Grotte di Castro (Vt). Nella Giornata mondiale dell’Acqua e nel centenario del Cnr, convegno su “L’Acqua e gli Etruschi. Casi di studio dall’Etruria Meridionale”. La tre giorni nell’ambito del progetto “Scenari nuovi per borgo e territori antichi”
L’Istituto di Scienze del Patrimonio culturale (ISPC) del CNR di Roma organizza tre giornate di attività dedicate al tema “Acqua e patrimonio culturale”. In occasione della ricorrenza del 22 marzo 2023 come Giornata mondiale dell’acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992, i ricercatori del CNR coordineranno laboratori sperimentali in situ insieme a cittadini e studenti per illustrare le tecniche di indagine e di salvaguardia dei beni storico-artistici legati all’acqua. Il convegno dal 21 al 23 marzo 2023, a Grotte di Castro (Vt), sarà, invece, dedicato a “L’Acqua e gli Etruschi. Casi di studio dall’Etruria Meridionale”. Con contributi di esperti del settore e dell’ISPC e con casi studio dell’Etruria meridionale il tema dell’acqua, centrale nella vita degli etruschi, verrà esaminato sotto diverse prospettive (gestionali, idrauliche), e con riferimento a diversi usi (agricoli, quotidiani, difensivi) e forme (naturali, culturali e di culto) sottolineando ed evidenziando, ove possibile, le continuità storiche e gli insegnamenti del passato per l’individuazione di soluzioni resilienti per il presente.
Nella giornata del 22 marzo si terrà una relazione di Andrea Babbi (CNR ISPC) e Mario Mazzoli (A.S.S.O. ETS) che presenteranno “Bisenzio tra terra cielo e lago: continuità e resilienza di un borgo antico tra età del Bronzo e periodo romano”: una relazione sui primi risultati della campagna di ricerche in corso nella località di Bisenzio. La giornata del 23 marzo sarà, infine, dedicata a una visita storico-paesaggistica che rappresenterà un’occasione di coprogettazione fra cittadini e studiosi degli itinerari culturali e naturali proposti dal progetto ed incentrati sull’acqua, il borgo e gli etruschi. L’evento, a cura di Heleni Porfyriou, che fa parte delle attività del centenario del CNR, è finanziato dal progetto PNRR/MiC/Attrattività dei borghi storici (2022-2025) vinto dal Comune di Grotte di Castro e intitolato “Scenari nuovi per borgo e territori antichi. Una comunità immagina il suo futuro”.

Veduta del borgo di Grotte di Castro (Vt) (foto cnr)
Progetto “Scenari nuovi per borgo e territori antichi. Una comunità immagina il suo futuro”. Grotte di Castro, nella Tuscia viterbese, ha mantenuto fino ad oggi il suo carattere autentico, rispetto sia al paesaggio circostante, che alla sua storia etrusca e alle sue attività produttive strettamente legate al territorio agricolo. Il borgo è situato nel cratere di un vulcano e fa parte del circuito culturale, relativamente sviluppato, del lago di Bolsena. La strategia di questo progetto punta, dunque, a migliorare la sua interconnessione sia fisicamente che digitalmente su scala locale e internazionale. Mettere in un’unica rete di valorizzazione i beni architettonici relativi all’acqua, i percorsi paesaggistici e i siti archeologici etruschi, aprendo questo piccolo borgo e collegandolo con il turismo più ampio del lago di Bolsena e con quello più internazionale dell’acqua e degli etruschi rappresenta il primo obbiettivo del progetto. Per catturare l’interesse turistico, ma anche per educare alla valorizzazione dei beni culturali e ad un approccio ecosostenibile, il progetto promuove soluzioni digitali per le due tematiche culturali di maggior pregio del territorio: l’acqua e gli etruschi. In questo ambito, il CNR ISPC è impegnato nello sviluppo di soluzioni puntuali per la valorizzazione delle necropoli e dei beni culturali legati all’acqua. È in questa ottica di promozione, educazione e coinvolgimento del grande pubblico, che dal 21 al 23 marzo 2023, organizzato dall’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale di Roma, si tiene il convegno dedicato a “L’Acqua e gli Etruschi”.
Grandi mostre tra 2022 e 2023. Al museo Archeologico nazionale di Taranto la mostra “ATHENAION: Tarentini, Messapi e altri nel Santuario di Atena a Castro” di Francesco D’Andria ed Eva Degl’Innocenti. Occasione per mettere a confronto i materiali di Castro con le produzioni artistiche di Taranto
“Athenaion” è una delle grandi mostre che il 2023 eredita dal 2022. La mostra “ATHENAION: Tarentini, Messapi e altri nel Santuario di Atena a Castro” è stata inaugurata il 20 dicembre 2022 al museo Archeologico nazionale di Taranto dove rimarrà aperta fino al 18 giugno 2023. A cura di Francesco D’Andria (accademico dei lincei, professore emerito dell’università del Salento e direttore degli scavi e del museo Archeologico di Castro) e Eva Degl’Innocenti (direttrice del museo Archeologico nazionale di Taranto), la mostra rappresenta l’occasione per mettere a confronto i materiali di Castro con le produzioni artistiche di Taranto, offrendo ai visitatori anche l’opportunità di conoscere uno dei contesti della Puglia antica in cui maggiormente si manifesta la diffusione della cultura artistica tarantina.

Mostra “Athenaion”: ricostruzione del frontone del santuario (foto marta)
La mostra è un racconto inedito della città di Taranto perché dal punto di vista scientifico apre un contesto nuovo per la lettura della storia e del suo territorio. Le indagini archeologiche condotte a Castro (LE), nel Salento leccese, a partire dall’anno 2000, in collaborazione tra il Comune di Castro, l’università del Salento e le soprintendenze del ministero della Cultura, tra cui attualmente la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Brindisi e Lecce, hanno permesso di identificare il Santuario di Atena (Athenaion) citato da numerose fonti letterarie, in particolare da Virgilio che, nel libro III dell’Eneide, descrive il primo approdo in Italia dei Troiani in fuga da Troia, guidati da Enea. Gli studi effettuati hanno posto l’attenzione sul ruolo svolto dal luogo sacro come spazio di incontro tra genti diverse, greci, messapi, popoli dell’opposta sponda balcanica, in un punto strategico della navigazione antica, all’ingresso del mare Adriatico.

Mostra “Athenaion”: produzione artigianale e artistica (foto marta)

Il prof. Francesco D’Andria (foto marta)
“Da Taranto sono arrivati commercianti e militari che controllavano l’ingresso nell’Adriatico, ma sono arrivati anche degli artisti che hanno scoperto le potenzialità della pietra leccese”, spiega il prof. Francesco D’Andria. “Ispirati dalla sua duttilità, gli scultori hanno scoperto le infinite possibilità inventando il Barocco leccese. Si ispirano alla loro visione dell’arte, quando si scopre il capitello corinzio fatto di foglie d’acanto. In questo clima di scoperta della natura, gli scultori tarantini inventano a Castro un fregio di 8 metri, probabilmente molto più grande, e incominciano a decorarlo inserendo all’interno alcune figure umane e animali. Questo corrisponde a quello che era la pittura di Taranto e successivamente la ceramica del IV secolo. Esiste un rimando continuo tra gli scultori di Taranto che lavorano a Castro e coloro che hanno lasciato le loro opere a Taranto. Questa mostra è un’occasione unica anche dal punto di vista scientifico. Abbiamo riprodotto la statua di culto dell’Athena rinvenuta a Castro: è la più grande statua mai trovata in Magna Grecia ed è lo straordinario confronto dell’altra statua che abbiamo perso, la statua di Ercole, realizzata da Lisippo, che troneggiava sull’acropoli di Taranto”.

Mostra “Athenaion”: ricostruzione del fregio a girali del santuario (foto tommaso ismaelli / cnr-ispc)

La direttrice Eva Degl’Innocenti (foto marta)
“I reperti portati alla luce dagli scavi di Castro, in particolare le sculture prevalentemente in calcare (pietra leccese), ma anche in marmo greco”, sottolinea Eva Degl’Innocenti, “sono la statua colossale di Atena Iliaca e i rilievi a girali abitati (peopled scrolls) che delineano forti connessioni con l’arte di Taranto e sono da attribuire a un’officina di scultori della città dei due mari attivi nella seconda metà del IV sec. a.C. Tali documenti restituiscono riferimenti importanti della grande arte pubblica tarantina che, per la continuità di vita di Taranto stessa, non si è purtroppo conservata. La mostra rappresenta l’occasione per mettere a confronto i materiali di Castro con le produzioni artistiche di Taranto, offrendo ai visitatori anche l’opportunità di conoscere uno dei contesti della Puglia antica in cui maggiormente si manifesta la diffusione della cultura artistica tarantina”.

Statua 3D della statua colossale di Atena nella hall del MArTa: rilievo di Marco Callieri, Marco Potenziani, Eliana Siotto (foto cnr-ispc)
La collaborazione con l’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC) e l’Istituto di Scienze e Tecnologie dell’Informazione (ISTI) del Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) ha consentito di sviluppare ricerche specifiche sui reperti (rilievi laser 3D e indagini sulle tracce di colore presenti sulle superfici scultoree), con l’applicazione di tecnologie innovative. L’esposizione “Athenaion: Tarentini, Messapi e altri nel Santuario di Atena a Castro” è corredata anche di ricostruzioni in 3D: tra cui la riproduzione della metà della statua di Atena, creata dal FabLab (laboratorio di artigianato digitale e innovazione) del museo Archeologico nazionale di Taranto, che è esposta nella hall del museo, valorizzata nella sua parte inferiore da una ricostruzione in metallo realizzata dall’artista pugliese Nicola Genco.

Una sala del MArTa che ospita la mostra “Athenanion” (foto marta)

La soprintendente Francesca Riccio
“A Castro il lavoro continua al di là della ricerca sul campo”, ricorda Francesca Riccio, soprintendente ABAP di Brindisi e Lecce: “è allestita un’esposizione permanente dei reperti dove si stanno svolgendo importanti restauri in vista di un’esposizione. I ritrovamenti sono della Soprintendenza, ma sono conservati dal Comune. Insieme al professore D’Andria abbiamo svolto un lavoro di grande sinergia anche con l’Università, con i soggetti privati e la Banca Popolare Pugliese che ha messo a disposizione i fondi per sponsorizzare il lavoro di restauro della statua in tempi strettissimi, grazie anche all’ottimo clima di collaborazione”.
Roma. Alle Terme di Diocleziano presentazione del libro “101 Storie Svelate. Le iscrizioni del Museo Nazionale Romano raccontano Roma” di Carlotta Caruso, nato dalla raccolta delle storie raccontate sui social durante il lockdown 2020: il fascino delle epigrafi per non “addetti ai lavori”
“L’uomo lo ascoltò continuando a scolpire parole. Fu felice di sapere che qualcuno comprendesse davvero il senso del suo lavoro: quelle parole, incise faticosamente, avevano il compito di tramandare la storia delle loro vite alle generazioni del futuro”. Comincia così il libro “101 Storie Svelate. Le iscrizioni del Museo Nazionale Romano raccontano Roma” di Carlotta Caruso nato dalla raccolta delle storie comparse nella rubrica dei canali social del museo nazionale Romano (#StoriedaMNR) e pubblicato nell’ambito dei progetti condivisi del Servizio Educativo e dell’Ufficio Social Media. Domenica 13 novembre 2022, alle 16.30, il libro “101 Storie Svelate” (Dielle editore) viene presentato nella sala delle Piccole Mostre alle Terme di Diocleziano che fanno parte del museo nazionale Romano. Intervengono Stéphane Verger, direttore del museo nazionale Romano; Cinzia Vismara, già docente di Archeologia delle province romane nell’università di Cassino; Clara di Fazio, CNR; e l’autrice Carlotta Caruso, assistente tecnico del museo nazionale Romano. Ingresso libero fino a esaurimento posti.

Concetta Caruso con il libro “101 Storie Svelate” (foto mnr)
“101 Storie Svelate”. Le storie raccolte in questo libro nascono dal ricchissimo patrimonio del museo nazionale Romano: personaggi reali, storie immaginate, possibili, tratte dalle poche parole che gli antichi hanno scelto di affidare a qualcosa che potesse durare a lungo, possibilmente per sempre: un’epigrafe. Attraverso lo strumento dello storytelling, un accurato lavoro di ricostruzione storica e un po’ di immaginazione, quelle poche parole rivivono, recuperano il loro potere di comunicare, di raccontare e permettono di entrare in contatto con il mondo antico e con le persone che lo hanno popolato. Nate nei mesi di lockdown del 2020, sulla rubrica social #StoriedaMNR dei canali del Museo, queste storie svelano il fascino delle epigrafi anche a un pubblico di non “addetti ai lavori”.
Roma. Al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia studiati per la prima volta i gioielli in oro ottocenteschi della Collezione Castellani. Lo studio di Rosarosa Manca pubblicato su Scientific Reports

Rosarosa Manca impegnata nello studio dei gioielli in oro della Collezione Castellani del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto etru)
Ad annunciarlo è lo stesso direttore del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, Valentino Nizzo: “Pochi giorni fa sono stati pubblicati i risultati delle analisi scientifiche condotte presso il Museo sui gioielli della collezione Castellani. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports, rivista scientifica del prestigioso gruppo editoriale Nature Portfolio, e può essere letto e scaricato liberamente a questo link: https://rdcu.be/cNoLb. I gioielli Castellani sono stati analizzati in modo completamente non invasivo tramite uno spettrometro portatile di Fluorescenza dei Raggi X (XRF). Se ne è studiata la composizione delle leghe d’oro e delle saldature e la presenza di arricchimenti superficiali. Si tratta di uno dei più ampi studi composizionali mai condotti su gioielli ottocenteschi e ci auguriamo che sia un punto di partenza per accrescere le nostre conoscenze sull’oreficeria revival e sulle pratiche produttive dell’Ottocento. Lo studio è stato coordinato da Rosarosa Manca nell’ambito del suo Dottorato presso il Dipartimento di Scienze della Terra DST UNIFI dell’università di Firenze, in collaborazione con l’università di Siviglia, il Centro Nacional de Aceleradores e l’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR Consiglio nazionale delle Ricerche”.

Un momento dello studio dei gioielli in oro della collezione Castellani del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto etru)
“L’Ottocento fu caratterizzato da grandi trasformazioni culturali e tecnologiche”, si legge nell’articolo di Rosarosa Manca. “Importanti innovazioni stavano avvenendo nel quadro della rivoluzione industriale e nuovi materiali e tecniche divennero disponibili anche per artisti e artigiani. Allo stesso tempo, un profondo fascino per le antiche civiltà, ispirate alle importanti e numerose scoperte archeologiche dell’epoca, si diffuse in tutta Europa e lo stile revivalista (o storicista) raggiunse una grande popolarità. In particolare, il design del gioiello ha visto un periodo di significativa trasformazione nella seconda metà del secolo. Nonostante il loro significato storico, i gioielli ottocenteschi sono stati trascurati negli studi archeometrici e scientifici del patrimonio fino ad oggi e attualmente manca una vasta conoscenza delle leghe, delle tecniche di giunzione e dei trattamenti superficiali utilizzati dagli orafi di questo periodo. Uno dei motivi di questa mancanza di dati è da individuare nelle difficoltà legate all’analisi dei gioielli in oro, che richiede: a) l’utilizzo di tecniche non invasive; b) la produzione di risultati quantitativi, dal momento che le leghe sono invariabilmente costituite da oro, argento e rame come componenti principali; c) la capacità di indagare sulle microaree; d) l’uso di attrezzature portatili, poiché spesso è impossibile trasportare i gioielli in un laboratorio”.

Lo studio della tecnica di granulazione dei gioielli della collezione Castellani del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto etru)
Tecniche orafe Castellani. “L’attività dei Castellani – Fortunato Pio (1794-1865) e dei suoi figli Alessandro (1823-1883) e Augusto (1829-1914) – risale tra il 1814 e il 1930, con il suo picco tra il 1850 e il 1880. Hanno dedicato parte della loro attività all’indagine di gioielli archeologici, come quelli della tomba Regolini-Galassi recentemente scoperta e della collezione del marchese Campana, e le tecniche per riprodurli. Prima di tutto, non si sa che tipo di leghe utilizzassero le botteghe Castellani e se scegliessero leghe diverse in base a tecniche o stili specifici. È interessante a questo proposito che i Castellani fossero stati esentati dall’obbligo, imposto a tutti gli altri orafi romani, di certificare la purezza delle leghe d’oro da loro utilizzate. Inoltre, i Castellani erano noti per l’uso di trattamenti superficiali, chiamati ‘colorazione’. Questi trattamenti consistevano nell’applicazione di soluzioni di incisione per rimuovere rame e argento dalla lega d’oro per lasciare la superficie arricchita in oro. Un’altra tecnica profondamente studiata e applicata dai Castellani è la granulazione, ovvero l’applicazione di minuscole sfere d’oro (granuli) su una lamina d’oro per creare decorazioni o motivi lineari. La principale difficoltà della tecnica consiste nella capacità di saldare in modo efficiente i granuli alla lamina senza lasciare residui. Gli Etruschi ne furono padroni indiscussi, soprattutto grazie all’utilizzo della tecnica di saldatura dei sali di rame. Tuttavia quest’ultimo era andato perduto nell’Ottocento, quando i Castellani iniziarono a dedicare la loro attenzione alla granulazione nel tentativo di riprodurre gli antichi capolavori e non si sa con certezza quale tecnica utilizzassero. Per quanto riguarda le tecniche di saldatura, è possibile che i Castellani siano stati tra i primi ad utilizzare saldature contenenti cadmio, che sono stati effettivamente introdotti in gioielleria nel 1860, diventando poi comuni solo nel XX secolo”.

La varietà di gioielli in oro della collezione Castellani del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto etru)
Materiali. “La collezione di gioielli Castellani presso il museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma è stata identificata come la più appropriata per questo studio, perché è l’unica passata direttamente dalla bottega Castellani a un museo pubblico senza essere manipolata da altri, e perché offre la più ampia gamma possibile di gioielli prodotti da loro. La collezione fu raccolta da Augusto Castellani tra il 1870 e il 1880, ma la data di produzione dei singoli gioielli è sconosciuta. I gioielli Castellani a Villa Giulia sono divisi in otto gruppi, seguendo la classificazione di Augusto della storia della gioielleria italiana. I gioielli selezionati riguardano tutti i diversi periodi individuati da Augusto, escluso il ‘Primigenio’, che non comprende i gioielli in oro. Quarantatré gioielli sono stati selezionati per l’analisi seguendo criteri stilistici e tecnologici, al fine di coprire la più ampia gamma possibile di manufatti”.

La strumentazione usata per lo studio dei gioielli in oro della collezione Castellani del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto etru)

Rosarosa Manca coordinatrice dello studio sui gioielli in oro della collezione Castellani del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto etru)
Conclusioni. “L’utilizzo di un’apparecchiatura micro-XRF portatile ha permesso l’acquisizione del più ampio set di dati compositivi su gioielli ottocenteschi ad oggi disponibili. Sono state caratterizzate sia le leghe di base che le tecniche di giunzione utilizzate dagli orafi Castellani. Con poche eccezioni, i gioielli Castellani a Villa Giulia erano realizzati con leghe ad alto carato d’oro e argento con rame come componente minore, mentre i giunti erano realizzati con saldatrici brasate di oro e argento, con rame come componente minore e nessun altro metallo. L’utilizzo di un rivelatore con filtro zincato ha permesso di escludere senza ambiguità l’utilizzo di saldature contenenti cadmio nei gioielli analizzati. Lo studio delle intensità relative delle linee a raggi X L3, L2 e M dell’oro suggerisce che un arricchimento superficiale in oro, compatibile con l’uso di trattamenti coloranti, si verifica su molti, ma non tutti, i gioielli Castellani. Pertanto, il nuovo metodo proposto in questo studio si è rivelato un potente strumento per ottenere informazioni sulla presenza di gradienti compositivi dalla superficie al sottosuolo di un gioiello utilizzando esclusivamente analisi superficiali non invasive. Le analisi presentate in questo articolo hanno fornito nuovi approfondimenti sugli aspetti tecnici dei processi di creazione e imitazione seguiti dagli orafi Castellani e saranno utili nei futuri studi di autenticità. Ulteriori ricerche sui materiali utilizzati da altri orafi ottocenteschi, le cui produzioni sono ancora in gran parte inesplorate, oltre che sugli standard ufficiali dell’epoca, saranno fondamentali per contestualizzare al meglio le pratiche produttive di Castellani. Si spera che le informazioni ottenute in questo studio costituiscano una solida base per la pianificazione di future ricerche sull’argomento”.
Roma. Per il ciclo “Dialoghi in Curia” del parco archeologico del Colosseo presentazione del libro “Architetture perdute. Decorazioni architettoniche fittili dagli scavi tra Palatino, Velia e valle del Colosseo (VII-IV secolo a.C.)” di Clementina Panella, Carlo Rescigno, Antonio F. Ferrandes

Nuovo appuntamento del ciclo “Dialoghi in Curia”: giovedì 25 novembre 2021, in Curia Iulia, alle 16.30, presentazione del recente volume “Architetture perdute. Decorazioni architettoniche fittili dagli scavi tra Palatino Velia e valle del Colosseo (VII-IV secolo a.C.)” di Clementina Panella, Carlo Rescigno, Antonio F. Ferrandes, edito da Naus. Introduce Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo; presentano Vincenzo Bellelli, dirigente di ricerca all’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR; e Teresa Elena Cinquantaquattro, soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli. Saranno presenti gli autori. Prenotazione obbligatoria fino a esaurimento posti su www.eventbrite.it. Ingresso da Largo della Salara Vecchia, 5. All’ingresso del PArCo sarà richiesto di esibire, oltre all’invito, il certificato verde e di indossare la mascherina. L’incontro sarà trasmesso in diretta streaming dalla Curia Iulia sulla pagina Facebook del PArCo: https://www.facebook.com/parcocolosseo.

La copertina del libro “Architetture perdute” di Clementina Panella, Carlo Rescigno, Antonio F. Ferrandes
Il libro indaga il paesaggio del costruito di un’area sacra emersa nel cuore della Roma arcaica nel corso degli scavi decennali condotti da Sapienza-Università di Roma tra le pendici del Palatino e la valle del Colosseo. Documentazione stratigrafica e presentazione analitica dei materiali architettonici si intrecciano in un racconto che permette di restituire la sequenza degli interventi di monumentalizzazione dell’area, ritenuta sede delle Curiae Veteres, tra epoca tardo orientalizzante e periodo tardo classico.

Clementina Panella (università Sapienza Roma)
Clementina Panella, già professore ordinario di ‘Metodologia e tecniche della ricerca archeologica’ alla Sapienza-Università di Roma, ha diretto importanti scavi: Ostia, Terme del Nuotatore; Cartagine, Centuria A; Roma, Porticus Liviae, area della Meta Sudans e pendici nord-orientali del Palatino. Le sue ricerche riguardano l’archeologia urbana, la topografia di Roma, la cultura materiale, in particolare le produzioni di età ellenistica e romana e i rapporti commerciali tra l’Italia e le province in età imperiale e tardoantica, e le metodologie delle scienze applicate allo studio dei siti archeologici pluristratificati.

Carlo Rescigno (università della Campania)
Carlo Rescigno è professore ordinario di ‘Archeologia Classica’ all’università della Campania “Luigi Vanvitelli” e coordinatore del corso di dottorato in ‘Archeologia e Culture del Mediterraneo Antico’ alla Scuola Superiore Meridionale. Conduce scavi e ricerche a Cuma, Stabiae e a Neapolis. È socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei. È autore di oltre 100 pubblicazioni e di numerose monografie.

Antonio F. Ferrandes (università Sapienza Roma)
Antonio F. Ferrandes, ricercatore al dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza-Università di Roma, insegna ‘Archeologia della Produzione e del Commercio’ e ‘Classical Archaeology’. I suoi interessi riguardano i metodi della ricerca archeologica, l’archeologia urbana, l’archeologia dell’architettura e del paesaggio, la cultura materiale, l’archeologia della produzione e la storia dei commerci mediterranei (con un focus sulla città di Roma nel periodo medio- e tardo-repubblicano). Ha partecipato a numerose indagini sul campo (Roma, Ventotene, Pompei, Pantelleria) e alle ricerche sulle pendici nord-orientali del Palatino, cui ha dedicato numerosi rapporti preliminari e alla cui edizione definitiva sta attualmente lavorando.
Roma. La presentazione del libro di Luigi Malnati “La passione e la polvere” apre il ciclo di conferenze “The Clash. Libri e discussioni sul Patrimonio Culturale” dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte (INASA) in presenza con Green Pass e on line su Zoom

È stato intitolato “The Clash. Libri e discussioni sul Patrimonio Culturale”, è il nuovo ciclo di conferenze proposto dall’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte (INASA) a Roma, fondato da Corrado Ricci insieme a Benedetto Croce, che opera dal 1918 per il progresso degli studi nel campo dell’archeologia e della storia dell’arte e per la promozione della tutela del patrimonio storico e artistico. Il primo incontro è in programma martedì 9 novembre 2021, alle 16.30, in presenza (con Green Pass e mascherina obbligatoria) nella sede di piazza San Marco 49 (II piano, Sala Conferenze) a Roma, oppure on line sulla piattaforma Zoom (https://us02web.zoom.us/j/87886004049?pwd=eWRXNDEzdll5MnFhd2tBQXRDVWdmQT09 ID riunione: 878 8600 4049, Passcode: 294424). Protagonista è l’archeologo Luigi Malnati che presenta il suo libro “La passione e la polvere. Storia dell’archeologia italiana da Pompei ai giorni nostri” (La Nave di Teseo). Intervengono l’archeologa Stefania Quilici Gigli, già dirigente di ricerca del Cnr; l’archeologo Pietro Giovanni Guzzo accademico dei Lincei; il giornalista Fabio Isman, esperto in beni culturali; la scrittrice Angela Vecchione, finalista al premio Strega. Moderano l’archeologo Alessio De Cristofaro della soprintendenza speciale di Roma e l’archeologo Massimo Pomponi di Inasa.

La copertina del libro “La passione e la polvere” di Luigi Malnati (edizioni La Nave di Teseo)
La passione e la polvere. L’archeologia è fango, polvere, cemento, baracche prefabbricate in lamiera, bagni mobili, panini consumati in fretta. E l’emozione della scoperta. In una parola: l’archeologia. Declinata attraverso il suo sviluppo e la sua evoluzione in 250 anni di scavi in Italia, e l’esperienza personale di 40 anni di attività in prima linea dell’archeologo Luigi Malnati, autore di “La passione e la polvere. Storia dell’archeologia italiana da Pompei ai nostri giorni”, edito da La Nave di Teseo, con l’introduzione di Vittorio Sgarbi (vedi Storia dell’archeologia italiana da Pompei ai nostri giorni” di Luigi Malnati, per 40 anni in prima linea come archeologo e soprintendente: è il racconto di un mondo tanto affascinante quanto ancora poco conosciuto, con le parole di un testimone diretto | archeologiavocidalpassato).
Napoli. Al via il restauro del Mosaico della Battaglia di Isso, capolavoro simbolo, universalmente noto, dei tesori del Mann. Entro luglio 2021, sarà ultimato il cantiere aperto al pubblico. Il direttore Giulierini: “Scriviamo una pagina importante per la storia del Museo e la conservazione dei beni culturali”

Due mesi per un intervento sulle tessere musive, una pausa, e due mesi per consolidare il supporto retrostante il “Gran Musaico”: a fine mese (gennaio 2021), partirà la campagna di restauro del Mosaico della Battaglia di Isso, capolavoro che rappresenta un simbolo, universalmente noto, dei tesori custoditi dal museo Archeologico nazionale di Napoli. Il restauro, che sarà concluso a luglio, è realizzato con la supervisione dell’Istituto Centrale per il Restauro (ICR); le attività diagnostiche sono promosse in rete con l’università del Molise (UNIMOL) ed il Center for Research on Archaeometry and Conservation Science (CRACS). “Con l’avvio, nel 2021, del restauro del Mosaico di Alessandro, scriviamo insieme una pagina importante nella storia del museo Archeologico nazionale di Napoli e quindi della conservazione dei beni culturali”, interviene Paolo Giulierini, direttore del Mann. “Sarà un restauro grandioso, che si compirà sotto gli occhi del mondo. Un viaggio entusiasmante lungo sette mesi ci attende: dopo il minuzioso lavoro preparatorio, studiosi ed esperti si prenderanno cura con le tecniche più avanzate del nostro iconico capolavoro pompeiano, raffigurante la celebre battaglia di Isso. La tecnologia e le piattaforme digitali ci consentiranno di seguire le delicatissime operazioni, passo dopo passo, in una sorta di ‘cantiere trasparente’, come mai accaduto prima. Per realizzare una operazione così ambiziosa e complessa è stata attivata dal Mann una rete di collaborazioni scientifiche e di partnership di grande prestigio”.

Lo stato dell’arte: guardando indietro nel tempo, le ragioni del restauro. Milioni di tessere e una superficie di eccezionale estensione (5,82 x 3,13 m): nella casa del Fauno di Pompei, il mosaico, che decorava il grande pavimento dell’esedra, era al centro di una ricca “architettura” iconografica. Agli occhi degli scopritori, nel 1831, il capolavoro non soltanto si rivelò nell’unicità e nelle dimensioni della scena rappresentata, ma anche nello stato sostanzialmente buono di conservazione: le ampie lacune riscontrate riguardavano, infatti, la sezione sinistra dell’opera, senza “intaccare” il fulcro della raffigurazione. Fu travagliata, in ogni caso, la decisione di distaccare il mosaico, per trasportarlo nel Real Museo Borbonico: dopo circa 12 anni di accesi dibattiti, una commissione espresse parere favorevole e l’opera, il 16 novembre 1844, fu messa in cassa e condotta lentamente da Pompei a Napoli, su un carro trainato da sedici buoi. Durante il tragitto, all’altezza di Torre del Greco, un incidente minacciò l’integrità del mosaico: l’opera fu sbalzata a terra e, soltanto nel gennaio del 1845, venne aperta la cassa per verificare l’integrità del capolavoro che, fortunatamente, non aveva subito danni. La prima collocazione della Battaglia di Isso fu, dunque, il pavimento della sala CXL, secondo il progetto iniziale di Pietro Bianchi; fu Vittorio Spinazzola, nel 1916, a definirne la nuova sistemazione a parete nelle riallestite sale dei mosaici. Da allora, in oltre un secolo, il “Mosaico dei record” ha catturato, con la sua bellezza magnetica, l’attenzione dei visitatori di tutto il mondo: dietro il fascino di un’opera senza tempo, si sviluppa il lavoro di scienziati ed esperti per garantire manutenzione e conservazione del nostro capolavoro.


Attività di diagnostica sul mosaico di Alessandro al Mann (foto Pedicini Fotografi)
L’attività di restauro del mosaico è ontologicamente complessa: conservazione, collocazione, peso (verosimilmente sette tonnellate) e rilevanza storico-artistica del manufatto enfatizzano la necessità di un progetto esecutivo puntuale e delicatissimo. Il mosaico di Alessandro presenta, infatti, diverse criticità conservative, consistenti sostanzialmente in distacchi di tessere, lesioni superficiali, rigonfiamenti ed abbassamenti della superficie. In particolare, la zona centrale destra è affetta da una visibile depressione; rigonfiamenti puntuali sono presenti lungo il perimetro del mosaico, probabilmente dovuti a fenomeni di ossidazione degli elementi metallici dell’intelaiatura lignea posta in opera durante il trasferimento del 1916. Sono presenti, inoltre, microfratture ad andamento verticale e orizzontale, nonché una lesione diagonale, già oggetto di velinatura nel corso di precedenti restauri. Negli ultimi venti anni, la necessità di un restauro complessivo si è resa chiara grazie anche alle indagini diagnostiche eseguite: alle ragioni conservative si sono associate le esigenze di una migliore lettura organica dell’opera. Due i momenti significativi nell’iter diagnostico effettuato: nel 2015, con il contributo di IPERION CH.it e del CNR-ISTI di Pisa, si è documentato lo stato di fatto dell’opera, in relazione ai materiali costitutivi, distinguendoli da quelli riconducibili ai restauri effettuati in epoca antica e moderna. Nel 2018, con la partecipazione dell’università del Molise e del CNR, è stato eseguito il rilievo di dettaglio del mosaico, mediante fotogrammetria ad alta risoluzione: al modello tridimensionale dell’opera si è aggiunta l’indagine tramite georadar per verificare le condizioni del supporto. Tali operazioni hanno consentito anche di mettere in evidenza fratture e fessurazioni non visibili ad occhio nudo, così come anomalie negli strati costitutivi il supporto (vedi: Il restauro del monumentale mosaico di Alessandro a Restaura di Ferrara: un milione di tessere, scoperto nella casa del Fauno a Pompei. Il museo Archeologico di Napoli presenta il settore restauro, fiore all’occhiello del Mann | archeologiavocidalpassato).

Il progetto: metodologia e fasi esecutive. Un percorso in fieri, tra diagnostica, tecnologia e restauro. Alla luce degli studi realizzati, sembra probabile che i fenomeni di deterioramento siano dovuti essenzialmente all’ossidazione dei supporti in ferro del mosaico ed al degrado delle malte: a questi fattori può attribuirsi l’accentuata depressione che interessa la parte centrale/destra del pannello musivo. Tale stato di fatto è certamente aggravato dal peso del mosaico e dalla posizione verticale, entrambe cause cui può essere ricondotto lo scorrimento verso il basso dello strato più superficiale di malta e tessere. Per avere un quadro esaustivo sulle effettive condizioni dell’opera, è stata prevista una nuova campagna di indagini diagnostiche, effettuate dall’università del Molise e dal CRACS (Center for Research on Archaeometry and Conservation Science); le indagini interesseranno anche la fase esecutiva del restauro. Un’attenzione particolare riguarderà, inoltre, le condizioni microclimatiche ed ambientali, non soltanto per comprenderne l’eventuale incidenza nel processo di degrado del mosaico, ma soprattutto per individuare le migliori condizioni espositive future, in termini di illuminazione e parametri termoigrometrici. Il progetto di restauro, connotato dal principio del minimo intervento e finalizzato alla conservazione dell’integrità materiale dell’opera nello stato in cui si trova, si articolerà in due fasi diverse: tra i due momenti, sarà effettuata la movimentazione del mosaico. La movimentazione si rende necessaria per esplorare la parte retrostante la battaglia di Isso, verificare lo stato del supporto e definire compiutamente gli interventi conservativi complessivi da realizzare.

PRIMA FASE (gennaio- febbraio 2021): l’intervento ipotizzato, da eseguirsi in situ mediante l’allestimento di un cantiere visibile, è finalizzato alla messa in sicurezza della superficie musiva prima della movimentazione dell’opera. In questa fase, il mosaico sarà oggetto di: accurata ispezione visiva e tattile di tutta la superficie, preliminare alla successive lavorazioni; pre-consolidamento delle tessere e degli strati di malta distaccati; pulitura; velinatura con idonei bendaggi di sostegno su tutta la superficie attualmente visibile. In un momento immediatamente successivo, previa apposizione di un tavolato ligneo di protezione, nonché di un’idonea intelaiatura metallica di sostegno, il mosaico sarà rimosso dall’attuale collocazione, mediante un sistema meccanico di movimentazione appositamente progettato. L’indagine diretta sarà accompagnata da ulteriori analisi strumentali, grazie alle quali si definiranno gli interventi di restauro ipotizzati nella prima fase della progettazione, stabilendo le azioni da eseguire sul supporto per garantire la conservazione del manufatto.

SECONDA FASE (aprile- luglio 2021): la seconda ed ultima fase esecutiva del restauro, quindi, interesserà, innanzitutto, il supporto del mosaico: le lavorazioni saranno eseguite, dunque, sulla superficie retrostante dell’opera. Per tutelare le tessere musive, che, in tale frangente, non saranno visibili perché coperte dal tavolato ligneo di protezione, un significativo contributo tecnologico sarà fornito dalla TIM: la realizzazione di appositi smart glasses, indossati direttamente dai restauratori, consentirà di monitorare costantemente la corrispondenza tra la zona di intervento e la relativa superficie non visibile. Le strumentazioni permetteranno, con una metodologia assimilabile a quella utilizzata in chirurgia: 1) la proiezione in scala 1:1 della parte frontale del mosaico su una apposita superficie, che potrebbe essere una parete o un telo appositamente collocato in loco. La proiezione sarà non soltanto uno strumento di lavoro per i restauratori, ma renderà fruibile dal pubblico quanto accade nel cantiere; 2) l’associazione alla proiezione di una serie di parametri geofisici desunti dalle indagini: questi parametri potranno essere interrogati dagli operatori in tempo reale, analizzando tutti i dati inerenti al manufatto nel suo complesso (supporto e superficie). Terminato l’intervento sul supporto, si prevede la rimozione dei bendaggi posti durante la fase iniziale d’intervento ed il completamento del restauro con operazioni di pulitura, ulteriori ed eventuali consolidamenti, trattamento protettivo finale. Il progetto di restauro, così, diverrà un’occasione per valorizzare, anche nella percezione dei visitatori, non solo il complesso percorso di ricerca, ma anche la metodologia adottata: in questa esperienza, la dimensione progressiva, puntuale ed attenta delle diverse fasi di lavoro, sarà una componente essenziale per sottolineare l’interconnessione di contributi e professionalità, alla base di un evento di rilevanza internazionale.
Fondazione Scuola Beni culturali: nel primo seminario on line rafforzato il ruolo internazionale dell’Italia per l’area del Mediterraneo nella gestione del patrimonio
Progettare il futuro nella gestione del patrimonio: la dimensione internazionale. Con un seminario online dal titolo “Programme follow-up: twinnings and skills sharing” (Aggiornamento del programma: gemellaggi e condivisione delle competenze) si è conclusa, alla presenza del ministro per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo Dario Franceschini, la prima edizione della International School of Cultural Heritage, il programma di scambio e aggiornamento professionale per l’area del Mediterraneo lanciato nel novembre 2019 dalla Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali. Un appuntamento di lavoro basato sul reciproco ascolto e sulla condivisione di esperienze, con il quale si è voluto valorizzare il cospicuo investimento realizzato dalla Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, allo scopo di rafforzare il ruolo internazionale dell’Italia nel campo della gestione del patrimonio e condividere con i Paesi partecipanti il know how italiano. Le indicazioni e le valutazioni emerse durante il seminario conclusivo costituiranno una base di partenza condivisa per la programmazione di attività future: è già prevista per la fine del 2021 una seconda edizione del Programma, e l’avvio di accordi e gemellaggi tra istituzioni italiane e dei Paesi coinvolti. La vice ministra MAECI Marina Sereni e l’Assistant Director-General per la Cultura dell’UNESCO, Ernesto Ottone Ramirez, hanno portato i loro saluti confermando l’interesse e la piena disponibilità delle loro istituzioni a continuare nel lavoro comune. Al seminario hanno preso parte i rappresentanti di alcuni dei partner coinvolti, che hanno ospitato i referenti stranieri nelle loro esperienze sul campo in Italia: Parco archeologico di Paestum, Parco Archeologico dell’Appia Antica, Coopculture, Museo Egizio di Torino, CNR – Istituto di scienze per il patrimonio culturale, Museo Etrusco di Villa Giulia, Fondazione Brescia Musei. Sono intervenuti poi i responsabili apicali delle istituzioni dell’area mediterranea che hanno aderito al Programma, da Algeria, Egitto, Etiopia, Giordania, Iraq, Israele, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Tunisia e Turchia. Il confronto è stato coordinato da Mounir Bouchenaki, archeologo algerino già Vice-Direttore dell’UNESCO per la Cultura e Direttore Generale di ICCROM, attualmente consulente esperto per l’UNESCO.
La prima edizione della International School ha visto la partecipazione di diciannove tra archeologi, architetti, esperti e gestori di musei provenienti da diverse aree del Mediterraneo e dall’Etiopia coinvolti in un corso residenziale della durata di cinque mesi, con il titolo “Gestione del patrimonio archeologico mediterraneo: sfide e strategie”. I professionisti hanno partecipato, in un primo tempo, alla parte teorica del programma: lezioni, visite tematiche e visite di studio a siti e istituzioni culturali, workshop, casi di studio e incontri, si sono susseguiti offrendo un vasto panorama di tematiche legate alla conservazione e alla ricerca, alla gestione e alla valorizzazione del patrimonio archeologico. Successivamente, e fino allo scorso marzo, ogni partecipante si è poi dedicato individualmente a uno specifico progetto sul campo presso enti e istituzioni in tutta la Penisola: da Brescia ad Agrigento, Torino, Roma, Napoli, Paestum, Ercolano e Pompei, collaborando con i colleghi italiani appartenenti a istituzioni, musei e parchi archeologici. Durante il lavoro sul campo, i partecipanti stranieri hanno potuto studiare i modelli e le pratiche delle istituzioni ospitanti e sviluppare un proprio progetto applicabile al contesto di provenienza.

Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività culturali

Maria Alessandra Vittorini, direttore Fondazione Scuola Beni e Attività culturali
“Grazie al contributo delle istituzioni archeologiche italiane già coinvolte nel Programma”, spiega Vincenzo Trione, presidente della Fondazione, “è già in corso la costruzione di una offerta formativa, al momento online, di profilo internazionale: una serie di webinar, in lingua inglese, come occasione di formazione per i partecipanti stranieri e come momento di “promozione” delle istituzioni italiane”. E il direttore Alessandra Vittorini: “L’iniziativa odierna, che ha visto partecipazioni di alto profilo e interessanti riconoscimenti sui risultati conseguiti, rafforza la Fondazione, nel suo impegno volto a contribuire alla costruzione di una rete permanente per l’aggiornamento e l’accrescimento dei professionisti del patrimonio culturale, puntando prevalentemente sullo scambio di esperienze di eccellenza e la condivisione di modelli di lavoro”. “Oggi abbiamo constatato un grande interesse nel modello di scambio della International School e nella proposta di lavorare su possibili gemellaggi tra istituzioni italiane e Paesi stranieri”, conclude Andrea Meloni, membro del Consiglio di Gestione della Fondazione e delegato per i rapporti internazionali, aggiungendo che “tutti i colleghi dei Paesi esteri hanno confermato il pieno apprezzamento per il lavoro fatto e si sono dichiarati fortemente interessati a continuare a lavorare per progetti di collaborazione nel prossimo futuro”.
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