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Ischia (Na). Non solo greci, ma anche fenici e italici popolavano Pithekoussai. Un nuovo studio condotto dal dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, coordinato da Melania Gigante, pubblicato sulla rivista iScience, ha rivelato la natura cosmopolita della comunità di Pithekoussai nell’VIII secolo a.C., a fornendo (grazie allo studio degli isotopi sui resti umani) nuove informazioni sulla mobilità nel Mediterraneo occidentale durante l’Età del Ferro

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La prof- Melania Gigante. del dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, coordinatrice dello studio “Where Typhoeus lived: 87Sr/86Sr analysis of human remains in the first Greek site in the Western Mediterranean, Pithekoussai, Italy” (foto dbc-pd)

Non solo greci, ma anche fenici e italici popolavano Pithekoussai, l’odierna Ischia, affacciata sul golfo di Napoli. Un nuovo studio condotto dal dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, pubblicato sulla rivista iScience di marzo 2025 (Where Typhoeus lived: 87Sr/86Sr analysis of human remains in the first Greek site in the Western Mediterranean, Pithekoussai, Italy: vedi https://www.sciencedirect.com/…/pii/S2589004225001877…), ha rivelato la natura cosmopolita della comunità di Pithekoussai, sull’isola di Ischia, nell’VIII secolo a.C. L’analisi isotopica dello stronzio su ossa e denti di oltre 50 individui sepolti nella necropoli di San Montano a Lacco Ameno ha dimostrato che la popolazione era composta da immigrati provenienti da diverse aree del Mediterraneo, tra cui greci, fenici e italici. Non si trattava quindi di una colonia esclusivamente greca, come spesso semplificato nei manuali, ma di un vero emporio multiculturale, caratterizzato da interazioni complesse tra le comunità locali e i nuovi arrivati. Lo studio, coordinato da Melania Gigante del dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova (col contributo di Carmen Esposito, Federico Lugli, Alessandra Sperduti, Teresa Elena Cinquantaquattro, Bruno d’Agostino, Alessia Nava, Wolfgang Müller, Luca Bondioli), ha permesso di ricostruire con un livello di dettaglio mai raggiunto prima le dinamiche della mobilità e le interazioni sociali agli albori della Magna Grecia. Oltre a fornire nuove informazioni sulla mobilità nel Mediterraneo occidentale durante l’Età del Ferro, la ricerca ha testato con successo l’uso dell’analisi isotopica su resti umani rinvenuti in ambienti vulcanici, spesso ostili alla conservazione. Questo approccio interdisciplinare, che combina archeologia, antropologia e scienze biogeochimiche, apre la strada a nuove indagini sulle migrazioni antiche e sull’integrazione culturale nelle prime fasi della storia coloniale mediterranea.

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Grafico dello studio degli isotopi dello stronzio sui resti umani della necropoli di Pithecussai pubblicato in “Where Typhoeus lived: 87Sr/86Sr analysis of human remains in the first Greek site in the Western Mediterranean, Pithekoussai, Italy” (foto dbc-pd)

“Il patrimonio archeologico di Pithekoussai – spiegano i ricercatori – offre una visione unica delle dinamiche della mobilità umana e delle interazioni bio-culturali all’alba della Magna Grecia durante il Mediterraneo dell’Età del Ferro. Pithekoussai fu fondata dai Greci sull’isola vulcanica di Ischia nell’Italia meridionale a metà dell’VIII secolo a.C., segnando il primo insediamento greco nel Mediterraneo occidentale. Le prove archeologiche suggeriscono che Pithekoussai fosse un emporio in cui comunità locali, Greci, Fenici e persone della terraferma vivevano insieme e interagivano. Nonostante le sfide poste dall’ambiente di sepoltura vulcanica attiva, che ha influenzato la conservazione dei resti umani, questo studio ha applicato con successo l’analisi degli isotopi di stronzio (87Sr/86Sr) a n = 71 individui inumati e cremati. Integrando biogeochimica e (bio)archeologia, questa ricerca arricchisce la narrazione della mobilità umana fornendo una ricostruzione sfumata delle storie di vita degli individui che hanno partecipato a un momento cruciale nella storia del Mediterraneo che ha plasmato le società all’emergere della Magna Grecia”.

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Corredo della tomba 545 dalla necropoli di Pithekoussai al museo Archeologico di Pithecusae: presenti un unguentario fenicio e una coppetta tripode di produzione locale (foto museo lacco ameno)

“La storia dei popoli del Mediterraneo – ricordano nell’Introduzione i ricercatori coordinati da Melania Gigante – è una storia di mobilità e migrazione, di interazioni etniche e interculturali e di interconnessioni e reti marittime. Il commercio marittimo a lunga distanza e lo scambio di materie prime e beni hanno avuto luogo nel mar Mediterraneo fin dalla preistoria. Durante l’Età del Bronzo, la documentazione archeologica dimostra l’esistenza di significativi contatti marittimi tra il mondo egeo e miceneo e l’Occidente. Queste prime spedizioni furono seguite da una mobilità più intensa delle persone durante la prima Età del Ferro fino all’età arcaica. Dal IX al VI secolo a.C., numerosi insediamenti permanenti ed empori (cioè insediamenti commerciali) furono stabiliti lungo le coste della Spagna, dell’Italia e della Sicilia, del Nord Africa, dell’Asia Minore e del Mar Nero. Questi insediamenti facevano parte dei “movimenti di colonizzazione” istigati da coloni greci, fenici e levantini. In particolare, gli oikistes greci (cioè “fondatori di una colonia”) svolsero un ruolo significativo nel sofisticato ed elaborato processo di trasferimento di persone e costumi dalle loro poleis (cioè la città-stato greca) a nuove “colonie” d’oltremare. Queste ultime erano chiamate apoikiai (cioè “un insediamento lontano da casa”) nella storiografia greca antica. L’insediamento di apoikiai greci nelle aree indigene dell’Italia meridionale e della Sicilia portò all’emergere di comunità eterogenee con abitanti nativi, che culminarono nell’intricato fenomeno culturale e storico tradizionalmente denominato Magna Grecia”.

ischia_pithecussai_mappa-golfo-napoli_foto-dbc-pd“L’antico sito di Pithekoussai, situato sull’isola di Ischia nel golfo di Napoli – continuano -, rappresenta il caso di studio ideale per una comprensione più approfondita dei primi movimenti greci nell’Età del Ferro nel Mediterraneo occidentale. Sebbene i loro resoconti siano retrospettivi, gli storici antichi Strabone (Geographia, V.4.9, I secolo d.C.) e Livio (Ab Urbe Condita, VIII.22, I secolo d.C.) rimangono le fonti più significative per comprendere l’insediamento greco di Ischia. Pithekoussai fu fondata da greci provenienti da Eubea, un’isola situata a est della penisola attica. Le prove archeologiche, ad esempio la presenza di iscrizioni fenicie e greche, oggetti esotici mescolati a corredi funerari indigeni e diverse usanze funerarie nella necropoli di Pithekoussai, supportano l’idea che Pithekoussai fosse una comunità in cui erano integrati individui con diverse identità culturali ed etniche e diversa provenienza geografica. Secondo gli studiosi, questo sito funzionava come un emporio, catalizzando i contatti tra Greci, Fenici e indigeni delle regioni tirreniche e adriatiche della Penisola, contribuendo alla diffusione della scrittura alfabetica in Occidente, alla conoscenza della poesia omerica e allo scambio di beni di lusso, costumi e pratiche sociali dal Vicino Oriente”.

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Corredo della Tomba 944 rinvenuto nella necropoli di S. Montano a Lacco Ameno: disegno pubblicato da Giorgio Buchner, nel 1983 (foto progetto kepos)

Conclusioni. “L’antico sito di Pithekoussai ha svolto un ruolo chiave nella cosiddetta colonizzazione greca dell’VIII secolo del Mediterraneo occidentale. La ricca documentazione archeologica ha rivelato le caratteristiche di una comunità aperta, in cui la cultura materiale e i rituali funerari suggeriscono una società eterogenea caratterizzata dalla coesistenza di individui indigeni, commercianti fenici e popoli italici insieme ai coloni greci. Questo lavoro ha ulteriormente contribuito alla comprensione dell’interconnessione delle società mediterranee durante l’Età del Ferro, fornendo una visione più profonda e sfumata di queste interazioni bio-culturali a Pithekoussai. Nonostante le sfide poste dall’ambiente vulcanico della sepoltura, la combinazione di archeologia, osteologia umana e dati isotopici ha gettato nuova luce sul modello di mobilità umana nel sito nel tempo e in relazione a diverse pratiche funerarie e beni funerari. Infine, questa ricerca ha evidenziato le sfide e i limiti dell’applicazione dell’analisi degli isotopi stabili ai campioni archeologici, incoraggiando al contempo l’impiego dell’analisi degli isotopi 87Sr/86Sr su campioni mineralizzati umani per la provenienza, anche in caso di alterazione tafonomica dei resti umani”.

Roma. Al museo delle Civiltà per il Darwin Day l’incontro “Storie di Neanderthal e iene: i reperti di Grotta Guattari del museo delle Civiltà” a cura di Francesca Alhaique e Alessandra Sperduti. Visita introduttiva al percorso di Preistoria

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Cranio dell’uomo di Neanderthal scoperto nella Grotta Guattari al Circeo, oggi conservato al museo delle Civiltà (foto muciv)

Sul promontorio del Circeo, lungo la costa laziale, si trova Grotta Guattari, uno dei siti più importanti per lo studio dei Neanderthal. Per celebrare il Darwin Day — che si tiene ogni anno il 12 febbraio in occasione dell’anniversario della nascita di Charles Darwin — il Servizio di Bioarcheologia del museo delle Civiltà a Roma-Eur apre le porte del suo Laboratorio per mostrare e raccontare gli importantissimi reperti provenienti dagli scavi effettuati a partire dal 1939 nel sito di Grotta Guattari (Circeo). Questi reperti, insieme a quelli rinvenuti durante le ricerche degli ultimi anni, saranno oggetto, nel 2025, di un nuovo allestimento dedicato alle più recenti scoperte sul sito e sui Neanderthal. Appuntamento mercoledì 12 febbraio 2025, alle 17, al museo delle Civiltà con “Storie di Neanderthal e iene: i reperti di Grotta Guattari del museo delle Civiltà” a cura di Francesca Alhaique e Alessandra Sperduti. L’attività prevede una visita introduttiva al percorso di Preistoria. Ingresso con Biglietto Amico 5 euro. Posti limitati. Prenotazione richiesta. Per informazioni mu-civ.bioarcheologia@cultura.gov.it.

Roma. Al museo delle Civiltà la conferenza “Da CSI a Bones: l’Archeologia e l’Antropologia al servizio delle investigazioni forensi” con Alessandra Sperduti e Pier Matteo Barone per scoprire i segreti il ruolo dell’archeologia e dell’antropologia sulle scene del crimine

roma_muciv_conferenza-da-csi-a-bones_locandinaQual è il ruolo dell’archeologia e dell’antropologia sulle scene del crimine? Lo possiamo scoprire insieme ai segreti delle investigazioni forensi domenica 26 gennaio 2025, alle 17, al museo delle Civiltà a Roma-Eur, nella conferenza “Da CSI a Bones: l’Archeologia e l’Antropologia al servizio delle investigazioni forensi”. Incontro a cura di Alessandra Sperduti e Pier Matteo Barone, nell’ambito del ciclo di incontri del programma “Viaggi intorno al mondo e nel tempo: i giovedì e le domeniche al Museo delle Civiltà” insieme alle funzionarie e ai funzionari del Muciv. Ingresso con biglietto Amico a 5 euro. Prenotazione consigliata.

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Cella della tomba a grotticella cosiddetta della Vedova dalla necropoli di Ponte San Pietro a Ischia di Castro (Vt) e conservata al museo delle Civiltà di Roma (foto muciv)

Nel corso della conferenza verrà illustrata l’importanza dell’archeologia e dell’antropologia forense e come la loro collaborazione sulle scene del crimine possano aiutare le indagini forensi. Diversamente dall’archeologia e dall’antropologia “tradizionali”, l’archeologia e l’antropologia forense operano in un contesto legale, in molti Paesi, con diversi sistemi giuridici ma condividendo basi comuni. Il punto principale di queste discipline è la capacità di cooperare tra vari scienziati esperti e forze dell’ordine, al fine di collezionare evidenze e prove per risolvere un caso. Presentando casi saliti all’onore delle cronache nazionali ed internazionali, si cercherà di spiegare questo fondamentale lavoro di collaborazione in dettaglio, sia sul campo che in laboratorio, sfatando falsi miti e credenze con uno sguardo all’influenza di film e serie TV di maggior successo sull’opinione pubblica.

Napoli. Al via la XXIX edizione degli Incontri di Archeologia, in presenza e on line, per raccontare il patrimonio culturale antico. Apre, come da tradizione, il direttore Giulierini sul “Mann del futuro”. Ecco tutto il programma

napoli_mann_incontri-di-archeologia_2023_locandinaLe opere, le collezioni, i percorsi multidisciplinari, i progetti di ricerca: è ai nastri di partenza (primo appuntamento giovedì 26 ottobre 2023, alle 16) la rassegna “Incontri di Archeologia” che, giunta alla XXIX edizione, rappresenta uno dei punti cardine della programmazione culturale del museo Archeologico nazionale di Napoli. Il format è ormai consolidato e ben noto agli appassionati di arte antica: le 21 conferenze gratuite, in calendario dal 26 ottobre 2023 al 30 maggio 2024, sempre di giovedì alle 16, saranno organizzate in Auditorium e potranno essere seguite anche in diretta Facebook sulla pagina istituzionale del Mann. La XXIX edizione degli Incontri di Archeologia, a cura del Servizio Educativo del Mann, è progettata e organizzata da Giovanni Vastano e Miriam Capobianco, in collaborazione con Lucia Emilio.

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Paolo Giulierini, direttore del Mann, nei depositi sotterranei delle Cavaiole (foto graziano tavan)

Come da tradizione, il ciclo di incontri è aperto dal direttore dell’Archeologico. La conferenza di quest’anno è su “Il Mann del futuro”. “Apriamo gli Incontri di archeologia parlando di futuro”, commenta Paolo Giulierini. “In questi anni gli appuntamenti del giovedì sono stati una preziosa ribalta per un’eccellenza non solo settoriale e specialistica ma per temi, incontri e personalità coinvolgenti e di alta capacità divulgativa, un vero e proprio festival della conoscenza. Grazie alla possibilità della trasmissione on line, che nulla ha tolto al senso di essere comunità ‘fisica’ degli Incontri e al piacere di ritrovarci al Museo, il pubblico si è negli ultimi anni allargato e il sapere condiviso si è reso disponibile alle scuole e alle università e non solo. Futuro quindi all’ordine del giorno del primo incontro, dai nuovi spazi e sezioni già cantiere alle ricerche del Mann, per un’inaugurazione particolare della nostra più importante rassegna che dopo otto anni mi emoziona e che vogliamo tutti dedicare al ricordo di Valeria Sampaolo”.

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La dea Lakshmi, corrispondente ad Afrodite, statuetta in avorio da Pompei, conservata nel Gabinetto segreto del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)

Novembre, ancora, sarà il mese dedicato ad alcune curiosità svelate dai reperti del Mann: Maria Morisco descriverà gli strumenti musicali delle collezioni museali (9 novembre) e Laura Weinstein si occuperà della preziosa statuetta della dea Lakshmi, testimone dei contatti tra Roma e India (30 novembre). Da non perdere, alcuni approfondimenti ad hoc, come quello sulla figura umana nella pittura antica (ne parlerà Anna Maria D’Onofrio, il 23 novembre) e sulle novità nello scriptorium dei Romani (se ne occuperà Umberto Pappalardo, il 21 dicembre). Immancabile, come ogni anno, la performance realizzata da Giovanni Greco con Michele Monetta e Lina Salvatore (ICRA Project): giovedì 14 dicembre, anche grazie alla collaborazione dell’Accademia nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, sarà possibile intrecciare il dramma delle Troiane di Euripide con la nostalgia e la passione del tango.

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Lapide sepolcrale del rebbi Abba Maris (IV-V secolo d.C.) da Brusciano (Na) conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)

Il 2024 inizierà (18 gennaio) con la conferenza della direttrice del parco archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo, che identificherà la mission del proprio istituto in un percorso consapevole di conoscenza della storia; per la Giornata della Memoria, da segnare in agenda anche l’evento del 25 gennaio, durante il quale Giancarlo Lacerenza ritroverà, nelle collezioni del Mann, alcune suggestive storie ebraiche d’amore e morte.

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Sezione Campania romana al museo Archeologico nazionale di Napoli: Afrodite trionfante dall’anfiteatro campano di Capua (foto graziano tavan)

Focus sulla Campania Romana con tre incontri in programma a partire da febbraio: Stefania Gigli Quilici, Laura Acampora e Angela Maria Ferroni illustreranno il valore politico-culturale espresso dalla candidatura UNESCO della Via Appia (8 febbraio), Carmela Capaldi condurrà una promenade di studio nella sezione Campania Romana (29 febbraio) e Stefania Pafumi ripercorrerà il percorso tecnologico per risolvere l’enigma della Quadriga di Ercolano (14 marzo). Ancora una celebrazione dei capolavori del Mann nella conferenza di Bianca Ferrara e Vito Giuseppe Prillo, che si occuperanno della Magna Grecia con particolare riferimento ai banchetti e ai pasti sacri (15 febbraio).

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L’archeologa Valeria Sampaolo, già direttrice del museo Archeologico nazionale di Napoli, è morta a 70 anni il 9 settembre 2023 (foto paolo soriani)

A marzo (giovedì 7), tradizionale appuntamento dedicato alla condizione femminile con la conferenza di Francesca Galgano; a fine mese (giovedì 21), Stefano De Caro ricorderà Valeria Sampaolo.

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Frame del video che racconta il trasferimento del Mosaico di Alessandro da Pompei al Real Museo Borbonico (foto mann)

Il traffico illecito di beni culturali sarà il tema della conferenza di Marialucia Giacco e Ilaria Marini (4 aprile), mentre la settimana successiva (11 aprile) il direttore del parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, ripercorrerà le nuove ricerche in programma nella città vesuviana. Il mese si concluderà (18 aprile) con un approfondimento, a cura di Laura Forte, sulla rappresentazione del Gran Mosaico da parte dei disegnatori del Real Museo Borbonico.

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Un’idria della collezione Spinelli nel deposito del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)

Quattro, infine, gli appuntamenti di maggio: Andrea Milanese traccerà la storia del Museo tra 1900 e 1957 (giovedì 9); Alessandra Sperduti e Valentina Cosentino si occuperanno della necropoli di Santa Teresa (giovedì 16); Emanuela Santaniello, Sveva Savelli, Mariateresa Operetto, Marina Vecchi e Alessandra Spadaccini tratteranno del progetto di tutela e valorizzazione della Collezione Spinelli, che rappresenta sia uno dei più ricchi rinvenimenti archeologici della Piana Campana, sia uno dei più importanti nuclei collezionistici del Mann (giovedì 23); Mariateresa Operetto, infine, analizzerà le nuove prospettive del lavoro di restauro (30 maggio).

Roma. “Leggere Dante al museo delle Civiltà”: al Muciv per il Dantedì miniconferenze on line e anticipazioni della mostra di settembre “Ne la città dolente. Viaggio nel mondo dei morti”

Il museo delle Civiltà di Roma, in occasione del “Dantedì”, giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, e in previsione della mostra “Ne la città dolente. Viaggio nel mondo dei morti” che sarà allestita in autunno per celebrare il 700.mo anniversario della morte del poeta, organizza un pomeriggio di miniconferenze on line “Lèggere Dante al Museo delle Civiltà”, giovedì 25 marzo 2021, dalle 16, che si possono seguire su https://meet.google.com/xpd-fzvd-kfj. Interverranno: Loretta Paderni, “Introduzione alle iniziative del Museo delle Civiltà per le celebrazioni dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri”; Alessandra Sperduti, “Annuncio della mostra Ne la città dolente. Viaggio nel mondo dei morti (settembre 2021)”; Massimiliano A. Polichetti, “Vexilla regis prodeunt inferni (Inferno XXXIV, 1) – Oriente e Occidente: demonologie a confronto”; Francesca M. Anzelmo, Ilenia Bove, “Dante e lo stupore dei Barbari per l’antica Roma (in Paradiso XXXI, 31-42)”; Francesca Alhaique, Gaia Delpino (con il contributo di Francesca M. Anzelmo, Paolo Boccuccia, Ilenia Bove, Maria Luisa Giorgi, Laura Giuliano, Michael Jung, Claudio Mancuso, Gabriella Manna, Donatella Saviola), “Il valore simbolico e culturale degli animali”; Claudio Mancuso, “Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno (Inferno XXXIII, 75)​ – Il cannibalismo tra storia e antropologia”; Gaspare Baggieri, “La Medicina al tempo di e con Dante”.

“Tutte le strade portano a Roma. Il Dna delle ossa svela migrazioni e diversità nell’antica Roma”: lo studio pubblicato su Science. Le ricerche del Dna antico, su 127 individui da 29 siti archeologici, descrivono l’origine, i flussi migratori e i cambiamenti nel corso degli ultimi 12mila anni sino all’epoca moderna

Su Science pubblicato lo studio del Dna antico che ricostruisce 12mila anni di migrazioni verso Roma (foto Muciv)

Duemila anni fa, le strade di Roma brulicavano di persone provenienti da tutto il mondo antico. Le rotte commerciali dell’impero si estendevano dal Nord Africa all’Asia e nuovi immigrati si riversavano ogni giorno, sia per scelta che per forza. Ora, un antico studio sul DNA ha mostrato che connessioni lontane sono state scritte nei genomi dei romani. Inizia così l’articolo di Lizzie Wade pubblicato sul numero di Science “Tutte le strade portano a Roma. Il Dna delle ossa svela migrazioni e diversità nell’antica Roma” del 7 novembre 2019 sulla ricostruzione genetico-storica, cui hanno partecipato anche i ricercatori del Servizio di Bioarcheologia del museo delle Civiltà di Roma-Eur, come spiega la Newsletter del Muciv: migrazioni, diversità e inclusività hanno infatti caratterizzato la millenaria storia di Roma e del suo territorio circostante. Lo studio è stato condotto da un team internazionale composto da genetisti, bioinformatici, antropologi, archeologi e storici, coordinato da ricercatori dell’università di Stanford, dell’università di Vienna e della Sapienza Università di Roma. I dati del Dna antico, su 127 individui da 29 siti archeologici, hanno permesso di descrivere l’origine, i flussi migratori e i cambiamenti – degli antichi Romani e degli abitanti delle regioni italiane limitrofe – nel corso degli ultimi 12mila anni sino all’epoca moderna. Si è ottenuto un quadro che racconta il divenire della Città Eterna da una nuova prospettiva, confermando ma soprattutto arricchendo quanto avevamo appreso dalle fonti, dagli archivi e dalle ricerche archeologiche.

Una sequenza di Dna

I risultati dall’analisi dei campioni più antichi concordano con quanto già osservato in molte altre regioni europee: circa 8000 anni fa l’area, già popolata da cacciatori-raccoglitori, si arricchisce della presenza di agricoltori di origine mediorientale; successivamente, tra 5mila e 3mila anni fa, vede l’arrivo di popolazioni dalla steppa ucraina. Con la nascita di Roma e il costituirsi dell’Impero Romano, la variabilità genetica cambia e incrementa ulteriormente. Per questo momento, il Dna “legge” arrivi dai diversi territori dell’impero, con una predominanza dalle aree mediterranee e soprattutto dal Vicino Oriente. Gli eventi storici segnati dalla scissione dell’Impero prima e dalla nascita del Sacro Romano Impero comportano un afflusso di ascendenza dall’Europa centrale e settentrionale.

Alfredo Coppa, professore di Antropologia Fisica della Sapienza Università di Roma

Ron Pinhasi, professore di Antropologia Evolutiva all’università di Vienna

“L’analisi del Dna ha rivelato che, mentre l’Impero Romano si espandeva nel mar Mediterraneo, immigranti dal Vicino Oriente, Europa e Nord Africa si sono stabiliti a Roma, cambiando sensibilmente il volto di una delle prime grandi città del mondo antico”, riporta Pritchard, membro di Stanford Bio-X. “Non ci aspettavamo di trovare una così ampia diversità genetica già al tempo delle origini di Roma, con individui aventi antenati provenienti dal Nord Africa, dal Vicino Oriente e dalle regioni del Mediterraneo europeo”, aggiunge Ron Pinhasi, professore di Antropologia Evolutiva all’università di Vienna e uno dei senior authors insieme a Jonathan Pritchard, professore di Genetica e Biologia all’università di Stanford e ad Alfredo Coppa, professore di Antropologia Fisica della Sapienza Università di Roma. “Per la prima volta uno studio di così grande portata è applicato alla capitale di uno dei i più grandi imperi dell’antichità, Roma, svelando aspetti sconosciuti di una grande civiltà classica”, dichiara Alfredo Coppa. “Assistiamo al coronamento di 30 anni di ricerche del museo sull’Antropologia dei Romani e un nuovo tassello si è aggiunto alla comprensione di quella società così complessa ma per molti versi ancora così misteriosa” aggiungono Alessandra Sperduti e Luca Bondioli del museo delle Civiltà di Roma.

Jonathan Pritchard, professore di Genetica e Biologia all’università di Stanford

Lo studio su Roma è stato affrontato con le più moderne tecnologie per il Dna antico che questo gruppo di ricerca utilizza da oltre un decennio, allo scopo di chiarire dettagli non leggibili nel record storico, ha affermato Pritchard. “I documenti storici e archeologici ci raccontano molto sulla storia politica e sui contatti di vario genere con luoghi diversi – ad esempio commercio e schiavitù – ma quei documenti forniscono informazioni limitate sulla composizione genetica della popolazione”. “I dati sul DNA antico costituiscono una nuova fonte di informazioni che rispecchia molto bene la storia sociale di individui di Roma nel tempo”, afferma Ron Pinhasi. “Nel nostro studio ci siamo avvalsi della collaborazione e del supporto di un gran numero di archeologi e antropologi che, aprendo per noi i loro archivi, ci hanno permesso di inquadrare e interpretare meglio i risultati “, aggiunge Alfredo Coppa. “Ora è il tempo di affrontare nuovi studi che guardino entro l’Impero Romano all’interazione di gruppi di diversa estrazione sociale, includendo non solo i movimenti di specifici popolazioni da regioni diverse ma anche la mobilità sociale sia nelle provincie sia al centro”, dice Ron Pinhasi. “E, inoltre, a meglio comprendere le relazioni con i popoli pre-romani dell’Italia”, conclude Coppa.