Vicenza, alla mostra “Mito. Dei ed eroi”: in questa 1^ parte scopriamo Apollo, nume tutelare della famiglia Leoni Montanari: gli affreschi allegorici del nobile palazzo dialogano con statue e affreschi antichi, e dipinti moderni

La statua romana di Apollo accoglie i visitatori della mostra “Mito. Dei ed eroi” a Palazzo Leoni Montanari di Vicenza. Alle sue spalle si intravede il Salone di Apollo (foto Graziano Tavan)

Fernando Mazzocca, Federica Giacobello, Agata Keran, curatori della mostra “Mito, dei ed eroi” (foto Graziano Tavan)
Ercole vigila dall’alto della suggestiva loggia barocca l’ingresso del palazzo e quanti fanno visita alla nobile famiglia vicentina dei Leoni Montanari di cui è nume tutelare. Ma ai più sfugge il suo sguardo. I visitatori che varcano la soglia della storica dimora di contra’ Santa Corona, a Vicenza, oggi sede delle collezioni delle Gallerie d’Italia di Banca Intesa San Paolo, attraversano distratti l’antico passo carraio e salgono al piano nobile. E qui invece non può sfuggire l’altro protagonista del palazzo e della famiglia che questo palazzo ha voluto con tutte le sue decorazioni celebrative, Apollo. Fino al 14 luglio 2019 un bellissimo Apollo del I sec. d.C. dal museo romano di Palazzo Massimo accoglie i visitatori nel “suo” palazzo. Alle sue spalle si apre il grande Salone, non a caso dedicato proprio ad Apollo, dove inizia il percorso della mostra “Mito. Dei ed eroi”, a cura di Fernando Mazzocca, Federica Giacobello, Agata Keran, allestita per celebrare il ventennale dell’apertura della sede vicentina delle Gallerie d’Italia (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2019/05/05/a-vicenza-la-mostra-mito-dei-ed-eroi-per-il-ventennale-delle-gallerie-ditalia-fa-riscoprire-arte-e-architettura-di-palazzo-leoni-montanari-in-cui-preziosi-reperti-antichi-d/). Il percorso si snoda lungo il piano nobile di Palazzo Leoni Montanari che rappresenta uno straordinario palcoscenico d’arte, popolato di miti e di allegorie profondamente legati al destino umano e storico della casata Leoni Montanari. Il filo conduttore della mostra è costituito dalle raffigurazioni pittoriche che ornano il palazzo di origine seicentesca: miti e iconografie greche risemantizzati per esaltare i valori ideali della committenza alla luce dell’ideologia e del sentimento del tempo. Partendo dunque dalla rilettura moderna, il visitatore è poi condotto a riscoprire divinità e racconti mitici nella loro autenticità antica, a comprenderne il valore religioso e artistico per cui furono concepiti.

“La strage dei Niobidi”: uno dei due “arazzi” dipinti nel Salone di Apollo di Palazzo Leoni Montanari a Vicenza da Giuseppe Alberti (foto Graziano Tavan)
Il dio tutelare del palazzo e protagonista delle sue raffigurazioni è – come si diceva – Apollo, divinità oracolare, delle arti e della musica. Con lui si apre la mostra in una sezione dedicata a due episodi del mito greco che lo vedono coinvolto in feroci punizioni esemplari ma che nel programma iconografico seicentesco servono a sottolineare la visione del palazzo come palcoscenico teatrale e musicale: la strage dei Niobidi e la gara musicale tra Apollo e Marsia. Siamo nel cosiddetto Salone di Apollo, luogo deputato sin dalle origini a eventi conviviali, come feste, concerti e momento teatrali. Questi due miti sono rappresentati nel Salone di Apollo dai dipinti realizzati come finti arazzi dal trentino Giuseppe Alberti, chiamato dai Leoni Montanari tra il 1687 e il 1688 a realizzare un ampio apparato ornamentale all’insegna della glorificazione della casata, in occasione dell’acquisizione della cittadinanza nobiliare di Vicenza. Apollo è infallibile arciere, venerato in antico come Parnopios (sterminatore di cavallette): e proprio un esempio di Apollo arciere è quello che abbiamo appena incontrato all’ingresso del salone, che si rifà a un celebre tipo statuario dello scultore ateniese Fidia, dedicato sull’Acropoli a protezione dei flagelli naturali. Ed è con l’arco che Apollo vendicherà, insieme alla sorella gemella Artemide, la madre Latona compiendo la strage dei figli di Niobe, la mortale che aveva osato vantarsi con la dea della sua numerosa progenie, compiendo un atto di hybris, all’origine della tragedia che ha colpito profondamente l’immaginario letterario e artistico. L’altro episodio che, come il precedente, ebbe grande fortuna e diffusione, è presentato più avanti – nel percorso della mostra – nella cosiddetta Sala dell’Antica Roma: Apollo è celebrato come dio della musica ed esperto suonatore della lira: tra i suoi molti trionfi sconfigge il satiro Marsia, abile suonatore di aulòs, flauto a doppia canna, che aveva osato sfidarlo in una gara musicale. Marsia fu punito con una tortura atroce ed esemplare: fu scorticato vivo.

La strage dei Niobidi su un affresco staccato dalla Casa del Marinaio di Pompei e oggi al Mann (foto Graziano Tavan)

Dettaglio del fronte di sarcofago del II sec. d.C. dal museo Archeologico nazionale di Venezia con la strage dei Niobidi (foto Graziano Tavan)
Usciti dal Salone di Apollo incontriamo due preziosi vasi per la conservazione dell’acqua lustrale (loutrophoros) a figure rosse (IV sec. a.C.) conservate al museo Archeologico nazionale di Napoli sui quali è rappresentata la pietrificazione di Niobe, mentre nell’affresco staccato dalla Casa del Marinaio di Pompei, a essere descritta è la strage dei Niobidi, cioè l’uccisione dei figli maschi di Niobe da parte di Apollo. Le figlie, invece, saranno eliminate da Artemide: a questa strage assiste impotente Niobe. La vediamo in una scena ricca di pathos in un marmo dipinto con pigmenti ocra proveniente dalla stessa domus pompeiana. Niobe guarda in alto, terrorizzata, in direzione delle frecce saettate da Artemide e col mantello cerca di proteggere una delle sue bimbe, colta mentre urla di dolore trafitta alla coscia da una freccia. Lo sguardo di Apollo nella testa in marmo del II sec. d.C. ci porta invece ad ammirare il coevo fronte di sarcofago dal museo Archeologico nazionale di Venezia, dove in un contorcersi di corpi si consuma la strage dei Niobidi, invano protetti dai loro genitori. Il mito dei figli di Niobe uccisi da Apollo e Artemide ha una ricca tradizione iconografica come conferma l’olio su tela del bresciano Luigi Basiletti che, oltre a essere stato un apprezzato pittore di paesaggio è stato anche un grande archeologo cui si devono gli scavi e il recuperi della Brescia romana. Basiletti recupera la drammaticità del mito e rievoca il mondo classico inserendo sullo sfondo la cupola del Pantheon e i Dioscuri del Quirinale.

Il bellissimo “Sigillo di Nerone” con il mito di Apollo e Marsia dal museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Graziano Tavan)
Con il mito di Apollo e Marsia celebrato, come abbiamo visto, nel Salone di Apollo, si esalta l’arte della musica e del bel canto al suono della lira. Con la vittoria di Apollo sul satiro Marsia esperto suonatore di flauto, le Muse decretano la superiorità degli strumenti a corda su quelli a fiato. Il mito attestato in Grecia dalla metà del V sec. a.C. e documentato vivacemente nel vaso apulo del IV sec. a.C. conservato al Mann esposto in mostra a Vicenza, ebbe grande popolarità nell’arte romana di ambito privato come testimoniano l’affresco da Pompei e il celebre “sigillo di Nerone”, gemma della fine del I sec. a.C. entrata a far parte della collezione di Lorenzo de’ Medici alla fine del XV secolo e oggi al Mann: Apollo è a sinistra, in piedi. Con la sinistra tiene la cetra e con la destra il plettro. A destra, seduto su una roccia è Marsia, legato con le braccia dietro la schiena a un albero disseccato. È il momento prima della fine del mito quando Marsia viene punito per la sua tracotanza (hybris). Chiudono questa sezione due opere. Una antica: la statuetta di Apollo citaredo del II sec. d.C., proveniente dall’Archeologico di Venezia, ritratto mentre nudo pizzica il suo strumento preferito: la cetra. L’altra moderna, a conferma del mito che continua: è una tela di Pompeo Batoni del 1741 con Apollo, la Musica e la Geometria, dove il pittore realizza l’allegoria delle arti, in cui Apollo rappresenta la Poesia.
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