Archivio tag | Giuseppe Tucci

“Afghanistan: tracce di una cultura sfregiata”: il regista veneziano Alberto Castellani svela in anteprima il suo nuovo film che racconta di un Paese martoriato, un popolo umiliato, una cultura millenaria e un patrimonio archeologico ricchissimo a rischio; con il contributo dei massimi esperti in materia

“Afghanistan, una terra dimenticata. Un popolo ferito e umiliato. Una tragedia immane. Un conflitto senza fine. Afghanistan, ultimo atto? Afghanistan, una cultura millenaria. Una cultura calpestata. Una incredibile avventura archeologica. Un patrimonio archeologico ricchissimo singolare incrocio di culture diverse oggi sottoposte a un sistematico saccheggio”. È con queste parole accompagnate da immagini straordinarie e drammatiche che il regista veneziano Alberto Castellani ci svela con un promo in anteprima il suo ultimo nuovo film, di cui sta ultimando in queste settimane la produzione: “Afghanistan: tracce di una cultura sfregiata” destinato a essere uno dei film protagonista delle rassegne cinematografiche a soggetto archeologico dell’autunno 2022. “Dovrebbe durare all’incirca un’ora”, anticipa Castellani, “ma un minutaggio preciso al momento non è possibile. Vorrei che il film fosse disponibile per settembre in tempo per partecipare fuori concorso ad un momento dedicato all’Afghanistan che il RAM, il festival internazionale di Rovereto, sta organizzando per la giornata finale della manifestazione di quest’anno, esattamente tra tre mesi, il 2 ottobre 2022”.

afghanistan_valle-di-bamiyan_nicchia-del-budda_foto-toi

La valle di Bamiyan in Afghanistan con quel che resta dei Budda fatti saltare dai Talebani (foto TOI)

Dopo il film “Mesopotamia in memoriam” il racconto di una nuova pagina drammatica destinata a sconvolgere le nostre coscienze: “È stata una decisione presa all’indomani della presa di Kabul da parte dei talebani”, racconta Castellani. “Una decisione forse un po’ avventata per l’impegno e le difficoltà che poteva comportar la realizzazione di programma televisivo dedicato all’Afghanistan. Ed è così che abbandonato per un po’ il Medio Oriente legato alla mia produzione audiovisiva di questi ultimi anni, mi sono letteralmente “tuffato” nel continente asiatico venendo a contatto con un mondo ed una cultura che fino ad oggi non mi avevano coinvolto”.

Tillia-Tepe-Couronne-Tombe-VI-Or-et-turquoise

La corona d’oro trovata nelle tombe di Tillia Tepe (Afghanistan)

L’Afghanistan è una data, il 15 agosto 2021, quando ha cominciato a chiamarsi “Emirato islamico dell’Afghanistan”. “È lo Stato, se così possiamo ancora chiamarlo, che, nel corso di poche settimane, le milizie talebane hanno conquistato o meglio riconquistato occupando i principali centri della nazione compresa la capitale Kabul. Ed è lo Stato totalmente disfatto, da cui la popolazione civile sta tuttora cercando, con crescente difficoltà, di fuggire verso l’occidente. A quale Afghanistan rivolgersi? mi sono allora chiesto. Ma perché allora non pensare anche ad un altro possibile intervento, ad altre risorse che non debbono essere dimenticate dall’opinione pubblica internazionale oltre che dagli stessi afghani? Perché non pensare, ad esempio, alla millenaria cultura di quel popolo, a qualcosa che va ad inserirsi nelle radici più lontane di una comunità oggi in ginocchio ma che forse un domani potrà trovare nuove forze guardando al suo glorioso passato? L’Afghanistan rischia di perdere la propria identità e di svegliarsi dal caos attuale senza la coscienza di possedere una storia”, denuncia il regista. “L’Archeologia con le sue capacità a volte inesauribili di scoprire e ricostruire il passato può fornire un prezioso contributo per la sua rinascita”.

roma_mostre_ismeo_rilievo_arte-Gandhara

Un rilievo dell’arte di Gandhara esposto nella mostra “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”

Il programma intende ricordare le principali figure di studiosi che nel corso del ‘900 e di questo inizio secolo si sono dedicati a ricostruire le vicende artistiche più lontane dell’Afghanistan facendo conoscere al mondo soprattutto l’arte del Gandhara che si caratterizza per la compresenza di elementi indiani, ellenistici ed iranici. Si tratta, nella fase iniziale, di archeologi francesi ma anche di ricercatori italiani tra i quali spicca la figura di Giuseppe Tucci.

afghanistan_missione-archeologica-italiana_anna-filigenzi_foto-ismeo

L’archeologa Anna Filigenzi in Afghanistan dove dirige la missione archeologica italiana dal 2004 (foto ismeo)

Per accompagnare il pubblico in questo viaggio, il regista veneziano si è avvalso della collaborazione di prestigiose istituzioni culturali, dal Museo Guimet di Parigi al Museo delle Civiltà di Roma, dal Museo Archeologico di Kabul all’ISMEO di Roma. E soprattutto ha trovato dei “compagni di viaggio” preziosi che ora costituiscono il comitato scientifico del film. “A partire dal coinvolgimento di Anna Filigenzi, direttrice della missione archeologica italiana in Afghanistan”, ricorda Castellani. “È stata la sua una presenza discreta, concretizzatesi in un incontro avvenuto a Firenze e proseguito poi con una serie di contatti telefonici e di suggerimenti per individuare alcune figure chiave di consulenti”. Si tratta di Massimo Vidale (università di Padova), di Luca Maria Olivieri (università Ca’ Foscari Venezia), di Ciro Lo Muzio (università La Sapienza di Roma), di Laura Giuliano e di Michael Jung (museo delle Civiltà di Roma). Particolarmente significativo il carattere scientifico del contributo ma anche il valore simbolico della partecipazione, il coinvolgimento di Mohammed Fahim Rahmi, Direttore Museo di Kabul, che in qualche modo, è proprio il caso di dirlo, è riuscito a far giungere nel mio computer delle preziose immagini a testimonianza della situazione del Museo più importante dell’Afghanistan”.

parigi_musee-guimet_sezione-AFGHANISTAN_alberto-castellani_foto-media-venice

Il regista Alberto Castellani al Museo Guimet di Parigi per le riprese del film “Afghanistan” (foto media venice)

Sono stati soprattutto due i Musei cui Castellani si è rivolto per la sua documentazione. Innanzitutto il parigino museo nazionale delle Arti Asiatiche, più noto come Museo Guimet, una esposizione permanente dedicata all’arte asiatica, in grado di documentare, tutte le campagne di scavo, tenutesi in territorio afghano, tra gli anni Venti e gli anni Quaranta del secolo scorso grazie ad accordi intercorsi tra Francia ed Afghanistan. Quanto esposto al Guimet ha consentito a Castellani di far emergere alcune figure base della archeologia afghana. Si tratta di Alfred Foucher, giustamente considerato l’iniziatore di una campagna di indagini sul territorio che porterà alla individuazione di alcuni fondamentali siti come Hadda e Balkh. Si tratta di Joseph Hackin e di sua moglie Marie legati alla scoperta del Tesoro di Begram, di Jean Carl ed alle sue indagini sul monastero di Fundukistan, di Daniel Schlumberger che tanto operò sul sito di Ai Khanun.

padova_università_massimo-vidale_foto-castellani

Il prof. Massimo Vidale, dell’università di Padova, tra i consulenti scientifici del film di Alberto Castellani (foto castellani)

Senza contare l’impegno italiano che ha preso avvio sin dal lontano 1957 con indagini su siti pre-islamici e islamici, Ghazni soprattutto, ponendo in luce aspetti inediti della storia culturale dell’Afghanistan e la sua centralità nella creazione e diffusione pan-asiatica di modelli artistici originali. Un impegno complessivo che ha fatto conoscere all’opinione pubblica internazionale quella che viene conosciuta come l’arte del Gandhara e attraverso essa lo sviluppo di una rivoluzione formale, di un nuovo modo di concepire le forme, il corpo umano, la narrazione, fattori questi che non esistevano nel mondo indiano. “Prima ci si esprimeva più attraverso delle icone statiche, dense di significato, immagini codificate”, sostiene il prof. Vidale in un suo contributo che appare nel film. “L’ellenismo portò veramente la capacità di rappresentare la vita dell’uomo in tutte le sue forme: la sensualità, i movimenti delle donne, i bambini, gli asceti i boschi, gli animali. Tutte cose che prima non c’erano. Ma questi codici formali non furono utilizzati per parlare dell’Occidente e dei valori del mondo greco, furono utilizzati per raccontare il mondo indiano. Ed è stata questa sintesi che ha avuto l’effetto così rivoluzionario che ancora oggi ci ammalia per la sua ambiguità e per la sua vitalità”.

roma_museo_tucci_shiva-e-parvati

Shiva e Parvati: il prezioso rilievo fa parte delle collezioni del museo di Arte orientale “Giuseppe Tucci” al Muciv di Roma

Una seconda tappa fondamentale è costituita dal materiale esposto al Museo romano delle Civiltà e la riscoperta di una figura forse un po’ dimenticata in questi ultimi anni. Si tratta di Giuseppe Tucci. In anni in cui il Nepal era ancora un paese misterioso, il Tibet un paese proibito e favolistico, l’India una realtà poco conosciuta, Tucci fu uno dei primi occidentali a visitare quei paesi. Per decenni ne ha percorso le mulattiere, gli altopiani e le vette innevate. Lo ha fatto servendosi di asini o cavalli, unendosi a carovane di passaggio, spesso muovendo da solo a piedi, trascorrendo le notti in ricoveri di fortuna. Per avvicinare e comprendere civiltà allora in gran parte ignote, ha usato la sua conoscenza, eccezionale per quegli anni, del sanscrito, del tibetano, del cinese, e di molte altre lingue orientali come l’ebraico, l’hindi, l’urdu, l’iranico, il pashtu, il mongolo. “I temi sono tanti, forse troppi per un film, me ne sto rendendo conto di giorno in giorno”, conclude Castellani. “Forse sessanta minuti alla fine saranno pochi per celebrare un Paese come l’Afghanistan. Perché questa terra, come ha sostenuto il prof. Olivieri davanti alla mia camera, è certamente un ammasso di orografie confuse e difficili da comprendere. Ma questo ammasso dice due cose. Innanzitutto come sia difficile affrontare la complessità di questo territorio, come sia difficile prenderlo, conquistarlo, mantenerlo sotto un controllo. Ma anche come dietro quel mucchio di pietre ci siano altri mucchi di pietre: mucchi di pietre che sono quelle lasciate dall’uomo. E la straordinaria ricchezza dell’Afghanistan, dal punto di vista archeologico, non ha probabilmente pari in tutta l’Eurasia”.

Roma. Seconda tappa verso la nuova sede del museo nazionale di Arte Orientale. All’Eur, il Muciv apre due mostre: una con i reperti delle missioni archeologiche italiane dell’Ismeo in Libia, l’altra con i reperti dagli scavi in Pakistan, Iran e Afghanistan

Il museo Pigorini si affaccia su piazza Marconi all’Eur ospita la prima selezione di oggetti delle collezioni del Mnao

A dicembre 2017 più di 650 preziosi reperti provenienti dalla Spagna moresca alla Birmania, dall’Iran all’area himalayana, dall’India alla Corea, esposti in oltre 60 vetrine allestite al museo nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” all’Eur di Roma. Ora due nuove importanti mostre temporanee: “Impressioni d’Africa” e “Città, palazzi e monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”: il work in progress “Aperti per lavori” procede come da programma che, per la fine del 2019, vedrà l’apertura del museo nazionale di Arte Orientale “Giuseppe Tucci” nella nuova sede in piazza Marconi all’Eur, con oltre 10mila mq di nuovi percorsi espositivi e spazi per servizi aggiuntivi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/12/20/roma-a-50-giorni-dalla-chiusura-di-palazzo-brancaccio-al-pigorini-delleur-apre-la-mostra-aperti-per-lavori-con-la-prima-selezione-di-650-oggetti-delle-collezioni-del-museo/). L’appuntamento venerdì 2 febbraio 2018 alle 16.30 al museo delle Civiltà, negli spazi del museo delle Arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria” all’Eur, per l’inaugurazione di due importanti mostre temporanee: “Impressioni d’Africa” e “Città, palazzi e monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”, a coronamento dell’allestimento provvisorio delle collezioni d’arte orientale, trasportate dalla precedente sede di Palazzo Brancaccio in via Merulana. Le mostre sono state realizzate nel quadro delle molteplici attività di valorizzazione e promozione del prestigioso patrimonio acquisito dal Museo delle Civiltà che ha accorpato in sé, in base alla Riforma Franceschini, quattro importanti musei romani: museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, del museo delle arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”, del museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”, del museo dell’arte orientale “Giuseppe Tucci”.

L’arco dell’imperatore Marco Aurelio a Tripoli in un’immagine dei primi del Novecento

La mostra “Impressioni d’Africa” è aperta al museo delle Arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria” all’Eur

La prima mostra, allestita in sala Loria, “Impressioni d’Africa”, a cura di Egidio Cossa, Mariastella Margozzi e Margherita Bedello, ci porta alle collezioni di quello che fu il museo Italo-africano di Roma: racconta, attraverso dipinti, sculture e oggetti d’artigianato, le peculiarità di una collezione ricca e particolare, sulla quale le vicende storiche e culturali seguite alla seconda guerra mondiale e alla fine del colonialismo, hanno calato un progressivo e prudente sipario. Si tratta di un numero assai elevato di oggetti, tra cui diverse migliaia di carattere etnografico e centinaia di carattere militare ed economico, testimonianze della storia italiana in Africa, delle conquiste, dei rapporti con le popolazioni locali, delle produzioni agricole e artigianali preesistenti alle conquiste coloniali e poi inglobate nell’economia nazionale. I materiali scelti per la mostra vengono presentati per la prima volta al pubblico dopo l’acquisizione dal museo delle Civiltà della collezione che fino a qualche anno fa apparteneva all’IsMEO – Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente. Il contesto e l’allestimento in cui oggi essa viene proposta al pubblico è certo quello più adatto a farne scoprire e comprendere pienamente l’interesse artistico e tutta la valenza storica e antropologica. In Africa settentrionale, infatti, sono state portate avanti importanti campagne di scavo archeologico italiane: non è un caso che parte cospicua della mostra sia dedicata alla documentazione delle rovine di Leptis Magna, presentate attraverso il prezioso plastico realizzato all’inizio degli anni Trenta direttamente sul sito archeologico libico e accompagnate da fotografie d’epoca, incisioni e dipinti che raccontano le vicende relative allo scavo e la grande suggestione che scaturì dalla scoperta dell’antica città romana. Ognuna delle opere esposte costituisce una documentazione insostituibile di un’epoca e di un pensiero sull’Africa che, nonostante il tempo trascorso, riesce a restituire il fascino di un’esperienza condivisa da moltissimi artisti tra ‘800 e ‘900, dagli ottocentisti orientalisti come Pompeo Mariani, Augusto Valli, Giorgio Oprandi, Giuseppe Valeri ai più realistici pittori di Colonia, animati dal desiderio di raccontare il quotidiano di quelle terre e di quei popoli senza il velo poetico dei primi, come Eduardo Ximenes, Teodoro Wolf Ferrari, Mario Ridola, Giuseppe Rondini, Milo Corso Malverna.

Un rilievo dell’arte di Gandhara esposto nella mostra “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”

La seconda mostra, in sala Dossier, “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”, a cura di Gabriella Di Flumeri, Laura Giuliano, Michael Jung e Giovanna Lombardo, ci fa rivivere le missioni in Pakistan nella Valle dello Swat, in Afghanistan nella regione di Ghaznì e in Iran, nella regione orientale del Sistan. Le ricerche archeologiche furono condotte dall’IsMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente) fondato nel 1933 da Giovanni Gentile e dall’insigne tibetologo Giuseppe Tucci, che già a partire dal 1929 aveva intrapreso una serie di viaggi di studio e di scoperte nella regione himalayana e che nel 1947 assunse la carica di presidente dell’Istituto, dando nuovo impulso alle ricerche archeologiche in Asia. Tra il 1950 e il 1955 vengono condotte diverse spedizioni in Nepal, in particolare nell’area del Karakorum, e della seconda metà degli anni cinquanta solo le felici campagne archeologiche in Pakistan, Afghanistan e in Iran. L’attività della Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO/IsIAO in Pakistan, iniziata nel 1956 è proseguita fino a oggi. I primi scavi sistematici vennero condotti nell’abitato di epoca storica di Udegram e nell’area sacra buddhistica di Butkara I, ove furono rinvenuti numerosissimi rilievi in scisto appartenenti all’Arte del Gandhara aventi come soggetto la vita del Buddha storico.

Il primo scavo sistematico di Shahr-e Sokhta fu diretto da Maurizio Tosi (Ismeo) dal 1967

Il sito Shahr-e Sokhta la “città bruciata”, in Iran, è fondamentale per lo studio dello sviluppo culturale nell’Altopiano iranico; la città, infatti, fu importante per la lavorazione e il commercio a lunga distanza delle pietre semipreziose. I materiali di questo sito, ceramiche, ami, punte di lancia, sigilli, documentano lo sviluppo di un centro urbano proprio nel momento della nascita e della diffusione dell’urbanizzazione nel Vicino Oriente. Infine, sono esposti i reperti provenienti da Ghazni, in Afghanistan, tra questi meritano particolare attenzione soprattutto i marmi dal palazzo, scavato dalla Missione Archeologica Italiana tra il 1958 e il 1966 e datato all’XI secolo; oltre ad essere una rara testimonianza dell’architettura palaziale medioevale, il palazzo costituisce, con la sua lunga iscrizione in versi persiani, un esempio di come l’eredità iranica pre-islamica sia stata recuperata all’interno della comunità musulmana.