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TourismA 2018. Il cavallo di Troia? Una clamorosa fake news dell’antichità. L’archeologo navale Tiboni: “Omero non ha mai scritto di un cavallo. Ilio fu vinta con l’inganno: ma entro le sue mura fu fatta penetrare una nave di tipo fenicio nota come hippos”

L’archeologo navale Francesco Tiboni e il direttore Piero Pruneti sul palco di Tourisma 2018. Alle loro spalle la copertina del libro “La guerra di Troia. Un inganno venuto dal mare” (foto Graziano Tavan)

Il cavallo di Troia? Una clamorosa fake news dell’antichità. Una bugia con le gambe lunghe come quelle di un… cavallo. Francesco Tiboni, archeologo navale di NavLab Laboratorio di Storia navale dell’università di Genova, ne è convinto perché – ribadisce – “Omero non ha mai scritto di un cavallo”. E a due anni dalle prime comunicazioni (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/06/24/miti-sfatati-il-cavallo-di-troia-era-una-nave-lhippos-fenicio-larcheologo-navale-rilegge-omero-e-i-relitti-antichi-e-smaschera-lequivoco-millenario-dovuto-al-traduttore-antico-alloscuro-de/), seguite da contributi più articolati e da un libro, “La guerra di Troia. Un inganno venuto dal mare” (Edizioni Storia e Studi sociali, 2017), il mondo accademico comincia a recepire la “novità” che smantella un episodio entrato nell’immaginario collettivo da più di due millenni. “E questo per me è un grande risultato”, commenta soddisfatto Tiboni dal palco di TourismA 2018, salone di archeologia e turismo culturale, a Firenze dal 16 al 18 febbraio 2018. Proprio a TourismA l’archeologo navale ha ripercorso le tappe filologiche della sua ricerca partendo proprio dal suo recente saggio dove ha esaminato uno degli episodi più noti della guerra di Troia, l’inganno del cavallo di legno, analizzandolo da un punto di vista archeologico, storico e filologico, allo scopo di chiarire come una vicenda che per i contemporanei di Omero era estremamente chiara nella propria evidenza, nel tempo possa essere stata fraintesa e decontestualizzata. Avvalendosi degli strumenti dell’archeologia navale, attraverso l’analisi delle parole, delle immagini e dei relitti, l’autore giunge a proporre una precisa collocazione dell’episodio che pose fine alla guerra di Troia all’interno di un quadro tematico ben definito, quello appunto della dimensione navale del mondo mediterraneo prearcaico.

Disegno con la ricostruzione di un hippos, imbarcazione fenicia

“Sono un archeologo navale”, ha puntualizzato subito, “e quindi ho voluto approfondire gli aspetti della navigazione nel Mediterraneo tra la tarda età del Bronzo, cioè quello corrispondente alla guerra di Troia, e la prima età del Ferro, periodo in cui sono stati scritti i poemi omerici. È proprio in questi secoli che tra le navi che solcavano le acque del Mediterraneo c’era un’imbarcazione fenicia molto diffusa e nota col nome di hippos, così chiamata perché aveva la polena a testa di cavallo, imbarcazioni con le quali sarebbe stata circumnavigata addirittura l’Africa”. Le fonti antiche citano la nave hippos in più occasioni. Strabone la ricorda come una nave mercantile fenicia. Sofocle (Andromeda, fr. 2, Apud Athenaeum, XI, 64): “su hippoi o su piccole navi navighi verso terra?”. Trifiodoro (184-5): “dopo aver pregato la glaucopide figlia di Zeus (Atena, ndr), si precipitano al mercantile hippos”. Ma forse la citazione più interessante, spiega Tiboni, è quella contenuta in Plinio il Vecchio (Naturalis Historiae, VII, 57) che afferma: “Hippo di Tiro inventò l’oneraria”. “Quando Plinio scrive – siamo nel I sec. d.C. – la tradizione di queste navi  si è ormai persa nel corso dei secoli. Sappiamo che nel Levante non è riscontrato il nome Hippo. Quindi il nome della nave oneraria, hippos, si fonde con le sue origini fenice, la città di Tiro, e in Plinio diventa un nome proprio: Hippo di Tiro. Ma, al di là della “sovrapposizione-contrazione” delle notizie, abbiamo la conferma che l’hippos era una nave fenicia”.

L’archeologo navale Francesco Tiboni

Ma quello che per Tiboni è fondamentale è che Omero, nel descrivere l’inganno del cavallo, usa sempre una terminologia navale. Odissea (IV, 708-9): “Dimmi araldo, perché mio figlio solca il mare a bordo delle navi che sono gli hippoi del mare?”; (XI, 523): “Quando ci imbarcammo sull’hippos, che Epeo costruì, noi fiore degli Argivi, e tutto da me dipendeva, aprire il solido inganno e richiuderlo”. E ancora (VIII, 487-520): “Dicci del dourateous hippos che Epeo costruì con Atena”. Per Tiboni questo è un passo importante perché si associa hippos all’aggettivo dourateous, che rimanda al termine dourata, cioè alle tavole del fasciame che compongono una imbarcazione. “Quindi non stiamo parlando di un cavallo di legno, come per secoli è stato tradotto (per legno Omero avrebbe usato un’altra parola), ma di una nave. E a ribadire il concetto più che Epeo, del quale si sa essere stato un pugile e un discobolo, è l’intervento divino di Atena che in epoca omerica era la protettrice dei maestri d’ascia”.

Esempi di pittura vascolare con il “cavallo di Troia” mostrati da Tiboni a TourismA 2018 (foto Graziano Tavan)

Ma allora come è nata la bufala del “cavallo” di Troia? “Già i greci parlano del cavallo perché avevano perso la nozione della nave fenicia”, spiega Tiboni. “Comunque le rappresentazioni dell’inganno di Troia sono abbastanza scarne. Ne conosciamo solo 37, e non sembrano riferirsi a una tipologia precisa.  Esemplare in questo senso le scene vascolari: i vasai riproducevano l’episodio su informazioni che avevano letto o tramandate oralmente, e quindi ognuno lo interpretava alla sua maniera. L’idea del cavallo di legno si rafforza in periodo romano dopo aver letto – superficialmente e frettolosamente – Virgilio che in realtà nell’Eneide (II, 16, 112, 186, 234-237) nel narrare dell’inganno, descrive non un cavallo ma un’imbarcazione e le diverse fasi della sua costruzione che in antico partiva dal fasciame e poi passava allo scheletro”. Scrive Virgilio: “Ne intessono le murate con tavole di abete… già sorgeva il cavallo fatto di travi d’acero”, che è la prima sequenza: la realizzazione del fasciame in legno di abete o di acero. Segue la costruzione dello scheletro in legno di quercia (“Così intessuto di travi di quercia”). Ma anche la descrizione dell’introduzione del cavallo in Troia è illuminante. Sempre Virgilio: “Separiamo le mura e apriamo le fortificazione della città. Ognuno dà una mano a sottoporre rulli scorrevoli al cavallo a legare al suo collo lunghe funi”. Chiarisce Tiboni: “Quindi non si abbattono le mura: si aprono le porte. E l’uso dei rulli è quello tipico per la messa in secca delle navi, ben decritto da Tacito”. Ma ormai la fake news era stata confezionata. Il “cavallo di legno” di Virgilio viene ripreso e reso immortale da Giambattista Tiepolo nel Settecento per giungere senza colpo ferire ai nostri giorni nel film “Troy”, colossal epico del 2004 diretto da Wolfgang Petersen.

Tiboni mostra i rilievi assiri con la rappresentazione di un hippos trascinato dentro la città facendolo scorrere su grandi rulli (foto Graziano Tavan)

Cosa successe veramente davanti alle mura di Troia? “Per capire la valenza dell’inganno”, fa sapere l’archeologo navale, “dobbiamo aver ben presente cosa succedeva tremila anni fa quando si giungeva alla fine di un conflitto: la parte perdente doveva pagare il tributo alle divinità vincitrici. Spesso lo si faceva offrendo alla città vincente una nave carica di merci preziose”. I greci in dieci lunghi anni lontano dai loro regni non erano riusciti ad avere la meglio sulla città tra lo Scamandro e il Simoenta. Le grandi mura, che la tradizione vuole realizzate da Poseidone e Apollo, avevano retto a ogni assalto. Non rimaneva che la resa. E il pagamento del tributo. “Ma quale nave era più adatta?”, si chiede Tiboni. “Considerando le rivalità interne tra i greci, è facile pensare che nessuno voleva che una propria nave diventasse il simbolo disonorevole della resa. E così si scelse una nave non greca, un hippo fenicio, che fu avvicinato alle mura facendolo scivolare su grandi rulli”. Un rilievo dal palazzo del re assiro Assurbanipal a Ninive del VII sec. a.C. ci fa capire bene come avveniva il tributo ai vincitori con il trascinamento sui rulli di un hippo, agganciato alla testa di cavallo, dentro la città. “Come possiamo immaginare”, riprende Tiboni, “l’operazione era piuttosto laboriosa e richiedeva molto tempo, durante il quale le monumentali porte della città rimanevano spalancate. Quindi non ci fu l’abbattimento delle mura, con l’ingresso di un manipolo di greci nella pancia del cavallo: avrebbero fatto ben poco”. Ma con le porte spalancate e, si può supporre, le guardie distratte dai festeggiamenti di ringraziamento agli dei per la fine della guerra e il pagamento del tributo, l’irruzione dei greci dentro le mura di Ilio fu un gioco da ragazzi. “L’inganno del cavallo di legno aveva raggiunto lo scopo: la presa di Troia. Un inganno venuto dal mare, a bordo di una nave fenicia”.

Spaziano da Zeus agli dèi, dalla musica alla medicina, dall’amore alla morte: sono i frammenti dei tragici greci che Adria propone nel libro “Oltre il mare, verso gli estremi confini della terra” commentati con i frammenti della pittura attica dei vasi conservati al museo Archeologico nazionale

Cratere a figure rosse del pittore di Filottrano conservato al museo Archeologico nazionale di Adria

Il libro “Oltre il mare, verso gli estremi confini della terra” a cura di Gabriele Picard

Il titolo del libro è sicuramente curioso e intrigante: “Oltre il mare, verso gli estremi confini della terra”. Il sottotitolo già è più illuminante: “frammenti di tragici greci con illustrazioni dal museo Archeologico nazionale di Adria”.  Ma per aver chiaro ogni dettaglio non mancate all’appuntamento di sabato 11 marzo 2017 alle 17 al museo Archeologico nazionale di Adria per la presentazione – presenti gli autori – del libro (Apogeo editore), curato da Gabriele Picard in stretta collaborazione con le archeologhe Giovanna Gambacurta e Maria Cristina Vallicelli, che comprende una scelta dai frammenti dei tre grandi tragici greci Eschilo, Sofocle ed Euripide, accompagnata da immagini di frammenti di ceramica attica dalle collezioni del museo Archeologico di Adria: il testo greco, con traduzione sottostante, è accompagnato da brevi commenti, mentre sotto le illustrazioni si possono leggere concise note esplicative. “Il connubio di frammenti letterari con frammenti provenienti dal mondo dell’archeologia”, spiegano gli autori, “ha un effetto straordinario: la lettura di questi brevi testi sprona lo spirito, acuisce la curiosità e ci mostra che passato e presente non sono molto diversi: forse non tanto nel senso materiale, bensì nella mente indagatrice e visionaria dello spirito superiore, come certamente era quello dei loro autori, tanto da conferire un valore universale anche al particolare di un frammento”.

Frammento di ceramica a figure rosse conservato al museo Archeologico nazionale di Adria

L’archeologa Giovanna Gambacurta

La città di Adria conserva nel suo museo nazionale, vero gioiello dell’archeologia, una importante raccolta di testimonianze di pittura attica su ceramica dal VI al IV sec. a.C.: “Grazie all’interessamento della famiglia adriese dei Bocchi promotrice e sostenitrice di scavi archeologici a partire dagli inizi del XVIII secolo”, ricorda Gambacurta, “abbiamo a disposizione questa preziosa raccolta che consta in gran parte di frammenti. Quanto ai tre grandi tragici greci, di Eschilo (525 – 456 a.C.), Sofocle (496 – 406 a.C.) ed Euripide (480 – 406 a.C.) conosciamo le tragedie che vengono lette, studiate e talvolta ancor oggi rappresentate, mentre i frammenti di tragedie scomparse rimangono relegati in un volume di un migliaio di pagine, il Tragicorum Graecorum Fragmenta del filologo tedesco Johann August Nauck (1822-1892). Filologi classici, principalmente inglesi o americani, si sono poi nel tempo cimentati con la traduzione di tali frammenti”. E continua: “Questi frammenti dei tragici greci sono spesso poco conosciuti. Sono brandelli di testo giunti sino a noi: tuttavia per loro tramite risplende un mondo intero, un mondo che va oltre il mare, verso gli estremi confini della terra: i temi spaziano da Zeus agli dèi, dalla musica alla medicina, dall’amore alla morte, rasentano pregi e difetti dei comportamenti umani, ci parlano della casa, delle donne, e del tempo che fugge raggiungendo talora vette di altissima poesia. I frammenti accompagnano il lettore, pagina dopo pagina, sempre affiancati da immagini dell’arte figurativa, i frammenti del Museo di Adria, che ne rendono così la lettura agile e nel contempo variata”.  “La conoscenza e l’approfondimento di una lingua antica”, conclude Picard, “è scuola di pensiero, soprattutto in un mondo digitalizzato e interconnesso come quello odierno, mentre la contemplazione del bello, espresso attraverso il linguaggio dell’arte figurativa, favorisce l’apertura del proprio orizzonte verso altri spazi che si estendono oltre il mare, quello stesso mare solcato dai mercanti greci diretti ad Adria. Questo volume ne è un modesto contributo”.