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Torino. Al museo Egizio conferenza dell’egittologo Paolo Marini su “Akhenaton: dall’Egitto a Torino”. Incontro in presenza e on line

torino_egizio_conferenza-akhenation-dall-egitto-a-torino_locandinaTra i numerosi reperti riuniti al museo Egizio di Torino, nel corso della sua lunga storia, si annovera un corpus di blocchi scolpiti a bassorilievo e altri reperti prodotti durante quel periodo di profondi cambiamenti religiosi, sociali e politici del XIV secolo a.C. dagli egittologi convenzionalmente chiamato “amarniano”.  Se ne parla giovedì 12 gennaio 2023, alle 18, in sala conferenze del museo Egizio, nella conferenza “Akhenaton: dall’Egitto a Torino” tenuta dal curatore Paolo Marini, nuovo appuntamento con il ciclo di conferenze tenute dai curatori del Museo. Ingresso libero fino a esaurimento posti. Live streaming sulla pagina Facebook e il canale YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=abWi4EFtMUE. Lo studio iconografico di questi oggetti ci permette di ripercorrere le fasi che caratterizzarono la produzione “artistica” del tempo. Inoltre, un’approfondita analisi dei rilievi consente di ipotizzare la natura delle scene alle quali essi dovevano originariamente appartenere e di individuare gli escamotage ai quali il faraone di Amarna, Akhenaton, ricorse per sostituire alcune feste religiose tebane, introducendo nuove performance rituali che si svolgevano ad Amarna e che lo vedevano coinvolto in prima persona.

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Paolo Marini (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)

Paolo Marini, dal 2017, è curatore e coordinatore scientifico delle mostre itineranti al museo Egizio. Ha curato la mostra temporanea “Il dono di Thot: leggere l’antico Egitto” (attualmente visitabile) e ha scritto il libro divulgativo sulle divinità egizie, edito da Panini (2020). I suoi studi sulla collezione riguardano i corredi funerari, in particolar modo i contenitori per ushabti. Ha partecipato a missioni archeologiche in Italia, a Pisa (2004); in Siria, a Tell Deinit (2004) e a Tell Afis (2005); e in Egitto, a Dra Abu el-Naga (2010-2018) e al Ramesseum (2019-2020). Dal 2019 collabora a una missione di studio, patrocinata dal museo Egizio, a Deir el-Medina.

Venezia. Mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri”: visita guidata col curatore prof. Damiano. 2. parte: il “fiume del tempo”, la storia della civiltà egizia, dalla preistoria alle prime dinastie, dal Nuovo Regno al Cristianesimo

Seconda parte della visita guidata live della mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri” a Palazzo Zaguri a Venezia con il curatore prof. Maurizio Damiano. Dopo aver visto come è nato il progetto espositivo e perché sono esposte repliche del tesoro di Tutankhamon, e del messaggio che queste portano nel mondo (vedi Venezia. Mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri”: visita guidata col curatore prof. Damiano. 1. parte: il progetto espositivo e il ruolo delle repliche | archeologiavocidalpassato), in questa puntata il prof. Damiano ci porta per mano a scoprire la storia della civiltà egizia, dalla preistoria alle prime dinastie, dal Nuovo Regno al Cristianesimo: è “il fiume del tempo”, come è stata chiamata questa sezione. Giocando sul ruolo del Nilo e sullo scorrere dei secoli. La sezione si trova all’ultimo piano di Palazzo Zaguri, la soffitta, ed è da lì che inizia la visita della mostra articolata su cinque piani, dall’alto in basso.

In questa prima sezione si vedono tanti modellini di navi per ricordare che l’Egitto vive per il fiume che era poi la via di trasporto maggiore. “L’Egitto non esisterebbe senza il Nilo, naturalmente”, esordisce Damiano. “È vero – come dice Erodoto – che l’Egitto è un dono del Nilo. Ma è certo che gli egiziani se lo sono guadagnato perché il Nilo nella preistoria era un fiume violento. Quindi questa grande conoscenza che loro hanno sviluppato nell’idraulica era dovuta alla difesa prima di tutto. Loro dovevano difendersi da questo fiume ben diverso da quello controllato di oggi. Quindi io ho voluto tenere sempre a mente il fiume con questi modelli di navi”. Siamo ndel “fiume del tempo”: “In questa sezione ho voluto sviluppare la storia dell’Egitto ma partendo da lontano. Nella prima vetrina si vedono i nostri antenati: australopithecus, homo habilis, homo erectus, neanderthal. E si vedono i loro manufatti, dai più antichi – chopper, chopping tool realizzati dall’homo habilis 2 milioni e mezzo di anni fa – fino a quelli sbozzati nell’Abbevilliano che poi si vanno perfezionando nell’Acheuleano. L’amigdala per me è la prima opera d’arte dell’umanità. Non c’è solo il lato utilitaristico con la punta e il taglio, che però erano già presenti negli strumenti più antichi. Qui nasce qualcosa che mancava totalmente prima. Questo ominide non è più un animale come gli altri, comincia a volere un qualcosa di particolare che non ha nessun uso specifico. È un’esigenza interiore: la simmetria. Questo ominide perde ore e giorni per creare strumenti che siano esattamente simmetrici, belli. Ecco lì nasce l’arte. Una delle scoperte fatte tra i 400 siti esplorati nel gran mare di sabbia nella zona della mia concessione sono le scuole delle amigdale”, spiega Damiano. “Ma nel gran mare di sabbia si trova anche un materiale più raro dei diamanti: si chiama silica glass, noto anche come vetro del deserto, creato dall’impatto di una cometa contro l’atmosfera terrestre in un punto sopra il gran mare di sabbia. L’impatto, che ha portato la temperatura a più di 4700 gradi, ha fuso la sabbia e ha creato il vetro naturale più puro sul pianeta Terra: 98% di biossido di silicio. Il Cristallo di Boemia, per fare un esempio, è al 65%. E questo è successo 29 milioni di anni fa. Poi, quando è arrivato, l’uomo ha scoperto che questa cosa strana tagliava meglio della stessa selce – è ovvio, è vetro -, e quindi ha iniziato a fabbricare i suoi manufatti: siamo nel Neolitico, nel gran mare di sabbia”. Il “fiume del tempo” prosegue con dei modelli ricostruiti in base alle pitture vascolari protostoriche-predinastiche e alle incisioni rupestri. Sono esposti due tipi di imbarcazioni. Quindi è presentata la tavolozza dove vediamo la vacca Hathor e le stelle. Questa è finora la più antica rappresentazione di costellazione dell’umanità. “Diciamo Hathor ma in realtà all’epoca la dea vacca era chiamata Bat, la sua antenata. Nel Neolitico – continua Damiano – si sviluppa la tecnica fino alla perfezione delle punte di freccia straordinarie e delle lame”. Si vede poi esposto il grande faraone Cheope, Kufu in antico egizio. “Il faraone Cheope, il costruttore della Grande piramide, ci ha lasciato delle opere. E forse alcune sono statue sue, ma non c’è certezza perché è andata persa l’iscrizione. L’unica statua di cui c’è certezza è questa statuetta trovata dal grande archeologo Petrie in una fossa. Era un po’ sporca e incrostata. L’ha fatta analizzare: era sterco umano. Quindi l’hanno letteralmente buttato lì. Peraltro lui è passato alla storia come un pessimo faraone mentre suo padre Snefru che è il più grande costruttore di piramidi (perché ne ha costruite diverse) è passato alla storia come il faraone ideale, quello buono illuminato. E si arriva alla tavolozza di Narmer che è l’atto di fondazione dell’Antico Egitto, esposta di fianco per permettere di vere entrambi i lati della stele, su una faccia il faraone con la corona rossa e con la corona bianca sull’altra. Con Narmer il re diventa faraone, cioè il signore di tutto l’Egitto. E con questo atto nasce la storia, inizia la prima dinastia, inizia la storia dinastica dell’Egitto”.

“Del Nuovo Regno prendiamo due esempi: Hatsheptut, il faraone donna, e Tutmosis III”, riprende il curatore della mostra veneziana. “Qui spiego il rapporto che c’era tra di loro perché vi hanno romanzato. È stato detto che era un’usurpatrice: no, lei era per più motivi legittima”. Quindi si passa al nonno di Tutankhamon, Amenhotep III (Amenofi III), che i francesi chiamano il Re Sole d’Egitto perché era il re esteta. Lui ha vissuto in un regno di pace, ricchezza, prosperità e l’arte egizia, che è sempre volta a uno scopo creatore, con Amenhotep III ha anche un lato edonistico che si sviluppa. Amenhotep III è il padre di Akhenaten che è il padre di Tutankhamon. La moglie di Amenhotep III era Tye, un personaggio che probabilmente era quella che decideva in casa: donna molto forte, aspetto reso bene anche dai suoi ritratti. Uno è anche in mostra. Si arriva quindi al regno di Akhenaten che, come detto è il padre di Tutankhamon: fatto appurato dalle analisi genetiche sulla mummia della tomba KV 55. La madre non è Nefertiti, ma un’altra donna che il DNA ci ha detto essere la cosiddetta Younger Lady. È la mamma di Tutankhamon, ma non ne conosciamo il nome. Si sa che era una cugina o una sorella di Akhenaten, ma il DNA non dice di più”. In mostra due dei molti ritratti di Nefertiti: uno è la riproduzione di quello del Cairo. E poi c’è quello di una principessa amarniana. “Il cranio allungato – precisa Damiano – non è una deformazione praticata dagli egizi, per il quale il corpo è sacro. Il documento più antico che abbiamo sull’argomento riguarda un greco di età ellenistica che chiede a un medico di praticare questa barbarie a sua moglie. In Egitto questa è una convenzione artistico-religiosa lanciata da Akhenaten per sottolineare la divinità della famiglia reale. Ma attenzione: si dice che il faraone era divino. È sbagliato. La funzione di faraone era divina, ma il faraone restava uomo. Lo si capisce bene non in Egitto, dove non se o sarebbe mai permesso, ma nei templi della Nubia: qui si vede Ramses che fa offerte agli dei tra i quali c’è Ramses II: quindi da un lato c’è Ramses II uomo e re che offre al dio Ramses II in funzione faraonica”. E si arriva all’Epoca Tarda. Esposti amuleti autentici in argento e in faience. E un modello di nave punica per ricordare un episodio particolare: quando il faraone Nechao II (XXVI dinastia) chiese ai Fenici di esplorare le coste dell’Africa. Questi, al loro ritorno dopo tre anni, nel loro rapporto raccontarono che il sole, dopo un certo punto di navigazione, si levava a destra. “Dettaglio che per i Greci, secoli dopo, ritennero un falso. E invece era la dimostrazione che avevano superato il Capo di Buona Speranza: quella fu la prima circumnavigazione dell’Africa e l’avevano fatta i Fenici”.

Il percorso del “fiume del tempo” ci porta ai famosi ritratti del Fayyum, bellissimi. Per l’epoca romana ci sono una trireme, un po’ di vetri romani. E si giunge all’epoca cristiana. “Con il Cristianesimo – sottolinea Damiano – inizia la fine dell’Antico Egitto. Il vescovo di Alessandria, appena fu fatta la legge che diceva che i templi o diventavano chiese o dovevano essere rasi al suolo, con un gruppo di seguaci armati andò a distruggere il Serapeum, e con esso distrusse l’ultima parte della Biblioteca di Alessandria. È stata la fine dell’Antico Egitto, e da allora si sviluppa il Cristianesimo, del quale c’è un aspetto ancora molto popolare in Egitto: il culto della Sacra Famiglia (legato alla fuga in Egitto). Si creano monasteri, seguendone il percorso. Un altro dettaglio interessante è che viene venerato l’albero della Vergine a Eliopolis, oggi quartiere del Cairo che insiste sulle fondamenta di una delle più antiche città del mondo. Questo albero avrebbe nascosto la Vergine quando si sono avvicinati i soldati di Erode. Ed è ancora oggetto di pellegrinaggio. Ma in quel posto, quello stesso tipo di albero, un sicomoro, era l’albero sacro di Eliopolis che veniva venerato da millenni a Eliopolis”.

Egitto. Per il centenario della scoperta della Tomba di Tutankhamon il Consiglio supremo delle Antichità apre mostre archeologiche e d’arte, accompagnate da visite guidate, attività e laboratori artistici sull’arte della mummificazione e della scrittura nell’antico Egitto

4 novembre 1922-2022: per il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon il settore Musei del Supremo Consiglio delle Antichità dell’Egitto celebra l’anniversario con una serie di mostre archeologiche e d’arte, ed eventi che includono visite guidate didattiche, attività e laboratori artistici didattici sull’arte della mummificazione e della scrittura nell’antico Egitto, sulla tomba del Faraone bambino e sul suo corredo funerario.

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Due statue del faraone bambino che furono scoperte tra undici statue nel nascondiglio del tempio di Karnak esposte al Cairo nella mostra “Tutankhamon e la sua famiglia” (foto ministry of tourism and antiquities)

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Mummia di giovane donna, forse la madre di Tutankhamon esposta al Cairo nella mostra “Tutankhamon e la sua famiglia” (foto ministry of tourism and antiquities)

“Al museo Egizio di Tahrir al Cairo”, annuncia il professor Moamen Othman, capo del settore dei musei al Consiglio supremo delle antichità, “apre la mostra “Il centenario della scoperta della tomba del re Tutankhamon: Tutankhamon e la sua famiglia”, con 18 reperti appartenenti al re Tutankhamon, che non sono stati trovati all’interno della sua tomba, alcuni dei quali sono esposti per la prima volta. Tra questi la mummia di giovane donna, probabilmente la madre del re Tutankhamon (la regina Kyia?), quattro statue del faraone bambino che furono scoperte tra undici statue nel nascondiglio del tempio di Karnak, una serie di anelli recante il nome del re e una piccola lastra di maiolica incisa su entrambi i lati con i suoi nomi. E ancora un gruppo di scarabei col nome della regina Ankhesenamon, moglie del re Tutankhamon, una statua del re Akhenaten con la moglie Kyia, scoperta ad Amarna, un vaso canopo di Kyia, la madre di Tutankhamon, e la testa di una statua del re Amenhotep III scoperta nel nascondiglio di Karnak e la testa di una statua della regina Tiye, moglie del re Amenhotep III e madre del re Akhenaten, fu scoperta nel tempio di Hathor a Serabit el-Khadem nel Sinai”.

Il museo nazionale della Polizia nella Cittadella del Cairo organizza la mostra fotografica “Le armi del piccolo faraone”, aperta fino al 20 novembre 2022, con alcune immagini delle armi del re Tutankhamon, mettendo in luce le sue armi preziose e rarissime.

Il museo Tell Basta a Zagazig nel Delta centro-orientale aprendo la mostra d’arte di fotografie “Treasures of the Golden King”, che include un gruppo di fotografie d’archivio di alcuni dei possedimenti della tomba di Tutankhamon, e proseguirà per un mese.

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Vasi canopi esposti al museo della Mummificazione a Luxor (foto ministry of tourism and antiquities)

Al museo della Mummificazione di Luxor apre la mostra archeologica “Vasi canopi”, che comprende quattro vasi canopi in alabastro che conservavano rispettivamente il fegato, l’intestino, i polmoni e lo stomaco del defunto. Continua fino all’11 novembre 2022.

Al museo di Arte antica egizia di Luxor apre la mostra archeologica “The Golden King Tut”, che proseguirà fino al 18 novembre 2022, con la statua del dio Amon nel corpo di re Tutankhamon, cinque stampi di mattoni rossi con il cartiglio del Re Tutankhamon, una statua in alabastro del re Tutankhamon in forma di Sfinge. Inaugurerà la mostra d’arte sul corredo funerario del re Tutankhamon intitolata “The Golden Mask”, con dipinti e fotografie di studenti di scuole e università, di belle arti e educazione artistica.

Villafranca di Verona. “Nefertiti: vita privata e momenti pubblici della regina e sposa reale di Akhenaten” è l’approfondimento proposto dagli autori Maurizio Zulian e Graziano Tavan in occasione della presentazione del libro “Nella terra di Pakhet” all’auditorium

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Il busto della regina Nefertiti, conservato nei Musei di Berlino, fu scoperto nel sito di Amarna, nell’Egitto centrale

villafranca_Pakhet_locandina-bisIl suo volto dallo sguardo magnetico è tra i più famosi tra quelli giunti dall’antichità. Ha più di tremila anni, ma riesce ancora a trasmettere la forza carismatica della regina e grande sposa del faraone eretico Akhenaten: parliamo di Nefertiti, “la bella è venuta”, il cui famosissimo busto è conservato a Berlino. Lo troviamo pubblicato sui libri di scuola, sulle riviste specializzate, su molti gadget. Quel busto proviene da Amarna, un sito archeologico tra le sabbie dell’Egitto centrale, che conserva le vestigia della grande capitale Akhetaten. Proprio di “Nefertiti: vita privata e momenti pubblici della regina e sposa reale di Akhenaten” parleranno Maurizio Zulian e Graziano Tavan mercoledì 26 ottobre 2022, alle 20.30, all’auditorium di Villafranca di Verona (accanto al castello, ingresso libero) nell’approfondimento in esclusiva per il pubblico in sala in occasione della presentazione – la prima in Veneto – del libro “Nella terra di Pakhet. Carnet de voyage nelle province centrali dell’Alto Egitto. Appunti di trent’anni di esplorazioni”, prefazione di Edda Bresciani (Marsilio Arte). È un’iniziativa dell’assessore alla Cultura del Comune di Villafranca, Claudia Barbera, e del presidente della Biblioteca comunale, Renzo Campo Dell’Orto. I due autori lo avevano promesso. E hanno scelto un tema trasversale, non incentrato sull’illustrazione di un sito specifico, ma ricostruendo la figura di questa grande e famosa regina attraverso quanto il sito di Amarna ci ha restituito, un sito complesso e articolato cui Zulian e Tavan dedicano quasi cento pagine delle poco meno di seicento dell’intero libro. Nel corso della presentazione la figura di Nefertiti prenderà forma, seguendola da quando la sua vita è cambiata sposando il faraone Amenofi IV e diventando quindi grande sposa reale. Il faraone avvia una rivoluzione religiosa sostituendo alle divinità del pantheon egizio il Disco Solare, Aten: così cambia nome e diventa Akhenaten, e sposta la capitale da Tebe a quello che oggi è il sito di Amarna. Nefertiti è sempre al fianco del faraone: la vediamo nei momenti intimi della vita privata, e in quelli ufficiali. Rimane aperto solo l’ultimo capitolo della sua vita: la sua scomparsa. Non sappiamo ancora né quando è morta, né dove è sepolta. Ma la ricerca archeologica continua.

Egitto. Torna al suo antico splendore il Viale delle Sfingi, la strada processionale che 3500 anni fa collegava il tempio di Karnak col tempio di Luxor: dopo un lunghissimo progetto di scavo archeologico, recupero e ripristino delle 1200 statue leonine con testa umana, i 2700 metri del viale sacro è protagonista del grande evento mediatico inaugurale “Luxor… La strada degli arieti”

Prova generale per la celebrazione della riapertura del Viale delle Sfingi a Luxor (foto ministry of Tourism and Antiquities)

egitto_luxor-riapre-viale-delle-sfingi_locandinaCi siamo. Dopo l’ennesimo rinvio (l’ultimo è del 5 novembre scorso) oggi, giovedì 25 novembre 2021, dopo un decennale progetto di ricerca archeologica e restauro, sarà riaperta la via processionale delle sfingi che 3500 anni fa collegava il tempio di Luxor con il tempio di Karnak, ideata dal faraone della XVIII dinastia Amenhotep-Amenofi III (1386-1349 a.C.) e utilizzata fino al tramonto della civiltà egizia. Appuntamento alle 19.30 (18.30, ora italiana) con l’evento “Luxor…La strada degli arieti”. E sarà “un evento spettacolare in una delle mete turistiche più famose e più belle dell’Egitto che promuoverà il turismo a Luxor e le sue diverse realtà, non solo archeologiche. A conclusione di uno dei più grandi progetti archeologici realizzati nel Medio Oriente che farà di Luxor il più grande museo all’aperto del mondo”, parola del ministro del Turismo e delle Antichità Khaled el-Anani che nei giorni scorsi ha ispezionato i templi di Luxor e Karnak seguendo da vicino i preparativi per l’evento “Luxor…La strada degli arieti”. Khaled el-Anani è stato accompagnato durante la visita dai suoi assistenti, dal soprintendente generale allo Sviluppo dei Servizi nei siti e musei Archeologici al Consiglio Supremo delle Antichità, il capo dell’amministrazione centrale delle Antichità dell’Alto Egitto, il direttore generale delle Antichità dell’Alto Egitto, il direttore generale delle Antichità di Luxor e il direttore generale delle Antichità di Karnak.

La nuova illuminazione al Ramesseum nel tempio di Luxor (foto ministry of Tourism and Antiquities)
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Il ministro Khaled el-Anani nel sopralluogo al tempio di Karnak (foto ministry of Tourism and Antiquities)

Il ministro el-Anani ne è convinto: l’evento “Luxor…La strada degli arieti” affascinerà il mondo per la bellezza e le attrazioni turistiche e archeologiche di Luxor e farà luce sull’antica civiltà egizia, soprattutto grazie al completamento dei lavori di sviluppo e miglioramento dell’efficienza delle infrastrutture nel governatorato e sviluppo e abbellimento della Corniche, delle sue strade e piazze. E le immagini delle prove generali della grande festa sembrano confermarlo. Il progetto di restauro ha coinvolto la sala ipostila con le grandi colonne nei templi di Karnak, i sistemi di illuminazione nel tempio di Luxor, la sala di 14 pilastri nel tempio di Luxor. “Si potrà così riscoprire il percorso delle grandi processioni conosciute come il Viale degli Arieti”.

Il viale delle Sfingi a Luxor dopo il lungo progetto di scavo, restauro e ricollocamento (foto ministry of Tourism and Antiquities)
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Prova generale per la celebrazione della riapertura del Viale delle Sfingi a Luxor (foto ministry of Tourism and Antiquities)

Si ricorda il Viale degli Arieti, ma oggi si parla di Viale delle Sfingi: perché? Fu la regina Hatshepsut (XVIII dinastia, regnò dal 1506 al 1493 a.C. circa) a costruire porre sulla strada processionale sfingi a sua somiglianza. Ma venne spesso modificata a cominciare dal faraone Amenhotep-Amenofi IV (Akhenaten) che alternò le sfingi con immagini sue alternate a quelle della regina Nefertiti; dopo di lui, Tutankhamon fece modificare quelle immagini facendo scolpire teste di ariete proprio in onore al dio Amon, di cui aveva ripristinato il culto. Invece risale al faraone Nectanebo I, fondatore dell’ultima dinastia faraonica (regnò dal 380 al 362 a.C. circa), il viale che è giunto fino a noi con una teoria di sfingi tipiche del Periodo Tardo. A dimostrazione, spiegano gli egittologi, il fatto che queste sfingi ricordano i lineamenti di Nectanebo e mostrano il tipico sorriso delle sculture della XXX dinastia.

Fase dello scavo del Viale delle Sfingi a Luxor (foto maurizio zulian)

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Fase dello scavo del Viale delle Sfingi a Luxor (foto maurizio zulian)


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Fase dello scavo del Viale delle Sfingi a Luxor (foto maurizio zulian)

Dei lavori di ideazione, scavo, restauro e ricollocamento in situ delle sfingi, nonché la musealizzazione di tutto il percorso, si parla dall’inizio degli anni 2000. E come molti altri progetti archeologici dell’Egitto ha dovuto affrontare e superare molti ostacoli finanziari e amministrativi che hanno inevitabilmente causato la sospensione dei lavori. Nelle immagini di Maurizio Zulian, curatore onorario per le antichità egizie alla fondazione museo civico di Rovereto, si può seguire l’andamento dei lavori che hanno obbligato le autorità a modificare la viabilità, eliminando i tratti stradali che passavano proprio sopra il tracciato sacro, e ad abbattere molti edifici anche pubblici (tra cui la sede del Governatore e una moschea), con lo fratto e lo spostamento di più di 800 famiglie. Oggi il Viale delle Sfingi rappresenta una passeggiata eccezionale di 2700 metri dal X pilone del tempio di Amon-Ra a Ipet Sut (l’antico nome del Tempio di Karnak) al grande portale alto 24 metri costruito da Ramesse II a Ipet Resyt (l’antico nome del Tempio di Luxor) fiancheggiata da circa 1200 statue leonine che attirerano – le autorità egiziano lo sperano convinte – tantissimi turisti.

Egitto. Zahi Hawass ha scoperto a Tebe Ovest la “città d’oro perduta”, edificata da Amenhotep III e utilizzata anche da Tutankhamon e Ay: è la più grande città mai trovata, con distretto amministrativo e industriale (“Scoperta paragonabile alla tomba di Tut”). Informazioni sulla vita quotidiana degli antichi egizi. Si spera dia risposte al perché Akhenaten e Nefertari si spostarono ad Amarna

La città d’oro perduta scoperta da Zahi Hawass a Tebe Ovest (foto ministry of Tourism and Antiquities)
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L’egittologo Zahi Hawass già ministro delle Antichità (foto ministry of Tourism and Antiquities)

Dalle sabbie di Luxor-Tebe Ovest riaffiora la “città d’oro perduta” edificata più di 3000 anni fa sotto il regno di Amenhotep III / Amenofi III e utilizzata – dopo la parentesi di Akhenaten – anche da altri due faraoni: Tutankhamon e Ay. Lo ha annunciato lo stesso autore della scoperta, Zahi Hawass, già ministro alle Antichità, alla guida della missione egiziana a Tebe Ovest. “La scoperta di questa città perduta è la seconda scoperta archeologica più importante dalla tomba di Tutankhamon”, assicura Betsy Brian, professore di egittologia alla John Hopkins University di Baltimora (Stati Uniti). “Molte missioni straniere hanno cercato questa città e non l’hanno mai trovata”, ha sottolineato Hawass. “Noi abbiamo iniziato il nostro lavoro alla ricerca del tempio funerario di Tutankhamon perché i templi di Horemheb e Ay sono stati trovati in questa zona, e abbiamo trovato la città d’oro”. Non si sono ancora spenti gli echi della Parata d’Oro dei Faraoni, l’evento – seguito da milioni di appassionati nel mondo – voluto dal presidente Abdel Fatah al-Sisi e organizzato dal ministero per il Turismo e le Antichità per promuovere l’Egitto in occasione del trasferimento di 22 mummie reali dal museo Egizio di piazza Tahrir al nuovo museo nazionale della Civiltà egizia, che dall’Egitto arriva un’altra notizia destinata a fare rapidamente il giro del mondo.

Amuleti rinvenuti nella città d’oro perduta dalla missione egiziana a Tebe Ovest (foto ministry of Tourism and Antiquities)
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La mummia del re Amenhotep III fu trovata nel 1898 nella tomba di Amenhotep II (KV 35), nella Valle dei Re a Luxor (foto ministry of Tourism and Antiquities)

“È la più grande città mai esistita in Egitto”, ha confermato Hawass, “fondata da uno dei più grandi sovrani dell’Egitto, il re Amenhotep III, il nono re della XVIII dinastia, che governò l’Egitto dal 1391 al 1353 a.C. Suo figlio e futuro erede al trono, Amenhotep IV, che poi nella città dell’Aten (Akhetaten / Amarna) si farà chiamare Akhenaten, ha condiviso nella città d’oro gli ultimi otto anni del suo regno. Questa città era il più grande insediamento amministrativo e industriale dell’epoca. Le strade erano fiancheggiate da case, di cui ci sono rimasti alzati fino a 3 metri. L’area di scavo si trova tra il Tempio di Ramses III a Medinet Habu e il Tempio di Amenhotep III a Memnon: la città si estende a Ovest, fino a Deir el-Medina”. E Brian ha aggiunto: “La scoperta della Città Perduta, non solo ci darà un raro sguardo sulla vita degli antichi egizi nel periodo in cui il Regno era più ricco, ma ci aiuterà a far luce su uno dei più grandi misteri della storia: perché Akhenaten e Nefertiti decisero di trasferirsi ad Amarna”. Le ricerche stanno portando infatti gli archeologi allo strato della città nel suo momento d’oro: le informazioni che ricaveranno sono destinate a cambiare le nostre conoscenze su quel periodo storico tra Amenhotep III e Tutankhamon. Cosa è successo veramente? Perché la città è stata abbandonata e la capitale è stata trasferita ad Amarna? E la città fu di nuovo ripopolata quando Tutankhamon tornò a Tebe? Solo ulteriori scavi nell’area riveleranno cosa accadde veramente quasi 3400 anni fa. La scoperta della città perduta permetterà di capire meglio anche alcuni aspetti della vita quotidiana degli antichi egizi, come la tecnica di costruzione e decorazione delle case, gli strumenti usati e l’organizzazione del lavoro. Finora è stata scavato solo un terzo dell’area: la missione continuerà le ricerche, compresa l’area che è stata identificata come possibile sito del tempio funerario di Tutankhamon. “Abbiamo molte informazioni su tombe e templi”, ha sottolineato Hawass, “ma questa è la prima volta che uno scavo rivela segreti sulla vita dei re dell’età d’oro dell’Egitto”.

La città d’oro perduta riemersa dalle sabbie: gli alzati conservati raggiungono anche i tre metri di altezza (foto ministry of Tourism and Antiquities)

Lo scavo è iniziato nel settembre 2020 e in poche settimane, con grande sorpresa del team, file di mattoni di fango hanno iniziato ad apparire in tutte le direzioni. Quello che veniva poco a poco alla luce era il sito di una grande città in buone condizioni di conservazione, con mura quasi complete e con stanze piene di strumenti della vita quotidiana. Gli strati archeologici sono rimasti intatti per migliaia di anni, lasciati dagli antichi residenti come se fosse ieri. La missione egiziana – come detto – ha iniziato a lavorare in quest’area con l’obiettivo di ritrovare il tempio funerario di Tutankhamon, realizzato dal re Ay, il successore di Tutankhamon, su un sito che più tardi sarebbe finito adiacente al lato meridionale del Tempio di Ramses III a Medinet Habu. Gli egittologi ritengono che il tempio di Ay possa essere appartenuto prima a Tutankhamon poiché lì furono trovate due statue colossali del giovane re. La parte settentrionale del tempio è ancora sotto la sabbia.

Città d’oro perduta a Tebe Ovest: iscrizioni geroglifiche trovate su tappi di argilla di vasi di vino (foto ministry of Tourism and Antiquities)
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Applique rinvenute nello scavo della città d’oro perduta a Tebe Ovest (foto ministry of Tourism and Antiquities)

Il primo obiettivo della missione è stato datare questo insediamento. Iscrizioni geroglifiche trovate su tappi di argilla di vasi di vino e riferimenti storici ci dicono che l’insediamento era costituito da tre palazzi reali del re Amenofi III, nonché dal centro amministrativo e industriale del Regno. Un gran numero di reperti archeologici, come anelli, scarabei, vasi di ceramica colorata e mattoni di fango recanti i sigilli del cartiglio del re Amenhotep III, hanno confermato la datazione della città. Dopo soli sette mesi di scavi, sono state scoperte diverse aree o quartieri. Nella parte meridionale, la missione ha trovato una panetteria, una zona di cottura e preparazione dei cibi, completa di forni e deposito di vasellame. Dalle sue dimensioni, possiamo affermare che la cucina accoglieva un numero molto elevato di lavoratori e dipendenti. La seconda area, ancora scoperta parzialmente, rappresenta il distretto amministrativo e residenziale, con unità più ampie e ben disposte. Quest’area è recintata da un muro a zig-zag, con un solo punto di accesso che conduce a corridoi interni e zone residenziali. L’unico ingresso ci fa pensare che fosse un  sistema di sicurezza, che permetteva di controllare l’ingresso e l’uscita da aree chiuse. I muri a zig-zag sono uno dei rari elementi architettonici dell’antica architettura egizia, utilizzati principalmente verso la fine della XVIII dinastia. La terza area è l’officina. Da un lato, l’area di produzione dei mattoni di fango utilizzati per la costruzione di templi e annessi. I mattoni hanno sigilli recanti il ​​cartiglio del re Amenhotep III (Neb Maat Ra). Dall’altro, un gran numero di stampi da colata per la produzione di amuleti e delicati elementi decorativi. Questa è un’ulteriore prova della vasta attività in città per la produzione di decorazioni sia per i templi che per le tombe.

La strana sepoltura di un bovide scoperta nella città d’oro perduta a Tebe Ovest (foto ministry of Tourism and Antiquities)

In tutte le aree scavate, la missione ha trovato molti strumenti utilizzati in una sorta di attività industriale come la filatura e la tessitura. Sono state portate alla luce anche scorie di lavorazione del metallo e del vetro, ma l’area principale di tale attività deve ancora essere scoperta. All’interno di una delle stanze sono state trovate due insolite sepolture di una mucca o di un toro. Sono in corso indagini per determinare la natura e lo scopo di questa pratica. E ancora più notevole è la sepoltura di una persona trovata con le braccia tese lungo i fianchi, e resti di una corda avvolta intorno alle ginocchia. La posizione della sepoltura e la deposizione di questo scheletro sono piuttosto strane e sono in corso ulteriori indagini. È stato inoltre ritrovato un contenitore contenente due galloni di carne essiccata o bollita (circa 10 kg) che reca una preziosa iscrizione: “Anno 37, carne condita per la terza festa di Heb Sed dal macello del recinto per bestiame di Kha fatta dal macellaio luwy”. Questa preziosa informazione non solo ci dà i nomi di due persone che hanno vissuto e lavorato nella città, ma conferma anche che la città era attiva e ha determinato il tempo della co-reggenza del re Amenhotep III con suo figlio Amenhotep IV / Akhenaten. La missione ha anche trovato un testo inciso sull’impronta di un sigillo che recita: “gm pa Aton” che può essere tradotto come “il dominio dell’abbagliante Aten”, e questo è il nome di un tempio costruito dal re Akhenaten a Karnak. A nord dell’insediamento è stato anche scoperto una grande necropoli, la cui estensione non è stata ancora determinata, e la missione ha scoperto un gruppo di tombe scavate nella roccia di varie dimensioni, a cui si accede tramite scale scavate nella roccia, che mostrano una caratteristica comune alla costruzione delle tombe nella Valle dei Re e nella Valle dei Nobili. Gli scavi sono ancora in corso e la missione prevede di scoprire tombe incontaminate piene di tesori.

Al museo delle Capitali d’Egitto nella nuova capitale amministrativa del Cairo sono arrivate le mummie dei sacerdoti e delle sacerdotesse del dio Amon dal museo Egizio di piazza Tahrir

Il museo delle Capitali d’Egitto nella nuova capitale amministrativa del Cairo arricchito con le mummie dal museo Egizio di piazza Tahrir (foto Ministry of Tourism and Antiquities)

Le mummie dei sacerdoti e delle sacerdotesse del dio Amon dal museo Egizio di piazza Tahrir hanno raggiunto la loro nuova “casa”: il museo delle Capitali d’Egitto nella nuova capitale amministrativa del Cairo. Lo ha annunciato Ali Omar, capo del Comitato supremo per lo scenario espositivo del museo presso il ministero del Turismo e delle Antichità: “Le vetrine sono state preparate e sterilizzate in modo speciale per preservare le mummie all’interno”. E ha spiegato: “La mummia di Nesy-Khonsu, la seconda moglie del sommo sacerdote di Amon Pinudjem II, è considerata un chiaro esempio dello sviluppo del metodo di mummificazione della XXI dinastia, gli occhi sono coperti di pietre e il colore giallo della pelle dava un senso di vitalità e freschezza”. E Moamen Othman, capo del settore dei Musei presso il ministero, ha ricordato che queste mummie furono scoperte nel nascondiglio reale a Deir el-Bahari nel 1881: “La mummia di Pinudjem II, il sommo sacerdote di Amon, aveva la pelle di colore giallo e rosso scuro, ed era avvolta in lino sottile con frange colorate. E la mummia del nonno di Ptah uf Ankh della XXI dinastia, aveva le dita delle mani e dei piedi decorate con anelli. Quanto alla mummia di Hanutawi, la moglie del sommo sacerdote di Amon, Pinudjem I, ha una faccia paffuta per mostrare vitalità. Infine la mummia di Nodjmet, la moglie di Harihor, il sacerdote capo di Amon, aveva gli occhi intarsiati con pietre bianche e nere, che dà la sensazione di essere ancora vivi, e portava parrucche e sopracciglia naturali”.

Il museo delle Capitali d’Egitto nella nuova capitale amministrativa al Cairo (foto Ministry of Tourism and Antiquities)

Il museo delle Capitali d’Egitto racconta la storia delle capitali egizie attraverso epoche diverse. Nella galleria principale è esposta una serie di capitelli antichi e moderni. L’intitolazione del museo ricorda le 7 capitali che si sono succedute lungo la valle del Nilo: Memphis, Tebe, Tell El-Amarna, Alessandria, Cairo islamico, Cairo Khedivial. E per ogni periodo storico di ogni capitale il museo presenta reperti caratteristici: oggetti quotidiani, strumenti di guerra e combattimento, il sistema di governo e varie corrispondenze. Nella seconda sezione del museo, ospitata in un’ala del palazzo, viene rappresentato l’aldilà nell’antico Egitto. Al centro la tomba di Tutu, scoperta nel 2018 nel Governatorato di Sohag, e poi mummie, sarcofagi e due scaffali con vasi canopi, e una serie di false porte e testi che simulano rituali religiosi nell’antico Egitto. L’esposizione del museo utilizzerà le più moderne tecnologie: le gallerie espositive sono dotate di schermi che mostrano un film panoramico interattivo sulla storia di ciascuna delle antiche capitali egiziane.

Una vetrina in allestimento al museo delle Capitali d’Egitto nella nuova capitale amministrativa al Cairo (foto Ministry of Tourism and Antiquities)

“Il museo”, ha annunciato Mona Raafat, supervisore generale del museo delle Capitali d’Egitto, “ha ricevuto recentemente più di cento reperti provenienti da numerosi musei e depositi archeologici; compresi i depositi dei musei di Luxor, le carrozze reali di Bulaq, Suez e il museo Egizio di piazza Tahrir, e il sito archeologico di Mit Rahinah. I lavori nel museo stanno procedendo in vista della sua apertura. I reperti sono stati selezionati con cura per arricchire il percorso espositivo che raccontare la storia delle capitali egiziane attraverso diverse epoche storiche”. E uno dei pezzi più importanti del museo è una collezione di pietre Talatat raffiguranti il ​​re Akhenaten e sua moglie la regina Nefertiti dal deposito del museo di Luxor, che ora sono in fase di restauro per la loro presentazione al pubblico; oltre a una carrozza cubana, un Kalash e un modello di carrozza da guerra, che era un regalo al re Farouk. “Dal museo Egizio – conclude – oltre alle mummie e a una serie di vasi canopi, anche una scatola di legno con incisa l’immagine del dio Anubi, da esporre nella sala riservata ai rituali funebri. Insieme a una meravigliosa doppia statua del re Merenptah e della dea Hathor di Mit Rahinah”.

“Le Passeggiate del Direttore”: col 27.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco ci porta nella famosa Galleria dei Re del museo Egizio di Torino alla scoperta di alcune delle meravigliose statue della collezione

Col 27.mo appuntamento con le “Passeggiate del direttore” dedicato a “Faraoni: dei e re”, Christian Greco ci porta nella cosiddetta Galleria dei Re, uno degli ambienti più famosi del museo Egizio di Torino, alla scoperta di alcune delle meravigliose statue lì esposte. Una delle statue più importanti conservate al museo Egizio di Torino, e davvero una delle più conosciute al mondo, mostra un giovane Ramses II: indossa la corona di combattimento khepresh, una tunica plissettata che gli avvolge il corpo, e tiene in mano lo scettro. “È interessante notare”, spiega Greco, “come i suoi piedi con i sandali schiaccino i nemici dell’Egitto. Ci sono i nove archi che rappresentano i nemici dell’Egitto, schiacciati dal sovrano che siede in trono. Ai lati del trono riconosciamo il sema tawi, l’unione del Basso e dell’Alto Egitto, quindi il sovrano dell’Alto e Basso Egitto sconfigge e domina i nemici. Del resto si vede nella parte frontale del piedistallo che questi nemici sono legati e dominati assolutamente dal potere regale del faraone”.

La magica atmosfera dello statuario nella Galleria dei Re del museo Egizio di Torino

Vicino alla statua di Ramses II c’è una statua molto importante, ma che spesso viene ignorata dai visitatori del museo Egizio di Torino, forse perché ritenuta una statua minore. Si tratta di una diade ovvero di una statua di due persone: c’è Horemheb, giuntoci acefalo, con la moglie Mutnedjemed. “Perché è importante questa statua?”, si chiede il direttore. “È importante per quello che sfugge perché non si vede, ovvero per il testo che è conservato in 26 righe nella parte posteriore della statua. Questo testo ci narra di un momento importantissimo nella storia dell’antico Egitto. Il momento in cui viene a finire quella che si definisce l’eresia di Amarna”. Durante il periodo di Amarna, Amenofi IV, che cambia il nome in Akhenaten, trasferisce la sua capitale da Tebe ad Akhetaten (l’odierno tell el-Amarna), e avvia una profonda rivoluzione religiosa. Dice che il pantheon degli antichi dei non deve più essere adorato ma che vi è una divinità che adesso deve essere adorata e questa divinità è l’aton, il disco solare. “Sappiamo che dopo la morte di Akhenaten”, continua Greco, “c’è il regno di Smenkhara, quindi il regno del sovrano bambino Tutankhamon che muore a 18 anni, al quale succederà Ay un generale che regnerà solo per cinque anni, e poi Horemheb. “Horemheb porta avanti l’opera di restaurazione, va in tutte le città e riapre i templi e cerca di ristabilire l’antico culto perché l’Egitto torni a essere prospero. E proprio questo testo ci parla della situazione in cui si trova l’Egitto, l’Egitto che non è più florido perché gli dei non gli sono più benevolenti. Ed ecco quindi come sia necessario ristabilire il culto di tutti gli dei, ritornare all’ortodossia perché il nome dell’Egitto sia di nuovo grande e l’Egitto venga adorato in tutto il mondo”.

La colossale statua di Seti II domina la Galleria dei Re del museo Egizio di Torino (foto Graziano Tavan)

Sempre nella Galleria dei Re colpisce la statua di Seti II, la statua più grande presente al museo Egizio: è lunga 5,16 metri. Ha una statua assolutamente gemella che si trova al Louvre. Questa statua, assieme alla sua gemella, sono state trovate nella parte Nord della prima corte del tempio di Karnak. Quando oggi si va a visitare il tempio di Karnak si passa attraverso la porta monumentale, il cosiddetto primo pilone, costruito da Nectanebo I, e sulla nostra sinistra vi è una cappella fatta costruire da Seti II, e nella parte anteriore vi erano appunto due statue entrambe alte 5,16 metri. “Il nome di Seti II era scritto dove ora c’è un buco. Si legge ancora “ptah”, parte del nome Merenptah, ma il nome Seth è stato scavato, tolto quasi in un segno di damnatio memoriae. Seth era legato con tutto ciò che veniva definito come male, come non ordine, colui che dominava il deserto. Cosa dice il testo? Dice che il sovrano delle due terre è amato da Amon Ra, signore dei troni delle due terre. La stessa formula viene ripetuta su ambo i lati”. Ma come è arrivata a Torino questa statua? “È arrivata a Genova e poi è stata trasportata su fusti di cannoni fino a Torino”, racconta Greco. “Una volta arrivata qui non c’era una sala che la potesse ospitare e fu lasciata fuori, coperta con della paglia per preservarla dalle intemperie dell’inverno. E quando Jean François Champollion, il padre dell’egittologia, che arriva qui per studiare la collezione, vide questa statua fuori, scrisse un pamphlet in cui lui stesso si impersonifica in Seti II. E Seti II scrive al Re di Sardegna e gli dice “io re dei re mi trovo ora prigioniero in una stalla piemontese, cerca di trovare un luogo adeguato alla mia statura di gran re”.

La statua di Thutmosi III nella Galleria dei Re del museo Egizio di Torino (foto museo egizio)

C’è un’altra statua meravigliosa che è conservata all’interno del museo Egizio: è la statua di Thutmosi III, un altro grande sovrano guerriero. Ramses II – sappiano – resta sul trono 67 anni, espande i confini dell’Egitto, impone il suo nome su tantissimi monumenti dell’antico Egitto: forse quello più famoso è il tempio di Abu Simbel dove ci sono quattro statue colossali che rappresentano Ramses II. “Ma prima di lui vi era stato un altro sovrano guerriero molto importante, Thutmosi III, che espande i confini dell’impero egizio, arrivando nel Levante, fino al confine con la Turchia. A Torino lo vediamo rappresentato con le tipiche fattezze faraoniche: busto slanciato, idealizzato, tipico dei faraoni; in testa la corona nemes, con al centro l’ureo, o il cobra, simbolo di regalità. Tra le gambe ha una coda, la coda di toro, perché uno dei suoi epiteti è “ka nekhet”, ovvero “toro potente”, toro forte, colui che con la sua potenza riesce a dominare l’Egitto, riesce a garantire maat e a rendere sicuro l’Egitto. Ai lati i suoi nomi, il sovrano dell’alto e basso Egitto con il nome del sovrano. E poi di nuovo, come nella statua di Seti II, “amato da Amon Ra, signore dei troni delle due terre e signore del cielo”. E poi “dotato di vita per sempre”. E qui la stessa cosa, ma prima del cartiglio c’è l’epiteto “sa Ra”, “figlio del dio sole”. Epiteto che si trova nelle statue e negli epiteti regali a partire dalla IV dinastia. E come nella statua di Ramses II, di nuovo i piedi del sovrano che schiacciano i nemici dell’Egitto e di nuovo la rappresentazione dei nove archi dei nemici dell’Egitto. Per quanto concerne poi la storia della collezione vi è un altro aspetto interessante ovvero il nome di Rifaud, che è definito scultore al servizio di monsieur Drovetti. Jean Jacques Rifaud era uno degli agenti di cui Drovetti si serviva per andare in giro per Tebe a trovare statue che poi entrarono a far parte della collezione arrivata nel 1824 qui a Torino”.

Cosmetici ed effetti terapeutici nell’Antico Egitto. Ne parla il prof. Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert al museo Egizio di Torino: “Il kohol nelle ricette mediche. Vasi cosmetici e trattati medici sulle malattie dell’occhio sui papiri”

Il cofanetto da toeletta che faceva parte del corredo funerario di Merit, sposa dell’architetto Kha, conservato al museo Egizio di Torino

C’è un reperto prezioso, tra le migliaia esposti al museo Egizio di Torino, che spesso passa quasi inosservato ai più, presi come siamo a memorizzare il più possibile di quella civiltà affascinante quale è quella dell’Antico Egitto. Si trova nella sala riservata alla tomba dell’architetto Kha (“Capo della Grande Casa”, vissuto intorno al 1400 a.C.) e della moglie Merit, scoperta integra e inviolata da Ernesto Schiaparelli nel 1906 a Deir el Medina. Tra letti, panche, sgabelli, cofani, tele, tuniche, stoffe, vasellame in ceramica, metallo e pietra, nel corredo di Merit c’è anche uno straordinario cofanetto da toeletta, che conserva alcuni vasetti per la conservazione e il trasporto di unguenti e cosmetici, tra i quali il famoso kohol per il trucco agli occhi.

La locandina della conferenza del prof. Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert al museo Egizio di Torino

Ma quel trucco ha un “trucco”, e scusate il gioco di parole: aveva anche effetti medicamentosi. Martedì 4 giugno 2019, alle 18, se ne parla al museo Egizio nella conferenza “Il kohol nelle ricette mediche. Vasi cosmetici e trattati medici sulle malattie dell’occhio sui papiri”, tenuta dal professor Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert. Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert è professore di Egittologia all‘istituto di Egittologia dell‘università di Lipsia e direttore generale del museo Egizio “Georg Steindorff” dell’università di Lipsia. Tra i suoi interessi di ricerca: l‘antica letteratura egizia, la religione, la medicina e la magia. I contenitori egizi porta kohol sono di solito considerati soprattutto come vasi porta cosmetici. Galena nera e malachite verde, che formano i costituenti di base della pittura per occhi (kohol), sono però integrati da una vasta gamma di altri ingredienti. Alcuni contenitori databili al Nuovo Regno, tuttavia, recano sulle superfici titoli di ricette mediche che raccontano il loro vero scopo. Inoltre, le iscrizioni possono essere collegate a manuali medici sulle malattie degli occhi. Oltre alla “pittura quotidiana per occhi” incontriamo mezzi specifici per trattare sia problemi stagionali, sia i frequenti problemi degli occhi che molestavano gli Egizi di ogni livello sociale. La loro accessibilità era limitata e legata al Tesoro Reale, però. L’intervento del professor Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert tratterà questi temi da una prospettiva combinata su cosmetici e medicina. La conferenza sarà introdotta da Federico Poole, curatore del museo Egizio. Ingresso libero in sala Conferenze fino a esaurimento posti.

Un ritratto della regina Nefertari con gli occhi truccati porge due vasetti per cosmetici (dipinto dalla tomba di Nefertari nella valle delle Regine)

Le regine dell’Antico Egitto amavano truccare gli occhi con il kohol, che allungava la forma dell’occhio, così da ricordare quella del dio Horus. Occhi truccati. Li vediamo nei ritratti della regina Nefertari, sposa del faraone Ramses II, dipinti nella sua tomba, scoperta nella Valle delle Regine da Ernesto Schiaparelli nel 1904. O nel busto della regina Nefertiti, sposa del faraone Akhenaten, scoperto a tell el-Amarna da Ludwig Borchardt nel 1912, e oggi conservato a Berlino. Ma, come verrà ben illustrato nella conferenza del museo Egizio di Torino, quel trucco non soddisfaceva solo un’esigenza estetica, o un sentimento religioso. C’era anche un risvolto medico-farmacologico. “l clima torrido, il sole abbacinante e l’ambiente polveroso dell’Egitto”, spiegano gli esperti, “non erano certo salubri per l’epidermide e gli occhi. Gli antichi creatori di cosmetici avevano quindi messo a punto trucchi dotati di potere protettivo o terapeutico”. È proprio quanto succede con il kohol i cui componenti principali – come abbiamo visto – erano la malachite (carbonato del rame di colore verde intenso) e la galena (composto del piombo dal tono grigio scuro) cui venivano aggiunti grassi animali, cera d’api o resine per agglutinarli. “Tramite l’uso di tipici bastoncini di legno, questi pigmenti venivano stesi generosamente sulle palpebre proteggendo gli occhi dal tracoma, una malattia infiammatoria cronica della congiuntiva, di natura virale e contagiosa. Inoltre, evitavano l’emeralopia, ovvero l’abbassamento della vista al tramonto e curavano la congiuntivite”.

Il faraone eretico e la rivoluzione religiosa nell’Antico Egitto. Al museo Egizio di Torino incontro con l’egittologo Marco Zecchi su “Adorare Aten: il tema della gioia nei testi solari del regno di Akhenaten”

Rilievo proveniente da tell el-Amarna (Egitto) con la famiglia reale di Akhenaten e Nefertiti sotto la protezione dell’Aten

“Tu sorgi bello all’orizzonte del cielo / o Aten vivo, da cui nacque ogni vita / Quando ti levi all’orizzonte orientale / tutte le terre riempi della tua bellezza. / Tu sei bello, grande, splendente, eccelso in ogni paese; / i tuoi raggi abbracciano le terre / tenendole strette per il tuo amato figlio.
“Tu sei lontano ma i tuoi raggi sono sulla terra. / Tu sei davanti agli uomini, ma essi non vedono la tua via. / Quando vai in pace all’orizzonte occidentale, / la terra è nell’oscurità come morta. / allora gli uomini dormono nelle loro stanze, /le teste sono ammantate, un occhio non vede l’altro.
“(…) All’alba tu riappari all’orizzonte, / Con il tuo disco splendente di giorno. / Tu lanci i tuoi raggi scacciando le tenebre. / Le Due Terre sono in festa: / svegliate e levate sui due piedi”.
Comincia così il Grande Inno ad Aten, uno dei componimenti più citati negli studi di Egittologia, scoperto alla fine del secolo scorso in una delle tombe della necropoli di tell El-Amarna, la nuova capitale religiosa e politica fondata nel 1345 a.C. dal faraone “eretico” Amenofi IV (anche Amenhotep IV) poi Akhenaten. L’inno celebra un dio di luce, gioia, calore, amore per tutte le forme di vita e per tutti i popoli, compresi i tradizionali nemici dell’Egitto. In tutta la composizione non si trova una parola di odio, nessun accenno a premiazioni o punizioni.

La locandina dell’incontro con l’egittorlogo Marco Zecchi dell’università di Bologna al museo Egizio di Torino

L’egittologo Marzo Zecchi

Martedì 28 maggio 2019, alle 18, il museo Egizio di Torino ospiterà la conferenza “Adorare Aten: il tema della gioia nei testi solari del regno di Akhenaten”, tenuta da Marco Zecchi, professore associato di Egittologia all’università di Bologna.La conferenza, introdotta da Christian Greco, direttore del museo Egizio, è a ingresso libero in sala Conferenze fino a esaurimento posti. L’incontro si potrà seguire anche LIVE STREAMING sulla pagina Facebook del Museo. Marco Zecchi ha studiato all’Alma Mater Studiorum, università di Bologna, e il Department of Archaeology, Classics and Egyptology dell’università di Liverpool.

Particolare della statua del faraone eretico Akhenaten

Alla metà del XIV secolo a.C. l’Egitto fu sconvolto dalla salita al trono di Amenhotep IV, il quale, nel quinto anno di regno, cambiò il suo nome in Akhenaten, inaugurando una politica religiosa ed economica che apparve già ai suoi contemporanei come volutamente in contrasto con la oramai millenaria tradizione della civiltà egiziana. Votato esclusivamente al culto del dio sole Aten, il re concentrò il potere religioso ed economico nelle sue mani a scapito della potente classe sacerdotale. A causa delle sue idee, così in netta contrapposizione con la tradizione culturale del paese, alla sua morte Akhenaten fu estromesso dalla memoria storica dell’Egitto. Eppure, il suo regno costituisce uno dei periodi più complessi e originali della storia egiziana, dominato dalla figura di un sovrano unico nel suo genere, sempre in bilico tra l’essere ritenuto un idealista e primo monoteista della storia o un opportunista, che celò una rivoluzione politica in termini religiosi.