una ricostruzione dell’aspetto monumentale che l’anfiteatro doveva avere in origine, con i due livelli di arcate esterne e l’attico superiore di coronamento.
Napoli. Ci siamo: al museo Archeologico nazionale vernice (on line) dell’attesa mostra “Gladiatori”, che sarà l’evento del 2021. Sarà visitabile alla riapertura del Mann. Centosessanta reperti raccontano l’affascinante mondo dei protagonisti delle arene con focus sugli anfiteatri campani. In più la sezione “Gladiatorimania”


Il 31 marzo 2021 presentazione on line della mostra “Gladiatori” al Mann
Sarà come essere in un anfiteatro a tifare per i propri beniamini giù nell’arena: i gladiatori. Lo spazio dei ludi gladiatorii non è il Colosseo ma il Salone della Meridiana del museo Archeologico nazionale di Napoli dove, dal 31 marzo 2021 al 6 gennaio 2022, è allestita l’attesa e pluriannunciata mostra “Gladiatori”. Doveva essere l’evento dell’anno 2020. Presentata alla grande in occasione di Tourisma 2020, la vernice di “Gladiatori” era prevista per l’8 aprile 2020 (vedi “Preistorici, Etruschi e Romani…il Mann si fa in tre”: a TourismA il direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli presenta le novità del 2020: l’apertura della sezione Preistoria e Protostoria, e l’inaugurazione delle mostre su Etruschi e Gladiatori | archeologiavocidalpassato). Ma la pandemia ha stravolto tutto. E così “Gladiatori” sarà la mostra del 2021 (vedi Cosa porta il 2021. Fissata per l’8 marzo (11 mesi dopo le previsioni) la vernice della mostra-evento “I Gladiatori” al museo Archeologico nazionale di Napoli: anteprima sui social del Mann dei principali reperti esposti nelle sei sezioni | archeologiavocidalpassato). Inizialmente programmata per l’8 marzo 2021, col perdurare delle misure anti-covid, e le Regioni in fascia rossa, quindi con spostamenti limitati e musei chiusi, la vernice è stata fissata definitivamente per mercoledì 31 marzo 2021. On line, ovviamente. Con un impegno e una certezza: “Gladiatori” sarà visibile dalla riapertura del Mann (si spera il prima possibile). In attesa, nuove incursioni sulla mostra saranno offerte sui canali social del museo Archeologico nazionale di Napoli.


“Gladiatorimania” è l’originale sezione aggiunta al Mann per la mostra “Gladiatori” (foto mann)
La mostra “Gladiatori” è stata promossa con il sostegno della Regione Campania e avrà approfondimenti ad hoc nell’Ecosistema Digitale per la Cultura della Regione Campania (https://cultura.regione.campania.it ) ; partner dell’esposizione è Intesa Sanpaolo. Il progetto scientifico dell’allestimento è a cura di Valeria Sampaolo (già conservatore al museo Archeologico nazionale di Napoli), mentre il coordinamento è di Laura Forte (responsabile Ufficio Mostre al Mann e Archivio Fotografico del Mann). “Gladiatori” è frutto di un’intensa rete scientifica interistituzionale: la prima tappa dell’allestimento è stata presentata all’Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig di Basilea in Svizzera, ed è nata dalla volontà di narrare la fortuna degli antichi spettacoli in tutte le aree dell’Impero Romano; al museo Archeologico nazionale di Napoli l’esposizione si arricchisce del focus sugli Anfiteatri Campani e, ancora, del taglio interattivo di “Gladiatorimania”.

In questi giorni i preparativi al Mann proseguono a ritmo serrato. Tutto deve essere pronto per il 31 marzo, anche se per ora reziari, secutores, mirmilloni e traci rimarranno in un’arena silenziosa, senza il sostegno del pubblico. Cuore dell’allestimento sono centosessanta reperti che, nel Salone della Meridiana, risultano suggestivi tasselli di un affascinante viaggio di ricerca in sei sezioni: 1) Dal funerale degli eroi al duello per i defunti; 2) Le armi dei Gladiatori; 3) Dalla caccia mitica alle venationes; 4) Vita da Gladiatori; 5) Gli Anfiteatri della Campania; 6) I Gladiatori “da per tutto”.

Parte integrante dell’itinerario è la “settima sezione” tecnologica che, intitolata significativamente “Gladiatorimania” e concentrata nel Braccio Nuovo del Museo, costituisce un vero e proprio strumento didattico e divulgativo per rendere accessibili a tutti, adulti e ragazzi, i diversi temi della mostra.

Tra le partnership prestigiose di “Gladiatori” non poteva mancare, naturalmente, il parco archeologico del Colosseo, che è unito al Mann da un protocollo d’intesa per valorizzare la comune programmazione culturale. “Gladiatori”, inoltre, conclude un percorso di ricerca che ha previsto la collaborazione con il parco archeologico di Pompei per la realizzazione di itinerari espositivi sui legami tra l’antica città vesuviana e gli Egizi, i Greci, gli Etruschi e Roma.


La copertina del catalogo Electa della mostra “Gladiatori” al museo Archeologico nazionale di Napoli
L’esposizione “Gladiatori” è accompagnata da un catalogo edito da Electa. Il volume illustra le “macchine da guerra dell’antichità”, il cui mito perdura attraverso i secoli, attraverso gli oggetti, anche di uso quotidiano, che ne documentano la straordinaria popolarità. I saggi restituiscono la vita dei gladiatori, descrivendo, a esempio, le tecniche di combattimento, lo svolgimento degli spettacoli, che comprendevano diverse forme di caccia con tutte le specie di animali; ma anche le zone di provenienza, le abitudini alimentari e sociali, riflettendo così il lato umano dei lottatori. Nel volume sono inclusi sia aggiornamenti e novità sugli anfiteatri della Campania e sui rinvenimenti pompeiani, sia approfondimenti sulla diffusione di argomenti gladiatorii nella vita quotidiana dell’antichità. Il catalogo si conclude con la presentazione, per la prima volta in Italia dopo il recente restauro, del grande pavimento a mosaico da Augusta Raurica, nei pressi di Basilea, che dimostra come nessun angolo dell’impero fosse esente dal tifo per i gladiatori.
“Notte dei Musei” virtuale. Federica Rinaldi ci racconta quasi duemila anni di storia del Colosseo, dall’inaugurazione sotto Tito alle trasformazioni medievali, dai terremoti all’abbandono alla spoliazione, tra leggende, superstizioni e riti tra sacro e profano, da luogo di culto a monumento-icona globale

È possibile raccontare i quasi duemila anni di storia del Colosseo in una notte? Una bella sfida lanciata dal Parco archeologico del Colosseo per un collegamento speciale sui canali social per una “Notte dei Musei” virtuale. Sfida raccolta e brillantemente superata da Federica Rinaldi, archeologa responsabile del Colosseo, che ci accompagna per un viaggio, nel tempo, nello spazio del monumento icona mondiale, dall’inaugurazione dell’imperatore Tito nell’80 d.C., alle trasformazioni medievali in fortezza, fino all’isolamento e all’abbandono rispetto al resto della città che hanno alimentato nei secoli bui del Medioevo storie, leggende e superstizioni, le cui tracce sono forse individuabili nei segni graffiti lasciati sui pilastri di travertino. E poi ancora, modello di “architettura” per i grandi Umanisti del Quattrocento, cava di materiali e ancora luogo di culto per volere della Chiesa.
“Viaggeremo attraverso una linea del tempo – spiega Rinaldi – che parte dalla valle, che era occupata dallo stagno di Nerone e dal Colosso dell’imperatore, poi trasformato nel dio ed entreremo dai fornici numerati da dove il popolo romano accedeva munito della propria tessera per raggiungere il posto assegnato sulla cavea rigorosamente in ordine gerarchico, dalla parte più bassa alla parte più alta destinata alle donne. Cammineremo negli ambulacri immaginando il vociare e il frastuono del pubblico assiepato. Ci infileremo negli ipogei dove la macchina dello spettacolo veniva allestita e dove schiavi, animali, condannati a morte, e soprattutto gladiatori, attendevano nel buio di apparire sull’arena. Saranno le iscrizioni, i reperti, le tracce lasciate sui muri a guidarci in questo viaggio, fino a quando crolli terremoti ed editti degli imperatori cristiani contro gli spettacoli faranno calare il silenzio sull’anfiteatro aprendo a nuovi usi e utilizzi dell’edificio da torre fortezza a spazio domestico con stalle e orti fino di nuovo al silenzio e all’abbandono che ne decretarono l’oblio e la dimenticanza sul ruolo avuto nell’antichità. Ed è in questo periodo, che segue a un altro devastante terremoto, quello del 1349, che il Colosseo, ormai noto solo con questo nome, diventa luogo in cui si gioca la mescolanza tra sacro e profano. Su questo periodo buio e così poco conosciuto ci soffermeremo in particolare perché, come vedremo dai segni lasciati sui muri uniti alle fonti scritte dell’epoca, è in questo periodo che il Colosseo diventa a sua insaputa l’icona mondiale che è oggi. Perché nel dialogo, mai monologo, tra spazio pagano spazio laico spazio cristiano si gioca la funzione simbolica e l’identità del monumento, punto di riferimento per tutti i pubblici del mondo”.

Il “viaggio” inizia dall’attuale piazza del Colosseo che fino al 70 d.C. circa era occupata dallo stagno della Domus Aurea dell’imperatore Nerone e quindi da una proprietà a uso esclusivo di una sola persona. “Gli imperatori flavi, Vespasiano Tito Domiziano, ognuno col proprio ruolo”, spiega Rinaldi, “realizzano un’operazione demagogica molto importante: quello di restituire alla collettività lo spazio che era stato sottratto dall’imperatore Nerone. L’iscrizione del prefetto dei pretori di Roma Lampadius riporta nella sua formula originaria il riferimento all’inaugurazione dell’anfiteatro “ex manubiis”, cioè con il bottino di guerra, composto dal candelabro a sette braccia, dalle trombe e da altri oggetti sacri raffigurati nel fornice interno dell’arco di Tito. I cento giorni di giochi e 5mila fiere uccise sul piano dell’arena, i quasi 70mila spettatori segnano nell’80 d.C. segnano l’inizio della storia del monumento più celebre in Italia e forse al mondo. L’imperatore sul palco imperiale sul lato Sud dell’edificio, e i senatori e i cavalieri intorno al podio nella parte più bassa della cavea, osservano il susseguirsi dello spettacolo, le cacce esotiche al mattino, le condanne a morte esibite come se fossero il supplizio di Prometeo nel primo pomeriggio, i combattimenti dei gladiatori la sera. Mentre nei livelli più alti la plebe e soprattutto le donne filano, ravvivano l’acconciatura o passano il tempo giocando a dadi come mostrano gli oggetti smarriti sugli spalti e poi finiti nelle fogne dell’anfiteatro ed esposti nelle vetrine del museo. Nelle giornate più calde e assolate o in caso di pioggia i marinai della flotta di Miseno calano il velarium, un tendaggio sorretto dalle mensole posizionate sull’attico, il punto più alto dell’edificio a quasi 50 metri di altezza”.

Nel 217 un terribile incendio devasta l’anfiteatro. “L’edificio rimane inagibile per almeno 5 anni durante i quali si lavora il più alacremente possibile per riaprirlo al pubblico usando materiale di risulta anche nei sotterranei dove l’abbondante presenza di legno e cordame aveva favorito l’espandersi del fuoco. Ed è qui sotto che ferve l’anima dell’anfiteatro. Le ricostruzioni esposte nelle vetrine del museo illustrano le prime tipologie di montacarichi e piattaforme della fase ancora flavia, azionate da ben 224 schiavi, poi sostituite da 60 ascensori azionati con un sistema di argani e contrappesi di piombo da funi che passavano su carrucole inserite nei pilastri verticali di travertino. Scenografie, animali, uomini apparivano così come epifanie dalle botole sistemate sul piano dell’arena. Il pubblico li acclamava, li incitava, gioiva alla vista del proprio beniamino, il gladiatore, di cui si scommetteva la vita o la morte. Questa tradizione prosegue almeno fino alla metà del V secolo d.C. Ma presto l’avversione degli imperatori cristiani verso i giochi cruenti, tra i quali lo stesso Costantino, il degrado dell’anfiteatro soggetto a smottamenti continui a causa dei terremoti contribuiscono al suo progressivo declino fino alla proibizione degli spettacoli e all’ultimo spettacolo di caccia che risale al 523 d.C.”.

Venerabile Beda
Da allora comincia una fase di abbandono e di decadenza nel corso della quale i sotterranei vengono progressivamente ricoperti di terra, parte del settore meridionale inizia a crollare determinando l’innalzamento dell’interro circostante. “Nell’VIII sec. d.C. Beda il Venerabile afferma: “Quamdiu stat Colysaeum stat et Roma, quando cadet Colysaeum cadet et Roma, quando cadet Roma cadet et mundus”. Roma è ormai mitizzata e il Colosseo con essa perché con la sua mole colossale riesce a rappresentare la globalità del mondo. Le più importanti famiglie di Roma se lo contendono, ovviamente assieme alla Chiesa. Tra l’XI e il XIV secolo i Frangipane in continuo conflitto con la famiglia degli Annibaldi occupano 13 arcate della porzione Sud-orientale dell’edificio. La vicina chiesa di Santa Maria Nova, proprietaria di una quota parte, affitta domus e cripte ricavate riutilizzando i fornici in rovina, dove vengono alloggiati travi sui muri per creare soppalchi e ricavare stalli per gli animali come documentano i numerosi attaccagli ancora visibili sui pilastri. È a partire da questo periodo che negli atti notarili inizia a comparire l’appellativo dell’edificio come Anphitheatrum Coliseum”.

Ma nel 1349 un nuovo devastante terremoto accresce il livello di rovina in cui si trova il Colosseo. Ne è testimone persino il Petrarca: “Ecce Roma ipsa insolito tremore concussa est tam graviter ut ab eadem urbe condita supra duo annorum milia tale nihil accident”. Inizia una fase che dura almeno tre secoli durante la quale il Colosseo viene ad assumere significati nettamente distinti che a volte convivono, a volte si scontrano e a volte si fondono. Cava di marmi e pietre per volere dei Papi riutilizzatori come fu Nicola V per la costruzione della nuova Roma “Gerusalemme celeste”, e in particolare per la fabbrica di San Pietro e di molti altri edifici della città: edificio dunque da restituire alla cristianità per sottrarlo al potere laico e pagano, luogo di studio e schema di riferimento per i grandi architetti umanisti, ma anche né anfiteatro né fortezza bensì tempio rotondo al cui centro campeggiano una colonna dedicata al dio sole o a Giove; tempio dei templi della Roma pagana: così descritto nelle guide e negli itinerari per i pellegrini”. Continua Rinaldi: “Durante i secoli bui del tardo Medioevo dell’originaria funzione del Colosseo si perde ogni traccia e questa situazione contribuisce ad ammantare il Colosseo di fantasie, leggende popolari e superstizione, tanto grande era questa visione che la parola stessa “colosseo” potrebbe derivare da “Colis eum” cioè “Lo adori?” con riferimento al maggiore degli dei presenti nel tempio, e la risposta non poteva che essere “colo colo” “lo adoro lo adoro”. Indizi di questa storia sono rintracciabili nei numerosi graffiti lasciati sui pilastri di travertino del primo ordine. Aguzzando la vista verso i punti più alti dei pilastri del primo ambulacro del primo ordine, subito dopo l’attuale ingresso dei visitatori dallo sperone cosiddetto Valadier, laddove si camminava quando il Colosseo appariva completamente interrato a seguito dei rovinosi crolli causati dai terremoti, spiccano i nomi di persone e lettere capitali: Nicolò fece, Ludovico, Romolo: sono forse i cavasassi che al servizio dei Papi lavorarono tra il 1400 e il 1600 all’interno del Colosseo per recuperare materiale per la costruzione della nuova Roma “Gerusalemme celeste”; o dietro questi nomi si nasconde anche un preciso riferimento al più attivo tra i riutilizzatori delle pietre del Colosseo, cioè proprio quel Papa Nicolo V già ricordato? Non lo sappiamo, ma in entrambi i casi la suggestione è molo forte”.

“Più precise e ben ricollegabili a fatti e avvenimenti storici sono invece le date di cui se ne conservano almeno tre: una sul fornice Nord e due sulla fronte Sud del Colosseo: 1534, 1538 e 1675. Rappresentano l’altra faccia della medaglia della voluta ambiguità, quella dei Papi interessanti ad avviare il processo di cristianizzazione del Colosseo. Quindi non abbattendolo ma convertendo a luogo di culto con l’istituzione delle sacre rappresentazioni della Passione di Cristo, l’ultima fu proprio quella del 1539, l’innalzamento di una grande croce di legno al centro dell’arena, la realizzazione dello splendido affresco con veduta di Gerusalemme tradizionalmente assegnato proprio all’anno del giubileo del 1675 sotto Papa Clemente X, fino ad arrivare alla consacrazione del sangue dei martiri versato sull’arena con il progetto di Papa Clemente XI e dell’architetto Carlo Fontana di innalzare una chiesa sul piano dell’arena, progetto mai realizzato. Alle date si aggiungono altri graffiti a supportare questa esigenza di consacrazione del Colosseo come luogo di culto. Sono le immagini di croci. Ne contiamo almeno 13 di 5 tipi diversi, che confermano la presenza anche di proprietà della Chiesa, come quella di Santa Maria Nova, già citata prima, ma anche della confraternita di San Salvatore al Sancta Sanctorum a cui fin dal XIV secolo era stata concessa una porzione del Colosseo per l’opera di bonifica condotta nella zona divenuta ormai sede di malviventi. Malviventi dunque pastori ma anche maghi e negromanti parrebbe come contemporaneamente ci informano le guide di Roma e gli itinerari per i pellegrini che insistono – lo ripetiamo – sul Colosseo-templum Solis o templum Iovis, ed ecco che un edificio di così grandi dimensioni non poteva che essere stato costruito con l’aiuto della magia, e se ne attribuisce la costruzione proprio a Virgilio Mago, architetto d’eccezione, che nel Colosseo pratica la negromanzia. Deluso dall’amore di una principessa e deciso a lasciare al buio la città, confina l’unica fonte di luce nel sesso di una donna. Il graffito inciso sul pilastro del fornice Ovest del Colosseo a forma di rombo vuole forse alludere a questa leggenda?”.

“Intanto nel Cinquecento – prosegue nel suo racconto Federica Rinaldi – Benvenuto Cellini vi invoca i demoni che in gran numero arrivano a terrorizzare il negromante e lo stesso scultore. Da Cellini sappiamo che un prete siciliano da lui incontrato lo conduce assieme a un fanciullo vergine a propiziarsi le divinità maligne nell’anfiteatro. Disegnato il cerchio magico, il prete invita il Cellini a entrarvi e a invocarvi i diavoli con l’aiuto di spargimento di profumi e accensione di fuochi. Parve che i demoni arrivassero a legioni e il fanciullo spaventato alzando gli occhi disse: “Tutto il Colosseo arde e il fuoco viene addosso a noi”. Su questo episodio un po’ irriverente, ma che dobbiamo leggere nel contesto di una Roma in cui il Colosseo è immerso nella campagna abitata solo da pastori e malviventi, fa riferimento anche la leggenda della Regina Rosana che, sterile, entra nel Colosseo per pregare il demone del Colosseo e ne esce gravida, dimostrando il potere del paganesimo sul cristianesimo. Ma fanno riferimento anche i simboli fallici che compaiono spesso accanto alle croci – che abbiamo visto poco fa – e che rappresentano falli di tutte le forme e dimensioni, allusione all’interpretazione di un Colosseo luogo di pratiche sessuali o piuttosto simboli apotropaici? I falli si trovano nei fornici rivolti verso l’esterno, verso l’asse stradale principale che alla fine del 1500 congiunge il Colosseo con il Laterano. Ci troviamo sul fronte del Colosseo che viene maggiormente preservato dal riuso di travertini ed è proprio da qui che dal 1600 inizia la sua conversione a tempio dei Martiri, con il progetto mai realizzato di Carlo Fontana – già ricordato – e l’istituzione della Via Crucis con Papa Benedetto XIV nel 1750”.

Lo sperone Valadier al Colosseo
Ma anche questa rinnovata dimensione del Colosseo non dura a lungo. “La trasformazione del Colosseo in deposito di letame per la fabbricazione del salnitro per volontà di Papa Clemente XI, proprio di qualche anno prima l’istituzione della Via Crucis, accelera il processo di calcinazione dei travertini già compromessi da incendi e altri malanni. Il degrado e l’ennesimo terremoto hanno ormai fortemente compromesso la stabilità del Colosseo. Di lì a breve saranno proprio i Papi ad avviare la macchina della tutela e della conservazione. Pio VII commissiona, tra gli altri, all’architetto Raffaele Stern la costruzione dello sperone che prende il suo nome, fissando anche lo stato di crollo della porzione terminale della facciata. Di lì a poco si interviene anche sul lato opposto, quello Ovest, con la costruzione di un altro sperone realizzato questa volta dal Valadier. Oggi i due principali accessi del Colosseo per il pubblico vengono proprio identificati con i nomi dei due architetti”.

Nel frattempo la tutela si estende anche al recupero archeologico. “Per tutto l’Ottocento inizia una stagione di sterri per liberare il monumento coperto fino all’imposta delle mensole delle arcate del primo ordine. Si rimuovono le edicole della Via Crucis, e si scava per far riemergere i livelli antichi dapprima attribuiti alla fase dei Frangipane e poi definitivamente a quella romana. È l’inizio di un’altra nuova fase che si avvicina ai tempi recenti che vede il Colosseo demolito e ricostruito per assecondare la propaganda fascista o l’idea di modernità urbanistica, come per la costruzione della linea B della metropolitana che tronca le fondazioni occidentali dell’anfiteatro compromettendo definitivamente il deflusso idrico dai sotterranei che, anche per questo motivo, sono spesso allagati. Da isola spartitraffico il Colosseo venne liberato negli anni Settanta del secolo scorso in concomitanza con una rinnovata stagione di ricerche, scavi e restauri condotta finalmente con rigoroso metodo scientifico e che ancora oggi resiste. E di queste ricerche che contribuiscono ad accrescere le nostre conoscenze sul Colosseo, non solo arena per spettacoli ma luogo che nei secoli ha mutato le sue funzioni all’interno di una città altrettanto in continua evoluzione, continueremo a darvi notizia”, conclude Rinaldi. “Lo faremo sempre dalle nostre pagine social, facendovi entrare nei cantieri, facendovi vedere da vicino i segni lasciati dalla storia, perché crediamo fermamente che solo comprendendo il passato ognuno di noi possa contribuire a costruire il futuro”.
All’anfiteatro romano di Roselle (Grosseto) week end con l’ArcheoFilmFestival – Premio “O. Fioravanti”: cinema archeologico e incontri con i protagonisti dell’archeologia
Notti archeologiche nell’anfiteatro romano di Roselle (Grosseto), dal 5 al 7 luglio 2019, per la prima edizione di Roselle ArcheoFilmFestival – Premio “O. Fioravanti”, evento organizzato da Comune di Grosseto, ArcheologiaViva – Giunti Editore, Firenze Archeofilm, Polo museale della Toscana, area archeologica nazionale di Roselle, M’Arte Associazione. In programma cinque film selezionati da Dario Di Blasi dall’archivio cinematografico di Firenze Archeofilm, e tre incontri con protagonisti dell’archeologia condotti da Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva. Si inizia sempre alle 21.15, l’ingresso è libero e gratuito, e ogni sera brindisi finale offerto da La Selva. In caso di pioggia le proiezioni si terranno nella sala della Pro Loco di Roselle. Questi i temi scelti per la prima edizione. Per gli amanti dell’Egitto, si potrà conoscere da vicino il vero volto di Tutankhamon (ignaro faraone-bambino o spietato signore della guerra?). Per il mondo romano si entrerà in un altro anfiteatro, quello francese di Arles, dove combattevano i Gladiatori raccontati qui in una versione ben più attendibile delle fantastiche interpretazioni hollywoodiane. E poi l’origine dei Giochi olimpici a Olimpia, santuario religioso e sito sportivo per quasi mille anni; la realtà storica di Tirreno e Adriatico tra Focesi, Fenici ed Etruschi; la vicenda del misterioso vulcano responsabile di un catastrofico cambiamento climatico nel Medioevo.
Si inizia venerdì 5 luglio 2019 con il film “Tutankhamon, i segreti del faraone: un re guerriero / Toutankhamon, les secrets du pharaon: un roi guerrier” di Stephen Mizelas (Regno Unito, 50’). Tutankhamon è uno degli ultimi faraoni della XVIII dinastia. Il suo favoloso tesoro, scoperto intatto quasi un secolo fa, ne ha fatto il faraone più famoso e più studiato della storia. Il corredo della sua tomba è una fonte inestimabile di informazioni sull’antico Egitto, ma anche su questo giovane re, il cui regno è ancora un mistero per gli archeologi. Chi era veramente? Un fragile re-bambino o un signore della guerra? Morì di malattia o venne ucciso in battaglia? Tre oggetti con cui il faraone riposa aiutano gli archeologi a rivelare il suo vero volto… Segue l’incontro/dibattito con Maria Angela Turchetti, direttore area archeologica nazionale di Roselle. Chiude il film “Gladiatori, il ritorno / Gladiateurs, le retour” di Emmanuel Besnard, Gilles Rof (Francia 2016, 26’). Oltre quindici secoli dopo la loro scomparsa, i gladiatori sono tornati nell’anfiteatro di Arles in Francia, con combattimenti e corsi di formazione. Promotore di questo ritorno è l’esperto di arti marziali Brice Lopez, che da vent’anni dedica la sua vita a ricostruire meticolosamente le regole e il contesto di queste antiche battaglie. Con il suo team offre ai ricercatori e al pubblico una nuova visione, lontana dalle fantasiose versioni hollywoodiane, di quello che è stato il primo grande spettacolo nella storia dell’umanità.
La serata di sabato 6 luglio 2019 apre con il film “Olimpia, alle origini dei Giochi / Olympie, aux origines des Jeux” di Olivier Lemaitre (Francia, 52’). Sia santuario religioso che sito sportivo, Olimpia fu, per quasi mille anni, sede dei giochi più prestigiosi dell’antica Grecia. Gli archeologi hanno indagato gran parte del sito e hanno rinvenuto grandi quantità di ceramiche dipinte che rappresentano gli atleti. Ma queste scene sono una rappresentazione accurata della realtà? Utilizzando ricostruzioni e immagini tridimensionali, il documentario riporta in vita le meraviglie passate di Olimpia e immerge lo spettatore nel cuore dei celebri Giochi. Segue l’incontro/dibattito con Simona Rafanelli, direttore museo civico Archeologico “I. Falchi” di Vetulonia. Chiude il film “I confini del mare Tirreno e Adriatico diviso tra Etruschi, Fenici e Focesi” di Maurizia Giusti (Syusy Blady) (Italia, 36’). Il Mediterraneo, prima di diventare il Mare Nostrum dei Romani, cinque secoli prima di Cristo era diviso tra diverse popolazioni che se ne contendevano il controllo, strategico per i commerci e per il dominio sul mondo occidentale. Segnò questa spartizione la grande battaglia navale di Aleria o Alalia in Corsica, dove si scontrarono Fenici, Etruschi e Focesi.
Terza e ultima serata domenica 7 luglio 2019. Si comincia con il film “Il misterioso vulcano del Medioevo / Le mystérieux volcan du Moyen-Âge” di Pascal Guérin (Francia, 52’). Il film mette in primo piano il lavoro minuzioso di ricerca, perseveranza, collaborazione e intuizione, degli scienziati che hanno dedicato tanti anni alla ricerca di questo misterioso vulcano. Questa scoperta sarebbe fondamentale per comprendere come le eruzioni vulcaniche, hanno trasformato il clima del pianeta e gli ecosistemi in cui viveva la società… Quindi l’ultimo incontro/dibattito. Interviene Carlo Citter, docente Archeologia medievale all’università di Siena. Si passa quindi alla cerimonia di assegnazione del Premio “Olivo Fioravanti – Roselle 2019” al film più votato dal pubblico e del Premio “Progetto Roselle” della giuria scientifica presieduta da Andrea Zifferero (università di Siena), e composta da Maria Angela Turchetti (Polo museale della Toscana), Matteo Milletti (SABAP-SI), Mariagrazia Celuzza (MAAM Grosseto), Luca Passalacqua (università di Siena); Elisa Papi, Mirko Marconcini, Giulia Reconditi, Valerj Del Segato (università di Siena, team di scavo). Alla cerimonia interviene Stefano Casciu, direttore del Polo museale della Toscana.
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