Roma. In Curia Iulia presentazione del libro “Lavori e ricerche nella Domus Aurea durante gli anni 2010-2016” atti della Giornata di Studi in memoria di Fedora Filippi e primo di una collana dedicata alla Domus Aurea
Venerdì 15 settembre 2023, alle 16.30, la Curia Iulia ospita la presentazione del libro “Lavori e ricerche nella Domus Aurea durante gli anni 2010-2016”, a cura di Elisabetta Segala e Heinz-Jürgen Beste, che raccoglie i contributi presentati nella Giornata di studi in memoria di Fedora Filippi (funzionario archeologo, responsabile della Domus Aurea dal 2009 al 2014), svoltasi a Roma il 15 settembre 2022. La Giornata di studi è stata un momento importante di incontro e confronto sulle attività svolte in Domus Aurea tra il 2010 e 2016 che ha visto la partecipazione del gruppo di lavoro che Fedora Filippi aveva creato e a cui aveva manifestato più volte la volontà di divulgare tutto il lavoro svolto in Domus Aurea, la pubblicazione degli atti diventa quindi un contributo fondamentale nell’ottica della divulgazione per lei così importante. Con questo volume il Parco archeologico del Colosseo inaugura una collana di monografie dedicate alla Domus Aurea e intitolata “Per Artem Temptare. Studi sulla Domus Aurea”. In questo modo si dà continuità al progetto di Fedora Filippi volto ad una pubblicazione sistematica delle ricerche e degli studi dedicati ad un monumento di fondamentale importanza per la civiltà romana, quale è la Domus Aurea; progetto che una scomparsa prematura le ha impedito di portare a conclusione. Programma: introducono Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo; Ortwin Dally, direttore dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma; presentano Marina Magnani, già funzionario architetto della soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Roma; Nicoletta Pagliardi, già funzionario archeologo della soprintendenza Archeologica di Roma; conclude Henner von Hesberg, già direttore dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma. Saranno presenti i curatori. Prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti su eventbrite.it. Ingresso da largo della Salara Vecchia, 5.
La modernità di Giacomo Boni, grande archeologo (anche se poco noto) a cavallo tra Otto e Novecento. Due giornate di studi all’Istituto veneto di Scienze lettere e arti di Venezia

Giacomo Boni, archeologo veneziano, romano d’adozione: l’Istituto Veneto di Scienze lettere e arti gli dedica due giornate di studio
Due giornate di studio per recuperare la valenza e la modernità di un archeologo veneziano dii nascita e romano di adozione: Giacomo Boni. Ci ha pensato l’Istituto veneto di Scienze lettere ed arti che il 18 e 19 settembre 2015 a Palazzo Franchetti a Venezia organizza il convegno “Tra Roma e Venezia, la cultura dell’antico nell’Italia dell’Unità. Giacomo Boni e i contesti”. Giacomo Boni, (Venezia, 1859 – Roma, 1925) è stato infatti uno dei più celebri archeologi italiani, noto soprattutto per una straordinaria stagione di scavi archeologici a Roma. In precedenza era stato anche ispettore per i monumenti per l’Italia meridionale per conto del Ministero della Pubblica istruzione, e ancora prima, a Venezia, assistente disegnatore nel cantiere di Palazzo Ducale. Si era infatti formato come architetto presso l’Accademia di Belle Arti per trasferirsi poi a Roma e rientrare a Venezia solo brevemente in seguito al crollo del campanile di San Marco nel 1902. Fu anche socio precoce della Deputazione di Storia Patria per le Venezie, e attraverso quest’organo rappresentativo dello Stato centrale trovò la strada per il ministero. “Non è esagerazione affermare che Giacomo Boni è stato uno dei più grandi archeologi di sempre”, assicura Myriam Pilutti Namer dell’università Ca’ Foscari di Venezia e relatrice al convegno. “Cresciuto nella seconda metà dell’Ottocento a Venezia, crocevia di civiltà e fervente cantiere sperimentale dove si incontravano e scontravano diverse concezioni della modernità, raggiunse l’apice della sua carriera a Roma. Da funzionario ministeriale di nemmeno trent’anni divenne direttore degli scavi ai Fori imperiali, portando alla luce aree e reperti di straordinaria importanza per la civiltà romana. Tra questi vi fu anche il Lapis niger, la celebre “pietra nera” iscritta che data al VI secolo a.C., una delle più antiche testimonianze scritte in lingua latina. Il convegno si propone, per la prima volta nella storia degli studi archeologici, di indagare il contesto in cui Boni operò – tra tradizione e innovazione -, e di ricostruirne la figura, il pensiero e le attività per intero. Un convegno di storia dell’archeologia, quindi, cui partecipano studiosi affermati del settore, organizzato all’insegna di quel legame che era per Boni imprescindibile tra impegno civile, divulgazione scientifica e attività sul campo, con annesse sperimentazioni tecniche. Ed è in questo intreccio peculiare, frutto di un percorso tutt’altro che “anomalo” e invece felicemente compiuto in un contesto complesso ma fertile e ricco di opportunità, che si spiegano l’uomo e il professionista, il Maestro e il modello. Furono, queste, tutte declinazioni che contribuirono alla creazione di un vero e proprio, intramontabile, mito”.
La parabola della sua carriera, le vicende personali, le importanti conseguenze scientifiche del suo operato, la tradizione storiografica di oblio e restaurazione della sua memoria rendono Boni figura meritoria di un’analisi che per la prima volta nelle giornate di studio di Venezia si propone di comprenderne l’attività e il pensiero per intero, collocandoli nello spaccato culturale e politico più ampio dell’Italia unita, dove si discuteva con vis polemica sulle caratteristiche e sulle modalità della conservazione di antichità e monumenti, oggi “beni culturali”; tema sul quale il pensiero e l’opera di Boni sono tuttora degni di attenzione e considerazione.
Intenso il programma della due giorni. Venerdì 18 settembre 2015, alle 9.30, saluti e introduzione ai lavori di Albert Ammerman (Colgate University). Apre gli interventi, moderati da Gherardo Ortalli (Ca’ Foscari di Venezia), Roberto Balzani (Università di Bologna) su “Vis polemica. Le tradizioni preunitarie nella rappresentazione del patrimonio fra ‘800 e ‘900”; seguono: Bruno Zanardi (Università di Urbino) su “La cultura della conservazione nell’Italia post-unitaria”; Myriam Pilutti Namer (Ca’ Foscari) su “Giacomo Boni: costruzione del mito e storia”; Carlo Franco (Ca’ Foscari) su “La Venezia di Giacomo Boni: temi locali e prospettive nazionali”. I lavori riprendono alle 15 con Albert Ammerman moderatore. Apre Sandro G. Franchini (Ist. Veneto di Scienze, Lettere ed Arti) su “Giacomo Boni e l’impegno per la salvaguardia di Venezia”; seguono: Irene Favaretto (Ist. Veneto di Scienze, Lettere ed Arti) su “L’impresa di Ferdinando Ongania per San Marco e il contributo di Giacomo Boni”; Ettore Vio (Procuratoria di San Marco) su “Il contributo di Giacomo Boni sui resti del Campanile crollato”.
“La grande passione per l’antico”, anticipa Vio, “spinse Giacomo Boni veneziano, già avviato ad una strepitosa carriera di archeologo di valore internazionale, nel 1903, a studiare i resti della fondazione dell’antica torre della sua città. Le cronache tramandano che alla morte del doge Pietro Tribuno nel 912 d.C., le fondazione del futuro campanile di san Marco erano ultimate. La prima chiesa di san Marco voluta dal doge Giustiniano Particiaco che fece utilizzare per la sua erezione le pietre non usate per sant’Ilario, aveva poco più di ottant’anni. Per tutte le opere edili importanti si recuperavano i resti di Altino distrutta e le spolia di edifici tardo antichi, crollati nel susseguirsi delle invasioni barbariche che sconvolsero il nord est nei secoli dal V al VII. Boni, sicuro della eredità romana dell’area lagunare, ricerca nelle fondazioni del campanile testimonianze che ne attestino la presenza. Oggi nel lapidario della basilica di san Marco esistono pochi significativi documenti lapidei e laterizi di allora. Nel riordino della loggetta del Sansovino è augurabile che si possano esporre Questi reperti assieme ad altri documenti, come modelli della ricostruzione del Campanile e copie (del 1903) delle statue del Sansovino che ornano la Loggetta. Un coinvolgente apparato fotografico del crollo della torre meglio illustrerà le vicende di quell’evento”.
Sabato 19 settembre 2015, si iniziano i lavori alle 9.30. Modera Irene Favaretto. Inizia Daniele Manacorda (Università di Roma Tre) su “Boni e il metodo della ricerca archeologica un secolo dopo”. “La figura di Giacomo Boni”, sintetizza Manacorda, “resta nella storia dell’archeologia italiana in una posizione di primi piano e di primato per le sue descrizioni del metodo di scavo, le sue splendide documentazioni grafiche, la sua attenzione a diversi periodi storici, non escluso il Medioevo. Queste caratteristiche del suo lavoro aiutano a comprendere come mai l’archeologia italiana abbia trovato in lui un punto di riferimento fondamentale nel momento in cui avviava quella rivoluzione stratigrafica che oggi possiamo considerare acquisita, almeno mentalmente, nella immagine professionale dell’archeologo. Nel frattempo, la grande quantità di studi che ha investito la storia dell’archeologia italiana e la figura di Boni in particolare, ne hanno ridimensionato alcuni aspetti e messo meglio a fuoco la sua partecipazione al clima culturale complessivo dell’inizio del XX secolo, con le sue ombre e le sue luci. Una generazione dopo la riscoperta di Boni, la sua figura liberata di alcuni stereotipi non perde nulla della sua centralità e la sua lezione a tutto campo resta valida, nel momento in cui si prende maggiore coscienza della importanza di un approccio multidisciplinare ai contesti storico-archeologici, che Boni nella sua dimensione di architetto prestato all’archeologia, di lettore dei testi classici aperto alle scienze naturali, di tecnico d’avanguardia attratto dal fascino della valorizzazione dei ruderi coltivò con risultati che ancora oggi invitano alla riflessione ed alla ammirazione”. A Manacorda seguono Patrizia Fortini (Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma) su “Gli scavi al Comitium-Lapis Niger. Documentazione storica a confronto con i dati delle nuove indagini”; Carmine Ampolo (Scuola Normale Superiore) su “Il Comitium e il lapis niger : modalità dello scavo e discussioni dell’epoca”; Albert Ammerman (Colgate University) su “Boni’s Work and Ideas on the Origins of the Forum in Rome”. Dopo la pausa pranzo, si riprende alle 14.30 con Carmine Ampolo moderatore. Primi a intervenire sono Federico Guidobaldi (Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana) e Andrea Paribeni (Università di Urbino) su “L’archivio Boni-Tea dell’Istituto Lombardo: dalla scoperta all’edizione”; seguono Christopher Smith (British School at Rome) su “Boni and British scholarship”. Quindi la tavola rotonda conclusiva coordinata da Carmine Ampolo.
Al Colosseo “La biblioteca infinita”: ricostruiti I luoghi del sapere nel mondo greco-romano. Presentate le scoperte fatte a Roma al tempio della Pace ai Fori Imperiali, e agli “auditoria” di Adriano
Quando, nel mondo antico, si parla di biblioteche, il pensiero corre subito a quella più famosa di tutte, la Biblioteca di Alessandria, che nell’immaginario collettivo è “la” biblioteca. Ma nel mondo greco-romano la lettura era presente e più diffusa di quel che si possa pensare. Di qui l’esistenza di luoghi deputati alla conservazione dei volumi (cioè i rotoli con i testi su pergamena o papiro: in latino “volumen” significa proprio rotolo) e luoghi deputati alla loro lettura, come gli “auditoria” dove si leggevano testi a voce alta: oggi diremmo ambienti riservati al “reading”. Proprio la scoperta degli “auditoria” di Adriano in piazza Madonna di Loreto a Roma nel 2008, durante gli scavi preventivi alla costruzione della linea C della metropolitana, nonché l’esigenza di dare una lettura organica ai risultati delle indagini archeologiche finora eseguite, e tuttora in corso, nel “templum Pacis”, lungo via dei Fori Imperiali, considerato una delle meraviglie di Roma, scavi che hanno restituito inediti reperti, hanno fatto nascere l’idea della mostra “La biblioteca infinita. I luoghi del sapere nel mondo antico” allestita fino al 5 ottobre nel più famoso monumento del mondo antico, il Colosseo. Nei suggestivi ambulacri dell’anfiteatro flavio 120 opere tra statue, affreschi, rilievi, strumenti e supporti di scrittura, alcune delle quali – come quelle provenienti dal “templum Pacis” – presentate per la prima volta, raccontano l’evoluzione del libro e della lettura nel mondo greco-romano dall’età ellenistica al tardo antico, ma descrivono anche i luoghi pubblici e privati dove si scambiava e si custodiva il sapere. Così, per l’occasione, i monumentali ambulacri del Colosseo sono stati “rivestiti” di “armaria”, le antiche scaffalature, e di immagini degli spazi dedicati alla cultura in un inedito allestimento scenografico.

Gli “armaria”, le scaffalature delle biblioteche greco-romane, ricostruite negli ambulacri del Colosseo
Dopo “Roma caput mundi, una città tra dominio e integrazione” (2012) e “Costantino 313 d.C.” (2013), la rassegna prosegue, idealmente, il viaggio alla scoperta della cultura ellenistica e romana. In questo caso, spiegano i curatori Roberto Meneghini e Rossella Rea, “l’idea di indagare i luoghi del sapere a Roma e nei territori di cultura ellenistica conquistati dai romani è nata da due fattori contingenti: la scoperta a Roma, a partire dal 2008, degli “Auditoria” di Adriano a piazza Madonna di Loreto, e l’esigenza di ricomporre in un contesto unitario i risultati delle indagini archeologiche finora eseguite, e tuttora in corso, nel templum Pacis”. L’evento è promosso dalla soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e dalla soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Electa, superando di fatto l’incredibile situazione gestionale dei Fori di Roma, divisi tra le due amministrazioni, statale e comunale.

Al Colosseo la mostra “La biblioteca infinita. I luoghi del sapere nel mondo antico” fino al 5 ottobre
La mostra “La biblioteca infinita. I luoghi del sapere nel mondo antico” riprende nel titolo una definizione cara allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, che nei suoi testi “La biblioteca di Babele” e “Del culto dei libri”, definisce la biblioteca “interminabile”, “illimitata” e “infinita”. “Tutte definizioni – spiegano i curatori – che sottendono un unico concetto: la biblioteca è la sede della cultura e, in quanto tale, non ha limiti perché coincide con l’universo, dunque ciò che caratterizza la cultura è la sua universalità”. La rassegna propone dunque 120 lavori, fra statue, affreschi, rilievi, strumenti e supporti di scrittura, inseriti in un allestimento scenografico che ricostruisce le antiche scaffalature delle biblioteche, le cosiddette “armaria”. Fra le opere più significative esposte negli ambulacri del Colosseo, la statuetta in avorio di Settimio Severo seduto in adlocutio, conservata al museo nazionale Romano e portata al Colosseo solo per l’inaugurazione della mostra; l’affresco con instrumentum scriptorium da Pompei (Casa di Marco Lucrezio, 45–79 d.C), oggi al museo archeologico di Napoli; e la statua di Areté (la Virtù) dalla Biblioteca di Celso ad Efeso (II secolo), proveniente dal Kunsthistorisches museum di Vienna. Ma anche gli affreschi inediti che un tempo decoravano il teatro di Nemi con gli “strumenti del mestiere”, e perfino alcuni testi che risultano leggibili, e adesso si tenterà di tradurre. E poi gli affreschi pompeiani, i busti di filosofi, letterati e imperatori, le piccole teste in avorio che riproducono Settimio Severo e di Giuliano l’Apostata, con la funzione di segnalibro negli scaffali di rotoli in papiro del “templum Pacis”. Edificato vicino ai Fori di Cesare e Augusto nel 70 d.C. dall’imperatore Vespasiano, dopo le terribili guerre civili, il “templum Pacis” fu un santuario dedicato alla pace, ma anche un centro di cultura con un’importante raccolta d’arte greca e romana e con la “bibliotheca Pacis”, attorno alla quale orbitarono numerosi intellettuali. “Si tratta di capolavori di arte antica – spiega la curatrice Rossella Rea – soprattutto il piccolo ritratto dell’imperatore, presente nella biblioteca del Tempio della Pace in qualità di scrittore”. Quel luogo del sapere venne distrutto da un incendio (ma lo splendido monumento venne fatto ricostruire), le tracce del quale sono ancora ben visibili sulla bellissima statuetta. “Il reperto – continua Rea – è troppo prezioso e delicato. Per questo dopo l’inaugurazione è tornato nel caveau climatizzato che lo protegge, per essere sostituito da una copia. La nostra speranza è comunque che, dal momento che le ricerche proseguono lungo la via dei Fori Imperiali, riemergano altri reperti di questa qualità”. Cantieri aperti anche a piazza della Madonna di Loreto, dove sono venuti alla luce gli “auditoria” di Adriano: “Fra poco dovrebbe cominciare il restauro – aggiunge Rea-, per fortuna la zona regge bene la pioggia e inoltre la Metropolitana non impatta. La costruzione si potrà ammirare dall’esterno, mentre gli interni si potranno visitare in piccoli gruppi e naturalmente su prenotazione”.
Il percorso della mostra si snoda in sette sezioni: La lettura nel mondo antico; Come leggevano gli antichi; Le biblioteche ellenistiche, centri di cultura e di trasmissione del sapere; Le biblioteche private nel mondo romano: l’esempio della Villa dei Papiri; Le biblioteche pubbliche; Il Templum Pacis e Le biblioteche dal mondo antico al mondo moderno. L’excursus storico della mostra parte dunque dal periodo ellenistico documentando le grandi biblioteche dell’antichità, prima fra tutte quella di Alessandria d’Egitto, edificata nel III secolo a.C, la più famosa e vasta con 490mila volumi. La Biblioteca di Pergamo, sua rivale, dovette subire da Tolomeo V una sorta di embargo. Il faraone vietò infatti l’esportazione di papiro per arginarne la concorrenza, ma Pergamo rispose con l’invenzione della pergamena (fogli ricavati dalla pelle di pecora). La narrazione proposta in mostra è vivace, e si sviluppa fra numerosi reperti che testimoniano l’importanza di preservare la memoria, filosofica e scientifica, attraverso la creazione di testi, da custodire all’interno di luoghi protetti, come appunto gli “auditoria”, sale destinate all’ascolto di pubbliche letture (recitationes), compiute rigorosamente ad alta voce. La rassegna illustra anche i templi e i santuari romani che cominciarono a ospitare i centri del sapere, “luoghi tutt’altro che silenziosi – conclude Rea – fatti di scambi, di dibattiti, veri centri polifunzionali per ammirare l’arte, ascoltare la musica, il teatro e la lettura”. A raccontarlo gli affreschi di Nemi, quelli pompeiani, marmi e bronzi dai maggiori musei.

















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