Velia e Parmenide: il direttore del parco archeologico di Paestum e Velia nella newsletter del mese descrive il quartiere arcaico della colonia focea e la mette in rapporto con la filosofia del grande pensatore, che nacque proprio a Velia

Fu la città di Velia a “influenzare” in pensiero filosofico di Parmenide, o fu il pensatore a “influenzare” la sua città natale? Alla curiosa domanda in qualche modo risponde il direttore del parco archeologico di Paestum e Velia, Gabriel Zuchtriegel, nella newsletter del mese dedicata Velia, un’altra importantissima città della Magra Grecia, famosa per la scuola di filosofia di Parmenide e Zenone. Nel quartiere basso è possibile conoscere la vita quotidiana grazie ai resti delle abitazioni del quartiere arcaico risalenti a più di 2500 anni fa.
“Velia è una città molto particolare anche da un punto di vista topografico”, spiega Zuchtriegl. “Diversamente da altre fondazioni greche in Italia, nella Magna Grecia, come per esempio Poseidonia, Metaponto, Sibari, non occupa una grande pianura ma i due versanti di una catena di colline che vanno dal mare all’entroterra. Ogni anno vengono qua dei pellegrini che con i frammenti del libro di Parmenide, che visse qui a Velia, cercano di comprendere il sito. Così, per esempio, Porta Rosa diventa un elemento della filosofia di Parmenide, la notte e il giorno, ma ci sono altri tentativi di ricollegare il pensiero a questo luogo. Secondo me è un approccio discutibile, sarebbe meglio cominciare dall’altro lato, quindi proprio dal sito, dal contesto, dall’economia, dalla vita quotidiana, dai culti, dalla cultura di questo luogo per comprendere la filosofia e non viceversa, perché il contesto in cui viveva Parmenide è molto significativo per comprendere la sua filosofia”. E continua: “Cominciamo dal contesto. Non dobbiamo immaginare Velia come una città di epoca classica ellenistica. Quando nasce Parmenide probabilmente intorno al 515 a.C. la città era stata fondata solo da vent’anni (535 a.C.) tra l’altro in una situazione precaria: le prime case sono delle capanne di legno di cui sono state trovate le tracce nella città bassa, poi c’è il cosiddetto quartiere arcaico, databile tra la fine del VI secolo e l’inizio del V. Qui la tecnica muraria è quella poligonale che ricorda le tecniche costruttive dell’Asia Minore da dove vengono i Focei, i fondatori di Velia”. È in questo quartiere che nacque Parmenide. “Ovviamente non sappiamo in quale casa viveva Parmenide a Velia, ma possiamo farci un’idea del contesto generale. Le case sono estremamente piccole, composte da due ambienti. Uno molto stretto forse era usato più per lo stoccaggio che per abitarci, nell’altro c’è un pozzo per l’acqua, forse c’era anche un soppalco, un piccolo piano superiore: la vita si svolgeva qua e fuori in strada. È una situazione che ricorda un po’ la vita negli antichi borghi cilentani dove i baroni latifondisti avevano grandi palazzi mentre i contadini spesso vivevano insieme agli animali in spazi molto ristretti. In un contesto come questo, c’era anche il pericolo di non farcela, di non sopravvivere come colonia. Sappiamo di altre colonie che sono fallite. Qui dunque nasce Parmenide, che poi diventa un grande pensatore che mette l’enfasi sempre sull’immutabilità dell’essere, anche se vive in un contesto che è molto poco stabile, talora dinamico, anche in parte precario. Ciò vuol dire che la migrazione, i contatti e la trasformazione possono essere uno stimolo per guardare oltre e scoprire invece quello che non muta, non cambia, l’essenza dell’essere secondo Parmenide”.
Al museo Archeologico Lametino di Lamezia Terme “L’oro d’oliva. Percorso alla scoperta della millenaria storia dell’olio e dell’ulivo”: dalle antiche mense ponderarie agli attrezzi dell’olivicoltura alla visita tematica in museo

La locandina dell’evento “L’oro d’oliva. Percorso alla scoperta della millenaria storia dell’olio e dell’ulivo” al museo Archeologico Lametino di Lamezia Terme
L’ulivo, considerato l’albero sacro del Mediterraneo, è una pianta di antichissime origini. Pare che il suo habitat originario sia da rintracciare in Asia Minore. Dalla Siria, dove sarebbe avvenuta la sua trasformazione da pianta selvatica a specie domestica, si sarebbe diffuso prima nelle isole dell’Egeo e poi in Grecia, dove è noto fin da epoca micenea. Mercanti fenici o greci l’avrebbero in seguito esportato in Occidente. In Magna Grecia i territori più noti per questa coltivazione erano quelli delle colonie di Taranto e Sibari. Giovedì 28 novembre 2019, alle 17.30, a Lamezia Terme (Catanzaro), il museo Archeologico Lametino propone una suggestiva e particolarissima iniziativa: “L’oro d’oliva. Percorso alla scoperta della millenaria storia dell’olio e dell’ulivo”.
Nel mondo ellenico l’ulivo era la pianta sacra ad Atena. Secondo il mito la dea vinse la contesa con Poseidone per il possesso dell’Attica per aver fatto agli uomini il dono più bello e utile, ovvero il primo albero d’ulivo, il cui frutto avrebbe permesso di illuminare la notte, medicare le ferite, produrre nutrimento e quindi assicurare prosperità e pace a tutti coloro che lo avrebbero coltivato. I Romani, che mutuarono dai Greci tutti gli aspetti simbolici dell’ulivo, facendone un attributo di Minerva e Giove, fecero dell’olio un vastissimo e diversificato utilizzo, rendendo l’olivicoltura uno dei settori più importanti del loro sistema economico. Dopo un calo della produzione tra tardo-antico e alto-medioevo, nuovo impulso alle attività olivicole si ebbe a partire dal XII secolo, grazie soprattutto agli ordini monastici e all’uso rituale dell’olio nel mondo cristiano, in cui il ramo d’ulivo continuò ad essere immagine di pace terrena.
Ecco in dettaglio il programma dell’evento coordinato da Rosanna Calabrese, funzionario archeologo. In museo, dove sono conservate le antiche mense ponderarie in pietra provenienti da piazza Mercato a Nicastro, inizio del percorso guidato con breve messa in scena sull’uso delle mense nella pesatura delle olive e spiegazione tecnica delle unità di misura adottate fino all’introduzione del Sistema Internazionale. Seconda tappa nella Sala Conferenze, allestita per l’occasione con pannelli informativi sulla storia dell’olio e dell’ulivo nei secoli e con l’esposizione di attrezzi tradizionali legati all’olivicoltura. Ultima tappa nelle sale espositive del Museo con una visita tematica ricca di curiosità sull’argomento: l’origine della pianta dell’ulivo e accenni botanici nella Sezione Preistorica; il valore sacro dell’albero d’ulivo e il mito di Atena, l’uso cosmetico dell’olio del mondo antico, la produzione olivicola romana e il sistema delle villae rustiche nella Sezione Classica; l’uso rituale dell’olio da parte degli ordini monastici nella Sezione Medievale.
Museo nazionale Archeologico della Sibaritide: giornata dedicata al pettorale d’oro e argento per seguire il viaggio degli Achei e la fondazione della colonia di Sibari

Il pettorale d’oro e argento (600-575 a.C.), uno dei simboli del museo nazionale Archeologico della Sibaritide (foto polo museale Calabria)
Tutti invitati, lunedì 25 novembre 2019, al museo nazionale Archeologico della Sibaritide di Cassano all’Ionio (Cs), a conoscere “Il viaggio degli Achei e la fondazione della colonia di Sibari” nell’ambito della mostra VIDE – VIaggio Dell’Emozione, che coinvolge tutti gli istituti del Polo museale della Calabria, guidato da Antonella Cucciniello. Al museo nazionale Archeologico della Sibaritide, diretto da Adele Bonofiglio, si terrà infatti una giornata dedicata al Pettorale in oro e argento, scelto come simbolo del “viaggio lungo le rotte commerciali e scambi culturali nel Mediterraneo” avente come tema portante “Il viaggio degli Achei e la fondazione della colonia di Sibari”. Ritrovato nell’area di Stombi, il prezioso oggetto faceva parte di un antico pettorale utilizzato probabilmente come ornamento per una veste rituale. Tale reperto riassume nella propria materia d’oro e argento e nella lavorazione decorativa, formata da coppie di palmette a sette petali contrapposte a fiori di loto, i fasti di Sybaris, la città fondata dagli Achei nel 720 a.C., che tra il VII e il VI sec. a.C. conquistò, grazie alla sua floridezza, la supremazia sulle città di confine. Tale ruolo fu perduto dopo due secoli di splendore, quando decadde a seguito della dolorosa sconfitta infertale dall’esercito dei Crotoniati guidati dall’atleta Milone.
Il Toro cozzante di Sibari tra i capolavori esposti al museo Egizio di Torino nella mostra “Pompei e l’Egitto” che apre il 1° marzo

la statuetta in bronzo del Toro Cozzante scoperta nel 2004 negli scavi al Parco archeologico di Sibari
Il Toro cozzante del museo Archeologico nazionale della Sibaritide è giunto a Torino per essere esposto al museo Egizio nella mostra “Pompei e l’Egitto”, che si terrà dal 1° marzo al 4 settembre 2016. La statuetta in bronzo, ritenuta, insieme ai Bronzi di Riace, una delle scoperte più importanti per la bronzistica magnogreca, raffigura un toro in atto di caricare, appunto “cozzante”, ed è il simbolo della colonia di Thurii, riprodotto come emblema sulle monete della città. Realizzato con tecniche a fusione e databile tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C., presenta integrazioni di restauro che ne attestano l’utilizzo anche in età romana. I restauri effettuati sul manufatto in epoca romana documentano una persistenza nella Sibaritide della koiné culturale greca, che sarà, per un lungo arco di tempo, tratto distintivo e caratterizzante dell’intero territorio.
Il bronzetto è stato rinvenuto nel Parco Archeologico di Sibari (Cosenza), nel corso della campagna di scavi del 2004, diretta da Emanuele Greco, direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene. Il Toro Cozzante, simbolo della leggendaria Sybaris distrutta dai crotoniati sotto 4 metri di fango fluviale, e sul quale sono state rinvenute tracce di un restauro effettuato in epoca romana, è stato ritrovato in un grande edificio pubblico del I secolo a.C. della colonia romana di Copia. Dunque il Toro Cozzante è la rappresentazione simbolica della continuità spirituale e culturale tra le antiche colonie greche di Sybaris e Thourioi, edificata, quest’ultima, nel V secolo a.C. dagli ateniesi di Pericle sopra i resti del primo impianto distrutto dai crotoniati. Il fatto poi che anche in epoca romana, la statuetta fosse conservata in un grande edificio pubblico, lascia credere che ci fosse una continuità non solo urbanistica, ma anche storica e amministrativa con la città latina. L’immagine di un toro cozzante, che all’epoca della colonia ateniese di Thourioi era simbolo della prosperità e dell’opulenza raggiunta dal primo insediamento acheo, venne infatti rappresentato sui coni monetali del IV secolo a.C. Rispetto alle altre ben più famose statue di bronzo rinvenute in Calabria, Bronzi di Riace e Filosofo di Porticello, del Toro Cozzante di Thourioi si conosce appieno il contesto storico di riferimento, che però non lascia individuare la scuola artigiana che ha prodotto lo splendido manufatto. Si tratta di un’opera di elevata qualità artistica che possiamo porre a confronto solo con originali greci in marmo o con raffigurazioni monetali o in terracotta, ma non con gli altri originali bronzei, che purtroppo sono andati perduti, o forse non ancora rinvenuti.
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CHI SIAMO
Graziano Tavan, giornalista professionista, per quasi trent’anni caposervizio de Il Gazzettino di Venezia, per il quale ho curato centinaia di reportage, servizi e approfondimenti per le Pagine della Cultura su archeologia, storia e arte antica, ricerche di università e soprintendenze, mostre. Ho collaborato e/o collaboro con riviste specializzate come Archeologia Viva, Archeo, Pharaos, Veneto Archeologico. Curo l’archeoblog “archeologiavocidalpassato. News, curiosità, ricerche, luoghi, persone e personaggi” (con testi in italiano)
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