“Monete, medaglie e banconote come strumenti di propaganda culturale e raffinati mezzi di espressione grafica”: il convegno del Centro Culturale Chiasso (Svizzera) ripercorre la storia, delle più antiche monete alle moderne banconote. Causa emergenza sanitaria tutti gli interventi in streaming

Monete, medaglie e banconote hanno sempre svolto un ruolo rilevante sul piano politico, economico, culturale e iconografico. L’importanza della veste artistica e grafica di questi oggetti per garantire il successo di un messaggio di propaganda è evidente, e per questo il Centro Culturale Chiasso (Svizzera) ha promosso un convegno che ne ripercorre la storia, delle più antiche monete alle moderne banconote: “Monete medaglie e banconote come strumenti di propaganda culturale e raffinati mezzi di espressione grafica”, sabato 28 novembre 2020, dalle 15.30 alle 18, allo Spazio Officina. Il convegno si svolge a porte chiuse per situazione di emergenza sanitaria. Si può visualizzare sul canale YouTube del m.a.x. museo di Chiasso: https://www.youtube.com/channel/UCEbPajvlaMmDqge9ykWtGNw. Il convegno si propone di approfondire la funzione delle opere numismatiche quali strumenti di comunicazione e di propaganda culturale, partendo dall’assunto dell’Associazione AdA, che ciò che è antico contribuisce a determinare le forme della Modernità. Durante il convegno si opererà un confronto fra diversi fenomeni che si sono succeduti nel corso dei secoli per veicolare messaggi sociali, politici e culturali: dall’utilizzo in epoca antica della moneta/medaglia come strumento per propaganda politica ed esaltazione dell’uomo nella pratica di governo, all’uso pervasivo delle banconote, per promuovere l’immagine di personalità e ricorrenze.

La medaglia, come è intesa oggi, è nata nel Quattrocento con le raffinate tecniche della fusione e della coniazione, incisione e punzonatura ed è divenuta popolare grazie a eleganti produzioni, in particolare quelle del Pisanello. Al pari delle monete in uso nella Roma antica, divenne ben presto un mezzo di comunicazione, di celebrazione e di propaganda, a cui regnanti, papi e potenti personalità ricorsero per tramandare ai posteri le loro sembianze e soprattutto le loro imprese. I papi furono tra coloro che maggiormente colsero tali opportunità di propaganda, prediligendo le “medaglie architettoniche”, e chiedendone la realizzazione ad artisti di fama. Le medaglie venivano create appositamente non solo per rappresentare virtù e imprese ma anche per celebrare fra i contemporanei e tramandare ai posteri interventi urbanistici e architettonici. Ciò accadde in particolar modo con il ritorno della sede papale a Roma, dopo il periodo avignonese: i pontefici si proposero di abbellire la città eterna, cancellando l’incuria e l’anonimato nel quale era caduta durante il periodo medioevale. Chiese, palazzi, fontane, edifici pubblici, acquedotti, ospedali, tribunali, ponti, piazze, obelischi, vennero quindi edificati e riprodotti nelle medaglie e anche nelle monete circolanti, date anche in dono a personaggi illustri, per celebrare aere perennis, la magnanimità dei pontefici. Il medesimo ruolo di rappresentanza e di propaganda ricoperto in epoca antica e medievale da monete e medaglie, lo svolgono oggi le banconote: accanto alla tradizionale funzione di mezzo di pagamento, esse hanno un incontestabile ruolo culturale, per celebrare personaggi illustri di cultura, arte, economia, politica del Paese emittente. Introdotta in Occidente in epoca tardo-medioevale per ovviare alle esigenze di praticità legate all’intensificarsi degli scambi commerciali, la banconota è assurta essa stessa ben presto a un medium di natura culturale e sociale.
L’importanza della veste artistica e grafica di monete, medaglie e banconote, al fine di garantire il successo della trasmissione di un messaggio di propaganda, è evidente. “Per questo il Centro Culturale Chiasso”, spiega Nicoletta Ossanna Cavadini, responsabile dell’istituto, “ha ritenuto importante dare spazio a un convegno di questo tipo, nell’ambito della sua stagione espositiva dedicata alla “genesi”, intesa come origine delle cose”. Dopo la parte introduttiva di Michele Amadò, segretario AdA, associazione Avvenire dell’Antico, seguiranno gli interventi di Giovanni Maria Staffieri, appassionato numismatico, che parlerà di monete e medaglie come strumenti di propaganda culturale (“Raffigurazione di monumenti celebri su monete imperiali romane quale strumento di propaganda”); Howard Burns, professore emerito alla Scuola Normale Superiore di Pisa, il cui contributo storico verterà sulla parte relativa alle monete rinascimentali (“Medaglie rinascimentali e architettura: identità e magnificenza”); l’artista grafico Manlio Monti affronterà infine i temi della comunicazione visiva, legati alla funzione delle banconote (“La grafica della cartamoneta, il caso di Albert-Edgar Yersin”).
A villa Arianna di Stabia la seconda tappa del viaggio nel mito tra “Storie di seduzione e castigo” della rassegna “Scena mitica – incontri con i mondi classici” proposta dal parco archeologico di Pompei: in scena il mito di Arianna con Corrado Bologna e Valentina Carnelutti

L’affresco di Arianna e Teseo che ha dato il nome alla Villa Arianna di Stabia (foto parco archeologico di Pompei)
Da Leda ad Arianna. Venerdì 18 settembre 2020 alle 17.30 (ingresso alle 17) a villa Arianna di Stabia seconda tappa del viaggio nel mito tra “Storie di seduzione e castigo” della rassegna “Scena mitica – incontri con i mondi classici” proposta dal parco archeologico di Pompei in collaborazione con l’associazione A voce alta, per la cura di Massimo Osanna e Gennaro Carillo. Dopo Leda, è dunque il turno di Arianna, del cui mito si parlerà nella villa omonima di Stabiae. Al microfono si alterneranno Corrado Bologna, ordinario di Filologia romanza alla Normale di Pisa, e un’interprete fra le più versatili della scena italiana, Valentina Carnelutti, attrice che spazia dal teatro al cinema, alle serie televisive. Il duo Bologna – Carnelutti proporrà un vertiginoso attraversamento del mito di Arianna, oscillando tra le fonti classiche (tra le quali spicca Ovidio), le riscritture moderne (Borges, con la sua ossessione per il labirinto e il Minotauro) e la musica (Monteverdi e Strauss; quest’ultimo su libretto di von Hofmannsthal). In questione sarà, più che il mistero di Arianna, la variazione pressoché infinita della sua vicenda. Alla domanda chi è Arianna? non si può rispondere in maniera univoca. L’eroina è al tempo stesso colei che cospira contro suo fratello, il Minotauro, colei che abbandona la patria per poi essere abbandonata da Teseo, che l’ha sedotta, ma anche la sposa di Dioniso, alla quale dunque arride un futuro più luminoso di quello tramandatoci dalla poesia tragica. In queste ambivalenze risiede il fascino ancora attivissimo di Arianna.
Valentina Carnelutti è attrice, doppiatrice e regista. Ha lavorato con registi come Marco Tullio Giordana (La meglio gioventù), Theo Angelopulos (La polvere del tempo), Paolo Virzì (Tutta la vita davanti e La pazza gioia, per il quale è stata finalista al Nastro d’Argento e candidata al David di Donatello), Andrea Segre (L’ordine delle cose), Silvio Soldini (Il colore nascosto delle cose) e molti altri. In televisione è stata protagonista di diverse serie tra cui Squadra Antimafia in cui interpreta il ruolo della politica corrotta Veronica Colombo, e I Medici. In teatro ha lavorato con, tra gli altri, Angelo Orlando, Giuseppe Bertolucci, Peter Sellars, Damir Todorovic, oltre a scrivere e dirigere lei stessa diverse pièces. È autrice del cortometraggio Recuiem che ha anche prodotto e diretto (Miglior Film al Festival di Torino 2013 e Finalista ai Nastri d’Argento 2014). Al PAF presenta il reading Ondina se ne va, tratto dal racconto del 1961 della scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann.
Intanto, come annunciato, il parco archeologico di Pompei ha messo on line la lectio di Laura Pepe con lettura scenica di Elena Bucci, protagoniste del primo appuntamento di “Scena Mitica” andato in scena al teatro Grande di Pompei lo scorso 11 settembre e dedicato al mito di “Leda e il cigno”.
Firenze. Al via il ciclo “Incontri al Museo” archeologico nazionale: otto appuntamenti in sei mesi. Si inizia con un approfondimento di Luigi Donati sul simposio etrusco e greco

L’invito per l’incontro al Maf con Luigi Donati dell’Accademia Etrusca di Cortona sul simposio tra gli etruschi e i greci
Otto incontri distribuiti in sei mesi, da gennaio a giugno 2020: il nuovo ciclo di “Incontri al Museo”, proposto dal museo Archeologico nazionale di Firenze, che attraverserà un’intera stagione e si concluderà a giugno 2020. Anche quest’anno studiosi e appassionati di archeologia e storia dell’arte condivideranno con il pubblico la comune passione per le antiche civiltà nelle conferenze in programma, come di consueto il giovedì alle 17, al piano terra del museo Archeologico di Firenze, nel mediceo Palazzo della Crocetta. Tutti gli incontri sono a ingresso libero fino a esaurimento posti. Per informazioni: tel. 055.2357717, 2357744, 2357768, 2357704. Si inizia giovedì 16 gennaio 2020, alle 17, con la conferenza “Nunc est bibendum! Simposi etruschi e greci: analogie e differenze nell’uso del vino” di Luigi Donati dell’Accademia Etrusca di Cortona. Gli altri appuntamenti in calendario: giovedì 13 febbraio 2020, Stefania Berutti (archeologa) su “Un “addio al nubilato” su una hydria del Museo Archeologico di Firenze”; giovedì 12 marzo 2020, Anna Revedin (Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria) su “Legno, farina… tracce inaspettate del più antico popolamento della Toscana”; Giovedì 2 aprile 2020, Paolo Persano (Scuola Normale Superiore, Pisa) su “Antiope perde la testa! Nuove ricerche sulle sculture frontonali del tempio di Apollo Daphnephoros a Eretria”; Giovedì 30 aprile 2020, Graziella Becatti (Université Catholique de Louvain, Belgio) su “Hypnos-Somnus: il dio del sonno, un demone custode”; Giovedì 14 maggio 2020, Alessandro Diana (Scuola Normale Superiore, Pisa) su “Atene e Firenze fra Medioevo e Rinascimento: il ducato degli Acciaiuoli”; giovedì 28 maggio 2020, Anna Maria D’Onofrio (Università “L’Orientale”, Napoli) su “I kouroi e i canoni della perfezione maschile nella Grecia arcaica”. Il ciclo chiude giovedì 4 giugno 2020 con Vincenzo Baldoni (Università di Bologna) su “Nuove scoperte a Numana e nel Piceno preromano”.
“Locri e il suo territorio: dalla cartografia storica alla ricognizione archeologica”: mostra al museo del Territorio di Locri Epizefiri (Rc) sull’attività di ricognizione archeologica del Locri Survey 2017 curata dal Saet, il Laboratorio di Storia Archeologia Epigrafia Tradizione dell’antico della Scuola Normale Superiore di Pisa

Le sale espositive del museo del Territorio a Locri Epizefiri (Rc) che ospitano la mostra “Locri e il suo territorio: dalla cartografia storica alla ricognizione archeologica”
L’appuntamento è per mercoledì 8 agosto 2018, alle 18.30, a Locri (Reggio Calabria), al museo del Territorio – Palazzo Teotino Nieddu del Rio, dove sarà inaugurata la mostra “Locri e il suo territorio: dalla cartografia storica alla ricognizione archeologica”. L’obiettivo, come spiega Angela Acordon, direttore del Polo museale della Calabria, “è quello di una sempre maggiore valorizzazione e conoscenza del patrimonio archeologico locrese che trova nelle sale museali di recente allestimento una sede adeguata alla tematica espositiva”. All’inaugurazione della mostra, a cura del Saet, il Laboratorio di Storia Archeologia Epigrafia Tradizione dell’antico della Scuola Normale Superiore di Pisa, interverranno Rossella Agostino, direttrice del museo del Territorio; Giovanni Calabrese, sindaco di Locri e Gianfranco Adornato, coordinatore del progetto di ricerca del Saet.
Il laboratorio di Storia Archeologia Epigrafia Tradizione dell’Antico della Scuola Normale (Saet), nel solco della propria tradizione di studi sul Sud Italia, prosegue nell’indagine storico-archeologica di alcuni territori della Magna Grecia. Dopo le attività nel sito di Entella, nell’agorà di Segesta e nel santuario di Kaulonia, il Laboratorio Saet ha avviato delle ricerche e indagini archeologiche a Locri Epizefiri (Rc). Con l’Istituto per i Beni archeologici e monumentali (Ibam) del Cnr, in stretta collaborazione con la direzione del museo e del parco archeologico nazionale di Locri, è stato dato avvio a un progetto di ricerca multidisciplinare con lo scopo di approfondire la conoscenza di una delle poleis più importanti della Magna Grecia. Il Parco, infatti, conserva un patrimonio inestimabile solo in parte conosciuto ed esplorato e la città antica è contesto archeologico e monumentale di rilevanza nazionale e internazionale, un vero e proprio laboratorio anche per gli studenti della Normale.
Patria del primo legislatore d’Occidente, Zaleuco, degli atleti Agesidamo ed Eutimo, della poetessa Nosside, Locri Epizefiri (la greca Lokroi Epizephyrioi), una delle più importanti città del Mediterraneo antico, costituisce ancora oggi – spiegano al Saet – un eccezionale luogo di indagine, un osservatorio privilegiato e una valida palestra metodologica per gli studenti della Scuola Normale Superiore così come per gli studiosi più avanzati. Dall’urbanistica all’architettura, dalla coroplastica alla scultura in marmo ai bronzetti, dalle pratiche cultuali ai rapporti con le popolazioni locali, dalle fonti letterarie a quelle epigrafiche, dalla definizione degli spazi urbani alle interazioni con le città confinanti (Rhegion, Kaulonia, Kroton) e alla geopolitica (rapporti con le colonie secondarie di Medma e Hipponion, ma anche con Siracusa), le ricerche scientifiche e le indagini sul campo, individuate e promosse in stretta, fattiva collaborazione tra il Saet, la soprintendenza Archeologia della Calabria, il Polo Museale della Calabria e il museo e parco archeologico di Locri e Kaulon, mirano a sollecitare nuove direzioni e prospettive di studio, grazie anche all’impiego delle più avanzate tecnologie. La disseminazione dei risultati nel museo e nel parco archeologico costituisce una parte significativa della missione del Saet.

La locandina della mostra “Locri e il suo territorio: dalla cartografia storica alla ricognizione archeologica”
La mostra “Locri e il suo territorio” illustra i risultati dell’attività di ricognizione archeologica del Locri Survey 2017 nel territorio della colonia magno-greca di Locri Epizefiri. “Molteplici possono essere i percorsi di questa mostra”, spiegano gli specialisti del Saet, “incentrata sul territorio e sugli insediamenti rurali dell’antica città di Locri Epizefiri. Grazie all’attività di ricognizione archeologica del Locri Survey 2017 è stato possibile individuare modalità e tempi del controllo sulla chora, dall’età protostorica al periodo ellenistico: i materiali archeologici rinvenuti nell’ampia area indagata consentono di precisare forme e aspetti delle attività insediative e produttive collegate all’entroterra locrese, dalle tombe a grotticella alle fattorie della tarda età arcaica alle zone destinate all’estrazione di pietra da costruzione alle vie di comunicazione. Accanto a questa indagine, altri filoni di ricerca riguardano lo studio attento della cartografia storica, tra spunti iconografici e reminiscenze di toponomastica antica, e la modellazione 3D di strutture e monumenti, per una più efficace comunicazione scientifica a un pubblico sempre più ampio ed esigente”.
Quattordici le sezioni della mostra locrese: 1. Il territorio e le ricerche, a cura di Gianfranco Adornato, Alessandro Corretti, Antonino Facella, Chiara Michelini, Maria Adelaide Vaggioli; 2. Note sul popolamento rurale di un distretto dell’entroterra locrese: Ambotì e Praia, di Alessandro Corretti, Antonino Facella, Chiara Michelini, Maria Adelaide Vaggioli; 3. L’attività estrattiva di pietra da costruzione, di Alessandro Corretti, Antonino Facella, Chiara Michelini, Maria Adelaide Vaggioli; 4. Una ‘fattoria-tipo’ tardo-arcaica e classica nella chora di Locri, di Federico Figura, Chiara Michelini; 5. Tracce di popolamento in età ellenistica nella chora di Locri, di Federico Figura, Chiara Michelini; 6. Antiquaria e cartografia del Cinquecento. Un survey fra testo e immagini, di Antonino Facella, Maria Ida Gulletta; 7. Reminescenze classiche in antiquari e cartografi del secolo XVI, di Maria Ida Gulletta; 8. Reminescenze classiche in antiquari e cartografi dei secoli XVII-XIX, di Maria Ida Gulletta; 9. Il Dromo tra Locri e Capo Bruzzano. Tracce di una via antica nella toponomastica moderna, di Giovanni Lovisetto; 10. Tecniche geomatiche applicate alla ricognizione archeologica, di Pietro Carmelo Manti; 11. Cavità artificiali a grotticella in roccia, di Cesare Cassanelli; 12. Rilievo di una tomba a grotticella. Dalla Sparse Cloud al QR Code, di Pietro Carmelo Manti; 13. Rilievo e restituzione fotogrammetrica dell’area sacra in Contrada Marasà, di Pietro Carmelo Manti; 14. Il tempio ionico di Contrada Marasà. Dalle evidenze archeologiche alla restituzione digitale, di Giuseppe Rignanese.
È morto a Roma lo storico e filologo biblista Giovanni Garbini: grande esperto di lingue semitiche, studiò fenici, ebrei e arabi preislamici. Scoprì omissioni storiche e manipolazioni del testo della Bibbia
Per lui fenici, ebrei e arabi preislamici non avevano segreti. Lo storico e filologo Giovanni Garbini, illustre orientalista studioso delle lingue semitiche che ha affrontato con una nuova metodologia i problemi della filologia biblica legati all’Antico Testamento, è morto a Roma il 2 gennaio 2017 all’età di 85 anni, come ha reso noto l’Accademia dei Lincei, di cui era socio dal 1990, nel giorno dei suoi funerali. Nato a Roma l’8 ottobre 1931, Garbini aveva iniziato la carriera accademica all’istituto universitario Orientale di Napoli (oggi università “L’Orientale” di Napoli), per passare poi alla Scuola Normale di Pisa e infine, fino al pensionamento, all’università di Roma “La Sapienza”, di cui era professore emerito di filologia semitica. È stato anche componente della sua fondazione Leone Caetani per gli studi musulmani.
Garbini ha dedicato la sua vita di studioso alle lingue semitiche da un punto di vista storico-comparativo e si è dedicato all’interpretazione dei diversi aspetti della cultura di fenici, ebrei e arabi preislamici. Ma è nell’ambito della filologia biblica che il semitista ha offerto studi innovativi, rivelando omissioni storiche e manipolazioni presenti nel testo sacro che hanno condotto Garbini a interpretare differentemente la vicenda biblica e a contestualizzarla maggiormente nel quadro della storia del Vicino Oriente. Secondo Garbini, l’origine del popolo ebraico andrebbe ricercata in quella parte del deserto siriano collocata tra il Tigri e l’Eufrate, a ovest dei monti Kashia. Di qui alcune tribù aramaiche si sarebbero stanziate nel territorio di Damasco e poi sarebbero scese verso il sud, verso l’attuale territorio palestinese. La vicenda di Mosè e dell’esodo dall’Egitto sarebbero invece un mito ancora più antico, autonomo rispetto a quello di Abramo e dei patriarchi. Un regno unitario davidico-salomonico, quindi, sarebbe stato soltanto una creazione leggendaria in quanto il popolo aramaico stanziato in Palestina avrebbe costituito il Regno di Israele, sotto la dinastia degli Omridi, solo intorno al 900 a.C. In precedenza, il beniaminita Saul, avrebbe costituito un regno locale nella Palestina centrale che, progressivamente, sarebbe stato riassorbito dai filistei. David sarebbe stato una specie di capitano di ventura del IX secolo al servizio dei Filistei e Salomone un personaggio assolutamente mitico. Garbini avrebbe inoltre accertato l’esistenza, a Gerusalemme, tra il regno di Ezechia e quello di Giosia, di un lungo regno ammonita, cancellato dagli scribi ebrei. Le ricostruzioni storiche della Bibbia, frutto di gruppi spesso in contrasto tra loro, si sarebbero formate solo dopo la caduta del regno di Giuda e dopo il rientro degli esiliati, cioè durante la dominazione persiana.
Vasta la produzione bibliografica di Garbini, gran parte della quale pubblicata dalla casa editrice Paideia di Brescia: “Storia e ideologia nell’ Israele antico” (1986); “Il semitico nordoccidentale” (1988); “La religione dei fenici in Occidente” (1994); “Introduzione alle lingue semitiche” (1994); “Note di lessicografia ebraica” (1998); “Il ritorno dall’esilio babilonese” (2001); “Storia e ideologia nell’Israele antico” (2001); “Mito e storia nella Bibbia” (2003); “Introduzione all’epigrafia semitica” (2006); “Scrivere la storia d’Israele. Vicende e memorie ebraiche” (2008); “Cantico dei cantici. Testo, traduzione, note e commento” (2010); “Letteratura e politica nell’Israele antico” (2010); “Dio della terra, dio del cielo. Dalle religioni semitiche al giudaismo e al cristianesimo” (2011); “I Filistei. Gli antagonisti di Israele” (2012); “Il Poema di Baal di Ilumilku” (2014); “Vita e mito di Gesù” (2015). Nel 2007 è stato pubblicato da Paideia in suo omaggio il volume “L’opera di Giovanni Garbini. Bibliografia degli scritti 1956-2006”, catalogo di oltre cinquanta anni di produzione scientifica.
La modernità di Giacomo Boni, grande archeologo (anche se poco noto) a cavallo tra Otto e Novecento. Due giornate di studi all’Istituto veneto di Scienze lettere e arti di Venezia

Giacomo Boni, archeologo veneziano, romano d’adozione: l’Istituto Veneto di Scienze lettere e arti gli dedica due giornate di studio
Due giornate di studio per recuperare la valenza e la modernità di un archeologo veneziano dii nascita e romano di adozione: Giacomo Boni. Ci ha pensato l’Istituto veneto di Scienze lettere ed arti che il 18 e 19 settembre 2015 a Palazzo Franchetti a Venezia organizza il convegno “Tra Roma e Venezia, la cultura dell’antico nell’Italia dell’Unità. Giacomo Boni e i contesti”. Giacomo Boni, (Venezia, 1859 – Roma, 1925) è stato infatti uno dei più celebri archeologi italiani, noto soprattutto per una straordinaria stagione di scavi archeologici a Roma. In precedenza era stato anche ispettore per i monumenti per l’Italia meridionale per conto del Ministero della Pubblica istruzione, e ancora prima, a Venezia, assistente disegnatore nel cantiere di Palazzo Ducale. Si era infatti formato come architetto presso l’Accademia di Belle Arti per trasferirsi poi a Roma e rientrare a Venezia solo brevemente in seguito al crollo del campanile di San Marco nel 1902. Fu anche socio precoce della Deputazione di Storia Patria per le Venezie, e attraverso quest’organo rappresentativo dello Stato centrale trovò la strada per il ministero. “Non è esagerazione affermare che Giacomo Boni è stato uno dei più grandi archeologi di sempre”, assicura Myriam Pilutti Namer dell’università Ca’ Foscari di Venezia e relatrice al convegno. “Cresciuto nella seconda metà dell’Ottocento a Venezia, crocevia di civiltà e fervente cantiere sperimentale dove si incontravano e scontravano diverse concezioni della modernità, raggiunse l’apice della sua carriera a Roma. Da funzionario ministeriale di nemmeno trent’anni divenne direttore degli scavi ai Fori imperiali, portando alla luce aree e reperti di straordinaria importanza per la civiltà romana. Tra questi vi fu anche il Lapis niger, la celebre “pietra nera” iscritta che data al VI secolo a.C., una delle più antiche testimonianze scritte in lingua latina. Il convegno si propone, per la prima volta nella storia degli studi archeologici, di indagare il contesto in cui Boni operò – tra tradizione e innovazione -, e di ricostruirne la figura, il pensiero e le attività per intero. Un convegno di storia dell’archeologia, quindi, cui partecipano studiosi affermati del settore, organizzato all’insegna di quel legame che era per Boni imprescindibile tra impegno civile, divulgazione scientifica e attività sul campo, con annesse sperimentazioni tecniche. Ed è in questo intreccio peculiare, frutto di un percorso tutt’altro che “anomalo” e invece felicemente compiuto in un contesto complesso ma fertile e ricco di opportunità, che si spiegano l’uomo e il professionista, il Maestro e il modello. Furono, queste, tutte declinazioni che contribuirono alla creazione di un vero e proprio, intramontabile, mito”.
La parabola della sua carriera, le vicende personali, le importanti conseguenze scientifiche del suo operato, la tradizione storiografica di oblio e restaurazione della sua memoria rendono Boni figura meritoria di un’analisi che per la prima volta nelle giornate di studio di Venezia si propone di comprenderne l’attività e il pensiero per intero, collocandoli nello spaccato culturale e politico più ampio dell’Italia unita, dove si discuteva con vis polemica sulle caratteristiche e sulle modalità della conservazione di antichità e monumenti, oggi “beni culturali”; tema sul quale il pensiero e l’opera di Boni sono tuttora degni di attenzione e considerazione.
Intenso il programma della due giorni. Venerdì 18 settembre 2015, alle 9.30, saluti e introduzione ai lavori di Albert Ammerman (Colgate University). Apre gli interventi, moderati da Gherardo Ortalli (Ca’ Foscari di Venezia), Roberto Balzani (Università di Bologna) su “Vis polemica. Le tradizioni preunitarie nella rappresentazione del patrimonio fra ‘800 e ‘900”; seguono: Bruno Zanardi (Università di Urbino) su “La cultura della conservazione nell’Italia post-unitaria”; Myriam Pilutti Namer (Ca’ Foscari) su “Giacomo Boni: costruzione del mito e storia”; Carlo Franco (Ca’ Foscari) su “La Venezia di Giacomo Boni: temi locali e prospettive nazionali”. I lavori riprendono alle 15 con Albert Ammerman moderatore. Apre Sandro G. Franchini (Ist. Veneto di Scienze, Lettere ed Arti) su “Giacomo Boni e l’impegno per la salvaguardia di Venezia”; seguono: Irene Favaretto (Ist. Veneto di Scienze, Lettere ed Arti) su “L’impresa di Ferdinando Ongania per San Marco e il contributo di Giacomo Boni”; Ettore Vio (Procuratoria di San Marco) su “Il contributo di Giacomo Boni sui resti del Campanile crollato”.
“La grande passione per l’antico”, anticipa Vio, “spinse Giacomo Boni veneziano, già avviato ad una strepitosa carriera di archeologo di valore internazionale, nel 1903, a studiare i resti della fondazione dell’antica torre della sua città. Le cronache tramandano che alla morte del doge Pietro Tribuno nel 912 d.C., le fondazione del futuro campanile di san Marco erano ultimate. La prima chiesa di san Marco voluta dal doge Giustiniano Particiaco che fece utilizzare per la sua erezione le pietre non usate per sant’Ilario, aveva poco più di ottant’anni. Per tutte le opere edili importanti si recuperavano i resti di Altino distrutta e le spolia di edifici tardo antichi, crollati nel susseguirsi delle invasioni barbariche che sconvolsero il nord est nei secoli dal V al VII. Boni, sicuro della eredità romana dell’area lagunare, ricerca nelle fondazioni del campanile testimonianze che ne attestino la presenza. Oggi nel lapidario della basilica di san Marco esistono pochi significativi documenti lapidei e laterizi di allora. Nel riordino della loggetta del Sansovino è augurabile che si possano esporre Questi reperti assieme ad altri documenti, come modelli della ricostruzione del Campanile e copie (del 1903) delle statue del Sansovino che ornano la Loggetta. Un coinvolgente apparato fotografico del crollo della torre meglio illustrerà le vicende di quell’evento”.
Sabato 19 settembre 2015, si iniziano i lavori alle 9.30. Modera Irene Favaretto. Inizia Daniele Manacorda (Università di Roma Tre) su “Boni e il metodo della ricerca archeologica un secolo dopo”. “La figura di Giacomo Boni”, sintetizza Manacorda, “resta nella storia dell’archeologia italiana in una posizione di primi piano e di primato per le sue descrizioni del metodo di scavo, le sue splendide documentazioni grafiche, la sua attenzione a diversi periodi storici, non escluso il Medioevo. Queste caratteristiche del suo lavoro aiutano a comprendere come mai l’archeologia italiana abbia trovato in lui un punto di riferimento fondamentale nel momento in cui avviava quella rivoluzione stratigrafica che oggi possiamo considerare acquisita, almeno mentalmente, nella immagine professionale dell’archeologo. Nel frattempo, la grande quantità di studi che ha investito la storia dell’archeologia italiana e la figura di Boni in particolare, ne hanno ridimensionato alcuni aspetti e messo meglio a fuoco la sua partecipazione al clima culturale complessivo dell’inizio del XX secolo, con le sue ombre e le sue luci. Una generazione dopo la riscoperta di Boni, la sua figura liberata di alcuni stereotipi non perde nulla della sua centralità e la sua lezione a tutto campo resta valida, nel momento in cui si prende maggiore coscienza della importanza di un approccio multidisciplinare ai contesti storico-archeologici, che Boni nella sua dimensione di architetto prestato all’archeologia, di lettore dei testi classici aperto alle scienze naturali, di tecnico d’avanguardia attratto dal fascino della valorizzazione dei ruderi coltivò con risultati che ancora oggi invitano alla riflessione ed alla ammirazione”. A Manacorda seguono Patrizia Fortini (Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma) su “Gli scavi al Comitium-Lapis Niger. Documentazione storica a confronto con i dati delle nuove indagini”; Carmine Ampolo (Scuola Normale Superiore) su “Il Comitium e il lapis niger : modalità dello scavo e discussioni dell’epoca”; Albert Ammerman (Colgate University) su “Boni’s Work and Ideas on the Origins of the Forum in Rome”. Dopo la pausa pranzo, si riprende alle 14.30 con Carmine Ampolo moderatore. Primi a intervenire sono Federico Guidobaldi (Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana) e Andrea Paribeni (Università di Urbino) su “L’archivio Boni-Tea dell’Istituto Lombardo: dalla scoperta all’edizione”; seguono Christopher Smith (British School at Rome) su “Boni and British scholarship”. Quindi la tavola rotonda conclusiva coordinata da Carmine Ampolo.
L’Athena Nike di Fondazione Sorgente Group: un originale greco a Roma. Ora è oggetto di studio della comunità scientifica alla Normale di Pisa
Due giorni per svelare tutti i segreti della statua greca di Athena Nike della Fondazione Sorgente Group. Il 3 e il 4 aprile la statua del 430 a.C. è al centro di un convegno di studio organizzato dalla Scuola Normale Superiore di Pisa. Introdotto da Eugenio La Rocca (che per primo identificò e studiò l’opera) e da Gianfranco Adornato, l’incontro fa luce sulle caratteristiche di questo capolavoro dell’arte greca antica, già oggetto di una mostra multimediale nello Spazio Espositivo Tritone a Roma. La statua di Athena Nike fu acquistata dalla Fondazione Sorgente Group nel dicembre del 2011: l’opera, individuata nel mercato antiquario, è stata subito sottoposta a vincolo di tutela dalla soprintendenza Archeologica di Roma. Il convegno, organizzato da Gianfranco Adornato (ricercatore di Archeologia classica in Normale) si propone di far conoscere questo capolavoro greco alla comunità scientifica e di proseguirne gli studi, discutendo – con i maggiori specialisti a livello internazionale – questioni e aspetti sull’iconografia della scultura ancora non risolti. Eugenio La Rocca, ordinario di Archeologia e storia dell’arte all’Università “Sapienza” di Roma, che – come si diceva – ha affrontato per primo uno studio approfondito scientifico sulla scultura, è riuscito a individuare la cronologia e soprattutto l’identificazione del soggetto. “La scultura è un originale greco in marmo pario lychnite del V secolo a.C.”, spiega l’esperto archeologo, “da inquadrarsi intorno al 430 a.C. È stato possibile identificarla come Athena Nike per gli attributi che la caratterizzano: l’egida trattenuta sul davanti da una fibbia ricoperta da una piccola testa di Medusa e i due fori quadrangolari sulle scapole indicano l’originaria presenza delle ali, ora perdute”. Tuttavia non esistono confronti statuari coevi da poter prendere a esempio: “L’opera è un unicum, sarebbe l’archetipo, il modello a cui si guardò per la realizzazione della copia romana di una Minerva Vittoria di età antoniniana della collezione Pitcairn, conservata nel Museo Glencairn a Philadelphia”. Al convegno di Pisa apre i lavori proprio Eugenio La Rocca (Università di Roma La Sapienza) dopo l’introduzione di Gianfranco Adornato della Scuola Normale Superiore. Sulla cattedra si alternano poi Arne Thomsen (Universitat des Saarlandes), Kenneth Lapatin (The J. Paul Getty Museum, Los Angeles), Olga Palagia (Università di Atene) e Irene Bald Romano (The University of Arizona, Tucson) mentre le note conclusive verranno affidate a Lucia Faedo (Università di Pisa).

L’Athena Nike nella ricostruzione in 3D su studi del pro. La Rocca con in mano la corona d’alloro e la palma, l’egida sul petto e, dietro, due ampie ali
La Fondazione Sorgente Group nel febbraio 2013 ha presentato per la prima volta a Roma la scultura di Athena Nike, ponendola al centro di un allestimento multimediale nel suo Spazio Espositivo Tritone, su iniziativa della vicepresidente della Fondazione, Paola Mainetti. Per circa un anno la statua è stata esposta al pubblico in un progetto multimediale realizzato da Paco Lanciano con la sua equipe di Mizar, grazie a sofisticati procedimenti informatici e installazioni illuminotecniche e audio. La statua del 430 a.C. ha mostrato così il suo aspetto originario con suggestive proiezioni tridimensionali. “Il progetto multimediale”, spiega Paola Mainetti, “nasce dall’idea di trasmettere e rendere fruibile il grande capolavoro dell’Athena Nike al pubblico, regalando un’emozione inaspettata e scoprendo l’arte greca in una forma più comprensibile”. La ricostruzione virtuale realizzata da Paco Lanciano si è basata scientificamente sull’accurato studio delle ipotesi ricostruttive e iconografiche della scultura del prof. Eugenio La Rocca. “Nel passato la statua – spiega La Rocca – era una scultura votiva, collocata su una colonna o pilastro, a circa 5 metri di altezza, all’interno di un santuario attico o di ambiente filo-ateniese, atterrava su uno sperone di roccia per celebrare le vittorie dell’esercito”. Continua La Rocca: “Nella mano sinistra doveva tenere una corona di alloro o ulivo destinata al vincitore della battaglia, mentre nella destra un ramo di palma. La tradizionale egida, collocata sul petto completava e caratterizzava la dea come Athena, mentre le ali la connotavano come una Nike. È possibile che in età augustea l’Athena Nike di Fondazione Sorgente Group sia stata trasferita dalla sua sede originaria a Roma, dove venne restaurata”. Claudio Strinati, direttore scientifico della Fondazione Sorgente Group: “Ho sposato subito il progetto per la sua novità, poiché unisce innovazione tecnologica e mondo della cultura per mostrare un prodotto di facile comprensione”. Un filmato didattico realizzato dalla Sema di Sergio Fontana ha documentato la realizzazione dei modelli tridimensionali della statua approfondendone gli aspetti archeologici di realizzazione della superficie.
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