Cagliari. Nella ricorrenza dei 100 anni dalla scomparsa, convegno su “Filippo Nissardi e l’archeologia sarda tra fine Ottocento e inizi Novecento”: due giorni in presenza alla Cittadella dei Musei e in streaming
La figura di Filippo Nissardi rappresenta ancora oggi un punto di riferimento per l’archeologia sarda; la sua instancabile attività, svolta tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento all’interno degli uffici delle Antichità e Belle Arti, ha toccato numerosi importanti siti sardi e tematiche centrali nello studio del patrimonio archeologico dell’isola e, in particolare, di quello di ambito pre-protostorico. Nella ricorrenza dei 100 anni dalla scomparsa, si terrà il convegno “Filippo Nissardi e l’archeologia sarda tra fine Ottocento e inizi Novecento” incentrato sulla sua attività e sul contributo dato agli studi di archeologia sarda, nella convinzione che l’analisi delle fonti documentarie relative alla storia delle ricerche risulti imprescindibile per una ricostruzione corretta di contesti, siti e collezioni museali. Il convegno, organizzato congiuntamente dall’università di Cagliari e dall’università di Sassari, e dal Segretariato regionale del Mic per la Sardegna, è in programma venerdì 2 e sabato 3 dicembre 2022 a Cagliari, nella Cittadella dei Musei, in modalità mista in collegamento sulla piattaforma Teams (Partecipa alla conversazione (microsoft.com). Comitato organizzatore: Massimo Casagrande (Segretariato regionale del MIC per la Sardegna), Carla Del Vais (università di Cagliari), Anna Depalmas (università di Sassari).
VENERDÌ 2 DICEMBRE 2022. Alle 9.30, saluto delle autorità: Ignazio Efisio Putzu (direttore del dipartimento di Lettere, Lingue e Beni culturali), Massimo Onofri (direttore del dipartimento di Scienze umanistiche e sociali), Patricia Olivo (segretario regionale del MIC per la Sardegna), Monica Stochino (soprintendente ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna), Bruno Billeci (soprintendente ABAP per le province di Sassari e Nuoro), Francesco Muscolino (direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari).
I SESSIONE. Alle 10, Massimo Casagrande (segretariato regionale del MIC), Carla Del Vais (università di Cagliari), Anna Depalmas (università di Sassari) su “Prologo: Filippo Nissardi e l’archeologia sarda tra fine Ottocento e inizi Novecento”; Francesco Muscolino (direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari) su “Vicende inedite o poco note della direzione del Museo di Cagliari nel tardo Ottocento”; Attilio Mastino (università di Sassari), Antonio Maria Corda (università di Cagliari) su “L’amichevole collaborazione di Theodor Mommsen con Filippo Nissardi in ambito epigrafico: la Sardegna esce dalla saecularis ignavia e dalle tenebrae vetustate consecratae. L’incendio della Biblioteca stregata, i calchi scomparsi, l’escursione archeologica a Sorabile, una febbre immaginaria”; Carla Del Vais (università di Cagliari) su “Il Canonico Giovanni Spano e Filippo Nissardi: il Maestro e l’allievo”; Elena Romoli (soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna) su “Ricerca archeologica, ricognizione sul territorio e documentazione cartografica: nascita e prima strutturazione del sistema e delle metodologie della tutela in Sardegna nel rapporto tra Filippo Vivanet e Filippo Nissardi”; Massimo Casagrande (segretariato regionale del MIC per la Sardegna) su “Filippo Nissardi e Antonio Taramelli, due mondi a confronto”; Raimondo Zucca (università di Sassari) su “Filippo Nissardi e il catalogo della collezione dell’avvocato Efisio Pischedda (Oristano)”.
II SESSIONE. Alle 15, Massimo Casagrande (segretariato regionale del MIC per la Sardegna) su “Filippo Nissardi e il collezionismo”; Patricia Olivo (segretario regionale del MIC per la Sardegna) su “La Sardegna archeologica di fine Ottocento nelle immagini del padre domenicano Peter Paul Mackey”; Giuseppina Manca di Mores (Accademia di Belle arti “M. Sironi” di Sassari) su “Thomas Ashby, Duncan Mackenzie e Filippo Nissardi: gli archeologi inglesi e la Sardegna all’inizio del ’900”; Anna Depalmas (università di Sassari) su “Le ricerche territoriali di Filippo Nissardi nella Sardegna settentrionale”; Gabriella Gasperetti (soprintendenza ABAP per le province di Sassari e Nuoro) su “Porto Torres, nuove scoperte ad oltre un secolo dai rilievi di Filippo Nissardi”; Patrizia Tomassetti (segretariato regionale del MIC), Gabriella Gasperetti (soprintendenza ABAP per le province di Sassari e Nuoro), Luca Doro (independent researcher) su “Un secolo di ricerche. Anghelu Ruju e Palmavera tra indagini passate e prospettive future”; Anna Depalmas, Giovanna Fundoni (università di Sassari), Claudio Bulla (independent researchers) su “Gli interventi Gouin-Nissardi nel santuario di Abini-Teti”; Gianfranca Salis, Anna Piga (soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna) su “Un’isola nell’isola. Spunti di riflessione sulla Sardegna centro-orientale alla luce dell’attività di Filippo Nissardi”.
SABATO 3 DICEMBRE 2022. III SESSIONE. Alle 9.30, Anna Piga, Alessandro Usai (soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna) su “Filippo Nissardi e il nuraghe Losa di Abbasanta”; Riccardo Cicilloni (università di Cagliari), Marco Cabras (independent researcher) su “La Giara di Gesturi (Sardegna centro-meridionale): nuove analisi sul paesaggio archeologico dell’età del Bronzo”; Carla Del Vais (università di Cagliari) su “Filippo Nissardi a Tharros: scavi e ricerche nelle necropoli puniche”; Giovanna Pietra (soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna) su “L’archeologia di Filippo Nissardi a Cagliari. Note a margine di contesti (quasi) inediti dalla necropoli di Tuvixeddu e da via Baylle”; Jacopo Bonetto, Alessandro Mazzariol, Arturo Zara (università di Padova) su “Tra Ottocento e Novecento: Filippo Nissardi a Nora”; Fabio Calogero Pinna (università di Cagliari) su “Filippo Nissardi e le origini dell’archeologia medievale in Sardegna: la scoperta del fondo Pula”; Enrico Dirminti (soprintendenza ABAP per le province di Sassari e Nuoro) su “Gli scarabei in steatite e fayence della Sardegna arcaica: da Filippo Nissardi a nuovi approcci metodologici di studio”; Miriam Napolitano (independent researcher) su “I cassetti della memoria. Filippo Nissardi e la sua collezione di impronte di gemme”; Paolo Filigheddu (independent researcher) su “L’epigrafia punica ai tempi di Filippo Nissardi e oltre: scoperte e valutazioni”.
Archeologia in lutto. È morto Mario Torelli, grande etruscologo, archeologo e docente di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana. Stava preparando una grande mostra su Pompei e Roma

Il prof. Mario Torelli, etruscologo, archeologo, docente di archeologia e storia dell’arte greca e romana, è morto all’età di 83 anni
Archeologia in lutto. All’età di 83 anni il 15 settembre 2020 è morto a Roma, dove era nato nel 1937, Mario Torelli, grande etruscologo, archeologo e docente di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana all’Università di Cagliari e di Perugia, allievo di Ranuccio Bianchi Bandinelli e di Massimo Pallottino. A dare l’annuncio, Massimo Osanna, da poco passato dalla direzione del parco archeologico di Pompei alla direzione generale dei musei del Mibact: “È con profondo dolore e con sentita gratitudine per il grande contributo apportato alla Cultura, che la Direzione Generale dei Musei, a nome di tutto il comparto museale e archeologico, saluta un grande uomo e un grande Maestro, Mario Torelli, oggi venuto a mancare. Da tempo e nell’ultimo periodo stava lavorando, in qualità di curatore, al progetto di una grande mostra su Pompei e Roma, che a breve avrebbe inaugurato nelle sedi di Pompei e del Colosseo, le cui Istituzioni sono oggi dirette da due suoi allievi e dove vi lavorano diversi suoi ex studenti. Un archeologo dalle importanti scoperte (come Gravisca, porto di Tarquinia) e fondamentali ricerche, grande maestro di intere generazioni di studenti che affascinava e motivava per il suo modo di fare lezione intrecciando arte, artigianato, storia politica, sociale ed economica, e di tanti allievi accompagnati lungo il percorso di prestigiose carriere. Accademico dei Lincei, Premio Balzan, studioso di vastissime conoscenze e di grande capacità critica che gli consentiva di mettere in relazione dati archeologici con fonti letterarie ed epigrafiche secondo un approccio moderno e originale, sempre estremamente rigoroso. Quale professore di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana ha insegnato in diverse Università italiane e straniere -da ultimo, quest’anno presso la Scuola Superiore Meridionale di Napoli – affrontando i principali ambiti della cultura antica, dal mondo greco a quello etrusco e a quello romano, tracciando un percorso unico nella ricerca archeologica, diventando così un punto di riferimento imprescindibile per generazioni di studiosi delle culture antiche”.
Ha diretto gli scavi del santuario etrusco di Minerva e Santa Marinella (1964 – 1966), del santuario etrusco di Porta Cerere di Veio (1966 – 1969), del santuario greco di Gravisca, l’antico porto di Tarquinia (1969 – 1979), del santuario extra-urbano di Afrodite a Paestum (1982 – 1985), del santuario di Demetra e dell’agorà di Heraclea (1985 – 1991) presso Policoro. È stato Visiting Professor presso diverse istituzioni all’estero, tra cui: università del Colorado (1974); università del Michigan (1978); università della California (1979); Scuola Normale Superiore di Parigi (1984); università di Parigi La Sorbona (1985); Collegio di Francia (1986), università di Alberta, Canada (1986); docente a Oxford (1988), università di Bristol (1993). Nel 1982 Torelli diviene membro dell’Insitute for Advanced Study di Princeton (New Jersey) e del Getty Center per la Storia dell’arte e scienze umane a Los Angeles (1990 – 1991). Curatore scientifico del museo dell’Accademia Etrusca e della città di Cortona, è membro ordinario dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed Italici a Firenze, è stato socio corrispondente del Mitglieder del Deutsches Archäologisches Institut, dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Accademia Europea, dell’Accademia nazionale dei Lincei. Ha ricevuto la Laurea honoris causa dalle Università di Tübingen (Germania) e di Jaén (Spagna). Ha curato l’allestimento di numerose mostre archeologiche in Italia e all’estero, tra cui Gli Etruschi a Palazzo Grassi a Venezia (26 novembre 2000 – 1º luglio 2001) e L’Iliade tenutasi a Roma, al Colosseo, nel 2006.
Donna o dea? Cosa rappresentavano le figure femminili preistoriche? La risposta nella mostra al museo Archeologico nazionale di Cagliari “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”: 1^ parte, il Paleolitico

Figurina femminile a placca traforata da Porto Ferro (Alghero, Ss) del IV millennio a.C. (foto Graziano Tavan)

Locandina della mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda” al museo Archeologico nazionale di Cagliari
Donna o dea? Cosa rappresentavano le figure femminili preistoriche? A questa domanda vogliono dare una risposta l’antropologa Silvia Fanni e le archeologhe Marcella Sirigu e Laura Soro, che hanno curato la mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”, con la validazione scientifica di Carlo Lugliè, aperta al museo Archeologico nazionale di Cagliari fino al 12 maggio 2019. “Nelle prime fasi della preistoria”, spiegano sul catalogo (Edizioni WRB), “il principio femminile veniva considerato prioritario e più importante di quello maschile. Si riteneva che la donna fosse l’unica ad avere la facoltà di dare la vita: a lei sola era dovuta la nascita, il nuovo si riproduceva dal nulla, per partenogenesi e per tale ragione era identificata come dea. La sua divinizzazione sarebbe nata in un momento in cui non esistevano ancora strutture gerarchiche definite, livelli sociali stratificati, dove il ruolo della donna poteva essere messo in primo piano, dove la sua essenza cosmica la elevava a una dimensione forse magico-religiosa”.

Le vetrine con le “Veneri paleolitiche” nella mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda” al museo Archeologico nazionale di Cagliari (foto Graziano Tavan)
“Dal Paleolitico giungono centinaia di suggestive figurine prevalentemente femminili, realizzate utilizzando diverse materie prime: la pietra, nelle sue più svariate morfologie e tipologie; l’osso di varie specie animali; l’argilla e forse anche il legno. Donne in miniature, dalle sinuosità appena bozzate o dalle forme ora rotonde, ora lineari, con volti caratterizzati da evidenti schemi dai tratti ben netti, arricchite da acconciature o copricapi dettagliati. Altre, prive di caratteri sul volto, hanno un aspetto per così dire impersonale, con braccia stese sui grassi fianchi o flesse sul petto, stanti o assise in trono in posizione ieratica, rappresentate sia con grandi mammelle, sia con piccoli seno appena sporgenti. Capire e interpretare il loro scopo lascia ancora in disaccordo gli studiosi: potrebbero costituire, infatti, ritratti di donne realmente esistite, sacerdotesse di un culto ad oggi sconosciuto, rappresentazioni simboliche dei più grandi misteri naturali come il parto e quindi la vita, oppure della divinità stessa, intesa come custode dei bisogni primari dell’uomo, dalla creazione al sostentamento di queste prime comunità antropiche”.
Il museo Archeologico nazionale di Cagliari ha ideato un progetto per osservare i numerosi elementi simbolici e interpretare segni e gestualità quali traduzioni di idee e pensieri antichi ma, al tempo stesso, concettualmente molto attuali. Per la prima volta insieme, la più ricca collezione di manufatti della preistoria isolana a confronto con alcuni tra i più antichi e famosi reperti peninsulari. Il progetto espositivo vuole mettere infatti in risalto alcune delle raffigurazioni femminili presenti dalle fasi preistoriche fino alla protostoria sarda e offrire così una visione d’insieme di una serie di manufatti presenti in diversi contesti archeologici del territorio isolano. Partendo dalle più antiche espressioni artistiche dell’arte Paleolitica, con la famosa Venere di Savignano, databile a circa 25mila anni fa, manufatto che apre il precorso espositivo anticipando un’analisi iconografica e stilistica, passando dalle volumetrie classiche del Neolitico medio si giunge alle raffigurazioni di donne nuragiche, descritte attraverso una resa stilistica essenziale e solenne.
Veneri paleolitiche. “Una compiuta espressione della coscienza di sé, riflessa nella capacità di autorappresentazione, è prerogativa esclusiva dell’uomo anatomicamente moderno, l’Homo sapiens sapiens. Un ricco repertorio di raffigurazioni del corpo umano accompagna la diffusione della nostra specie nel continente europeo. Questi manufatti, denominati tradizionalmente arte paleolitica, sono quasi esclusivamente naturalistiche dell’immagine femminile, realizzati in forma di scultura a tutto tondo su supporti di materie dure, soprattutto pietra e osso. Queste produzioni simboliche attestano la presenza di un “sentire comune” che attraversa l’intero continente, dalle steppe dell’Europa orientale fino ai confini atlantici, e che perdura a lungo presso le comunità di cacciatori e raccoglitori del Pleistocene. In questo immaginario collettivo, l’anatomia femminile è costantemente caratterizzata da seni prorompenti, dai fianchi floridi e dalla prosperosa rotondità dei glutei. Il riproporsi di questo modello – forse anche ideale estetico – ha suggerito la denominazione di Veneri paleolitiche (o epipaleolitiche)”.
Venere sarda terio-antropomorfa. La figurina costituisce un pezzo unico sotto diversi aspetti: per la materia prima impiegata, per il soggetto e le caratteristiche della raffigurazione, per la difficoltà di attribuzione a una specifica fase della preistoria della Sardegna. Il manufatto raffigura un corpo umano femminile dotato di un volto ferino. La compresenza di elementi umani e ferini nelle raffigurazioni preistoriche è attestata anche se rara, ancor più se riguardante il genere femminile. Tale combinazione di elementi avrebbe una sua spiegazione nell’ambito delle pratiche sciamaniche, particolarmente diffuse presso le bande di cacciatori-raccoglitori.
Alla scoperta dei nuraghi: al museo Pigorini di Roma giornata dedicata a Giovanni Lilliu. Prorogata la mostra “L’isola delle Torri”
Giornata speciale sabato 28 marzo al museo Preistorico etnografico “Pigorini” di Roma dedicata al grande archeologo e intellettuale sardo Giovanni Lilliu. In concomitanza con il prolungamento fino al 7 aprile della mostra “L’isola delle Torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica”, realizzata nel centenario della nascita di Lilliu (marzo 2014: vedi il post della mostra nella prima tappa di Cagliari https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=lilliu), appuntamento in sala conferenze, alle 15, per un pomeriggio di incontri a lui dedicato: occasione per conoscere le recenti ricerche nell’isola che hanno consentito un nuovo approccio al mondo nuragico e ai suoi principali aspetti culturali: gli abitati, i nuraghe, i luoghi legati ai culti delle acque.
Le archeologhe Gianfranca Salis e Luisanna Usai, curatrici con il soprintendente Marco Minoja dell’esposizione, proporranno alcuni approfondimenti su temi trattati nella mostra, con particolare riferimento a diverse e significative espressioni architettoniche di ambito civile e religioso. Verrà dato risalto alla capacità di costruire delle genti nuragiche che hanno realizzato nell’età del Bronzo strutture monumentali che non trovano uguali nelle coeve civiltà del Mediterraneo occidentale. Una perizia tecnica che rivela grandi conoscenze teoriche e capacità progettuali tanto che verrebbe spontaneo parlare di ingegneri e architetti nuragici. Partendo da contesti scavati in tempi recenti – nuraghe Oes (Giave), nuraghe Alvu (Pozzomaggiore), santuari di Sa Sedda’e Sos Carros(Oliena) e S’arcu ‘e is Forrus (Villagrande) per citarne solo alcuni – si forniranno elementi per cercare di ricostruire le vicende della civiltà nuragica.
La prof.ssa Anna Depalmas dell’università di Sassari ci parlerà di Abini (Teti), sito archeologico che rientra nella categoria del villaggio-santuario, in cui si ritrovano sia strutture abitative sia elementi tipici dei luoghi di culto come il monumento centrale incentrato sulla presenza dell’acqua, il recinto sacro e i sedili per accogliere i fedeli. La località è nota per avere restituito un numero molto elevato di utensili e statuine di bronzo, per lo più ritrovamenti avvenuti nell’Ottocento nell’ambito di ricerche clandestine, giunti sino a noi solo grazie ad acquisti e donazioni che li hanno portati al Museo Nazionale di Cagliari. Nel 2013 sono ripresi gli scavi archeologici finalizzati all’individuazione delle principali strutture del villaggio, alla determinazione delle fasi di impianto e di frequentazione delle stesse, alla localizzazione e caratterizzazione delle aree di manifattura dei bronzi e alla comprensione delle relazioni tra queste e gli spazi propriamente cultuali.
Concluderà il pomeriggio il dott. Fabio Bettio, Visual Computing del CRS4 di Cagliari (cui si deve il progetto Digital Mont’e Prama) che presenta l’esperienza fatta nello sviluppo di tecnologie per l’acquisizione, il trattamento e l’esplorazione di modelli digitali accurati, discutendone la loro applicazione per lo studio e la valorizzazione del complesso scultoreo di Mont’e Prama. Il progetto è un esempio di come la disponibilità di modelli digitali di alta qualità è un fattore fondamentale per migliorare le nostre capacità di studiare e comunicare il nostro patrimonio culturale. Le moderne tecnologie di acquisizione consentono di superare i limiti della documentazione bidimensionale (immagini o video), permettendo la creazione di modelli tridimensionali digitali accurati. La disponibilità di questi modelli apre un ampio spettro di usi che può migliorare notevolmente le nostre capacità di studiare, analizzare e valorizzare le opere d’arte.
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