“Cartagine oltre il mito”: presentazione del volume di Giovanni Distefano con conversazione on line promossa dall’istituto italiano di cultura di Tunisi tra l’autore e l’archeologo Massimo Cutraro col prof. Attilio Mastino fondatore della Scuola archeologica italiana a Cartagine. Sarà un viaggio alla scoperta e riscoperta di Cartagine


La locandina dell’evento promosso dall’Istituto italiano di Cultura di Tunisi su “Cartagine oltre il mito”
Tredici episodi e un’appendice per raccontare la città più antica d’Occidente, partendo dal mito sino ad arrivare oltre il mito stesso, facendo rivivere la quotidianità della città di Cartagine. Sono quelli descritti nel libro “Cartagine oltre il mito – prima e dopo il 146 a.C.” (OLTRE EDIZIONI) di Giovanni Distefano, che ci trasporta in un viaggio alla scoperta e riscoperta di Cartagine durante una conversazione con Massimo Cultraro, il quale ha magistralmente scritto l’introduzione del volume, introdotta dal prof. Attilio Mastino. L’appuntamento promosso dall’Istituto italiano di cultura di Tunisi e curato da Diletta D’Ascia è per martedì 18 maggio alle 11 (12:00, ora italiana) in diretta Facebook Live, https://www.facebook.com/IICTunis/. Giovanni Distefano, archeologo, è professore di Archeologia del Mediterraneo tardoantico all’università della Calabria e all’università di Roma Tor Vergata. Massimo Cultraro, archeologo, è dirigente di ricerca al Consiglio nazionale delle Ricerche (Catania-ISPC), e professore di Archeologia Egea all’università di Palermo. Attilio Mastino, professore di Storia Romana a Sassari, già pro rettore, rettore, è fondatore e presidente della Scuola Archeologica Italiana a Cartagine. Grazie al dialogo tra questi due straordinari archeologi e alle parole del prof. Mastino, saremo trasportati all’interno della vita della città che fu regina del Mediterraneo e capitale dell’Africa romana.


Logo della Scuola archeologica italiana a Cartagine
Il professor Distefano, che ha effettuato scavi e ricerche archeologiche a Cartagine, è riuscito, in questo libro, a partire dal mito evocato in letteratura e al cinema sino a portarci a conoscere la vita quotidiana di Cartagine, la cultura urbanistica, religiosa, edilizia di questa città e del suo impero sulla terraferma e sul mare. Attraverso lo specchio del mito e la fiaba della fondazione della “nuova città”, apre lo sguardo dei lettori a una nuova visione, trasportandoci, ad esempio, nelle case dei cartaginesi del IV secolo con le botteghe, i mulini, le case delle élite con fontane meravigliose e stibadia, dove si intrattenevano gli ospiti. Quella che ci viene presentata è la Cartagine in cui si veneravano le dee greche-mediterranee, in cui vi erano statue votive di tipo fertilistico, ma anche la città dei traffici commerciali, la Roma africana e l’espressione delle nuove élites africane. Ne emerge un’immagine affascinante, di una città potente, forte, maestosa come Didone, regina di Cartagine, un’immagine che ondeggia tra mito e storia, così come questo testo.


L’archeologo Giovanni Distefano
I tredici saggi che compongono il volume propongono la conoscenza aggiornata della città che fu signora del Mediterraneo e capitale dell’Africa romana, oltre i luoghi comuni del mito. Sono presentati episodi della vita urbana e religiosa della città rivale di Roma, prima e dopo il 146 a.C., anno della distruzione. Della potente città fenicio-punica, poi Colonia romana, sarà possibile conoscere un santuario dell’VIII sec. a.C. frequentato da fenici e greci, un luogo di culto dedicato ad una dea greca, e poi l’altare monumentale sulla Byrsa, offerto alla famiglia di Augusto, con intensi messaggi ideologici, religiosi e politici. Inoltre, alcuni saggi sono dedicati alle grandi cisterne della città e all’ approvvigionamento idrico della Colonia al tempo dell’imperatore Adriano, che con la sua visita a Cartagine interruppe un lungo periodo di siccità. L’ edilizia privata con le case e le botteghe dei cartaginesi nel “quartiere delle ville romane” e le grandi domus urbane dell’aristocrazia, dove scenari architettonici ricreano ambienti naturali, sono altri argomenti centrali del volume. Della città, prima e dopo l’arrivo dei Vandali nel 439, sono presentati l’opera ciclopica di un muro difensivo dei quartieri urbani e una bardatura di età bizantina di un cavallo. La cultura materiale, la vita quotidiana e la vita religiosa di Cartagine sono protagonisti oltre il mito.
“Annibale non pensò mai davvero di distruggere Roma, ma furono proprio le gesta del generale cartaginese a insegnare all’Urbe la paura, e a fornirle anche i mezzi per vincere nei secoli”: il prof. Giovanni Brizzi parla del grande Punico e della mostra “Annibale. Un mito mediterraneo” aperta a Piacenza

Il manifesto della mostra “Annibale. Un mito mediterraneo” a Palazzo Farnese di Piacenza dal 16 dicembre 2018 al 17 marzo 2019
È un viaggio nella storia del Mediterraneo all’epoca delle Guerre Puniche, attraverso la vicenda di Annibale, l’uomo che osò sfidare Roma, quello proposto fino al 17 marzo 2019 a Palazzo Farnese di Piacenza nella mostra “Annibale. Un mito mediterrianeo”, curata dal professor Giovanni Brizzi, accademico italiano e massimo esperto di Annibale, che ripercorre l’epopea del grande condottiero cartaginese. “La rassegna – spiegano i promotori – si propone come un percorso immersivo che si snoda tra i sotterranei della storica residenza ducale piacentina, recentemente restaurati, dove la tecnologia incontra il rigore della ricerca storica. Un affascinante itinerario tra preziosi reperti storici e artistici provenienti da istituzioni culturali italiane e internazionali e oggetti perduti, che rivivranno attraverso teche olografiche, oltre a videoinstallazioni, videowall e proiezioni, che ricostruiranno l’avventura di Annibale e il contesto storico dell’epoca, tra Roma, Cartagine e il Mediterraneo intero. Una particolare attenzione è riservata alla centralità strategica della Piacenza romana”. Per saperne di più vediamo cosa ha scritto in proposito il prof. Brizzi, curatore della mostra.
“Al di là del sempre citato, ma in fondo retorico giuramento di portare odio eterno erga Romanos (di distruggere Roma il Barcide non lo pensò mai davvero…) qual è l’autentica eredità di Annibale?”, si chiede provocatoriamente il prof. Brizzi. “Due figure in un certo senso parimenti leggendarie gli aprirono la mente e la via. La prima, Alessandro Magno, fu il modello che lo spinse ad adottare un ideale di cultura e di regalità, a concepire un irrealizzabile sogno imperiale che coinvolgeva probabilmente tutto il bacino occidentale del Mare Interno e che gli ispirò, infine, sia la strategia adottata contro Roma, sia l’inarrivabile riforma tattica capace di donare poi per suo tramite all’Urbe e all’Occidente una supremazia anche militare destinata a durare per secoli. La seconda, Eracle-Melqart, il semidio greco e punico insieme dalle mille possibili identità e trasposizioni, civilizzatore e conduttore di popoli, che fornì la giustificazione etica all’impresa e fu, ad un tempo, la chiave geniale per tentar di aprire a lui, nei limiti del possibile, il cuore delle genti inquadrate nel suo esercito o semplicemente incontrate per via”.
Malgrado una superiorità sul campo che, ai nostri occhi, lo mostra grande persino più del suo vincitore Scipione, fu infine sconfitto: “E non era possibile che finisse altrimenti”, sottolinea Brizzi. “Ma lo sforzo cui il suo genio costrinse Roma fu tale da cambiare per secoli le logiche della città sul Tevere. Una guerra costata all’Italia forse oltre 200mila morti insegnò all’Urbe il metus, la paura, ma le fornì anche i mezzi — dal Barcide la res publica apprese le tattiche da opporre alle falangi ellenistiche— per vincere d’ora in poi ogni guerra combattuta in Oriente”.

Il cosiddetto Annibale, busto in marmo bianco del XVI secolo (foto Segreteria generale della Presidenza della Repubblica)
E poi c’è Piacenza. Colonia latina creata nel 218, la città – ricorda il curatore – avrebbe dovuto essere la punta avanzata di una espansione nella piana del Po destinata a spazzar via le genti galliche, da sostituire con i coloni accorsi in massa dal centro Italia. “Ora, quando, all’indomani della vittoria su Annibale, risorge dopo esser stata distrutta dai Celti, la sua funzione muta completamente. Quando, nel 187, nasce la via Emilia, l’ultima grande flotta del Mediterraneo, quella siriaca, è appena stata distrutta (188) al largo di Patara, a cancellare il rischio, temuto sopra ogni altro, di una futura invasione via mare della penisola. Resta l’accesso per terra; e questo vuol dire via Emilia. Se è giusta la definizione data (Forni) del limes, a sbarrare il passaggio attraverso l’Appennino nasce, ben due secoli avanti le grandi strutture sul Reno e sul Danubio, una prima linea presidiata che ne annovera già tutte le componenti essenziali: una frontiera politica, una via e delle truppe che la presidiano, gli abitanti delle sei colonie scaglionate lungo di essa, al margine settentrionale dell’Italia romana. Che qui si ferma: dopo la falcidie della guerra annibalica un ripopolamento integrale della Cisalpina sarebbe impossibile. Meglio, malgrado la vittoria, trattar benignamente i Celti, le cui terre non servono più e che si vogliono amici a custodire insieme coi Veneti la regione tra l’Appennino e le Alpi”.

La Gallia Cisalpina nel 218 a.C. con i due scontri vittoriosi di Annibale sui Romani al Ticino e alla Trebbia
Ai Galli cisalpini rimane preclusa a lungo la cittadinanza; ma vengono — ciò che, in fondo, loro importa — lasciate terre, armi, moneta. “L’orizzonte di Roma è drasticamente cambiato, e cambiati sono i suoi obiettivi: quando già la Macedonia e la Grecia, l’Africa e l’Asia pergamena sono divenute provincie dell’impero, la Cisalpina è ancora formalmente libera. Distrutta, invece, è stata da tempo Cartagine: le è stato fatale il grande porto di cui ancor oggi vediamo gli invasi sul terreno non lungi da Tunisi e l’ambizione di riavere, insieme con esso, una potente flotta da guerra. Il risorgere del metus Punicus ha spinto Roma a una decisione brutale e senza pietà, ma non del tutto senza motivo. A determinare la fine di Cartagine – conclude Brizzi – è stato il risorgere della paura che Annibale ha insegnato a Roma. Per grazia degli dei al grande Punico almeno quest’ultima consapevolezza è stata risparmiata dalla morte”.
“Annibale. Un mito mediterraneo”: a più di duemila anni dalla disfatta alla Trebbia, alle porte di Piacenza, delle legioni romane ad opera dei cartaginesi, Annibale torna a Piacenza con una mostra-evento che è un viaggio nella storia del Mediterraneo all’epoca delle Guerre Puniche, attraverso la vicenda dell’uomo che osò sfidare Roma

Il manifesto della mostra “Annibale. Un mito mediterraneo” a Palazzo Farnese di Piacenza dal 16 dicembre 2018 al 17 marzo 2019

Il cosiddetto Annibale, busto in marmo bianco del XVI secolo (foto Segreteria generale della Presidenza della Repubblica)
18 dicembre del 218 a.C.: le legioni romane del console Tiberio Sempronio Longo vengono sconfitte dalle armate cartaginesi guidate da Annibale. Quello scontro, il secondo ingaggiato al di qua delle Alpi dal grande condottiero cartaginese durante la seconda guerra punica, è passato alla storia come la battaglia della Trebbia, alle porte di Piacenza. Più di duemila anni dopo Annibale torna a Piacenza con la mostra “Annibale. Un mito mediterraneo”, curata dal professor Giovanni Brizzi, accademico italiano e massimo esperto di Annibale, allestita a Palazzo Farnese dal 16 dicembre 2018 al 17 marzo 2019. L’esposizione, che ripercorre l’epopea del grande condottiero cartaginese, è un viaggio nella storia del Mediterraneo all’epoca delle Guerre Puniche, attraverso la vicenda dell’uomo che osò sfidare Roma. La mostra, valorizzata da una declinazione creativa del progetto ideata da TWOSHOT e da Gli Orsi Studio di Milano, con la supervisione scientifica del curatore, è promossa dalla Fondazione Piacenza e Vigevano, dal Comune di Piacenza, dalla Diocesi di Piacenza-Bobbio e dai Musei di Palazzo Farnese, con il patrocinio del MiBAC, della Provincia di Piacenza, di Musei in Rete, di Destinazione Emilia, col contributo della Regione Emilia Romagna, della Camera di Commercio di Piacenza, di Iren, in collaborazione con Capitale Cultura e Fondazione Cineteca Italiana di Milano; main partner Credit Agricole – Cariparma; media partner La Libertà. “Il concept”, ricordano TWOSHOT e Gli Orsi Studio, “è costruito su un obiettivo fondamentale: coinvolgere ed emozionare le persone, presentando argomenti complessi in modo accattivante, con video, proiezioni, installazioni site-specific e videowall. Una serie di ambienti immersivi poi costituiranno un vero e proprio viaggio nel tempo, in cui i visitatori si troveranno letteralmente circondati dagli uomini di Annibale”.

“Annibale attraversa le Alpi”: dipinto di Benedict Masson del 1881 conservato al Musée de Beaux-Arts i Chambery (Francia)
La rassegna si propone come un percorso immersivo che si snoda tra i sotterranei della storica residenza ducale piacentina, recentemente restaurati, dove la tecnologia incontra il rigore della ricerca storica. Un affascinante itinerario tra preziosi reperti storici e artistici provenienti da istituzioni culturali italiane e internazionali e oggetti perduti, che rivivranno attraverso teche olografiche, oltre a videoinstallazioni, videowall e proiezioni, che ricostruiranno l’avventura di Annibale e il contesto storico dell’epoca, tra Roma, Cartagine e il Mediterraneo intero. Una particolare attenzione è riservata alla centralità strategica della Piacenza romana. “Dopo la grande operazione dedicata a Guercino”, dichiara Massimo Toscani, presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano, “e il percorso di salita sulla cupola della Cattedrale di Piacenza, la Fondazione di Piacenza e Vigevano promuove un nuovo, entusiasmante progetto che ripercorre la vita e le gesta del condottiero cartaginese Annibale”. E continua: “Annibale. Un mito mediterraneo è sì una mostra; in esposizione ci saranno infatti, importanti reperti storici, ma è anche un’iniziativa sorprendente che immerge, fisicamente, il visitatore all’interno di un contesto storico ricostruito attraverso le più innovative tecnologie. Una storia, quella di Annibale, narrata in Palazzo Farnese, che riporterà al centro dell’attenzione una zona geografica importante e addirittura decisiva come quella del Mediterraneo, il Mare nostrum, centro nevralgico alla base dell’evoluzione commerciale, sociale, politica, culturale dell’intera Europa, tornato ora elemento essenziale in questo periodo storico”.

La Gallia Cisalpina nel 218 a.C. con i due scontri vittoriosi di Annibale sui Romani al Ticino e alla Trebbia
“La mostra ha due cuori e due linee direttive – spiega il curatore Giovanni Brizzi – da un lato Annibale, un personaggio che viene visto come maieuta, colui che muterà per sempre natura e destini, non solo di Roma e dell’Italia, ma dell’intero Mediterraneo. Dall’altro, la città di Piacenza, balcone privilegiato da cui si osserva questo passaggio e nucleo tematico che riguarda anche e soprattutto l’Italia romana. Nel 218 la città è la porta sulla piana del fiume Po che deve esser conquistata e trasformata, ma in seguito alle mutate condizioni del Mediterraneo, alla fine della guerra annibalica, Placentia diventerà il punto terminale a settentrione della res publica romana segnando il confine di quella che all’epoca era l’Italia”. Il percorso espositivo, strutturato in sezioni, si apre con la definizione del contesto storico: due diverse linee del tempo ricostruiscono cronologicamente gli eventi geopolitici dell’epoca e quelli chiave della vita e delle imprese di Annibale, il cui volto è ritratto sulla moneta proveniente dalla Bibliothèque Nationale de France. Attraverso videoinstallazioni, teche olografiche e proiezioni, la figura di Annibale incrocerà quella di due grandi icone classiche come Alessandro Magno ed Eracle, di cui è esposta la copia in bronzo dell’Eracle Epitrapezios, proveniente dal museo Archeologico nazionale di Napoli.
La mostra offre poi un approfondimento storico sugli aspetti strategici, militari e politici della seconda guerra punica, con suggestive rappresentazioni che vedono schierati Romani e Cartaginesi nelle principali battaglie del conflitto, a cui si aggiunge una sala interamente dedicata all’importanza strategica di Piacenza e della via Emilia – limes – sbarramento che chiude a nord l’Italia romana. “Nei sotterranei di Palazzo Farnese”, anticipa il prof. Brizzi, “ci sarà anche una parte recitata in cui è Annibale in prima persona a raccontare la sua campagna militare: il condottiero stesso accompagnerà il pubblico verso il destino futuro del Mediterraneo. Un destino che egli stesso ha indiscutibilmente contribuito a plasmare”. Un destino segnato fin dall’infanzia per Annibale, che ancora bambino pronuncia la sua promessa d’odio verso Roma, documentata dallo storico greco Polibio; in mostra si rileggerà il contesto familiare in cui è cresciuto, dal padre Amilcare, ai fratelli, al cognato Asdrubale, la formazione culturale greca e punica del giovane, il suo addestramento militare e la sua ascesa come condottiero.
L’affascinante bozzetto preparatorio di Francisco Goya, Annibale vincitore che rimira per la prima volta dalle Alpi l’Italia, proveniente dal museo del Prado di Madrid sarà uno dei preziosi contributi alla ricostruzione del mito del condottiero cartaginese: un percorso costellato da video di approfondimento sulla preparazione strategica militare e politica accompagna il pubblico nel cuore della seconda guerra punica, verso lo spettacolare scontro tra Cartagine e Roma, con focus sulle battaglie principali: Trebbia, Trasimeno, Canne e Zama. Seguendo l’intero arco della vicenda biografica di uno dei più grandi comandanti della storia, il progetto espositivo si chiude con la sconfitta di Annibale, il rientro a Cartagine, l’esilio e i suoi ultimi giorni. È prevista anche una serie di eventi collaterali: pubblicazioni, incontri, conferenze, convegni storici e divulgativi all’Auditorium della Fondazione Piacenza e Vigevano, oltre a un cartellone di eventi teatrali e musicali, visite guidate in provincia di Piacenza nelle località legate alle gesta di Annibale e allo scontro con Roma e a una proposta didattica indirizzata alle scuole di primo e secondo grado del territorio.
Recuperato nel mare di Levanzo il dodicesimo rostro che conferma l’ubicazione della battaglia delle Egadi del 241 a.C. tra romani e cartaginesi, che pose fine alla prima guerra punica a favore dei romani

Il recupero del dodicesimo rostro dalle acque antistante Levanzo appartenuto a una nave coinvolta nella battaglia delle Egadi del 241 a.C.
E 12! Se ancora ci fossero stati dubbi sull’ubicazione della battaglia delle Egadi, combattuta nel 241 a.C. tra romani e cartaginesi, che concluse a favore dei romani la lunga ed estenuante Prima Guerra Punica iniziata nel 264 a.C., ora dovrebbero essere fugati definitivamente. A tredici anni di distanza dal sequestro del primo rostro, che avviò le ricerche subacquee sistematiche, è stato recuperato a 80 metri di profondità, nei fondali a nord – ovest dell’isola di Levanzo, il dodicesimo rostro in bronzo della battaglia delle Egadi, cioè proprio dove da anni Sebastiano Tusa, responsabile della soprintendenza del Mare, ritiene si sia combattuto lo scontro finale. Questa importante scoperta conferma dunque la veridicità dell’ipotesi e aggiunge un tassello importante al patrimonio culturale della Sicilia. Il suo recupero è stato possibile ancora una volta grazie alla fruttuosa collaborazione che la soprintendenza del Mare ha intrapreso con la statunitense RPM Nautical Foundation guidata da George Robb e la direzione scientifica archeologica di Jeff Royal. Per la soprintendenza del Mare la ricerca è diretta da Sebastiano Tusa con la collaborazione di Stefano Zangara. Le ricerche sono state condotte con l’ausilio della nave oceanografica Hercules a posizionamento dinamico (DPS) dotata di sistemi di ricognizione elettroacustica di ultima generazione.
Ma non è tutto. Perché questo dodicesimo rostro ha una particolarità eccezionale: il reperto, tra i 12 finora identificati, ha ancora la parte lignea della prua della nave incastrato al suo interno: Il reperto presenta la novità, tra i 12 finora identificati, ha la parte lignea della prua della nave all’interno: si notano le parti finali della chiglia, del dritto di prua, delle due cinte laterali e della trave di speronamento. La sua estrazione e il conseguente studio darà preziose informazioni sulla tecnologia navale adoperata per costruire le navi da guerra in quel periodo. Proprio il soprintendente Tusa, qualche anno fa, dava una spiegazione alla mancanza di ritrovamenti di reperti lignei: “L’assenza di legno è dovuta quasi certamente al fatto che le navi perdute in battaglia erano quelle adibite al combattimento. Erano, pertanto, prive di pesante carico che generalmente con il suo peso copre e fa sprofondare lentamente lo scafo al di sotto del sedimento del fondo marino preservandolo dall’aggressione della Teredo Navalis. Il legno è, pertanto, scomparso lasciando sul fondo le ceramiche usate dall’equipaggio, i chiodi e quegli elementi inorganici che facevano parte delle imbarcazioni affondate. Emerge, in tal modo, un vasto areale ove si raggruppano numerose concentrazioni di oggetti che offrono la percezione di numerose navi affondate costituendo l’ulteriore prova dell’identificazione esatta del luogo dello scontro”.

La sede logistica del team che partecipa alle ricerche archeologiche subacquee alle isole Egadi (foto Salvo Emma)
La svolta nel 2004. “Dapprima vi fu la consegna spontanea da parte di un pescatore”, ricorda Tusa, “di un elmo in bronzo del tipo Montefortino in uso proprio in quella battaglia da parte dei militi romani. Egli affermò di averlo trovato nello spazio di mare a poche miglia a Nord-Ovest di Levanzo. Poi venne l’elemento decisivo per darci la convinzione che la nostra ipotesi era esatta e che, pertanto, avrebbe avuto ottime possibilità di essere provata da auspicate ricerche. Fu la “scoperta” del primo rostro delle Egadi nello studio di un dentista trapanese ad opera del nucleo tutela patrimonio culturale dei Carabinieri. Chi lo deteneva ed era in procinto (su sua dichiarazione) di consegnarlo agli organi di tutela, ci diede la conferma che il luogo di rinvenimento era a poche miglia a Nord-Ovest del Capo Grosso di Levanzo. Fu una “scoperta” eccezionale poiché oltre al valore storico-topografico legato all’evento bellico, il primo rostro delle Egadi era il secondo in assoluto rinvenuto fino ad allora seguendo quello di Athlit rinvenuto nelle acque israeliane qualche decennio prima”.

Lo studio del regime dei venti nella battaglia delle Egadi (vedi https://libreriainternazionaleilmare.blogspot.it/2015/11/egadi-241-ac-il-vento-cambio-il-corso.html)
Le scoperte archeologiche consentono di ricostruire la dinamica della battaglia con notevole accuratezza anche grazie agli studi sul regime del vento che dovette caratterizzare quel fatidico giorno. Così la sintetizza Tusa: “Annone all’alba del 10 marzo del 241 a.C., invogliato da una leggera brezza da Sud che andava girando da Ovest, diede l’ordine di salpare da Marettimo poiché pensava che con il vento in poppa avrebbe raggiunto rapidamente la costa siciliana eludendo i rigidi pattugliamenti romani della costa tra Drepanum e Lilibeo. Evidentemente Lutazio Catulo, l’astuto ammiraglio romano, intuì la mossa del nemico e pose tutta o parte della sua flotta al riparo dell’alta mole di Capo Grosso. Quando la flotta cartaginese si andava avvicinando diede l’ordine di salpare mollando cime ed ancore e scaraventando la sua forza d’urto e di sorpresa sul nemico. Lo scontro avvenne a circa miglia 4 ad Ovest / Nord-Ovest di Capo Grosso di Levanzo. Lo scompiglio nelle file nemiche dovette essere terribile sicché, anche in virtù del cambiamento del vento che già nel pomeriggio iniziò a spirare da Nord- Nord-Est ed Est, impossibilitato a proseguire e con il vento nuovamente in poppa per una salvifica ritirata verso il suo Paese, Annone diede l’ordine di far vela verso Cartagine. Svanirono per sempre le speranze cartaginesi di risolvere il conflitto a proprio favore. Amilcare, privo di rifornimenti, dovette capitolare cedendo la Sicilia ai Romani. La dinamica del vento che nel pomeriggio gira da Nord giustifica il rinvenimento della ben nota “nave punica di Marsala” sulle sponde dell’Isola Longa (qualche miglio a Sud del teatro del conflitto) giustamente identificata da Honor Frost come pertinente quella battaglia”. La battaglia delle Egadi fu di epocale valore per il destino del Mediterraneo ed oltre nei secoli a venire. “Nell’ambito dei 118 anni di guerra che videro lo scontro titanico tra due grandi potenze dell’antichità”, conclude Tusa, “questo fu uno dei momenti più importanti che ebbe un peso non indifferente per la vittoria finale del 146 a.C. dei romani, non foss’altro che perché tolse ai cartaginesi il controllo strategico della Sicilia. Ma, soprattutto, perché, come ci dice espressamente Polibio, il più attento osservatore, seppur di parte, del conflitto, i romani dopo il 10 marzo del 241 acquisirono la legittimità e l’autorevolezza di grande potenza mediterranea e di potenza navale intraprendendo con l’abilità che seppero sviluppare nei secoli seguenti la ben nota fisionomia di potenza imperialista anche se il vero e proprio impero nascerà dopo altre due secoli”.
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