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Roma. In Curia Iulia, in presenza e on line, presentazione del libro “Archeologi. I maestri del passato” di Andrea Augenti (Carocci editore)

Venerdì 5 dicembre 2025, in Curia Iulia, per iniziativa del parco archeologico del Colosseo, alle 16.30, presentazione del libro “Archeologi. I maestri del passato” di Andrea Augenti (Carocci editore). Dopo i saluti istituzionali di Alfonsina Russo, capo dipartimento per la Valorizzazione del Patrimonio culturale, e Simone Quilici, direttore del parco archeologico del Colosseo, intervengono, alla presenza dell’autore, Andrea Paribeni, università di Urbino; Riccardo Santangeli Valenzani, università Roma Tre; Enrico Zanini, università di Siena. ingresso libero da largo della Salara Vecchia con prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti al link https://augenti5dicembre.eventbrite.it. Diretta streaming sulla pagina Facebook del parco archeologico del Colosseo.

Copertina del libro “Archeologi. I maestri del passato” di Andrea Augenti

Archeologi. I maestri del passato. La storia dell’archeologia dalle origini ai nostri giorni, raccontata attraverso le vite di alcuni tra i più importanti studiosi: uomini e donne che hanno dato forma e sostanza alla disciplina, nel corso del tempo e in modi diversi. Da Johann Winckelmann, che getta le basi dell’archeologia come storia dell’arte, a Mortimer Wheeler, a cui si deve uno dei primi manuali di scavo; da Gertrude Bell, instancabile studiosa dell’Oriente, a Thomas Lawrence, militare e spia, ma anche archeologo con la passione del Medioevo e dei castelli dei crociati. E poi Rodolfo Lanciani, autore di una straordinaria mappa di Roma antica, Mary Leakey e le sue grandi scoperte sui nostri antenati, e molti altri ancora… Un viaggio nell’evoluzione del pensiero archeologico, nelle vicende, nelle menti e nelle emozioni dei personaggi che grazie al loro lavoro hanno scritto pagine fondamentali della storia. La scrittura chiara e scorrevole, assieme alle immagini degli scavi, degli oggetti e dei taccuini di appunti, permette al lettore di tuffarsi nel passato, per scoprire la meraviglia di un mestiere davvero affascinante.

Verona. In soprintendenza la giornata di studi “La Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella: una ricerca interdisciplinare” promossa dall’università di Verona sui risultati preliminari degli scavi archeologici diretti da Gianni De Zuccato che per “archeologiavocidalpassato.com” presenta e anticipa i temi del convegno, descrivendo anche la villa dallo scavo alla musealizzazione

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Veduta generale dell’area archeologica della Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella (foto graziano tavan)

negrar_villa-dei-mosaici_nuovo-logo“La Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella: una ricerca interdisciplinare”: è il titolo della giornata di studi promossi dall’università di Verona che si tiene lunedì 16 dicembre 2024, in sala Gazzola nella sede della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Verona Rovigo e Vicenza, in piazza San Fermo 3° a Verona, dedicata ai risultati preliminari degli scavi archeologici della Villa dei mosaici di Negrar di Valpolicella (Vr). La partecipazione è aperta a tutti gli interessati A seguire un brindisi con vino della Valpolicella, offerto dalle aziende agricole Benedetti “La Villa” e Franchini di Negrar. È Gianni De Zuccato, direttore dello scavo archeologico, come funzionario archeologo della Sabap di Verona, a presentare e anticipare ai lettori di archeologiavocidalpassato.com i temi del convegno. E con l’occasione ne approfitta per ripercorrere lo sviluppo della ricerca archeologica, dallo scavo alla presentazione dei risultati alla comunità, non solo scientifica, e per descrivere la villa come risulta dagli scavi nella sua articolazione tra la zona residenziale e l’area produttiva, nell’arco della “vita” della struttura tardo-antica.

“Il 16 dicembre 2024 – esordisce De Zuccato – ci sarà questa giornata di studio ospitata dalla soprintendenza di Verona, in piazza San Fermo, e organizzata dall’università di Verona – dipartimento Culture e Civiltà, per un aggiornamento delle ricerche sulla villa romana tardo-antica di Negrar di Valpolicella. L’idea di fare una giornata è nata perché abbiamo sentito l’esigenza di informare la popolazione in generale, ma anche tutti coloro che avevano seguito le varie vicende, lo scavo, o avevano fatto una visita a Negrar, e comunque gli studiosi interessati per informarli sullo stato di avanzamento delle ricerche. Non è una giornata conclusiva delle ricerche, delle indagini sulla villa di Negrar, perché i lavori – soprattutto la parte dello studio – è tuttora in corso. Abbiamo però sentito il bisogno di mettere al corrente di quello che stiamo facendo. Ci sono parecchi gruppi di lavoro che fanno capo a specialisti delle diverse materie, e abbiamo sentito l’esigenza di informare le persone. Perché è facile pensare, per chi non è addetto ai lavori, che concluso lo scavo tutto sia finito, e l’unica cosa che rimane da fare sia quella di creare un’area archeologica. Non è così. Per far parlare i resti che sono stati trovati è importante lo studio, l’analisi di quello che si è rinvenuto. E al di là degli studi ormai classici che riguardano gli scavi archeologici – quindi lo studio dei materiali nelle varie classi di ceramica, metalli, pietra, ecc. -, al giorno d’oggi si fanno ormai di routine delle indagini che fino a pochi anni fa non erano possibili per i costi e che adesso per fortuna sono stati molto ridotti: mi riferisco non solo alla datazione attraverso il Radio Carbonio 14, ma anche ad altri tipi di analisi, come gli isotopi, che permettono di determinare o almeno di chiarire altri aspetti come la paleo-dieta (in riferimento alle sepolture a inumazione) ma anche la provenienza degli individui che sono stati sepolti nell’area. E poi tutto quello che riguarda la paleobotanica, con l’individuazione di quelli che gli archeologi chiamano i macro resti, cioè semi, resti vegetali in generale: quindi determinazione di questi, ma anche oltre. Ad esempio l’università di Verona, con la professoressa Diana Bellin, sta conducendo delle indagini per tentare di ricomporre il DNA dei vinaccioli rinvenuti in uno degli scarichi della villa per vedere se quei vinaccioli siano riconducibili a vigneti, a tipi di vigne dell’epoca ma che siano le progenitrici anche delle vigne oggi presenti in Valpolicella. Rimane poi sullo sfondo, ma è naturalmente molto importante, la ricerca sulla presenza della lavorazione delle uve e quindi la produzione del vino perché naturalmente siamo in Valpolicella, e quindi la ricerca è stata anche indirizzata in questo senso e ha avuto dei buoni risultati, che non anticipo”.

“Le ricerche a Negrar – ricorda De Zuccato – sono ricominciate intorno al 2016 con ricognizioni sul campo, ma le prime trincee esplorative sono state fatte nel 2019, e lo scavo stratigrafico è cominciato nel 2020 dopo che avevamo individuato con le trincee sia i resti scavati nel 1922 da Tina Campanile ma anche dei resti nuovi che nessuno aveva mai trovato (vedi Negrar di Valpolicella (Verona). A meno di un anno dalla ri-scoperta della Villa dei Mosaici, una villa rustica a carattere residenziale e produttivo di media età imperiale (III sec. d.C.), Comune Soprintendenza e Aziende vitivinicole siglano un patto per lo scavo, la musealizzazione e la valorizzazione del sito immerso tra i vigneti: archeologia e vino, due eccellenze in sinergia. Il ministro Franceschini: “Modello di rapporto pubblico-privato da esportare” | archeologiavocidalpassato).

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Archeologi e operatori riportano alla luce di mosaici pavimentali della villa rustica romana di Negrar di Valpolicella, poi chiamata Villa dei Mosaici (foto comune di negrar)

Purtroppo c’è stato il Covid, che ci ha ostacolato gli scavi – come ha ostacolato un po’ tutto – per cui abbiamo dovuto sospendere per un po’ di tempo. Era tutto molto difficile. Però in un paio di anni siamo riusciti a portare quasi a termine questa impresa, cioè lo scavo diciamo di tutta l’area. In realtà che non sia tutta l’area qualche dubbio ce l’abbiamo. Ma comunque è quasi tutta l’area della villa. A differenza di altre ville tardo-antiche famose, senza andare lontanissimo penso a Desenzano però si potrebbe arrivare anche a Piazza Armerina alla Villa del Casale, che sono organizzate più a padiglioni, la villa di Negrar si presenta come un corpo unico, una specie di monoblocco con qualche estensione, tipo l’area delle terme.

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I resti della fontana al centro del cortile-giardino della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)

È tutto un blocco che ruota attorno al peristilio, cioè a un cortile-giardino centrale circondato da un colonnato che aveva una fontana al centro. Sicuramente era molto bello, avrà avuto piante e fiori. Questa parte l’abbiano scavata quasi tutta. Abbiamo individuato dei resti che vanno oltre i limiti dello scavo attuale sia a Nord sotto la strada asfaltata, sia a Est verso la valle dove abbiamo individuato i limiti di un muro che forse circondava un’area aperta o semiaperta che però non abbiamo potuto scavare perché è fuori dalla proprietà disponibile per gli scavi. E anche verso Sud ci sono dei muri che proseguono sotto al vigneto. Insomma, non posso dire che l’abbiano scavata tutta!

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Dettaglio del peristilio ovest della Villa dei Mosaici di Negrar con i mosaici policromi e una base di colonna del porticato (foto graziano tavan)

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Pianta schematica della Villa dei Mosaici di Negrar a cura della Sabap di Verona, con evidenziate le aree mosaicate (residenziali) e quelle lastricate (produttive) (foto graziano tavan)

“Comunque – continua De Zuccato – quello che oggi si può vedere se uno va a visitare il sito, anche in condizioni ancora di cantiere, perché i resti sono stati coperti e protetti con delle coperture che mi auguro siano provvisorie benché siano state efficaci in questi anni in cui i resti sono stati portati alla luce, sono dei ruderi, certamente. La prima cosa che secondo me balza agli occhi è la quantità di resti di mosaici presenti e che ci hanno fatto dare alla villa il nome di villa dei mosaici, perché è un po’ ciò che la caratterizza. Intorno al cortile-giardino c’è un corridoio, un po’ l’antenato del chiostro delle chiede medievali, e su questo chiostro si affacciavano vari ambienti. La villa è suddivisa tra una parte residenziale verso Est, e una parte produttiva verso Ovest, separate da un muro. Probabilmente erano collegate anche tra di loro però sono anche nettamente separate.

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Villa dei Mosaici di Negrar: l’ambiente absidato dei cosiddetti “appartamenti” (foto comune di negrar)

“La parte che era stata scoperta 100 anni fa e che abbiamo riportato alla luce – sottolinea De Zuccato – è la parte di rappresentanza, la parte bella, quella dove il padrone della villa, il dominus, riceveva i suoi amici, e probabilmente li riceveva anche organizzando pranzi o cene. C’era una grande sala, la sala dei ricevimenti e dei banchetti. Ai due lati, due coppie di stanze, che noi identifichiamo come appartamenti, che probabilmente ospitavano anche la camera da letto dei padroni, dei proprietari. Una situazione analoga a questa doveva esistere anche sul lato settentrionale che purtroppo è stato pesantemente danneggiato nel 1974 dallo scavo per la costruzione di una casa. È stata purtroppo distrutta l’aula principale, l’aula absidata. Queste aule, infatti, avevano la caratteristica nell’età tardo-antica, cioè IV-V secolo, di avere un muro tondeggiante come appunto l’abside delle chiese soprattutto medievali. Quest’aula è stata distrutta completamente. Sono rimasti degli ambienti, che anche qui chiamiamo appartamenti, ai lati di quest’aula. Uno conserva quasi integro un mosaico. Un altro è un ambiente molto particolare. Non sappiamo esattamente cosa fosse, ma la particolarità di questo ambiente è che al centro ha una piccola vasca a sette lati, ettagonale. E dall’altro ci sono i resti di una delle due stanze, pavimentata a mosaico anche questa, mentre un’altra era già stata danneggiata in antico. Sulla sala con vasca ettagonale stiamo ancora approfondendo le indagini perché la presenza di questa strana forma del catino della vasca ci indurrebbe a pensare a un possibile battistero. Però il discorso è ancora in sospeso.

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Il quartiere termale della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)

“Poi c’è il settore termale lì vicino, a Nord-Est – descrive De Zuccato -. Un settore ampio, articolato. C’è lo spogliatoio, un grande frigidarium; il calidarium; il tepidarium. C’è una piccola saletta, forse un laconicum una sudatio. C’è il prefurnio. C’è la vasca per i bagni in acqua fredda. Insomma è un settore molto affascinante. Sul lato Est ci sono delle altre stanze, mentre non ci sono stanze sul lato Ovest che confina col settore produttivo.

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La foto originale del 1922 rappresentante il mosaico della Sala A della villa romana di Negrar (foto archivio sabap-vr)

“Due parole sui mosaici che si possono vedere. A parte quelli che erano conosciuti attraverso le foto in bianco e nero della Campanile e attraverso i frammenti che erano stati strappati ancora nell’800 e portati al museo Archeologico al Teatro Romano, abbiamo trovato un altro pavimento a mosaico sul lato Est, un mosaico abbastanza semplice però ugualmente interessante. Il lato Est conserva anche una scalinata in pietra, perché la villa era disposta su terrazze per seguire un po’ il declivio naturale della collina.

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Veduta d’insieme dei mosaici policromi del peristilio ovest della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)

“Il mosaico più bello – spiega De Zuccato – è sicuramente quello che è conservato sul lato Ovest del peristilio e che presenta una serie di tondi che racchiudono delle figure, anche di persone: una figura femminile, un volto femminile, un volto maschile, un busto maschile; degli oggetti, vasi. Un canestro di frutta; degli animali, uccelli. Anche il telaio del disegno di questi tondi figurati è interessantissimo perché ha delle soluzioni che suggeriscono una profondità spaziale, una profondità di volume al mosaico. È una cosa particolarissima. Gli specialisti dicono che al momento è un unicum”.

“Per quello che riguarda invece la parte produttiva – continua De Zuccato -, l’altra caratteristica che ne fa anche qui un unicum, è la presenza di una grande struttura articolata in tre ambienti: al centro un ambiente scoperto e ai lati due ambienti coperti. Ma la caratteristica che ne fa appunto una cosa unica è la pavimentazione in lastre di pietra: dovrebbe trattarsi di un grandissimo magazzino, lungo una trentina di metri. Ci siamo chiesti che cosa potesse contenere questo magazzino, a cosa potesse servire, oltre alla raccolta delle normali produzioni, normali derrate, che venivano dalla proprietà, da quel fundus, dai terreni che stavano attorno alla villa. Abbiamo fatto anche qui una serie di analisi che hanno evidenziato quasi ovunque il contatto con mosto e con vino. A fianco di quest’area c’è una grande piattaforma che ospitava uno spazio con una vasca per la produzione del mosto calcatorium, insomma il mosto che veniva prodotto schiacciando l’uva coi piedi. Però abbiamo trovato anche due grossi contrappesi per il torchio meccanico, perciò anche questi dovevano essere presenti in sede. Poi abbiamo trovato un po’ dappertutto i resti di lastre che servivano a sorreggere le lastre laterali. Un po’ come le fontane che sono tuttora presenti in Valpolicella. Solo che in questo caso dovevano contenere mosto e vino. Quello che non abbiamo trovato, e che inizialmente credevamo di trovare, erano questi grandi contenitori per il mosto e per il vino che vediamo seminterrati nelle ville del Centro-Sud d’Italia, i cosiddetti dolia de fossa. Qui invece non ci sono. Ma non ci sono perché qui a Negrar, come in altre situazioni nel Nord Italia e anche nel resto dell’Europa, il mosto e il vino venivano già allora raccolti in botti di legno che si prestavano meglio anche per il trasporto, con i carri via strada, o con il trasporto fluviale. Un po’ come le botti che sono raffigurate sulla famosa stele di Tenazio Essimno, trovata qualche anno fa a Passau (antica Batavium, ndr) in Baviera (e oggi conservata all’Oberhaus Museum di Passau, ndr), che ricorda appunto questo personaggio nativo di Trento, il cui nome però lo dichiara originario della Valpolicella, un commerciante di vini. E lui nel suo monumento funerario si è fatto raffigurare appunto al fianco di una catasta di piccole botti, delle botticelle, con cui sicuramente trasportava il vino.

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Veduta d’insieme dell’area produttiva della Villa dei Mosaici di Negrar (foto graziano tavan)

“Altre situazioni particolari di quest’area produttiva, di cui si parlerà estesamente nella giornata del 16 dicembre, sono una serie di ambienti che forse facevano parte di una prima sistemazione della villa. Ci stiamo chiedendo se questa grande struttura, questo grande magazzino in lastre non sia stato realizzato quando una parte della villa viveva già. E quindi la suggestione è che questo magazzino potesse servire per la produzione certamente del vino ma magari anche per l’appassimento delle uve secondo la tradizione che è riconducibile a Cassiodoro e che potrebbe farne uno dei luoghi di produzione di quell’acinaticium (acinatico) nella sua lettera al re Teodorico. Ci stiamo lavorando – conclude De Zuccato – soprattutto per quello che riguarda la datazione, perché vorrebbe dire che questa produzione vitivinicola è durata parecchio nella villa, forse anche oltre il limite della vita della villa stessa come tale”.

“La vita della villa con i resti così come li vediamo oggi – spiega De Zuccato – forse termina poco dopo la fine dell’Impero romano. Pensiamo che la villa sia vissuta per tutto il V secolo, anche se non è proprio semplice stabilire dei confini cronologici tra un’epoca e l’altra. Però abbiamo trovato tracce notevoli di quella che noi abbiamo chiamato, in una delle sessioni del convegno, Dopo la villa, perché c’è una frequentazione chiara, diffusa anche dell’area della villa e di quelle che probabilmente erano le strutture sicuramente in parte ancora in piedi, ancora in discreto stato, e in parte forse integrate da strutture nuove fatte con materiali di demolizione, di recupero dei muri della villa. E poi andando avanti nel tempo, con il proseguire della decadenza di queste strutture e delle demolizioni, si arriva anche al VII, l’VIII secolo, forse anche al IX secolo. Quindi siamo in età contemporanea alla presenza di Teodorico, dei Goti, e poi dei Longobardi. Questo è sicuro per il fatto che sono presenti alcune sepolture fatte all’interno delle strutture della villa. Sepolture povere, soprattutto di bambini, che sono state datate tra il VII e l’VIII secolo. Ma la cosa interessante è che sul limite delle strutture della villa abbiamo trovato anche due tombe di età longobarda. Una di queste due tombe è riferibile a una principessa (?), una nobildonna sicuramente perché aveva tre bracciali, due dei quali molto belli, bracciali tipicamente longobardi a tamponi, e uno in ferro. Nell’altra tomba invece c’erano vari inumati. È stata una tomba utilizzata più volte, una tomba multipla, e anche qui con i segni della cultura longobarda, i caratteristici pettini in osso, delle perle in pasta vitrea. Ciò vuol dire che la villa ha continuato a vivere per un bel po’ di tempo. Tutto questo è oggetto di studio. Anche le tracce delle abitazioni realizzate tra i resti della villa sono interessanti: in parte sono state realizzate con materiali di spoglio, ma in parte sono state realizzate con strutture di legno, perché ci sono i buchi nei pavimenti che testimoniano questi impianti. Di questa fase abbiamo trovato una grande abbondanza di materiali ceramici, come stoviglie da cucina, materiali insomma di uso comune, cosa che invece abbiamo trovato in maniera scarsissima per quello che riguarda la villa in età romana. Lì c’è una povertà assoluta forse proprio perché la villa è stata spogliata intenzionalmente prima di essere abbandonata”.

verona_sabap_convegno-villa-di-mosaici-di-negrar_presentazione_locandinaIL PROGRAMMA DELLA GIORNATA DI STUDIO LUNEDÌ 16 DICEMBRE 2024. Alle 9.30 Saluti istituzionali: Andrea Rosignoli (soprintendente ABAP per le province di Verona Rovigo, Vicenza), Paolo De Paolis (direttore dipartimento di Culture e Civiltà – università di Verona); Fausto Rossignoli (sindaco di Negrar di Valpolicella). INTRODUZIONE Alle 10, Vincenzo Tinè (soprintendente ABAP VE-Met), “Il progetto di studio e la valorizzazione”. SESSIONE 1: LA VILLA Presiede Francesca Ghedini (università di Padova) Alle 10.15, Patrizia Basso, Nicola Delbarba (università di Verona), Gianni de Zuccato (già soprintendenza ABAP Verona Rovigo, Vicenza), “La villa: considerazioni planimetriche e funzionali”; 10.45, Federica Rinaldi (parco archeologico del Colosseo), “I rivestimenti pavimentali: decorazione, funzione e cronologia”; 11, pausa caffè; 11.15, Monica Salvadori (università di Padova), Katia Boldo, Simone Dilaria, Anna Favero, Federica Stella Mosimann, Clelia Sbrolli, “Approcci multidisciplinari per la conoscenza della pittura parietale in contesto: il caso della villa di Negrar”; 11.30, Diana Dobreva, Anna Nicolussi (università di Verona), “Note preliminari sulla ceramica tardoantica della villa: osservazioni cronologiche, tipologiche e archeometriche”; 11.45, Dario Calomino (università di Verona), “Il quadro dei ritrovamenti monetali”. SESSIONE 2: DOPO LA VILLA Presiede Andrea Augenti (università di Bologna) Alle 12, Fabio Saggioro, Nicola Mancassola (università di Verona), Alberto Manicardi (SAP), “Le fasi di frequentazione altomedievale”; 12.30, Nicola Mancassola (università di Verona), “Le ceramiche da cucina altomedievali”; 12.45, pausa pranzo; 14.15, Laura Bonfanti, Irene Dori (università di Firenze), Alessandra Varalli (Aix-Marseille Université, CNRS, Ministère de la Culture, LAMPEA), “Gli inumati altomedievali: i risultati delle analisi bioarchaeologiche e isotopiche”; 14.30, Elisa Possenti (università di Trento), Lisa Martinelli (università di Udine), “I reperti metallici e in osso lavorato di età medievale”. SESSIONE 3 APPROCCI ANALITICI Presiede Jacopo Bonetto (università di Padova) Alle 14.45 Gianfranco Valle (geoarcheologo professionista), “Studio geomorfologico e ricostruzione ambientale”; 15, Valeria Luciani, Elena Marrocchino, Michele Zuccotto (università di Ferrara), “Caratterizzazione in sezione sottile di materiali lapidei”; 15.15, pausa caffè; 15.30, Elena Marrocchino, Michele Sempreboni (università di Ferrara), “Prime analisi sui leganti”; 15.45, Silvia Bandera (università di Verona), “Analisi dei resti faunistici”; 16, Marco Marchesini, Madalina Daniela Ghereg, Silvia Marvelli, Anna Chiara Muscogiuri, Elisabetta Rizzoli (Laboratorio di Palinologia e Archeobotanica C.A.A. Nicoli), “Vegetazione, viticoltura e alimentazione attraverso le analisi archeobotaniche”; 16.30, dibattito.

 

 

Verona. Alla Gran Guardia la conferenza, in presenza e on line, “100 anni del Museo Archeologico al Teatro Romano 1924-2024”: dal processo di formazione delle collezioni all’istituzione del museo Archeologico nel 1924 fino al nuovo allestimento inaugurato nel 2016

verona_gran-guardia_conferenza-100-anni-del-Museo-Archeologico-al-Teatro-Romano_locandinaCadeva l’anno 1924 quando a Verona il museo Archeologico al Teatro Romano apriva ufficialmente le porte al pubblico. Nell’anno del centenario, martedì 10 dicembre 2024, alle 17, nella sala Convegni della Gran Guardia, si terrà la quinta conferenza dei Musei Civici 2024 – 2025 con il titolo “100 anni del Museo Archeologico al Teatro Romano 1924-2024”: l’accesso è libero e consentito fino ad esaurimento dei posti disponibili. È possibile seguire l’incontro anche in diretta streaming sul canale YouTube https://www.youtube.com/@imuv-imuseidiverona. Durante l’incontro, in apertura, i saluti di benvenuto dell’assessore alla Cultura Marta Ugolini. Seguiranno gli interventi di Francesca Rossi, direttrice dei Musei Civici di Verona; Andrea Rosignoli, soprintendente Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Verona Rovigo e Vicenza; Margherita Bolla, già curatrice del museo Archeologico al Teatro Romano e del museo Maffeiano; Andrea Augenti, professore ordinario università di Bologna, coordinatore del Corso di Dottorato in Scienze storiche e archeologiche. Memoria, civiltà e patrimonio.

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L’ex convento di San Girolamo dei Gesuati, sopra il teatro romano di Verona, sede del museo civico Archeologico al Teatro romano (foto imuv)

Il museo Archeologico al Teatro Romano è stato inaugurato il 10 marzo 1924. Questa data segna il momento in cui viene ufficializzato il distacco delle collezioni archeologiche dall’originario Museo Civico che le conteneva ed esponeva a Palazzo Pompei, già dal 1854. Alla fine dell’Ottocento in questa sede si erano accumulati i dipinti e le sculture, le raccolte naturalistiche, i reperti archeologici e una grande quantità di oggetti recuperati tra il 1890-1892 nel corso dei cosiddetti scavi d’Adige. La sede naturale, che venne individuata per ospitare le collezioni archeologiche, fu il convento del XV secolo di San Gerolamo dei Gesuati, che insisteva sul teatro sorto alla fine del I secolo a.C. sul fianco del colle di San Pietro. L’esistenza del teatro era nota, così come la sua ricostruzione, attraverso i disegni degli artisti del Rinascimento. L’edificio però ritornò ad essere visibile solo nel 1815 quando per caso emersero alcuni gradini della cavea; il resto era in parte interrato, in parte coperto dalle costruzioni civili ed ecclesiastiche sorte nei secoli. Furono l’impegno e la determinazione di Andrea Monga, esponente della borghesia veronese e uomo alla ricerca di un sogno, che permisero di riportare alla luce buona parte dell’edificio nell’arco di circa dieci anni a partire dal 1834.

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L’area del teatro romano di Verona prima dei lavori del Monga (foto imuv)

Agli inizi del Novecento era matura a Verona la coscienza collettiva di appropriazione pubblica di un luogo così rilevante della città antica. Lo scavo archeologico si protrasse con interventi non continuativi fino al 1939, ma già nel 1923 l’allora direttore del Museo Civico, Antonio Avena, provvide a trasferire all’interno del convento dei Gesuati i materiali archeologici, compresi quelli di età preistorica e protostorica. Il criterio di allestimento, in coerenza con la sua personale inclinazione alla scenografia, mirava a realizzare un museo-giardino di aspetto romantico. Tale scopo fu perseguito con il reimpiego di materiali da altri siti e con la distribuzione fra piante e vigneti di colonne ricostruite, capitelli, sculture e blocchi funerari.

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Il teatro romano di Verona affacciato sull’Adige ospita gli spettacoli dell’Estate Teatrale Veronese (foto comune verona)

Ad Avena per primo è da attribuire l’idea di utilizzare il teatro per gli spettacoli moderni e nel 1948, in effetti, iniziò l’Estate Teatrale Veronese che costituisce un appuntamento fisso per veronesi e turisti. Nel lungo periodo fra la sua riapertura dopo la guerra e il riallestimento inaugurato nel 2016, nel teatro e nel museo sono stati necessari numerosi interventi di tipo conservativo, dovuti anche alla specificità della loro collocazione. I lavori recenti hanno voluto ampliare lo spazio espositivo e rinnovare integralmente l’allestimento.

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Il chiostro del museo Archeologico al Teatro Romano di Verona (foto MATR)

In occasione della ricorrenza del centenario, verrà ripercorso il processo di formazione delle collezioni e dell’istituzione del museo Archeologico nel 1924. Si proporrà un confronto tra l’allestimento di Antonio Avena e il nuovo allestimento inaugurato nel 2016. Saranno inoltre illustrate le attività di ricerca che hanno avuto come esito la catalogazione e la pubblicazione delle raccolte, oltre alla divulgazione della loro conoscenza attraverso mostre tematiche tenute nel museo stesso. Saranno considerati anche gli interventi di tutela e conservazione del Teatro nel contesto del colle di San Pietro, le relazioni del museo con la rete museale cittadina e, infine, le prospettive di sviluppo del progetto culturale del museo per soddisfare le esigenze in costante divenire dei diversi pubblici e più in generale della società contemporanea.

Archivissima ‘24. In sala Binario 3 di Torino, per OGR Talks, presentazione del libro “Mondo nuovo. Viaggio alle origini della Magna Grecia” di Massimo Osanna in dialogo con Andrea Augenti

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Da Sibari a Taranto, da Metaponto a Policoro, passando per Torre di Satriano e Potenza: venerdì 7 giugno 2024, alle 18.30, in sala Binario 3 – OGR, via Castelfidardo a Torino, in occasione di Archivissima, e in collaborazione con Rizzoli, per OGR Talks presentazione del nuovo libro di Massimo Osanna “Mondo nuovo. Viaggio alle origini della Magna Grecia” (Rizzoli), un viaggio alla scoperta delle radici storiche e culturali della Magna Grecia attraverso la penna ispirata di uno dei più autorevoli archeologi italiani. Osanna, direttore generale Musei del ministero della Cultura, dialoga con l’archeologo Andrea Augenti dell’università di Bologna. Modera Francesco Rigatelli, giornalista de La Stampa. Ingresso gratuito, prenotazioni disponibili.

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Copertina del libro “Mondo nuovo. Viaggio alle origini della Magna Grecia” di Massimo Osanna (Rizzoli)

Mondo nuovo. Viaggio alle origini della Magna Grecia. Questo è un libro di storie. Riguarda vicende di alcune antiche genti che hanno vissuto nel I millennio a.C. nei territori della Magna Grecia. È una storia di mobilità e incontri, perché per tutti, Greci e Italici, la rete di connessioni e il rapporto con gli altri sono stati la cifra esistenziale più rilevante della vita quotidiana. È questo il “mondo nuovo” che dà il titolo al saggio di Massimo Osanna: un paesaggio dell’incontro che solo l’archeologia può aiutarci a riscoprire, restituendo voce a oggetti e strutture di per sé muti, raccontando chi li ha realizzati, usati, trasformati in memoria o distrutti. Reperti “capaci di narrare le storie di uomini e di popoli che in questa terra si sono incontrati, affrontati, amalgamati in un processo dinamico e senza soluzione di continuità”. Attraverso un viaggio in parchi archeologici e musei più o meno noti del nostro Meridione (da Sibari a Taranto, da Metaponto a Paestum, passando per Crotone, Venosa, Caulonia), Osanna illumina il rapporto tra Greci e non Greci, mai univoco né scontato; ridefinisce l’idea stessa della colonizzazione per come la immaginiamo comunemente, spostando l’accento sui fenomeni di ibridazione che in Magna Grecia sono stati frequenti e articolati. Un lavoro avvincente sulla memoria degli oggetti (materialità dei contatti), dei luoghi (i paesaggi dell’intreccio), sulla memoria dei morti (quello che le tombe ci dicono), perché l’archeologia è fondamentale per ricostruire le storie non raccontate dalla Storia (il rumore di fondo dei frammenti, vivo e parlante).

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Massimo Osanna, direttore generale dei Musei (foto ogr)

Massimo Osanna è professore ordinario di Archeologia classica all’università di Napoli “Federico II”. Ha insegnato nell’università della Basilicata, a Matera, dove ha diretto la Scuola di Specializzazione in Beni archeologici; è stato visiting professor in prestigiosi atenei europei e ha promosso scavi e ricerche in Italia meridionale, Grecia, Francia. Dal 2014 al 2015 ha diretto la soprintendenza speciale di Pompei; è stato direttore generale del parco archeologico dal 2016 al 2021, e nel 2020 è stato nominato direttore generale dei Musei del ministero della Cultura.

Torino. Al museo Egizio per “Dialoghi di Archeologia” Daniela Frangipane dialoga con il direttore Christian Greco e Andrea Augenti sul loro libro “Un frammento alla volta. Dieci lezioni dall’Archeologia” (Il Mulino). In presenza e on line

torino_egizio_dialoghi-di-archeologia_libro-un-frammento-alla-volta_frangipane_locandinaAl museo Egizio di Torino nuovo appuntamento con la serie di incontri “Dialoghi di Archeologia”. Giovedì 28 marzo 2024, alle 18, l’autrice Daniela Frangipane dialogherà con Andrea Augenti e Christian Greco sul suo libro “Un frammento alla volta. Dieci lezioni dall’Archeologia”, edito da Il Mulino. L’evento si tiene nella sala Conferenze del Museo e l’ingresso è libero con prenotazione obbligatoria su Eventbrite: https://www.eventbrite.it/…/marcella-frangipane-un…. L’incontro sarà trasmesso anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio. Frammenti di vita quotidiana, tracce di rituali religiosi, di attività economiche e di relazioni tra persone e con l’ambiente: gli oggetti portano il segno di quanto avvenuto nel tempo in cui furono creati e delle loro funzioni all’interno della comunità. Come schegge di uno specchio ci restituiscono l’immagine di quello che siamo stati e ci aiutano a dar forma al passato. Per riannodare i fili di questi mondi lontani e poco riconoscibili è necessario un lavoro lungo anni. Oltre quaranta sono quelli che Marcella Frangipane ha trascorso sul sito di Arslantepe in Anatolia, dove sorge il palazzo pubblico più antico del mondo: un viaggio nel tempo – che risale al V millennio a.C. e oltre – e nello spazio – esteso a tutto il territorio della Mezzaluna fertile – alla scoperta delle prime civiltà umane e di quei fenomeni politici e sociali che ancora regolano le nostre vite. Dieci lezioni dall’archeologia dei tempi più antichi per capire come siamo arrivati fin qui e come potrebbe essere il nostro domani.

Torino. Al museo Egizio per “Dialoghi di Archeologia” Daniele Manacorda e Mirco Modolo dialogano con il direttore Christian Greco e Andrea Augenti sul loro libro “Le immagini del patrimonio culturale. Un’eredità condivisa?” (Pacini editore). In presenza e on line

torino_egizio_dialoghi-di-archeologia_le-immagini-del-patrimonio-culturale_manacorda-modolo_locandinaAl museo Egizio di Torino nuovo appuntamento con la serie di incontri “Dialoghi di Archeologia”. Giovedì 18 gennaio 2024, alle 18, gli autori Daniele Manacorda e Mirco Modolo, insieme a Christian Greco, dialogheranno con Andrea Augenti sul loro libro “Le immagini del patrimonio culturale. Un’eredità condivisa?”, edito da Pacini Editore. L’evento si tiene nella sala Conferenze del Museo e l’ingresso è libero con prenotazione obbligatoria su Eventbrite: https://www.eventbrite.it/…/biglietti-le-immagini-del… L’incontro sarà trasmesso anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio. Durante la serata sarà possibile acquistare il volume oggetto dell’incontro. Le riforme del Codice dei beni culturali avviate nell’ultimo decennio hanno generato un ampio confronto, non solo fra gli addetti ai lavori. In particolare la liberalizzazione dell’uso delle immagini del patrimonio culturale pubblico per fini di studio, ricerca e libera manifestazione del pensiero, introdotta nel 2014 (c.d. Art bonus), ha suscitato una presa di coscienza dell’importanza della percezione della pubblicità del patrimonio da parte della popolazione italiana. Il dibattito si è quindi esteso a considerare l’ipotesi di libero riutilizzo delle riproduzioni di beni culturali, anche per quelle finalità commerciali rimaste sinora escluse dal regime di liberalizzazione. Al centro di questo libro, nel quale sono pubblicati gli atti dell’omonimo convegno promosso dalla Fondazione Aglaia (Firenze, 11/06/2022), si collocano interrogativi di stringente attualità: ha senso oggi porre limiti, in piena era digitale, alla diffusione delle immagini del patrimonio culturale pubblico? Come impedire l’uso di un bene immateriale che appartiene a tutti? E, soprattutto, perché?

Torino. Al museo Egizio conferenza internazionale “Im/materialities: Museums between Real and Digital”, in presenza e on line: quattro giorni per approfondire aspetti che ruotano attorno alla conservazione, allo studio, all’ampia tecnologia messa a disposizione delle collezioni, alcuni dei principali temi sviluppati e proposti dalla mostra temporanea “Archeologia Invisibile”, inaugurata a marzo 2019

torino_egizio_conferenza-internazionale-immaterialities_locandinaDal 28 novembre al 1° dicembre 2023 studiosi e studiose da tutto il mondo saranno al museo Egizio di Torino nella conferenza internazionale “Im/materialities: Museums between Real and Digital” a cura di Christian Greco, Maria Elena Colombo, Enrico Ferraris, Paolo Del Vesco. La conferenza era programmata per marzo 2020 e approfondisce alcuni dei principali temi sviluppati e proposti dalla mostra temporanea “Archeologia Invisibile”, inaugurata a marzo 2019, che ha esplorato gli oggetti e le loro storie uniche, biografie i cui indizi sono in gran parte condensati nei materiali di cui sono fatti. Restano pochissimi biglietti per i posti in presenza (vedi Museo Egizio di Torino: il nuovo anno porta la proroga di sei mesi della mostra “Archeologia invisibile” che mette al centro i temi della ricerca e dell’interdisciplinarietà per addentrarsi nella biografia dei reperti egittologici. Sul sito del museo la novità del Virtual tour in 3D | archeologiavocidalpassato). Chi fosse interessato può scrivere a Virginia Cimino: virginia.cimino@museoegizio.it. Oratori di spicco illumineranno la discussione il 28 novembre 2023, tra cui Guido Tonelli (CERN), Maurizio Ferraris (università di Torino), Andrea Augenti (università di Bologna), David Pantalony (Ingenium), Paolo Del Vesco (museo Egizio), Luca Ciabarri (università di Milano), Stuart Walker (Manchester Metropolitan University), Enrico Giannichedda (università Cattolica del Sacro Cuore). La conferenza sarà in lingua inglese e potrà essere seguita anche in diretta e, più tardi, in differita su Facebook Youtube, offrendo a un pubblico globale l’opportunità di interagire su questi temi.

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La locandina della mostra “Archeologia invisibile” al museo Egizio di Torino

Con più di 40 istituzioni scientifiche coinvolte nel progetto, la mostra ha sottolineato la crescente collaborazione tra Egittologia e Scienze Naturali nello studio dei reperti archeologici e come l’archeometria (sempre più utilizzata dal museo Egizio come metodo standard per indagare gli oggetti) stia cambiando il modo in cui una collezione può essere esplorata, conservata e, infine, presentata ai visitatori. Naturalmente, l’archeometria fornisce informazioni sulla materialità di oggetti che altrimenti sarebbero inaccessibili e invisibili ad occhio nudo, e questo permette ai ricercatori di colmare le lacune su ciò che non si sa della storia/biografia degli oggetti (chi li ha realizzati, perché, quando, dove, con quali materiali ecc.) per definire, ad esempio, i modi migliori per conservarli. L’apertura a discipline esterne all’egittologia è ormai un presupposto indispensabile per dibattere questi argomenti. Da qui il desiderio di coinvolgere alla conferenza molte persone provenienti da contesti diversi, tra cui antropologi fisici e culturali, filosofi, sociologi, archeologi, paleopatologi, storici, scienziati del patrimonio, curatori di musei, museologi e specialisti di intelligenza artificiale. La conferenza si articolerà in sei sezioni.

IM/MATERIALE: 28 novembre 2023. Questa sezione affronta in particolare le principali sfide e opportunità che la grande mole di dati generati dall’imaging e dall’analisi archeometrica rappresentano per la pratica museale nel XXI secolo. Da un lato, le tecnologie digitali consentono di valorizzare la tradizionale pratica museale di copiare gli originali in termini di complessità, durabilità, interazione e diffusione; dall’altro prevedono negli oggetti digitali (descrizioni data-driven di oggetti reali che riassemblano tutti i dati scientifici in nuovi schemi digitali) l’emergere di una nuova forma di materialità, ovvero “una traiettoria di materialità che collega la nostra comprensione comune del digitale all’analogico, dell’informazione al materiale, del sistema alle strutture, della conoscenza alla forma” (Geismar 2018). I contributi metteranno anche in discussione la tradizionale esclusione della tecnologia dalla cultura, esplorando se, nelle pratiche museali, gli oggetti digitali possano essere finalmente intesi come esperienze culturali indipendenti e autentiche in dialogo con gli oggetti.

IN/VISIBILE: 29 novembre 2023. Le indagini scientifiche sugli oggetti antichi hanno portato a una maggiore comprensione della loro materialità, producendo nuove informazioni utili per la loro conservazione e per i loro significati storici. L’archeometria, infatti, restituisce un’immagine diversa ma complementare degli oggetti, attraverso la caratterizzazione e la ricostruzione della biografia dell’oggetto, analizzando le tracce naturali e artificiali lasciate durante la sua vita. In questa sezione scienziati ed egittologi, che hanno contribuito alla mostra con le loro ricerche, delineano il quadro teorico ed empirico presente e futuro della collaborazione tra Scienze Umane e Scienze Naturali.

IN/TANGIBILE: 29 novembre 2023. In questa sezione Filosofia, Sociologia, Archeologia, Antropologia Culturale, Scienze dei Materiali e Storia del Design mettono a confronto ricerche, metodi ed esperienze, per comporre un’introduzione transdisciplinare alla natura degli oggetti e, all’intersezione tra patrimonio materiale e immateriale, alla loro capacità di attivare (agency) e incorporare (object biography) le esperienze della cultura nel tempo.

DE/CODED: 30 novembre 2023. I contributi di questa sezione approfondiscono l’argomento precedente di esplorare come un ecosistema digitale stia catalizzando nuove e diverse forme di azione umana nell’ambiente culturale. La disponibilità senza precedenti di una tale quantità di dati e immagini di oggetti museali non ha senso senza l’analisi per sbloccare connessioni e conoscenze altrimenti fuori dalla portata delle sole capacità umane. Nel quadro generale della trasformazione digitale delle istituzioni culturali, un ambito che merita particolare attenzione è quello delle applicazioni dell’AI e dei Big Data nei campi della gestione delle collezioni e della ricerca scientifica e delle più recenti strategie per ottimizzare gli impatti digitali sull’engagement e la divulgazione museale.

UN/PERCEPITO: 30 novembre 2023. Questa sezione ripercorre il rapporto soggetto-oggetto, ma questa volta affronta alcune questioni riguardanti il primo. Quando si è sviluppato il nostro senso del tempo e della bellezza? Cosa succede alla mente quando ci troviamo di fronte a un oggetto antico o a un’opera d’arte? Quando le tecnologie digitali possono catalizzare o sconvolgere le esperienze culturali? Come può armonizzarsi la dicotomia tra reale e digitale in una percezione aumentata del mondo? Un dialogo tra Museologia e Neuroscienze esplorerà come le strategie museali potrebbero supportare nuove comprensioni del patrimonio culturale e, più in generale, nuove esperienze del mondo degli oggetti che ci circondano.

UN/CONNECTED: 30 novembre – 1° dicembre 2023. L’ultimo giorno del simposio porta il discorso sull’agenzia degli oggetti nel quadro più ampio di ciò che è diventato l’ecosistema museale digitale più di tre anni dopo lo scoppio della pandemia globale. Torneremo alla domanda su cosa rappresentino i musei, a chi si rivolgono e, soprattutto, come possano abbracciare e reindirizzare un cambiamento che non si limiti alla sola innovazione tecnologica, ma sia radicato nelle più ampie trasformazioni storiche, culturali e sociali che modellano il rapporto tra musei, società e media nel 21° secolo. In particolare, questa sezione esplora i nuovi significati e le nuove esigenze della curatela museale, soprattutto nel contesto della digitalizzazione delle collezioni, e i rischi che possono sorgere quando questa mediazione viene interpretata come un fatto puramente tecnico. Infine, si presta attenzione a come la comprensione dei comportamenti, dei bisogni e delle vulnerabilità del nuovo pubblico digitale sia fondamentale per costruire un ambiente digitale che sia reattivo alle persone e crei connessioni piuttosto che isolamento.

Ravenna. Al museo Classis aprono due nuove sezioni permanenti, “Abitare a Ravenna” e “Pregare a Ravenna”, su due aspetti cruciali della storia della città e del territorio: l’edilizia residenziale in età tardoantica e l’edilizia ecclesiastica

ravenna_classis_apertura-nuove-sezioni_locandinaIl momento tanto atteso e più volte annunciato è arrivato: venerdì 29 settembre 2023, alle 18, al Classis Ravenna – Museo della Città e del Territorio si inaugura “Abitare a Ravenna” e “Pregare a Ravenna”, due nuove sezioni permanenti curate da Andrea Augenti, Fabrizio Corbara, Giovanna Montevecchi e Giuseppe Sassatelli, dove protagonista assoluta sarà l’arte del mosaico. Ingresso libero. Attraverso i nuovi approfondimenti, il Museo Classis esplora e affronta due aspetti cruciali della storia della città e del territorio: l’edilizia residenziale in età tardoantica e l’edilizia ecclesiastica. Con questa importante implementazione, il museo si arricchisce di una documentazione scientifica di grande pregio, legata in particolare ai mosaici antichi, attorno ai quali ruota tutto il concept espositivo. “Questo nuovo allestimento”, dichiara il presidente di RavennAntica, Giuseppe Sassatelli, “ha reso possibile il restauro e la sistemazione delle nuove opere, consentendone la restituzione alla fruizione pubblica, da sempre al centro della mission di RavennAntica. Inoltre i reperti presentati, provenienti non solo da alcuni scavi della zona di Ravenna, ma anche da siti limitrofi, consentono al Classis Ravenna di rilanciarsi fortemente come museo della città e del territorio”.

Roma. Per “Dialoghi in Curia”, presentazione, in presenza in Curia Iulia e on line, il libro “Roma. Il racconto di due città” di Daniele Manacorda (Carocci editore). Prenotazione obbligatoria

Roma_curia-iulia_presentazione-libro-roma-il-racconto-di-due-città_di-daniele-manacorda_locandinaPer “Dialoghi in Curia”, giovedì 21 settembre 2023, alle 16.30, la Curia Iulia ospita la presentazione del libro “Roma. Il racconto di due città” di Daniele Manacorda, edito da Carocci editore. Introduce Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo; intervengono: Andrea Augenti, università di Bologna; Andrea Carandini, professore emerito Sapienza università di Roma; Elisabetta Pallottino, università Roma Tre. Sarà presente l’autore. Prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti su eventbrite https://21settembre_manacorda.eventbrite.it. L’incontro sarà trasmesso in diretta streaming dalla Curia Iulia sulla pagina FB del parco archeologico del Colosseo.

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Copertina del libro “Roma. Il racconto di due città” di Daniele Manacorda

“Roma. Il racconto di due città” di Daniele Manacorda. Nella sterminata produzione di libri su Roma, sulle sue vicende, il suo paesaggio, i suoi abitanti questo volume, che accompagna il lettore lungo tremila anni di storia urbana, inserisce un’ottica finora mai tentata: quella della tridimensionalità. Attraverso una visione archeologica della stratificazione urbana e delle modalità di accrescimento del suolo, l’autore propone una risposta originale a una domanda apparentemente insensata: quante Rome si sono succedute nel corso dei secoli? In quale città viviamo oggi quando percorriamo le vie del centro storico più vasto d’Italia? Roma infatti è certamente una ma al tempo stesso è plurale per la complessità delle sue vicende istituzionali e urbanistiche, che ne hanno via via mutato la dimensione e il volto dal solco di Romolo alla metropoli odierna. La prospettiva aperta in queste pagine individua una cerniera nella sua vita millenaria, una “morte” e una “rinascita”, stimolando riflessioni nuove sul tema antico del rapporto fra passato e presente nella città contemporanea.

Roma. Nella chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, conclusi i lavori di restauro del tetto crollato, presentazione – in presenza e on line – del libro “Carcer Tullianum. Il Mamertino al Foro Romano” a cura di Alfonsina Russo e Patrizia Fortini (L’Erma di Bretschneider)

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La chiesa di San Giuseppe dei Falegnami che insiste sul Carcer-Tullianum a Roma (foto PArCo)

La chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, già di San Giuseppe a Campo Vaccino, sorge alle pendici orientali del Campidoglio, in prossimità del Foro Romano e della chiesa dei Santi Luca e Martina. La chiesa originaria venne eretta al di sopra del Carcere Mamertino, a sua volta sovrastante il Tullianum. Si tratta di due ambienti sovrapposti che costituisco quello che per i Romani era il “carcer”: un ambiente di passaggio in attesa dell’esecuzione capitale dei condannati. In queste carceri perirono personaggi famosi come Giugurta, Vercingetorige, i partecipanti alla congiura di Catilina e secondo la tradizione vi furono rinchiusi anche San Pietro e San Paolo. Nel 1540 la Congregazione dei Falegnami aveva preso in affitto la chiesa di San Pietro in Carcere sopra il Carcere Mamertino per svolgere le proprie riunioni e funzioni religiose. Tuttavia, ben presto, data l’inadeguatezza dell’angusto edificio, la confraternita sentì l’esigenza di erigere una chiesa più ampia e accogliente. La chiesa fu consacrata l’11 novembre del 1663.

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Il soffitto cassettonato della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami dopo i restauri (foto PArCo)

Martedì 28 Marzo 2023, alle 11, nella chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, a 5 anni dal crollo del tetto e a conclusione dei lunghi lavori di ricostruzione e di restauro del cassettonato, sarà presentato il libro “Carcer Tullianum. Il Mamertino al Foro Romano” a cura di Alfonsina Russo e Patrizia Fortini (L’Erma di Bretschneider). Sono previste visite all’Oratorio, al museo e all’area archeologica. Saranno illustrate le più recenti indagini e la storia del complesso che si trova a ridosso delle pendici NE del Colle Capitolino, al di sotto della seicentesca chiesa di S. Giuseppe dei Falegnami con annesso Oratorio. Le strutture del Carcer Tullianum (“Carcere Mamertino” di comune memoria) costituiscono uno dei complessi monumentali di età repubblicana più rilevanti del Foro Romano (area del Comizio) e più cari alla fede cristiana perché legato alla figura di San Pietro. Connesso al sistema sostruttivo/difensivo del Campidoglio sin dall’età arcaica (le cosiddette “Mura Serviane”), il Carcer Tullianum, secondo quanto attestato dalle fonti classiche, fungeva da luogo di reclusione dei nemici di Roma condannati a morte ed era composto da due nuclei distinti, il Carcer ed il Tullianum (ambiente ipogeo). Introducono monsignor Remo Chiavarini, responsabile Opera Romana Pellegrinaggi; Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo. Intervengono monsignor Pasquale Iacobone, presidente della Pontificia commissione di Archeologia Sacra; Fulvio Cairoli Giuliani, accademico dei Lincei e professore emerito di Sapienza Università di Roma; Andrea Augenti; professore di Archeologia medievale all’università di Bologna. Conclude Patrizia Fortini, archeologa, già funzionaria del parco archeologico del Colosseo. Prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti su www.eventbrite.it. Ingresso da Clivo Argentario 1. Diretta streaming sul profilo Facebook del parco archeologico del Colosseo.

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Copertina del libro “Carcer Tullianum. Il Mamertino al Foro Romano” di Alfonsina Russo e Patrizia Fortini

“Carcer Tullianum. Il Mamertino al Foro Romano”. A ridosso delle pendici NE del Colle Capitolino, al di sotto della seicentesca chiesa di S. Giuseppe dei Falegnami con annesso Oratorio, si conservano le strutture del Carcer-Tullianum (“Carcere Mamertino” di comune memoria) uno dei complessi monumentali di età repubblicana più rilevanti del Foro Romano (area del Comizio) e più cari alla fede cristiana perché legato alla figura di San Pietro. Connesso al sistema sostruttivo/difensivo del Campidoglio sin dall’età arcaica (le cd. “Mura Serviane”) il Carcer-Tullianum, secondo quanto attestato dalle fonti classiche, fungeva da luogo di reclusione dei nemici di Roma condannati a morte ed era composto da due nuclei distinti, il Carcer ed il Tullianum (ambiente ipogeo). Con Carcer si intende l’ambiente a pianta trapezoidale con gli ambienti attigui, di età repubblicana (fine IV-II a.C.), che fu monumentalizzato nel I d.C. per disposizione senatoria, come recita l’iscrizione dedicatoria posta a coronamento della facciata in travertino che si apre rivolta verso il Foro Romano, edificata in quella occasione. Nel suo insieme si presenta come un sistema di strutture lapidee in opera quadrata, articolate e a varie quote, a ridosso delle pendici dell’Arce capitolina rivolte verso la valle del Foro Romano. Il complesso creava una possente quinta muraria che fa da sfondo al Foro Romano e in stretta relazione con gli edifici dove si svolgeva la vita politica, giudiziaria e giuridica di Roma: la Curia, il Comizio e i tribunali. Tullianum è la denominazione dell’ambiente ipogeo in blocchi di peperino (IV a.C. con una probabile fase di fine V a.C.) caratterizzato dalla sorgente che risale, per pressione, dal piano pavimentale attraverso una piccola apertura quadrata in fase con il pavimento stesso. Originariamente a pianta circolare (tholos) – come rivelato dagli scavi – assume la forma in pianta ad arco di cerchio, quando la costruzione del prospetto esterno del Carcer ne determina in parte lo smantellamento. Nessun dato è emerso dallo scavo per riconoscervi la funzione di cisterna; lo stesso condotto, che fino all’ultima campagna d’indagine scaricava all’esterno l’acqua raccolta nel pozzo, è moderno. Risale sicuramente alla prima età imperiale la teca rinvenuta sul piano pavimentale scavata appositamente per ospitare il materiale di età arcaica e repubblicana deposto dopo un’azione rituale svoltasi in un giorno d’autunno. Questo deposito e la sorgente portano a concludere, con un certo margine di sicurezza, che il Tullianum originariamente fosse stato costruito per una sorgente sacralizzata: forte il richiamo alla fonte dove, raccontano gli autori antichi, Tarpea incontra per la prima volta il re dei Sabini nemici dei Romani, Tito Tazio, e prendono avvio la serie di accadimenti che portano al tradimento da parte della giovane e alla sua morte È suggestivo pensare che l’acqua del Tullianum (“Acqua Tulliana”) sia quella presente nel racconto del tradimento di Tarpeia. La giovane romana, figlia di Spurio Tarpeio comandante della rocca capitolina, incontra Tito Tazio, capo dei nemici Sabini, presso una fonte (non se ne tramanda il nome) situata al di fuori delle mura dell’arce capitolina verso la piana che ospiterà poi il Foro Romano. Segue il tradimento e la punizione: Tarpea è uccisa seppellita viva sotto il cumulo degli scudi sabini. Anche il padre, ritenuto colpevole per aver perso la postazione, è giustiziato, precipitato per mano degli stessi Romani dall’alto della rupe ricordata come Rupes Tarpeia o Saxum Tarpeium. La rupe che oggi si tende a collocare sull’Arx nel settore che sovrasta il Carcer-Tullianum, il luogo votato per eccellenza alla uccisione dei nemici del Popolo Romano. Il complesso continua a vivere trasformato in età alto medievale in luogo di un culto cristiano, luogo che dal XII secolo si connota dedicato agli Apostoli Pietro e Paolo: la chiesa di S. Pietro in Carcere. Anche se coperta dalle fondazioni della chiesa S. Giuseppe dei Falegnami costruita nel XVI secolo, rimarrà sempre aperta al culto, impedendone così la distruzione. In un vano del Carcer coperto dalle fondazioni della chiesa seicentesca è ricavata alla metà del XIX secolo una cappella destinata ad ospitare il “Crocifisso delle Carceri”, un crocifisso ligneo esposto in precedenza alla pietà popolare sulla facciata in travertino del Carcer. Il Carcer-Tullianum e le strutture rinvenute dopo i recenti scavi fanno oggi parte del percorso espositivo del museo che ne racconta la complessa storia.