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Ferrara. Al museo Archeologico nazionale prorogata al 31 agosto la mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo”. Il direttore Trocchi: “Un successo oltre le aspettative”. Il direttore regionale Musei Cozzolino: “Un atto dovuto, nonostante il grosso sforzo amministrativo”. Aperta una nuova sezione sui sequestri da scavi illegali

ferrara_archeologico_mostra-spina-etrusca-prorogata_locandinaNon siete riusciti a vedere la grande mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara? Fate ancora in tempo. Domenica 23 aprile 2023, infatti, l’esposizione non chiuderà come previsto inizialmente. Dato il grande successo della mostra a Palazzo Costabili, il museo Archeologico nazionale di Ferrara e la Direzione regionale Musei Emilia-Romagna hanno annunciato la proroga al 31 agosto 2023. Questo evento di indubbio richiamo rappresenta il culmine delle celebrazioni per il centenario della scoperta della città di Spina, vero spartiacque della archeologia etrusca.

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Allestimento della mostra “Spina etrusca” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)

“Il successo della mostra ha sorpassato le nostre aspettative”, spiega il direttore Tiziano Trocchi. “Per fornire alcune cifre di riferimento, nelle giornate di Pasqua e lunedì dell’Angelo gli ingressi al Museo sono aumentati del 51% e del 73% rispetto alle stesse giornate dell’anno scorso. Questo conferma non solo l’aspettato richiamo dell’iniziativa, ma anche e soprattutto il ruolo centrale di Palazzo Costabili come punto di aggregazione culturale della città di Ferrara, che intendiamo consolidare nei nostri futuri programmi”.  Soddisfatto anche il direttore regionale Musei Emilia-Romagna, Giorgio Cozzolino: “La proroga di più di quattro mesi ha richiesto uno sforzo amministrativo notevole, data l’eccezionalità e la quantità di prestiti, più di 250, e la varietà dei prestatori. Tuttavia è stato un atto dovuto, come omaggio alla grande accoglienza della città di Ferrara, che si conferma sito d’elezione per l’organizzazione di grandi mostre a livello nazionale ed internazionale”. Il percorso di visita si rinnoverà per includere anche una sezione sui sequestri da scavi illegali nell’area della necropoli. Altro fattore di indubbio richiamo sarà la prossima pubblicazione di un catalogo della mostra, che includerà firme importanti dell’archeologia etrusca e la cui presentazione al pubblico avverrà nel mese di maggio.

San Pietro in Casale (Bo). Al via le “Conferenze al Fabbroni”: tre incontri al museo Casa Fabbroni. Ecco il programma

san-pietro-al-casale_casa-fabbroni_ciclo-conferenze_locandinaAl museo Casa Frabboni in via Matteotti 169 di San Pietro in Casale (BO) al via “Conferenze al Frabboni”, ciclo di conferenze con introduzione di Valentina Di Stefano, funzionaria archeologa della Sabap-Bo. Ingresso gratuito. Info e prenotazioni: Servizio Musei, Unione Reno Galliera – tel. 0518904829 / musei@renogalliera.it.

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Concetta Caruso con il libro “101 Storie Svelate” (foto mnr)

Si inizia giovedì 23 marzo 2023, alle 20.30, con “Oltre le parole: (ri)dare vita alle iscrizioni del museo nazionale Romano”. Presentazione a cura di Carlotta Caruso del museo nazionale Romano. Dietro le poche parole incise sulla pietra si celano le vite di persone vissute molti secoli fa. Con l’idea di ricercare quelle vite e ricostruire le loro storie, il museo nazionale Romano ha ideato, a partire dal marzo 2020, durante i mesi di lockdown, la rubrica #StoriedaMNR. Il successo di queste storie, basate su un attento lavoro di ricostruzione mescolata a elementi immaginari, ha dimostrato come le epigrafi possano esercitare sul grande pubblico un fascino inatteso. Dalla rubrica social è nato oggi un libro, “101 Storie svelate”, pubblicato dal Servizio Educativo del museo nazionale Romano.

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Locandina della mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara dal 22 dicembre 2022 al 23 aprile 2023

Secondo appuntamento giovedì 30 marzo 2023, alle 20.30: “Spina etrusca, un grande porto del Mediterraneo – mostra al museo Archeologico nazionale di Ferrara dal 21.12.2022 al 23.04.2023”. Presentazione a cura di Tiziano Trocchi, direttore del Museo. L’incontro intende raccontare il ruolo di Spina quale nodo fondamentale nella rete di contatti e traffici che connettevano le principali città del Mediterraneo di età arcaica e classica, sottolineando l’eccezionalità del porto adriatico di Spina e mettendone in luce similarità e differenze con i grandi insediamenti etruschi del Tirreno e con la città gemellata di Cerveteri.

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Copertina del libro “Archeosocial 2.0” di Antonia Falcone

Terzo appuntamento venerdì 5 maggio 2023, alle 20.30: “Archeosocial 2.0” a cura dell’archeologa Antonia Falcone. Archeosocial è stato il primo volume interamente dedicato alla comunicazione social delle discipline archeologiche, scritto da archeologi per archeologi. La nuova edizione aggiornata con la curatela di Antonia Falcone è uno strumento agile e utile per muoversi in un mondo, quello delle piattaforme social, in costante movimento.

Bologna. Al museo Archeologico al via il ciclo “Spina 100: incontri di archeologia a Bologna” con tre appuntamenti di approfondimento su Spina, nel centenario della scoperta. Parleranno Trocchi, Sassatelli e Anna Dore

bologna_archeologico_spina-100_incontri-di-archeologia_locandina“Spina 100: incontri di archeologia a Bologna”: al via i nuovi appuntamenti del museo civico Archeologico di Bologna. E protagonista sarà Spina, che nel 2022 ha celebrato il centenario dalla scoperta, con tre appuntamenti, sempre alle 17, nella sala conferenze del museo civico Archeologico, con ingresso gratuito fino ad esaurimento posti. Sabato 14 gennaio 2023 si parte in compagnia di Tiziano Trocchi, direttore del museo Archeologico nazionale di Ferrara, che presenterà la mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo”, inaugurata lo scorso dicembre (vedi Ferrara. Al museo Archeologico nazionale aperta la mostra “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo”, culmine delle celebrazioni Spina100: racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica | archeologiavocidalpassato). Sabato 21 gennaio 2023, si prosegue con il prof. Giuseppe Sassatelli, dell’università di Bologna, che illustrerà “Felsina e Spina: due città dell’Etruria Padana”. Domenica 22 gennaio 2023 si conclude il ciclo con “Fra Spina e Bologna: dagli archivi, i retroscena di uno scavo” insieme ad Anna Dore del museo civico Archeologico.

Ferrara. Al museo Archeologico nazionale aperta la mostra “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo”, culmine delle celebrazioni Spina100: racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica

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Ricostruzione di un’abitazione di Spina (foto università di zurigo)


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Le Valli di Comacchio che conservano le tracce dell’antica città etrusca di Spina (foto http://www.rivadelpo.it)

“L’impresa archeologica più importante nell’ambito dell’Italia settentrionale preromana”: così Nereo Alfieri, primo direttore del museo Archeologico di Ferrara, chiosò nel 1960 l’epica vicenda degli scavi di Spina, che andavano allora chiudendosi dopo una stagione assai intensa di scoperte e ritrovamenti, campagne di scavo e trafugamenti, clamore mediatico e partecipazione popolare. Nella tarda primavera del 1922, durante le bonifiche dei bacini lagunari attorno a Comacchio, tra operai al lavoro e trincee colme di acque di risalita, riemerse dall’oblio la ricca città portuale degli Etruschi fondata in prossimità del delta del Po alla fine del sesto secolo a.C., sommersa per secoli dalle acque dolci e dal fango e perduta alla conoscenza diretta degli uomini. Solo le fonti antiche e i poeti (Boccaccio e Carducci, per fare qualche nome) ne conservarono memoria fino a cento anni fa.

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Locandina della mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara dal 22 dicembre 2022 al 23 aprile 2023

 

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Presentazione della mostra “Spina etrusca”: da sinistra, Massimo Osanna, Vittorio Sgarbi e Giorgio Cozzolino (foto drm-emilia-romagna)

Dopo un secolo dall’impresa archeologica, il museo Archeologico nazionale di Ferrara, diretto da Tiziano Trocchi, nato per Spina e inaugurato nel 1935, intende celebrare questa ricorrenza con una mostra ospitata nei saloni di Palazzo Costabili, che – inaugurata il 22 dicembre 2022 – rimarrà aperta al pubblico fino al 23 aprile 2023: “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo” (nel video, la presentazione ufficiale con Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura; Giorgio Cozzolino, direttore regionale Musei Emilia-Romagna; Massimo Osanna, direttore generale Musei; Monica Miari, soprintendente ABAP-BO reggente; Cristina Ambrosini, responsabile Cultura della Regione Emilia-Romagna; Marco Gulinelli, assessore alla Cultura del Comune di Ferrara; Giuseppe Sassatelli, presidente dell’istituto nazionale di Studi etruschi ed italici e presidente del comitato scientifico della mostra). La mostra racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica, porto dalla strategia aggressiva a controllo delle rotte verso occidente. La mostra rappresenta il culmine delle iniziative per le celebrazioni del centenario, coordinate dalla direzione generale Musei in stretta collaborazione con la direzione regionale Musei Emilia-Romagna e il museo Archeologico nazionale di Ferrara, d’intesa con la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e per le province di Modena Reggio Emilia e Ferrara, con la partecipazione di Regione Emilia-Romagna, delle amministrazioni comunali di Ferrara e Comacchio e delle università di Ferrara, Bologna e Zurigo.

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Allestimento della mostra “Spina etrusca” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)

L’allestimento sceglie di affidarsi in modo consistente al linguaggio delle tecnologie di ricostruzione dei paesaggi e dei contesti antichi per dare vita a una narrazione di forte suggestione. Al di là dell’indubbio splendore materico dei reperti esposti – con importanti prestiti dai principali musei archeologici italiani e prestigiosi materiali provenienti dal Metropolitan Museum of Art di New York, alla cui presenza in mostra ha contribuito anche la Regione Emilia-Romagna -, la mostra intende suggerire ai visitatori il significato del grande porto di Spina per gli Etruschi del V secolo a.C. e per i cittadini “mediterranei” del 2022.

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Ceramiche esposte nella mostra “Spina etrusca: un grande porto del Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)

Col tragitto per mare dal Pireo fino al delta del Po, su imbarcazioni percorse da marinai, cariche di contenitori di vino e profumi, ricche di raffigurazioni mitiche ben note agli Etruschi, comincia il percorso espositivo, accompagnato dalle narrazioni mitologiche che ambientavano qui, alla foce dell’Eridano (antico nome del fiume Po), le tristi vicende di Fetonte e di Icaro, degli eroi greci civilizzatori per antonomasia, Diomede ed Eracle. Il profilo di Spina, per chi vi approdava dal mare, si mostrava coi dossi e le depressioni delle sue necropoli, ancora evocati nella rappresentazione delle carte geografiche del Salone d’Onore del museo, e dichiarava nelle scelte del rituale funebre la complessità della comunità che vi abitava.

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Corredi dalla necropoli di Spina (foto drm-emilia-romagna)

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Bronzetto esposto nella mostra “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)

Gli spineti si facevano seppellire con ricchi corredi di materiali ceramici e bronzei di provenienza eterogenea, che evocavano analoghe scelte nel rituale condivise con le élites aristocratiche degli altri grandi centri etruschi della Penisola. È una rete complessa di echi, di rimandi, somiglianze ed evocazioni quelle che si dipana tra gli oggetti delle tombe da Spina e da Pisa, Adria o Cerveteri. Ma la vita quotidiana degli spineti si muoveva tra l’abitato, con le sue costanti esigenze di manutenzione e adattamento all’ambiente lagunare, e il porto, fulcro dell’attività commerciale ed economica della città e dei suoi dintorni. Mercanti, anfore e marinai, rumori di sartie e di magazzini, prezzi e contrattazioni in più lingue. Anche testimonianze di culto, per pregare e ringraziare di un viaggio pericoloso giunto a destinazione. Il richiamo all’attualità, evocata con discrezione per associazione di funzioni e significati, senza mai sottintendere confronti impossibili, invita il visitatore a immaginare la storia “organica” che sfugge ai metodi di ricerca della disciplina archeologica: gli uomini, i rumori, gli odori che dovevano seguire il percorso dei bellissimi capolavori di ceramica attica oggi esposti in museo. Due mari, Tirreno e Adriatico, due porti, e lo stesso privilegio: come ci tramandano Dionigi e Strabone, entrambe le città etrusche di Spina e Pyrgi (Cerveteri), a cui la mostra dedica un’intera sezione, ebbero l’onore di costruire un donario nel santuario panellenico di Delfi.

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Preziose ceramiche a figure rosse dagli scavi di Spina (foto drm-emilia-romagna)

L’incredibile mobilità che connota la comunità spinete si riflette nella pluralità delle provenienze degli oggetti delle necropoli e nella molteplicità culturale ed etnica della compagine cittadina, frequentata da persone che parlavano e scrivevano in lingue differenti. La mostra non trascura di raccontare anche di una mobilità più recente, che testimonia i fenomeni di dispersione del patrimonio emerso dalle valli di Spina in diversi musei italiani e stranieri. Il prestigioso prestito dei vasi del Metropolitan Museum of Art di New York si fa portavoce di questo racconto e porta luce sulla presenza internazionale di Spina in numerose esposizioni museali. Il viaggio per mare dalle coste della Grecia si conclude con un percorso che termina a Ferrara, nel momento della scoperta della necropoli di Valle Trebba e nella conseguente decisione di dar vita al Regio Museo di Spina, oggi Museo archeologico nazionale di Ferrara. La mostra che celebra a Ferrara il centenario della scoperta di Spina segue dopo quasi vent’anni l’ultima grande esposizione dedicata alla città etrusca e vuole narrare il volto di un centro nodale nei traffici mediterranei e adriatici di età classica.

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Hydria etrusca a figure nere del Pittore del Vaticano 238 dal museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto drm-emilia-romagna)

Nella seconda metà del 2023 la mostra “Spina etrusca” sarà ospitata dal museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, ultima tappa del suo viaggio. “Un grande motivo di orgoglio”, commenta il direttore Valentino Nizzo, “di cui dobbiamo ringraziare la direzione regionale musei dell’Emilia Romagna e la Direzione generale Musei del MiC. Cercheremo di onorare adeguatamente l’impegno rendendo omaggio a Spina e a ciò che rappresenta nell’archeologia, nell’arte, nella storia e nel mito”.

Comacchio. Da giugno a ottobre, “I giovedì di Spina”: rassegna di incontri a corollario della mostra “Spina100”, la mostra dedicata al centenario dal ritrovamento della città etrusca

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Inaugurata con successo lo scorso 1° giugno 2022 a Comacchio “Spina100”, la mostra dedicata al centenario dal ritrovamento della città etrusca (vedi Comacchio. A Palazzo Bellini apre la mostra “Spina 100. Dal mito alla scoperta” per le celebrazioni nazionali del centenario della scoperta della città etrusca di Spina (1922-2022) | archeologiavocidalpassato), non si fermano gli appuntamenti per celebrare i cent’anni dalla scoperta che ha rivoluzionato il mondo dell’archeologia e non solo. Dal 16 giugno al 13 ottobre 2022, ecco la rassegna di incontri “I giovedì di Spina”: alle 18.30, al Pronao Museo Delta Antico. Il primo appuntamento, quello del 16 giugno, ha visto la partecipazione di Maurizio Cattani dell’università di Bologna su “Il delta nell’età del Bronzo”. Ecco il programma completo: 23 giugno, Tiziano Trocchi, direttore museo Archeologico nazionale di Ferrara, su “Il delta nell’età del primo Ferro”; 30 giugno, Elisabetta Govi, docente Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, su “Gli Etruschi”; 7 luglio, Caterina Cornelio , direttrice del museo Delta antico di Comacchio, su “Introduzione a Spina”; 14 luglio, Guido Barbujani, docente università di Ferrara, su “Il DNA degli etruschi (e di qualcun altro)”; 21 luglio, Sara Campagnari, funzionario archeologo Sabap per Bologna città metropolitana e per le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, su “L’Etruria padana”; 4 agosto, Valentino Nizzo, direttore del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, su “Spina e l’Etruria”; 11 agosto, Marco Marchesini, Ursula Thun, Silvia Marvelli, docenti università di Ferrara, Giogio Nicoli, referente Centro Agricoltura e Ambiente di San Giovanni in Persiceto, su “Elementi di vita quotidiana a Spina”; 18 agosto, Simonetta Bonomi, Sabap Friuli Venezia Giulia, su “Spina e Adria”; 25 agosto, Andrea Gaucci, docente Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, e Carmela Vaccaro, docente università di Ferrara, su “Studi e riflessioni sulla necropoli di Spina”; 1° settembre, Christoph Reusser, docente università di Zurigo, su “L’abitato di Spina e i rapporti con Atene”; 8 settembre, Sauro Gelichi, docente università Ca’ Foscari di Venezia, su “Il delta nell’alto medioevo”; 15 settembre, Jacopo Ortalli, docente università di Ferrara, su “Il delta in età romana”; 22 settembre, Tiziano Trocchi, direttore museo Archeologico nazionale di Ferrara, e tenente colonnello Giuseppe De Gori, Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale – Sede di Bologna, su “La tutela del patrimonio archeologico”; 29 settembre, Marco Bruni, archeologo Comune di Comacchio, Gruppo archeologico Ferrarese, su “Recenti scoperte archeologiche per una nuova visione sull’antico assetto territoriale del Ferrarese”; 4 ottobre, Anna Maria Visser, docente università di Ferrara, presentazione volume “Musei: proposte per il futuro”, con la partecipazione di Cristina Ambrosini, direttrice Servizio Patrimonio culturale della Regione Emilia-Romagna; 13 ottobre, Gianpiero Orsingher, giornalista RAI, su “Comunicare gli Etruschi”. Quindi Caterina Cornelio, direttrice museo Delta Antico di Comacchio, conclusioni a margine del ciclo di conferenze per Spina100.

Bologna. Dopo quasi vent’anni riapre al pubblico il teatro romano, scoperto nel 1977 in via Carbonesi: visite guidate con gli archeologi della soprintendenza. È uno degli edifici più importanti della Bononia romana, e forse il più antico esempio di teatro romano in muratura noto in Italia

Via Carbonesi, nel cuore di Bologna, dove è stato individuato il teatro romano di Bononia

Il percorso musealizzato del teatro romano all’interno della galleria commerciale nel 1994 (foto Paolo Utimperger)

Pochi metri sotto il piano di calpestio di via Carbonesi 5, nel cuore di Bologna, a un passo da piazza Maggiore, si può leggere una pagina di storia importante della Bononia romana. È qui, infatti, che nel 1977, in occasione di lavori di ristrutturazione in un edificio di via Carbonesi, fu scoperto il teatro romano di Bologna, un manufatto straordinario per la storia della città e dell’architettura antica, essendo uno dei più rilevanti edifici pubblici identificati a Bononia e forse il più antico esempio di teatro romano in muratura attualmente noto in Italia. Il monumento è stato il fulcro di un importante progetto di valorizzazione e collaborazione fra due soggetti pubblici (Comune e Soprintendenza) e due privati (proprietà dell’immobile e Gruppo Coin) che ha consentito nel 1994 di trasformare in patrimonio pubblico un bene altrimenti fruibile solo dagli specialisti grazie all’apertura di un punto vendita Coin. Per l’ex soprintendente Filippo Maria Gambari, “il teatro, la cui costruzione inizia intorno all’88 a.C., come la Basilica (oggi sotto Salaborsa) si inserisce in un programma edilizio pubblico di munificenza civile legato alla celebrazione monumentale del passaggio del rango della città di Bononia da colonia di diritto latino a municipium romano, con piena cittadinanza romana, esattamente 2100 anni fa. Il fatto che il Teatro romano di Bologna sia il primo teatro in muratura dell’architettura romana rappresenta un primato notevole, considerando che nella stessa Roma le rappresentazioni teatrali avvenivano su strutture in legno e che il primo teatro in muratura (theatrum marmoreum) viene realizzato solo per impulso di Gneo Pompeo Magno nel Campo Marzio tra il 61 ed il 55 a.C., anno del suo secondo consolato (con Crasso), mentre teatri in muratura secondo i principi dell’architettura ellenistica (scavati in un pendio collinare) erano presenti nelle città greche ed etrusche dell’Italia antica”.

La musealizzazione del teatro romano di via Carbonesi a Bologna (foto Sabap-Bo)

Purtroppo con la chiusura dell’esercizio commerciale, avvenuta nel 2000, non è più stato riaperto al pubblico, se non in rare occasioni. Ma dopo quasi vent’anni, c’è una svolta: c’è un progetto per la valorizzazione del teatro romano di Bologna. E giovedì 4 luglio 2019, alle 18, 19, 20 e 21, la soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara propone visite guidate gratuite condotte dai suoi archeologi Tiziano Trocchi, Renata Curina, Valentina Di Stefano e Valentina Manzelli, inaugurando così un piano di valorizzazione dell’importante struttura che si protrarrà per tutta l’estate in previsione della futura, definitiva riapertura al pubblico. Sono previste massimo 30 persone per visita, l’accesso è gratuito ma è obbligatoria la prenotazione a sabap-bo.stampa@beniculturali.it (inviare mail con orario prescelto, nome, telefono e numero partecipanti e attendere mail di conferma).

Il rilievo planimetrico del teatro romano di Bologna ricostruito dagli archeologi (foto Sabap-Bo)

Storia delle ricerche. Nel 1977 iniziarono i lavori di restauro e ristrutturazione in un edificio situato in pieno centro storico, in via Carbonesi, destinato a diventare sede commerciale e complesso residenziale. “Durante l’esecuzione dei primi lavori emersero, scavando, ciò di cui solo si supponeva l’esistenza sulla base di deboli tracce storiche e scarsi indizi: i resti del Teatro Romano di Bologna”, ricordano gli archeologi della soprintendenza. “I primi rinvenimenti risalgono al 1978 quando le opere di scavo per la bonifica e l’abbassamento dei vecchi scantinati portarono a individuare un tratto di strada romana acciottolata e una pavimentazione laterizia non direttamente riferibili all’edificio teatrale. L’avanzamento dei lavori nel piano interrato, con la rimozione dei pavimenti e degli intonaci, evidenziò antiche strutture murarie di tale estensione da indurre gli archeologi a intervenire con una serie di indagini metodiche che si protrassero dal 1982 al 1984, con ulteriori verifiche nel 1989 (Archivio di Stato). L’esplorazione risultò molto difficoltosa per le condizioni ambientali in cui si dovette operare, peraltro abituali nel caso dell’archeologia urbana: un cantiere sotterraneo di circa 1500 mq., interrotto dai muri di stretti scantinati e attraversato da vecchie fogne e condutture. I ruderi, generalmente distrutti fino al livello delle fondazioni, erano in pessimo stato di conservazione; ciononostante il rilievo planimetrico dei tracciati murari permise di riconoscere i resti di un sistema di murature di sostegno a raggiera (sistema sostruttivo radiale-concentrico), chiaramente riferibile ad un settore di un emiciclo destinato ad accogliere gli spettatori (cavea) di un complesso teatrale romano. La successiva proiezione geometrica dei muri curvilinei consentì di ricostruirne l’estensione originaria entro i limiti dell’isolato attualmente compreso tra le vie Carbonesi, D’Azeglio, Val d’Aposa, Spirito Santo e piazza dei Celestini. Accertata la natura teatrale dell’edificio – continuano – e approfittando di una fortunata coincidenza (l’apertura nella zona di altri due cantieri per la ristrutturazione edilizia di palazzo Rodriguez, in via D’Azeglio e di palazzo Zambeccari, fra le vie Val d’Aposa e Carbonesi) si è proceduto su due strade parallele. Da un lato si è effettuato il rilievo sistematico di tutte le strutture ancora rintracciabili nel sottosuolo in modo da ottenere una documentazione cartografica quanto più completa possibile; contemporaneamente si sono svolte ricerche specifiche per studiare la conformazione volumetrica e la tecnica costruttiva dell’edificio e la determinazione cronologica della sua fondazione e delle successive vicende”.

Le sezioni del teatro romano di Bologna indagate dagli archeologi (foto Sabap-Bo)

Archeologia urbana: ricerche difficili. “È evidente che non possiamo considerare esaustive le indagini svolte finora”, spiegano gli archeologi della soprintendenza, “ma non è stato possibile procedere oltre. I ruderi romani si trovano sotto gli edifici di un intero isolato abitativo che li occulta quasi totalmente. Le radicali distruzioni operate nel corso degli ultimi cinque secoli – ben più dannose delle spoliazioni subite dal teatro nell’antichità – ci privano della possibilità di apprezzare la conformazione architettonica dell’intero monumento di cui restituiscono parti sparse (membrature), generalmente riconoscibili solo in fondazione a parte alcuni tratti della fronte esterna della cavea, in elevato, che si sono preservati in quanto ricadenti in un’area cortilizia mai scavata in precedenza. Si segnala comunque come tutte le strutture più significative, ad iniziare da quelle del settore appena ricordato, siano state conservate in vista e, ove necessario, restaurate così da creare un articolato percorso di visita. I settori esplorati hanno evidenziato alcune importanti caratteristiche strutturali dell’imponente architettura che consentono di riconoscervi due distinte fasi costruttive”.

Il complesso archeologico del teatro romano di Bologna integrato nella galleria commerciale (foto Paolo Utimperger)

La creazione – nel 1994 – di una Galleria commerciale in via de’ Carbonesi, a Bologna, è nata dall’intensa collaborazione fra due soggetti pubblici (il Comune di Bologna e l’allora soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna) e due privati (la proprietà dell’immobile e il Gruppo Coin), all’insegna del rispetto dei reciproci doveri e rispettive competenze, nel quadro di una unità di intenti volta a salvaguardare l’interesse pubblico e sociale. Le superfici della galleria, su tre livelli, sono state articolate intorno al nucleo dei ritrovamenti archeologici, rendendo possibile la visione del teatro romano da ogni posizione e comprendendo un percorso museale di grande suggestione e interesse. “Si può dire che allora fu raggiunto l’obiettivo di integrare il complesso archeologico nel respiro della città, trasformando in patrimonio pubblico un bene altrimenti accessibile solo agli specialisti”.

Resti della facciata esterna (I° fase) e dei posteriori muri radiali (II° fase) della cavea del teatro romano di Bologna (foto Sabap-Bo)

La prima fase costruttiva (entro l’80 a.C.). “Nella sua prima fase edilizia, corrispondente all’impianto di fondazione”, spiegano gli esperti, “l’emiciclo del teatro bolognese aveva probabilmente la forma di un semicerchio pieno di circa 75 metri di diametro, aperto verso Nord secondo quelle che sarebbero state anche le prescrizioni dei trattati di Vitruvio. La struttura era del tutto autoportante e fondata su una fitta serie di murature radiali e concentriche costruite a vista entro un vasto cavo di fondazione, progressivamente reinterrato in corso d’opera. Le gradinate (gradationes) si sviluppavano lungo la parete semicircolare ed erano costituite da bassi sedili a gradino in laterizio che si sviluppavano con lieve pendenza lungo l’invaso della cavea. Tra i settori delle gradinate dovevano poi aprirsi gli sbocchi dei corridoi rettilinei che, risalendo a rampa piana, fungevano da ingressi secondari -almeno quattro- per gli spettatori. Per quanto riguarda gli ingressi principali dell’edificio non è stato ancora possibile stabilire se il collegamento diretto con l’orchestra e la parte inferiore delle gradinate (ima cavea) fosse garantito da passaggi laterali coperti. A caratterizzare maggiormente l’impianto architettonico del teatro bolognese di prima fase fu indubbiamente la conformazione della fronte curvilinea della cavea di contenimento della struttura interna a terrapieno. Di aspetto solido e massiccio, il muro perimetrale dell’emiciclo -alto intorno ai 6 metri- era scandito da un ordine di contrafforti articolati che si sviluppavano in serie continua: si trattava di arcate cieche su semi-pilastri rettangolari, di forma alta e stretta, verosimilmente chiuse a tutto sesto e sovrastate da un attico”.

I resti del teatro romano come si vedevano nella galleria commerciale aperta nel 1994 (foto Paolo Utimperger)

“Numerose e particolarmente interessanti – continuano – sono le indicazioni relative alle tecniche edilizie impiegate nella costruzione che comportò il sistematico uso di arenaria, una pietra tenera abbondante nelle cave dell’Appennino locale. Grandi lastre ben squadrate pavimentavano il piano dell’orchestra mentre piccole scaglie componevano l’opus caementicium dei muri di fondazione. Blocchetti parallelepipedi di rinforzo angolare e scapoli tronco-piramidali di buona rifinitura erano impiegati per comporre il rivestimento in opus incertum, dall’accurata tessitura, usato in tutte le parti di muratura destinate a rimanere a vista. Uno dei principali elementi di interesse che il teatro presenta nella sua fase originaria è indubbiamente la cronologia decisamente alta. La forma architettonica e la tecnica costruttiva impiegate riconducono a quel filone dell’architettura romana tardo repubblicana compresa nell’arco che va dal 120 all’80 a.C. Se la notevole antichità inserisce a pieno titolo il monumento bolognese nella fase formativa dell’architettura teatrale romana, alcune delle soluzioni tecniche e formali utilizzate per la sua costruzione risultano per l’epoca decisamente innovative. In particolare l’autoportanza, certamente la principale innovazione del teatro romano rispetto al teatro di tradizione greca”.

Tratto di muro di opus quadratum in selenite per il sostegno della cavea del teatro romano di Bologna in età imperiale (foto Sabap-Bo)

La seconda fase costruttiva (tra il 53 e il 60 d.C.). Al momento della fondazione il teatro bolognese, con i suoi 75 metri di diametro, fu indiscutibilmente un’opera edilizia di grande portata. Col passare del tempo però la crescita demografica e il progressivo rinnovamento della veste architettonica di Bologna dovettero porre nuove esigenze – sia di ordine dimensionale che formale – che in qualche modo ne provocarono l’obsolescenza. Ci sono tracce di una prima ristrutturazione già in età proto-imperiale, come testimonia il rinvenimento di un frammento di grande trabeazione marmorea di età augustea probabilmente proveniente dall’edificio scenico. Ma è alcuni decenni più tardi – verso la metà del I sec. d.C.- che avrà luogo la radicale e completa trasformazione dell’edificio. Con questi lavori si mirò evidentemente ad ottenere un duplice scopo: ampliare la capienza dell’emiciclo e abbellirne la veste esteriore per adeguarlo a tipologie architettoniche più aggiornate e nettamente più evolute rispetto alla vecchia tradizione costruttiva di età repubblicana. “In questa seconda fase”, sintetizzano gli archeologi, “si trasformò, come prima cosa, il muro di contenimento della cavea, demolendo e rasando le arcate cieche di contrafforte e chiudendo la rientranza centrale posteriore. Subito dopo, al vecchio anello in opus incertum fu addossata una serie di nuovi muri radiali, lunghi circa 9 metri con potenti fondazioni, destinati a sostenere alzati in opera quadrata di selenite. Ciò consentì l’ampliamento dell’emiciclo -che raggiunse i 93 metri di diametro- e il suo innalzamento, che si ipotizza abbia raggiunto gli 11 metri sufficienti ad accogliere sulla facciata esterna un doppio ordine di arcate. Anche l’orchestra dovette subire qualche modifica, con l’allargamento del diametro a 21 metri e una nuova pavimentazione probabilmente in lastre di marmo. Le gradinate, per quanto con sedili rinnovati, conservarono una pendenza assai modesta, appena più accentuata rispetto alla precedente”.

Teatro romano di Bologna: frammento di lastra di rivestimento decorata a rilievo (foto Sabap-Bo)

“Alle opere strutturali si accompagnarono altri interventi accessori, tra i quali segnaliamo le decorazioni ambientali e architettoniche la cui ricchezza ed elaborazione ancora traspaiono dai pochi resti che si sono conservati. Pavimenti a mosaico e opus sectile di marmi pregiati e rivestimenti parietali musivi, a stucco o con affreschi a decorazioni vegetali ornavano le grandi camere con copertura a volta dell’ordine inferiore della cavea. Lastre calcaree con delicati rilievi architettonici, floreali e figurativi rivestivano i vestiboli dei corridoi d’accesso. Fini membrature e colonne – anche in marmo cipollino e giallo antico – dovevano decorare il prospetto esterno dell’emiciclo”.

Torso di statua imperiale loricata attribuita a Nerone conservata al museo civico Archeologico di Bologna (foto Sabap-Bo)

“Ancora a proposito degli ornamenti accessori, ricordiamo il pregevole torso marmoreo con corazza (loricato) rinvenuto ai primi del Cinquecento nell’area di via Carbonesi e oggi conservato al museo civico Archeologico di Bologna. Questo torso – attribuito all’imperatore Nerone – apparteneva a una statua iconica che originariamente doveva ergersi sul retro della cavea, alla sommità di un attico o in un ambiente di rappresentanza alla base del perimetro esterno. Se questo dato è coerente con la frequenza con cui personaggi della cerchia imperiale comparivano nei cicli statuari posti all’interno degli edifici teatrali”, sottolineano gli archeologi della soprintendenza, “l’interesse è accentuato dal fatto che allo stesso Nerone è stato attribuito un frammento di iscrizione dedicatoria monumentale, in lettere in bronzo, rinvenuto nelle immediate vicinanze e datato al 60 d.C. L’esistenza presso il teatro bolognese di due importanti elementi onorari dedicati a Nerone non pare casuale ed anzi si collega all’amore dell’imperatore per questa città testimoniata dalla perorazione tenuta in Senato dal giovane Nerone – che fruttò a Bologna una consistente elargizione in denaro per finanziare interventi edilizi – e dai materiali rinvenuti nei livelli della fase di ampliamento del teatro che suggeriscono una datazione alla metà del I sec. d.C.. In definitiva si ritiene assai probabile che l’ampliamento e la ristrutturazione del teatro bolognese siano dovuti proprio al personale e diretto intervento di Nerone in favore della città. Dopo la radicale trasformazione in età neroniana la cavea non dovette più subire interventi strutturali di grande rilievo. Dall’età medio e tardoimperiale le sole modifiche da registrare sono di tipo disgregativo: alla fine del III secolo viene parzialmente spogliato degli arredi di maggior pregio e a partire dalla seconda metà del IV progressivamente demolito per recuperare e reimpiegare le murature esterne in selenite. Alla distruzione dei principali corpi costruttivi e al completo abbandono dell’edificio – concludono – seguì il crollo degli alzati residui e il progressivo interramento dell’invaso della cavea, con spessi depositi di terre nere che in età altomedievale occultarono definitivamente i ruderi del complesso e furono saltuariamente occupati da precarie e deboli strutture insediative in legno”.

Per le Giornate europee dell’archeologia a Bologna giornata di studio “Sotto-Sopra: ricerca archeologica e narrazione del passato”, viaggio trasversale tra i molteplici aspetti dell’attività di tutela archeologica: scavi, valorizzazione, conservazione, produzione pubblicistica ed espositiva, nuove metodologie d’indagine, problematiche del restauro

Gli scavi archeologici al cimitero ebraico medievale di Bologna hanno rinvenuto 408 sepolture (foto Cooperativa Archeologia)

Il manifesto delle Giornate europee dell’Archeologia 2019

Che cos’hanno in comune un abitato d’età protostorica a grande profondità e una necropoli ebraica in pieno centro storico? La storia delle più recenti scoperte archeologiche in Emilia-Romagna offre lo spunto per discutere delle strategie e soluzioni più innovative da adottare. In occasione delle Giornate dell’archeologia in Europa 2019 la soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna propone un dibattito aperto tra professionisti, studiosi e rappresentanti delle istituzioni per parlare della sfida principale del lavoro dell’archeologo: ricostruire la storia di un territorio e restituirla ai suoi abitanti… senza perdersi d’animo! L’appuntamento con “Sotto-Sopra: ricerca archeologica e narrazione del passato”, un incontro con archeologi, restauratori e rappresentanti di enti locali moderato dalla soprintendente Cristina Ambrosini, è per venerdì 14 giugno 2019, alle 15.30, a Bologna nel salone d’onore di Palazzo dall’Armi Marescalchi, sede della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna, in via IV novembre n. 5. Ingresso libero fino a esaurimento posti (capienza massima 90 persone). Non saranno Indiana Jones ma anche il loro lavoro è all’insegna dell’imprevisto e dei colpi di scena. Dimenticate i topi da biblioteca o i maniaci di reperti impolverati, se mai lo sono stati: gli archeologi del terzo millennio sono figure interdisciplinari e multitasking, in precario equilibrio tra tutela e progresso, applicazione di normative e strategie di intervento, pianificazione pubblica ed esigenze del mondo privato. Per raccontarlo e raccontarsi, archeologi e restauratori della Soprintendenza propongono un dialogo aperto con il pubblico per illustrare le mille sfaccettature della quotidiana attività di tutela e non solo. L’incontro promosso dalla soprintendenza bolognese vuole essere un viaggio trasversale tra i molteplici aspetti dell’attività di tutela archeologica, dagli scavi alla valorizzazione, dalla conservazione alla ricca produzione pubblicistica ed espositiva, dalle nuove metodologie d’indagine alle problematiche del restauro.

Lo scavo nel 2017 della mansio lungo la via Emilia a Castelfranco Emilia (la romana Forum Gallorum) (foto Sabap-Bo)

La soprintendente Cristina Ambrosini

Partendo dall’illustrazione di alcuni scavi, gli archeologi spiegheranno le principali tematiche che devono quotidianamente affrontare. Lo scavo di una stazione di posta romana (una mansio) a Castelfranco Emilia sarà l’occasione per parlare di archeologia preventiva e di ciò che comporta mentre l’indagine di una terramara a Malalbergo mostrerà le sfide, i problemi e le soluzioni di uno scavo condotto a grandi profondità. Un importante intervento di archeologia privata (lo scavo di un cimitero ebraico medievale in via Orfeo a Bologna) consentirà di illustrare quanto l’integrazione di diverse discipline sia fondamentale per una migliore comprensione dei dati di scavo ma anche come relazionarsi con un’importante comunità religiosa; infine, la pubblicazione dello scavo di via Fondazza a Bologna aiuterà a capire come possono essere riletti e diffusi i risultati di un’indagine condotta trent’anni fa. Si cercherà anche di spiegare come e quanto sia cambiata negli ultimi decenni la professione dell’archeologo, come si sia evoluta in funzione delle “nuove” metodologie d’indagine e del rapporto con esperti di altre discipline, e quanto sia importante la collaborazione con i restauratori, a loro volta impegnati in continui aggiornamenti sulle più innovative soluzioni tecnologiche. Grazie alla presenza del direttore dell’IBC Laura Moro sarà aperta un’ulteriore finestra sul rapporto tra musei, comunità e territorio, con particolare attenzione al delicato tema della restituzione alla collettività del patrimonio archeologico rinvenuto o restaurato tramite mostre, incontri ed eventi ma anche grazie alle pubblicazioni di cui la soprintendenza è particolarmente feconda. Archeologia a tutto tondo, insomma, che non è solo scoprire, conoscere e proteggere ma continuo confronto con l’applicazione di norme, l’adozione delle pratiche più virtuose e l’ascolto dei propri interlocutori, siano enti pubblici, privati cittadini, terzo settore o sponsor.

I contrasti dell’archeologia: in questa foto dello scavo degli anni Ottanta in Via Fondazza, la grandezza del passato che emerge dal sottosuolo si confronta e dialoga con il degrado degli edifici in superficie (foto Sabap-Bo)

Lo scavo in profondità della terramara di Malalbergo (foto Sabap-Bo)

Intenso il programma dell’incontro “Sotto-Sopra: ricerca archeologica e narrazione del passato”. Apre, alle 15.30, la soprintendente Cristina Ambrosini introducendo la giornata: obiettivi, ruolo e lavoro della soprintendenza archeologica; quindi iniziano gli interventi. Alle 15.45, Laura Moro, direttore IBC, su “Il ruolo dell’IBC nel rapporto tra Musei-comunità-territorio”; 16, Chiara Guarnieri, archeologa SABAP-BO, su “La professione dell’archeologo”; 16.15, Monica Miari, archeologa SABAP-BO, su “Caso per caso. Ogni scavo è diverso: norma, contesto, strategia d’intervento”; 16.30, Sara Campagnari, Valentina Manzelli, archeologhe SABAP-BO, su “Archeologia preventiva: la mansio di Forum Gallorum a Castelfranco Emilia”; 16.45, Monica Miari, Tiziano Trocchi, Rossana Gabusi, archeologi SABAP-BO, su “Archeologia in profondità: un abitato del II Millennio a Ponticelli di Malalbergo”; 17.15, Renata Curina, Valentina Di Stefano, archeologhe SABAP-BO, su “Archeologia privata: il cimitero ebraico medievale di via Orfeo a Bologna”; 17.30, Diana Neri, direttore del museo Archeologico di Castelfranco Emilia, su “Archeologia recuperata: lo studio dello scavo di Via Fondazza a Bologna, un’indagine degli anni ’80”; 17.45, Mauro Ricci, Virna Scarnecchia, restauratori SABAP-BO, su “Il lavoro dei restauratori su oggetti e aree archeologiche”; 18.05, Annalisa Capurso, archeologa SABAP-BO, su “Le pubblicazioni archeologiche della Soprintendenza”. Alle 18.10, chiude la giornata il dibattito “Condividere la cultura con la collettività: incontri, eventi, mostre in corso o appena concluse”.

La terramara di Ponticelli di Malalbergo: a quattro anni dalla scoperta viene presentato un libro che illustra lo scavo e i risultati sull’abitato del II millennio a.C. e le successive trasformazioni del territorio

La locandina della serata di presentazione del libro “Ponticelli di Malalbergo. Un abitato del II millennio a.C. e le successive trasformazioni del territorio”

Dalla scoperta a Ponticelli di Malalbergo (Bo) della terramara del II millennio a.C. (“intercettata” nel 2015 dal cantiere di un metanodotto della Snam) alle successive trasformazioni del territorio: è quanto descritto nel libro “Ponticelli di Malalbergo. Un abitato del II millennio a.C. e le successive trasformazioni del territorio” a cura di Rossana Gabusi, Monica Miari e Tiziano Trocchi che sarà presentato martedì 14 maggio 2019, alle 20.30, in sala Zucchini di piazza Caduti della Resistenza n. 1 a Malalbergo (Bo). Il volume, edito nel 2018 per i tipi di Ante Quem di Bologna, fa parte della collana DEA – Documenti ed evidenze di Archeologia (n. 11). La presentazione, a ingresso libero e gratuito, è promossa da soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, Comune di Malalbergo, HYDRIA associazione di promozione sociale-archeologica e gruppo archeologico “Il saltopiano” di San Pietro in Casale, con la collaborazione di Snam. Intervengono alla serata due rappresentanti dell’amministrazione comunale, gli archeologi della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, Rossana Gabusi, Monica Miari e Tiziano Trocchi, curatori del volume, e Claudio Calastri di Ante Quem srl.

Disegno ricostruttivo di una tipica Terramara con il villaggio fortificato circondato da un terrapieno o un fossato

La terramara di Ponticelli di Malalbergo (Bo) a fine scavo

In località Ponticelli di Malalbergo, la Snam doveva attraversare un canale di regolamentazione delle acque e per fare ciò sono state realizzate due ampie e profonde buche ai lati per consentire il passaggio delle tubature al di sotto dell’alveo. Questa operazione, effettuata tra l’estate 2015 e la primavera 2016 sotto la direzione scientifica di Paolo Boccuccia, ha permesso di intercettare ed indagare per oltre 400mq – e a una profondità media di circa 5,50 m dal piano di calpestio – i resti di una terramara databile, a un primo esame, a un periodo compreso tra il XIV e il XII sec. a.C. “Le Terramare”, spiegano gli archeologi della soprintendenza, “rappresentano una delle civiltà più complesse dell’Europa del II millennio a.C., un fenomeno economico e sociale di una tale portata storica da non aver precedenti non solo in Italia ma nemmeno in buona parte del continente. Nessuna società aveva mai prodotto in così pochi secoli (dal XVII al XII a.C.) un impatto così profondo sul territorio, in questo caso l’ampia e fertile pianura padana, trasformandolo radicalmente in un paesaggio “moderno”: un paesaggio in cui l’opera umana, dai villaggi -con un’organizzazione spaziale interna molto ben definita- alle fortificazioni, dai luoghi sacri alle infrastrutture ad uso agricolo, incide profondamente sulla componente naturale. Dal territorio centrale della pianura attraversata dal Po, abbiamo testimonianze di decine e decine di villaggi. Ma la presenza di una terramara all’interno del territorio comunale di Malalbergo rappresenta una novità nel panorama delle nostre conoscenze in quanto viene a colmare un vuoto nella distribuzione geografica di tali insediamenti. Si può ora ipotizzare che tale assenza fosse da attribuire prevalentemente alla loro profondità rispetto al piano di campagna attuale a causa della spessa copertura dovuta all’apporto di terreno alluvionale legato alle attività del bacino del Po e dei suoi affluenti”. L’ottimo stato di conservazione del sito -dovuto alla profondità alla quale è stato rinvenuto il deposito archeologico- ha consentito anche di indagare le ultime fasi di vita dell’abitato i cui resti raramente sono conservati a causa dell’uso del suolo nelle epoche successive: ciò potrà contribuire a far luce sul periodo finale della civiltà terramaricola tra XII e XI sec. a.C.

Incontro a Bentivoglio (Bo) sulla strada romana scoperta a Castagnolo Minore: i nuovi scavi fanno ipotizzare si trattava di una via importante, tra l’antica Bononia e le colonie dell’area veneta

La locandina dell’incontro “La strada romana di Bentivoglio. Risultati delle ultime indagini archeologiche”

Il saggio archeologico realizzato nel 2018 in località Castagnolo Minore apre nuove ipotesi sull’antica strada romana rinvenuta a Bentivoglio (Bo) un paio di anni fa. Archeologi e geologi ne parlano venerdì 1° marzo 2019 alle 20.30 al teatro TeZe di Bentivoglio. Era la primavera 2016 quando, in occasione della realizzazione delle fondamenta di uno dei centri logistici della YOOX Net-a-Porter Group all’interno dell’Interporto di Bologna, in località Castagnolo Minore di Bentivoglio, sono stati intercettati circa 80 metri di una strada romana con orientamento NNE-SSW. Era seguito lo scavo archeologico diretto dalla soprintendenza Archeologia SABAP-BO con l’obiettivo di individuare un tratto dell’Aemilia Altinate: antica strada romana che congiungeva Bononia e Aquileia realizzata probabilmente dal console Marco Emilio Lepido intorno al 175 a.C. Ma finora in questa parte di pianura bolognese nessun miliario è ancora stato trovato, nessun tracciato indicato negli itinerari antichi è applicabile a questi territori in modo certo e inequivocabile (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/08/25/due-week-end-sulle-orme-degli-antichi-romani-visite-guidate-della-soprintendenza-alla-strada-romana-di-bentivoglio-bo-probabilmente-un-tratto-della-via-emilia-altinate-o-via-annia-tra-bononia-e-aq/).

La strada romana di Bentivoglio, larga ben 8 metri: doveva essere una strada importante

Nel corso del 2018, grazie alla proficua collaborazione tra Comune di Bentivoglio, Soprintendenza, alcuni importanti sponsor privati e al lavoro di archeologi professionisti e volontari delle locali associazioni di volontariato Hydria e Il Saltopiano, è stato realizzato in località Castagnolo Minore un saggio archeologico su un tratto della stessa strada che ha restituito nuove, importanti informazioni anche di tipo geologico sulla storia, l’evoluzione e l’utilizzo di questo antico percorso. La strada è stata indagata per circa 200 mq. Le dimensioni e l’accuratezza con cui è stata realizzata fanno pensare a un’arteria di una certa rilevanza, forse interregionale, utilizzata per collegare il comprensorio dell’antica Bononia con le colonie nord-orientali dell’area veneta. I materiali rinvenuti sulla superficie stradale rimandano a una datazione compresa tra il II secolo a.C. e il VI secolo d.C.

Il tratto di strada romana riportato in luce a Bentivoglio all’interno dell’interporto di Bologna

All’incontro “La strada romana di Bentivoglio, risultati delle ultime indagini archeologiche” a ingresso libero del 1° marzo 2019, interverranno Tiziano Trocchi, archeologo della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; Stefano Cremonini, ricercatore in Geologia del dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, università di Bologna; e Moreno Fiorini, ispettore onorario per l’archeologia della soprintendenza, a illustrare i dati e le nuove, affascinanti ipotesi scaturite da queste ultime indagini. L’iniziativa è promossa da Unione Reno Galliera Comune di Bentivoglio e soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara in collaborazione con Hydria associazione di promozione sociale – archeologia e gruppo archeologico “Il Saltopiano” di San Pietro in Casale, con il sostegno di Yoox Net-A-Porter Group, EmilBanca Credito Cooperativo, Meloncelli Andrea & C., Ima S.p.A, Baschieri Noleggio e Piadineria Birreria Cucina da Angelo.

Dai luoghi dell’abitare nel Bolognese in età romana alla vita in un villaggio villanoviano: incontro con Trocchi e Poli al museo della Civiltà villanoviana di Castenaso (Bo) con la mostra “Oggetti dal quotidiano. Un giorno all’interno di un villaggio villanoviano”

La locandina dell’incontro con l’archeologo Tiziano Trocchi al museo della Civiltà villanoviana di Castenaso (Bo)

Prima si fa la visita di un villaggio villanoviano, poi si farà la conoscenza della vita in un borgo romano del Bolognese. È la proposta del MUV – Museo della civiltà Villanoviana e della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara: appuntamento giovedì 13 dicembre 2018, alle 21, al Muv di Villanova di Castenaso (Bo) con Tiziano Trocchi, archeologo della soprintendenza di Bologna, che illustrerà “I luoghi dell’abitare nel bolognese in età romana”. Mezz’ora prima, alle 20.30, visita guidata gratuita alla mostra “Oggetti dal quotidiano. Un giorno all’interno di un villaggio villanoviano” condotta da Paola Poli, curatrice della mostra aperta fino al 9 giugno 2019 e conservatore archeologa del Muv.

Il museo della Civiltà villanoviana di Castenaso (Bo) col villaggio villanoviano

La locandina della mostra “Oggetti dal quotidiano: un giorno all’interno di un villaggio villanoviano” a cura di Paola Poli

La mostra “Oggetti dal quotidiano: un giorno all’interno di un villaggio villanoviano” rappresenta per il visitatore un viaggio nel tempo fino alla prima età del Ferro italiana e si pone come integrazione ideale alla visita guidata alla capanna villanoviana. In esposizione attrezzi e utensili legati sia ad attività femminili per eccellenza, come la filatura, la tessitura, la preparazione, la conservazione e la cottura dei cibi, sia a pratiche tipiche del genere maschile, come l’agricoltura, l’allevamento, la caccia e la pesca. Si tratta di un’importante occasione per ospitare al Muv una ricca selezione di materiali emersi da scavi di abitato, solitamente poco esposti nei musei, provenienti dall’Etruria padana e non solo, così da permettere un confronto con le coeve civiltà dell’Italia centro-meridionale. La mostra è realizzata dal Comune di Castenaso in collaborazione con l’istituto Beni Culturali, la soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; i musei archeologici di Bologna, Budrio, Bazzano; i musei civici di Reggio Emilia; il museo Preistorico Etnografico “L. Pigorini” di Roma; i poli museali dell’Emilia Romagna e della Basilicata.

La ricostruzione al Muv di un telaio di un villaggio villanoviano

Il percorso di visita è incentrato su alcuni reperti di grandi dimensioni collocati su una pedana al centro della sala: tre doli, ovvero tre grandi vasi ceramici di forma sferica, utilizzati per immagazzinare provviste alimentari come cereali e legumi tostati ed essiccati, ed un anello di terracotta pertinente alla camicia di un pozzo. Attorno a questi reperti di grandi dimensioni, posizionati al centro della stanza e fuori dalle vetrine, sono disposte le teche con gli strumenti e gli utensili relativi alle attività tipiche di una giornata all’interno di un villaggio villanoviano. Tra gli oggetti legati alla filatura e alla tessitura, pezzo forte è la pisside proveniente dal museo Archeologico nazionale della Siritide di Policoro (Mt), cioè un vaso ceramico su ruote con coperchio, contenente 14 tessere in terracotta per la tessitura a tavolette, adoperate per la produzione di strisce di tessuto, che venivano utilizzate come accessori dell’abbigliamento o come bordi per stoffe di grandi dimensioni. La strumentazione legata alla preparazione, alla conservazione e alla cottura dei cibi, nonché alla loro presentazione e al loro consumo, raccoglie vasellame ceramico di varie fogge e con diverse funzioni, piastre e alari, cioè gli utensili utilizzati per la cottura dei cibi.

Vetrinetta con materiale dell’epoca villanoviana alla mostra del Muv di Castenaso (Bo)

Alcuni fornelli in terracotta provenienti dal museo Preistorico Etnografico “L. Pigorini” di Roma permettono un interessante confronto tra i materiali villanoviani e quelli laziali coevi. Asce, falci, falcetti e pennati, un amo da pesca, una lima, scalpelli, frammenti di una sega, una porzione di sgorbia, pezzi di un succhiello e di una raspa sono gli oggetti in esposizione legati alle attività di sussistenza, come l’agricoltura e l’arboricoltura, l’allevamento e la carpenteria, la caccia e la pesca. Chiudono la mostra gli strumenti propri delle attività artigianali: la produzione metallica e quella del vasellame ceramico. Tra questi spiccano la matrice in arenaria, con funzione di forma fusoria, del museo “G. Chierici” di Paletnologia Reggio Emilia ed un set specializzato di utensili per la lavorazione dell’argilla.