Notte Europea dei Musei 2016. Le proposte della soprintendenza Archeologia del Veneto: da Este a Verona, da Vicenza a Feltre
In occasione della Notte Europea dei Musei in calendario sabato 21 maggio 2016, la soprintendenza Archeologia del Veneto promuove eventi e aperture straordinarie delle aree archeologiche del Veneto. Vediamole brevemente.
AREA ARCHEOLOGICA DI VIA SANTO STEFANO, ESTE La casa delle anime. Percorsi archeologici su antichi riti funerari. Apertura straordinaria dell’area archeologica di via S. Stefano a cura del Comune di Este. Orari: dalle 20 alle 23 ogni 30 minuti (ultima visita ore 22.30). Visite guidate gratuite a cura di Cinzia Tagliaferro, associazione culturale Studio D. Info: 0429 617573 – info@studiodarcheologia.it
AREA ARCHEOLOGICA DI CORTE SGARZERIE, VERONA Apertura straordinaria dalle 20 alle 23, a cura dell’associazione Archeonaute Onlus. info: 324 0885861 – archeonaute@gmail.com
AREA ARCHEOLOGICA DEL CRIPTOPORTICO ROMANO, VICENZA Apertura straordinaria dalle 20 alle 23, a cura dell’associazione Ardea. Info: 0444.326880 – 347.9426020 – athena_el@yahoo.it
AREA ARCHEOLOGICA DELLA CATTEDRALE DI FELTRE Itinerario curato dai volontari dell’associazione “Il Fondaco per Feltre”, che si snoderà dall’area archeologica sottostante il sagrato del duomo, con visita in notturno alla mostra “L’Esculapio di Feltre dal rinvenimento al restauro”, fino al museo civico dove ci si soffermerà sul lapidario, con i reperti che spaziano dall’età del ferro al periodo romano. Termine della visita previsto alle 23.30. Il costo, in questo caso è di 2,50 euro a persona che includono l’ingresso alla mostra “L’Esculapio di Feltre” (1 euro) e il biglietto ridotto al museo civico (1,50 euro). Info e prenotazioni: ufficio Musei (tel. 0439/885242/241, museo@comune.feltre.bl.it), http://www.comune.feltre.bl.it/
Le palafitte diventano patrimonio dell’Unesco: a Verona la mostra “PALAFITTE. Un viaggio nel passato per alimentare il futuro” celebra i siti dell’arco alpino e studia l’alimentazione nell’età del Bronzo (II millennio a.C.)
Sono per lo più invisibili, sepolte nei depositi torbosi di antichi laghetti o corsi fluviali, o sommerse lungo le coste degli specchi d’acqua: sono le palafitte dell’arco alpino, che offrono una visione unica della vita nei primi villaggi agricoli. Ma proprio per la loro peculiarità l’Unesco ha inserito le palafitte nel Patrimonio culturale dell’umanità: “momenti fondamentali per capire l’evoluzione delle comunità umane tra il Neolitico e l’età del Bronzo”. Grazie all’abbondante ricchezza di ritrovamenti le palafitte offrono un’immagine precisa e dettagliata di questi periodi preistorici in Europa, dove si sviluppa l’agricoltura, permettendo di fornire dettagli della vita quotidiana, delle pratiche agricole, dell’allevamento di animali e delle innovazioni tecnologiche. Inoltre la dendrocronologia (metodo di datazione che misura gli anelli di crescita degli alberi) permette di datare con precisione le strutture in legno (pali) che compongono le case dei villaggi e che possono raccontare l’evoluzione dell’occupazione dello spazio in intervalli cronologici anche molto lunghi. Questi siti palafitticoli sono la miglior fonte di informazione archeologica a nostra disposizione oggigiorno per approfondire le culture e le popolazioni preistoriche.
Proprio per far conoscere questi nuovi siti Unesco e al contempo rendere omaggio al tema di Expo 2015, il 2 ottobre 2015 apre a Verona, al museo civico di Storia naturale (dove rimarrà aperta fino al 10 aprile 2016) la mostra ideata e curata da Federica Gonzato, Claudia Mangani e Nicoletta Martinelli, e dedicata all’alimentazione nell’età del Bronzo (II millennio a.C.): “PALAFITTE. Un viaggio nel passato per alimentare il futuro”, promossa dalla soprintendenza Archeologia del Veneto, in collaborazione con le associazioni culturali Il Genio Italiano, Adige Nostro e il Comune di Verona col Museo Civico di Storia Naturale, e con il patrocinio di EXPO – Milano 2015. Scoperte a partire da un secolo e mezzo fa, le palafitte alpine hanno permesso agli specialisti di ricostruire la vita nelle società di agricoltori e allevatori degli ultimi cinque millenni prima di Cristo; hanno contributo ad approfondire il rapporto tra i popoli di cacciatori e raccoglitori della preistoria e le prime grandi civiltà europee. Fra gli oltre 1000 insediamenti conosciuti, 111 (distribuiti fra sei nazioni: Francia, Germania, Italia, Svizzera, Austria e Slovenia) sono stati selezionati per far parte del sito seriale transnazionale Unesco denominato “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino”. Fra questi, quattro siti si trovano in Veneto: due nella zona di Peschiera del Garda, cioè Belvedere e Frassino; uno nella Bassa veronese, a Tombola di Cerea; e l’ultimo nel Padovano: Laghetto della Costa, vicino ad Arquà Petrarca.
La mostra di Verona racconta, attraverso i reperti provenienti dai quattro siti Unesco e da altre palafitte scoperte in Veneto e Lombardia, gli aspetti più significativi del grande tema dell’alimentazione, dalle conoscenze agropastorali alle produzioni degli ingredienti, dalla preparazione dei cibi alla loro conservazione, con particolare attenzione anche ai prodotti secondari. Al visitatore è proposto un percorso che illustra, grazie ai dati scientifici provenienti dalle più aggiornate ricerche e all’osservazione diretta dei reperti esposti, cosa e come mangiavano i nostri antenati palafitticoli. Proprio le particolari condizioni di giacitura in ambiente umido di questi villaggi, infatti, ha permesso la conservazione anche delle materie organiche che hanno fornito agli studiosi molti dati. In mostra sarà così possibile osservare la spiga dal sito del Belvedere di Peschiera del Garda o il panino combusto da Lazise-La Quercia.
“Numerosi reperti”, spiegano le curatrici, “sono esposti al pubblico per la prima volta. Segnaliamo in particolare gli oggetti provenienti dal contesto del laghetto del Frassino. Non a caso, proprio un vaso dalla palafitta di Frassino, unico nella sua foggia con quattro versatoi verticali, è stato scelto come “simbolo” della mostra”. Obiettivo della mostra è far conoscere un particolare aspetto della preistoria delle regioni alpine, quando le capanne venivano realizzate su impalcati lignei in ambienti umidi. La mostra è anche occasione per esporre reperti solitamente conservati nei depositi della soprintendenza Archeologia-Nucleo Operativo di Verona, del museo civico di Storia naturale di Verona, del museo Archeologico nazionale Atestino e di alcuni musei civici: Legnago, Cavaion Veronese, Castelnuovo Bariano. “Valorizziamo il patrimonio archeologico, con un’idonea azione didattica a supporto: pannelli con testi originali e immagini aprono finestre di approfondimento immediate e di facile lettura per ogni pubblico”.
La mostra si articola in due sezioni. Nella prima c’è la presentazione del sito seriale transnazionale Unesco “Siti palafitticoli preistorici dell’Arco alpino”: un’alternanza di pannelli e vetrine sui siti Unesco e alcuni siti palafitticoli del Veneto. Nella seconda, l’alimentazione all’epoca delle palafitte. Introduzione alle strategie di sussistenza alimentare, con un focus particolare su agricoltura, caccia, pesca, allevamento, cottura e conservazione dei cibi, oltre alla lavorazione delle materiale prime fornite da queste attività primarie.
Una giornata in Polesine, tra Adria e Loreo, alla scoperta della Mansio Fossis: stazione di sosta sulla via Popilia lungo un ramo del delta del Po

Il manifesto dell’iniziativa “Mansio Fossis, la villa e la sua darsena”, che si articola tra Adria e Loreo
Due giornate a tu per tu con gli abitanti di un’antica villa romana, stazione di posta e sosta nel delta padano. In occasione della 657ma Fiera di San Michele, organizzata dal Comune di Loreo in collaborazione con la Pro Loco, la soprintendenza Archeologia del Veneto domenica 27 settembre 2015 propone “Mansio Fossis e la sua darsena”, un’iniziativa di valorizzazione del patrimonio archeologico loredano articolata in due appuntamenti (ma si può partecipare anche a uno solo dei due eventi), a cura della direzione del museo Archeologico nazionale di Adria in collaborazione con l’associazione culturale Studio D e Natalì Rosestolato. Un’occasione per conoscere, attraverso le testimonianze archeologiche, il paesaggio dell’antico delta padano e la quotidianità di una stazione di sosta lungo un’importante arteria stradale romana, la via Popilia, trascorrendo un piacevole pomeriggio a contatto con la storia, l’ambiente e la cultura del Delta.
Si inizia alle 15.30 al museo Archeologico nazionale di Adria con la visita guidata (compresa nel prezzo del biglietto) alla sezione romana, con particolare attenzione ai siti della fascia costiera (corte Cavanella di Loreo e San Basilio di Ariano Polesine) che hanno restituito importanti evidenze archeologiche tra età imperiale e tardo antico. San Basilio è una piccola località a una ventina di chilometri a sud-est di Adria, nell’Isola di Ariano, tra il Po di Venezia e il Po di Goro, così denominata dalla chiesetta medioevale edificata su una delle alte dune che nell’antichità segnavano la linea di costa. Qui sotto i campi, i frutteti e i pioppeti sono stati trovati importanti resti archeologici risalenti a diverse età a conferma della posizione strategica nell’area deltizia. “Tra il VI e il V sec. a.C.”, spiegano gli archeologi, “fiorì un insediamento commerciale ed artigianale frequentato da Etruschi, Greci e Veneti, collocato in una posizione strategica a ridosso della costa e presso la foce di un ramo del Po. Nel II sec. a.C., quando i Romani iniziarono il loro processo di conquista del Nord-Est d’Italia, qui venne fatto transitare un fondamentale asse viario, la strada costruita dal console Publio Popillio Lenate e fu collocata una stazione di posta, la mansio Hadriani. Intorno sorsero ville e, forse, un villaggio. Nel I sec.d.C. da qui si dipartiva una nuova strada diretta verso Nord, affiancata da un canale per la navigazione interna. Alla fine dell’Impero romano si costituì qui uno dei più antichi centri battesimali cristiani della zona”.
Il sito archeologico di Corte Cavanella si trova vicino a Loreo, il “portum Laureti” dei veneziani: qui è stata rinvenuta un insediamento rustico di età romana che comprendeva una parte residenziale e una ampia darsena per il ricovero delle barche. La grande villa romana doveva sorgere su una barena sopraelevata, all’interno di uno specchio lagunare, presso un canale che la metteva in comunicazione con il mare. La particolare posizione costrinse i romani a perfezionare le tecniche di costruzione, consolidando il terreno, e consentendo una lunga durata della struttura, dall’inizio del I sec. d.C. all’inizio del V sec. d.C. La villa divenne presto un punto strategico di snodi commerciali sia marittimo-fluviali che terrestri. Gli archeologi la identificano con la Mansio Fossis citata dagli itinerari antichi, una stazione di sosta lungo la prosecuzione della via Popilia verso nord. L’antica Mansio Fossis era composta di un edificio abbastanza grande, una specie d’albergo per dormire, una stalla per il ricovero dei cavalli e dei buoi, un altro locale adibito a cucina e mensa, e una piccola darsena con relativa tettoia per il riparo delle barche. Fossis è a ridosso di uno dei tanti piccoli canali che vanno ad immettersi in un canale naturale più grosso, che non è l’Adige ma il Fossiones, uno dei tanti rami del Po che formavano allora il delta del fiume. Nei pressi doveva essere in funzione una piccola fornace visti i ritrovamenti di scarti d’anfore, lucerne ed altri oggetti, recuperati negli scavi iniziati negli anni ottanta e ormai conclusi. Gli scavi hanno portato alla luce prima una palificata verticale che molto probabilmente serviva a proteggere la stazione di sosta dalle mareggiate e dall’azione del vento, poi un sistema idraulico che consentiva l’ingresso dell’acqua in una canaletta di legno lunga 25 metri che confluiva a sua volta in un vascone in mattoni destinato probabilmente all’allevamento delle aragoste, delle quali i romani erano particolarmente ghiotti.
Conclusa la visita del museo Archeologico nazionale di Adria ci si trasferisce (con mezzi propri) a Loreo dove c’è l’Antiquarium, allestito nel 2004 nella Torre civica del Comune, per valorizzare la cultura e le tradizioni storico-artistiche dell’area del Delta del Po, creando un polo di attrazione turistica. Alle 17.30, all’Antiquarium di Loreo (ingresso e visita guidata gratuiti) la soprintendenza propone “Sapori d’altri tempi”: un viaggio tra le abitudini alimentari dei Romani. Dall’archeologia alla tavola degli antichi romani, raccontata attraverso i reperti conservati presso l’Antiquarium, preziosa testimonianza della vivace realtà del delta padano fin da epoca antica. I reperti contenuti all’interno delle tre vetrine consistono perlopiù in vasellame da cucina (olle a fondo convesso in ceramica comune del II sec. d.C.), oggetti di lusso (frammenti di colli e fondi di hydriai in vetro, un ago e spilloni in osso lavorato), vasellame da mensa (coppette e piatti in ceramica sigillata norditalica e boccali in ceramica a pareti sottili) e oggetti d’arredo della villa (lucerne di tipo “Firmalampen”).
“Celti sui monti di smeraldo”: nella mostra di Zuglio, l’antica Iulium Carnicum, per la prima volta la storia dei Celti nelle Alpi Orientali con reperti da Veneto, Friuli Venezia Giulia, Carinzia e Slovenia

Visitatori alla mostra “Celti sui monti di smeraldo” aperta al museo civico archeologico di Zuglio in Carnia
La storia dei Celti nell’arco alpino orientale: una storia complessa, per certi versi ancora da scrivere che viene ora affrontata per la prima volta attraverso le testimonianze più significative del territorio compreso tra Veneto, Friuli Venezia Giulia, Carinzia e Slovenia occidentale. Dove? Nella straordinaria mostra “Celti sui Monti di Smeraldo”, a Zuglio, l’antica Iulium Carnicum, in provincia di Udine, ideata per per celebrare i venti anni di apertura al pubblico del museo. Dopo il fortunato successo della mostra “In viaggio verso le Alpi. Itinerari romani dell’Italia nord-orientale diretti al Norico” del 2013, il piccolo ma attivissimo museo Archeologico di Zuglio si cimenta in un’esposizione di sicura rilevanza culturale proponendo – fino al 31 ottobre 2015 – appunto una nuova, importante mostra dall’affascinante titolo “Celti sui monti di smeraldo”, frutto della sinergia tra il Comune di Zuglio, la soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia, la soprintendenza Archeologia del Veneto e numerosi musei italiani ed esteri. L’allestimento, curato e pensato per offrire contenuti di qualità anche ad un pubblico non esperto del settore, è stato realizzato con il sostegno di numerosi enti pubblici e privati.

In mostra a Zuglio reperti da Cividale, Udine, Trieste, Montebelluna, Montecchio Maggiore, Klagenfurt, Pieve di Cadore, Pordenone, Ljubijana, Tolmino
Il titolo della mostra “Celti sui monti di smeraldo”, interviene la curatrice Angela Ruta, “evoca il paesaggio della Carnia, dove l’archeologia ha acquisito negli ultimi anni dati che hanno cambiato il panorama degli studi. Sappiamo che fu percorsa da guerrieri transalpini, che si soffermarono sulle alture più strategiche, in posizione dominante rispetto ai corsi d’acqua”. Armi celtiche provenienti da rilievi e altipiani carnici sono infatti gli indicatori preziosi della penetrazione, a partire dalla fine del IV-III secolo a.C., di gruppi in movimento dall’area danubiana verso la penisola balcanica (Taurisci, Scordisci). “Ma fin dal V secolo a.C. la documentazione archeologica suggerisce la presenza di stranieri abbigliati alla maniera celtica, inseriti all’interno delle comunità locali”. Numerosi gli studiosi coinvolti e di grande rilievo l’elenco delle istituzioni che hanno collaborato all’esposizione, appoggiata e sostenuta da enti pubblici e privati. Il museo di Zuglio ha realizzato questo importante progetto in collaborazione con la soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia e la soprintendenza Archeologia del Veneto e con numerosi musei: i civici musei e gallerie di Storia e arte di Udine, i civici musei di Storia e arte di Trieste, il Landesmuseum für Kärnten di Klagenfurt, il museo Archeologico nazionale di Cividale, il museo di Storia naturale e Archeologia Città di Montebelluna (TV), il museo di Archeologia e Scienze naturali “Giuseppe Zannato” di Montecchio Maggiore (VI), il museo Archeologico della Magnifica Comunità di Cadore di Pieve di Cadore (BL), il museo Archeologico del Friuli Occidentale – Castello di Torre di Pordenone, il Narodni muzej Slovenije di Ljubljana e il Tolminski muzej di Tolmin in Slovenia.

Il gancio di cintura traforato in ferro trovato a Montebello Vicentino e conservato al museo Zannato di Montecchio
Il percorso espositivo è stato pensato per offrire una sintesi ragionata e aggiornata della presenza celtica. Nella sezione “Primi Celti a Nordest (V-IV secolo a.C.)” viene dato risalto a materiali rinvenuti a Montebello Vicentino, Montebelluna e Paularo-Misincinis: la composizione dei corredi tombali suggerisce una mobilità non solo individuale ma anche di gruppi di stranieri, che via via si integrarono con la popolazione locale, dando vita così a nuove produzioni originali, come le fibule tipo Paularo. È in questa sezione che si può osservare il “Gancio di cintura traforato in ferro”, databile tra la metà del V e gli inizi del IV secolo a.C., trovato a Montebello Vicentino (Vicenza) e conservato al museo di Archeologia e Scienze naturali “G. Zannato” di Montecchio Maggiore. Si tratta di una placca traforata di forma triangolare allungata, che termina a uncino, con fascetta rettangolare ribattuta alla base e chiodo per il fissaggio alla cintura. Raffigura tre coppie di animali sovrapposti: e affrontati, dal basso: uccelli acquatici, dragoni, cavallucci marini. “I ganci da cintura traforati”, spiega Ruta, “costituiscono l’elemento di chiusura del sistema di sospensione che assicurava il fissaggio dell’arma (spada o coltellaccio) al corpo del guerriero. L’avvolgimento delle cinghie di cuoio (non conservate), raccordate da anelli (di solito associati ai ganci), avveniva al fianco o sul torace”.
La seconda sezione è dedicata ai luoghi di culto tra Cadore e alto Isonzo. I due principali contesti esposti, la straordinaria deposizione di armi e cavalli scoperta di recente a Kobarid/Caporetto e il luogo di culto militare di Monte Sorantri di Raveo, rientrano nei casi di aree consacrate dove venivano conservate le spoglie di nemici vinti o venivano dedicate offerte di armi alle divinità. Va sottolineato che tra Carnia e valli del Natisone risultano ormai numerosi i luoghi di offerta o sacrificio di armi, che trovano confronto in Gallia ed Europa centrale danubiana. Il Monte Sorantri di Raveo, altura che controlla le vallate del Degano e del Tagliamento, è il sito più importante per l’archeologia celtica della Carnia. Sulla sommità del monte, a circa 900 metri di altitudine e sul pendio sudoccidentale, all’esterno di un vasto insediamento cinto da una muraglia, con case in muratura attribuibili, per le parti finora indagate, all’età romana, sono stati raccolti tra il 1995 ed il 1997 numerosi reperti metallici di ambito celtico, databili tra il III ed il I secolo avanti Cristo. Le armi, sia di offesa (spade, cuspidi di lancia) che di difesa (umboni di scudo, elementi di elmi) dovevano in origine far parte di trofei o altre installazioni cultuali collocate probabilmente in un’area sacra, secondo un uso attestato in molti santuari della Gallia. Le armi presentano spesso tracce di defunzionalizzazione rituale. Le pratiche cultuali sono proseguite fino alla prima età imperiale romana.
Da ultima la sezione dedicata alle necropoli in uso tra il III e I secolo a.C., rappresentata da diversi corredi funerari, emblematici del Celtismo finale, da Montebelluna a S. Floriano di Polcenigo a Dernazzacco,. a Socerb/San Servolo e Škocjan/S. Canziano del Carso fino a Reka presso Cerkno, Idrija di Bača, Most na Soči /S. Lucia di Tolmino e Kobarid/Caporetto. Le lunghe spade e le lance, spesso ritualmente ripiegate caratterizzano i personaggi maschili, preziosi ornamenti d’argento spiccano nelle tombe femminili. Nè mancano i famosi torques intrecciati che tanto hanno contributo al fascino del Celtismo, tra il Veneto orientale e il golfo di Trieste. Il percorso si conclude con una piccola ma preziosa sezione numismatica.
La visita “Celti sui monti di smeraldo” offre l’opportunità di apprezzare anche il museo civico Archeologico “Iulium Carnicum”: inaugurato nel 1995, espone i numerosi reperti provenienti dalle indagini finora effettuate a Zuglio, piccolo centro della Carnia situato a pochi chilometri da Tolmezzo. Il materiale era precedentemente conservato in un antiquarium locale che, come risulta da una serie di documenti manoscritti, esisteva già agli inizi dell’Ottocento, epoca in cui ebbero luogo i primi scavi regolari per iniziativa del Commissario di guerra del Regno d’Italia. Il Museo, che ha sede in un edificio storico di proprietà comunale restaurato dopo il terremoto del 1976, dà al visitatore una panoramica dello stato attuale della ricerca archeologica in Carnia, con particolare riguardo alla realtà di Zuglio, dove le indagini archeologiche hanno consentito di portare alla luce importanti monumenti dell’antica Iulium Carnicum.La superficie espositiva si sviluppa in un percorso che ha lo scopo di far conoscere il territorio gravitante nell’antichità su Zuglio. Una serie di pannelli didattici ed alcune cartine di distribuzione dei siti archeologici accompagnano i reperti che da diverse località della Carnia sono confluiti nella raccolta civica. Si tratta di materiale di notevole interesse, frutto di ritrovamenti occasionali e di scavi sistematici, che si riferisce ad un ampio arco cronologico compreso tra l’età preistorica e quella altomedioevale.
In mostra a Vicenza la riscoperta del teatro Berga, il teatro romano di Vicetia, dai disegni e scavi ottocenteschi del Miglioranza alle immagini di oggi
Il primo a riesumarlo dall’oblio del tempo fu Andrea Palladio. Il teatro romano di Berga a Vicenza era ormai abbandonato da quasi tredici secoli, ma nel borgo a sud-est di quella che fu la Vicetia romana si potevano ancora scorgere tracce dell’antico edificio. Così l’archistar ne tracciò la pianta che fu alla base della conoscenza dell’antico teatro, seguito nel secolo successivo dai rilievi di altri architetti, Ortensio Zago e Ottavio Bertotti Scamozzi. Ma fu solo all’inizio dell’Ottocento con l’architetto vicentino Giovanni Miglioranza che abbiamo la prima indagine metodica sul teatro, cui dedicò della sua vita. Ed è proprio a questo insigne studioso e al monumento scomparso che Vicenza dedica la grande mostra dell’estate “Miglioranza e il Teatro Berga. Disegni dall’800, immagini di oggi”, aperta nello spazio Underground di Palazzo Chiericati fino al 27 settembre a cura di Chiara Signori ed Elena Cimenti con 25 disegni del Miglioranza provenienti dl Gabinetto Stampe e disegni di Palazzo Chiericati e due dalla biblioteca Bertoliana. I disegni illustrano piante, spaccati e prospetti realizzati dall’architetto nell’arco di trent’anni, prima basandosi sullo studio dei pochissimi resti visibili nell’Ottocento e successivamente grazie agli scavi diretti dallo stesso Miglioranza. Buona parte dei fogli esposti sono dedicati infatti ai reperti archeologici rinvenuti proprio durante questi lavori: statue, capitelli, cornicioni delineati dall’architetto, che rivelano le sue doti nel disegno e nel chiaroscuro.

La ricostruzione 3D del Teatro dell’architetto Fabrizio Burtet Fabris basata sui disegni del Miglioranza
Non manca il confronto tra l’ipotesi ricostruttiva del Miglioranza e l’articolazione planimetrica del teatro elaborata alla luce dei risultati degli interventi di scavo, rilievo e restauro delle strutture antiche diretti dalla soprintendenza Archeologia negli ultimi decenni. Questo confronto sarà possibile grazie a un video, realizzato dall’architetto Fabrizio Burtet Fabris, che proporrà inoltre la ricostruzione 3D del Teatro basata sui disegni del Miglioranza. “Questa mostra è una sorta di workshop seminariale, di dimensioni ridotte, che ha la capacità di far comprendere il senso del lavoro di approfondimento e di studio che spesso sfugge al grande pubblico ma che produce interessanti risultati in termini di conoscenza del nostro passato”, spiega il vicesindaco e assessore alla crescita Jacopo Bulgarini d’Elci. “La mostra offre quindi l’opportunità di scoprire aspetti ignoti ed estremamente interessanti di un pezzo di città su cui si ergeva l’antico Teatro Berga, oggi scomparso, ma di cui resta ancora qualche traccia, tra Porton del Luzzo e Palazzo Gualdi, oltre che i reperti conservati al museo Naturalistico e archeologico e i disegni di Miglioranza”.

Una veduta di Borgo Berga oggi a Vicenza: evidente l’andamento del teatro antico nelle case che vi sono state costruite sopra
Il Teatro Berga era il teatro romano di Vicenza, la romana Vicetia, e sorgeva nell’omonimo quartiere del centro storico di Borgo Berga, in corrispondenza degli attuali edifici compresi tra contra’ Santi Apostoli, piazzetta San Giuseppe, contra’ Porton del Luzzo, piazzetta Gualdi, stradella Pozzetto e contra’ Lioy, con la cavea rivolta verso sud e la scena verso nord. In particolare il percorso di contra’ Porton del Luzzo segue l’andamento circolare del perimetro esterno della cavea del teatro. Il teatro, edificato verso la fine del I secolo a.C., si trovava nell’area a sudest del centro cittadino edificata oltre il fiume Retrone e che era collegata con il centro tramite un ponte che sorgeva in corrispondenza dell’attuale ponte San Paolo. Inoltre, nei pressi della cavea confluivano due importanti vie di comunicazione: la strada proveniente da Lonigo e quella proveniente da Costozza. In età Claudia la scena fu arricchita di ulteriori statue di membri della classe imperiale. Il complesso del Teatro Berga, realizzato principalmente con la pietra estratta nelle cave di Costozza, era costituito da una parte meridionale, che includeva il teatro vero e proprio, e una vasta area porticata posta a nord (porticus post scaenam) di circa 70-80 metri. Il diametro esterno della cavea era pari a circa 82 metri. Si stima che il teatro potesse contenere oltre 5000 spettatori. La scena era ornata da statue in marmo, alcune delle quali sono state rinvenute nel corso di scavi e sono conservate nel museo archeologico-naturalistico di Santa Corona di Vicenza, che per l’occasione sarà accessibile gratuitamente ai visitatori della mostra. Il teatro fu utilizzato per le rappresentazioni almeno fino al III secolo d.C.: infatti, esso è citato in un’iscrizione proveniente da Leptis Magna che ricorda gli onori tributati presso il teatro di Vicetia al pantomimo Marco Settimio Aurelio Agrippa (ottenne decurionalia ornamenta, cioè onori da decurione). La prima citazione storica dell’edificio è costituita da un diploma dell’imperatore Ottone III risalente al 1001, con il quale l’imperatore cede la proprietà dell’edificio al vescovo di Vicenza. Dopo esser stato utilizzato come carcere nella seconda metà del XIII secolo, il teatro andò in rovina e su di esso furono poi edificati, verso la prima metà del XVIIII secolo, edifici ad uso abitativo, tuttora esistenti. Mentre è evidente la sua forma, conservata dall’andamento delle strade, si conserva poco della sua struttura. I muri di sostruzione della cavea sono stati in parte inglobati nelle costruzioni successive. Il teatro fu rilevato per la prima volta già da Andrea Palladio, che poté così redigere una pianta dettagliata. Anche altri celebri architetti ebbero modo in seguito di redigere tavole con disegni del teatro.
“Miglioranza cominciò ad esaminare i resti dell’antico teatro vicentino e le fonti sui teatri antichi, dedicandosi in modo particolare a Vitruvio”, spiegano le due curatrici. “Tra il 1824 e il 1831, grazie ai frequenti studi sui resti visibili principalmente nei sotterranei delle case costruite sopra il teatro. Miglioranza realizzò 17 disegni dove mostrava un’immagine del teatro Berga che oggi sappiamo essere poco aderente alla realtà archeologica. In questo primo gruppo di disegni Miglioranza resta vicino alle ipotesi dedotte da Ortensio Zago e, soprattutto ai precetti di Vitruvio”. Nello stesso periodo realizzò la Veduta del Teatro Berga dallo spaccato delle gradinate, una visione scenografica ad acquerello, dove l’autore dimostra le sue doti nel disegno e nel chiaroscuro. Divenuto architetto, nel 1832 Miglioranza presentò i suoi disegni al Vicerè del Lombardo Veneto. Ottenne un sussidio e il parere positivo agli scavi nella zona del teatro. Ebbero così inizio le quattro campagne di lavori, dirette con passione da Miglioranza, sotto il controllo di una commissione nominata dal Comune. Alla fine dei primi due anni di scavo (1838-1839) aveva riportato alla luce i settori orientali della scena e dell’orchestra, oltre ad aver realizzato una galleria che consentiva di vedere i resti ritrovati. “Miglioranza era convinto che il Berga fosse un teatro costruito secondo le proporzioni dettate da Vitruvio”, continuano Signorini e Cimenti, “anche se l’area riportata alla luce non risultava stesa a sufficienza per poterlo affermare”. Durante la terza campagna di scavo (1842-1848), senza grandi risultati, realizzò i 27 disegni sui materiali decorativi ritrovati fino ad allora: statue, capitelli, fregi. “Dopo l’ultima campagna di scavo (1853-1854)”, concludono le curatrici, “disegnò i 5 fogli più importanti risultato degli studi di tutta una vita e anteprima del grande progetto della Illustrazione del Teatro Berga che però non riuscì ma a compiere”.
Il percorso espositivo si conclude con alcune fotografie realizzate da Marco Zorzanello del Centro di Cultura Fotografica, che collegano il passato e il presente del Teatro Berga con uno sguardo contemporaneo reso possibile grazie alla collaborazione delle persone che oggi abitano i palazzi costruiti sui resti del Berga. “Le immagini fotografiche esposte”, interviene Zorzanello, “mostrano realmente e metaforicamente il teatro di oggi. Pur mantenendo intatta la sua forma urbana, nel corso dei secoli questo luogo della città ha subito in modo spontaneo e non programmato, un cambiamento radicale, passando dall’essere un teatro sino a divenire un isolato densamente abitato. In tal modo questo singolare “condominio” è diventato un incredibile palcoscenico dove gli abitanti si muovono come attori dello spettacolo della Storia”.
Montegrotto. Riaperta a tempo di record l’area archeologica delle terme Neroniane, danneggiata dall’alluvione del 2014. Visite guidate a tutti gli scavi del parco delle Terme Euganee
Riaperta a tempo di record l’area archeologica sotto l’hotel Terme Neroniane. Così Montegrotto ritrova il suo articolato parco archeologico delle Terme Euganee, realizzato col Progetto Aquae Patavinae, operativo da anni grazie alla sinergia tra soprintendenza Archeologia del Veneto, università di Padova e Comune di Montegrotto. L’area archeologica delle Terme Euganee – lo ricordiamo – si estende sull’ampio appezzamento di terreno posto tra viale delle Terme e via degli Scavi con vestigia di età romana, punto di partenza di un interessante itinerario archeologico che comprende varie tappe di cui le più significative sono gli scavi di via Neroniana e il complesso termale dell’Hotel Terme Neroniane.
L’area sotto l’hotel Terme Neroniane, aperta al pubblico nel 2011 con un bell’allestimento basato sulle suggestioni luminose, ha subito gravi danni con l’alluvione che, nel febbraio 2014, ha messo in ginocchio Montegrotto. Nel giro di pochi mesi, grazie a un finanziamento in somma urgenza da parte del ministero e a una febbrile attività di risanamento e restauro, la soprintendenza Archeologia del Veneto è riuscita a riparare ai danni e a riallestire l’area, meglio di prima, per la stagione turistica che si è appena aperta. Dopo un periodo di forzata chiusura, i visitatori possono di nuovo apprezzare i resti archeologici del complesso termale di età romana scoperto sotto l’hotel Terme Neroniane grazie a una serie di scenari luminosi, che pongono l’attenzione ora sulle strutture, ora sui pavimenti, ora sul percorso dell’acqua; possono confrontare quel che resta con le ipotesi ricostruttive, ben illustrate nella pannellistica di allestimento dell’area; possono soddisfare le curiosità in materia interrogando gli archeologi che li accompagnano nella visita.
“Come soprintendenza Archeologia”, spiega Marianna Bressan, responsabile del progetto Aquae Patavine per la soprintendenza, “siamo orgogliosi di essere riusciti a ottenere e far fruttare un finanziamento straordinario del ministero per i Beni e le attività culturali e del turismo, stanziato in somma urgenza dopo l’alluvione che, nel febbraio 2014, ha sommerso Montegrotto e con essa le nostre aree archeologiche. L’area che ha sofferto di più ovviamente è stata quella ipogea, sotto l’hotel Terme Neroniane. Grazie a un’intensa attività in questi mesi, però, la nostra soprintendenza è riuscita a risanarla, restaurarla, sostituire la pannellistica completamente marcita, ripristinare l’apparato luminoso, che rappresenta la cifra peculiare dell’area, e migliorarlo con un nuovo scenario”.
La riaperta area archeologica sotto l’hotel Terme Neroniane a Montegrotto Terme, come si diceva, è parte integrante del Progetto Aquae Patavinae, nato nel 2005 con la collaborazione dell’università di Padova, la soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto e il Comune di Montegrotto Terme, per realizzare il Parco Archeologico delle Terme Euganee in cui tutte le aree archeologiche siano collegate e fruibili. Altri siti archeologici situati tra Abano e Montegrotto sono purtroppo andati perduti, ma grazie ad un percorso attrezzato con pannelli esplicativi è possibile ricostruire e visitare virtualmente tutti i principali luoghi che hanno reso importanti e famose le Terme Euganee nell’antichità. L’ampia zona archeologica è stata scoperta nel 1780 da Giovan Antonio Dondi Orologio che qui compì un primo scavo, ma solamente a partire dagli anni ’60 del secolo scorso è stata riportata completamente alla luce attraverso una lunga campagna di scavi e un accurato studio dei reperti. Nell’area sono visibili i resti di una imponente struttura termale risalente all’età augustea (I e II secolo d.C.) costituita da tre grandi vasche-piscine collegate tra di loro da un articolato sistema di canalizzazioni per l’adduzione e il deflusso delle acque termali e da altri edifici funzionali all’accoglienza di coloro che usufruivano delle terme. Si riconoscono i portici, gli spogliatoi, le aree di riposo, i ninfei e pure un piccolo teatro, che completava l’offerta di svago ed intrattenimento del grande complesso termale. Le strutture sono state ricostruite graficamente e illustrate con grande chiarezza nei pannelli espositivi che arredano il percorso di visita.
Visita agli scavi. A poche centinaia di metri dall’area archeologica di via Degli Scavi, oltrepassando la stazione ferroviaria di Montegrotto e imboccando via Neroniana si incontra una importante area archeologica che presenta i resti di una sontuosa villa romana databile agli inizi del I secolo d.C.. La villa è stata in fasi successive ampliata e probabilmente fu utilizzata fino al IV secolo d.C.; a seguito della caduta dell’Impero Romano il territorio euganeo venne progressivamente abbandonato e la lussuosa residenza lasciata cadere in rovina. Sui suoi resti si insediò un villaggio di capanne e più tardi venne edificata una solida dimora signorile, sopravvissuta fino all’alto medioevo e di cui sono ancora visibili alcune parti. Recenti scavi hanno portato alla luce anche alcune testimonianze di epoca pre-protostorica che dimostrano una frequentazione di questo luogo sin dal III-II millennio a.C. Per la tutela e valorizzazione degli importanti ritrovamenti sono state realizzate delle coperture che riproducono nei volumi le dimensioni originarie della villa di età imperiale. Adiacente agli scavi di via Neroniana si trova l’hotel Terme Neroniane, dove sono stati rinvenuti i resti di un altro straordinario complesso termale risalente alla fine del I e inizio del II secolo d.C. C’erano un’ampia sala absidata, vasche adibite all’immersione e al nuoto, con un complesso sistema di circolazione delle acque termali, e vari edifici complementari. Il sito archeologico è visibile dal pavimento a vetrate posto nella sala ristorante dell’hotel ed è stato reso accessibile anche esternamente grazie alla realizzazione di un passaggio che consente di entrare sotto le fondamenta dell’edificio per ammirare da vicino gli scavi. Da luglio e per tutta la stagione estiva, apertura ogni domenica delle aree archeologiche di viale Stazione/via degli Scavi, della villa romana di via Neroniana e sotto l’Hotel Terme Neroniane. Previste visite ogni ora con archeologi: al mattino 10:30 -12:30, al pomeriggio 17-19. Meglio prenotare. Tutti gli altri giorni apertura delle aree archeologiche solo su prenotazione per gruppi, scolaresche, associazioni (minimo 10 partecipanti). Visite in lingua straniera su prenotazione. Per info e prenotazioni: LAPIS Archeologia-Storia-Arte-Ricerca lapisarcheologia@gmail.com
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