Archeologia in lutto. Si è spento a Vicenza all’età di 91 anni il prof. Alberto Broglio, un gigante della Paleontologia Umana, docente e professore emerito all’università di Ferrara, punto di riferimento per generazioni di archeologi. Famose le sue ricerche nel Veronese e nel Vicentino

Il prof. Alberto Broglio, già professore emerito dell’università di Ferrara e docente di Paleontologia Umana dal 1973 al 2006
Archeologia in lutto. Si è spento all’età di 91 anni il prof. Alberto Broglio, già professore emerito dell’università di Ferrara e docente di Paleontologia Umana dal 1973 al 2006, uno dei luminari nello studio della comparsa dell’uomo moderno e delle culture del Paleolitico superiore e del Mesolitico in Europa, punto di riferimento per generazioni di archeologi che si sono dedicati alla Preistoria, senza dimenticare quanti si sono avvicinati alla materia proprio con il suo manuale “Introduzione al Paleolitico” (Laterza, 1998). Il prof. Broglio era nato ad Asiago il 31 dicembre 1931, si è spento a Vicenza il 17 febbraio 2023. La sua scomparsa segna un grave lutto per il nostro Ateneo. La Rettrice Laura Ramaciotti, a nome suo personale e di tutta la comunità universitaria, esprime ai familiari il più vivo e sentito cordoglio. La cerimonia funebre avrà luogo mercoledì 22 febbraio 2023 alle 10, nel Duomo di Vicenza.
Personalmente ricordo il prof. Broglio come un grande che ti metteva a tuo agio quando, giovane cronista de Il Gazzettino, lo incontravo per qualche aggiornamento sulle sue ricerche tra il Veronese e il Vicentino. Per lui, e trenta-quarant’anni fa non era scontato, la comunicazione e la divulgazione scientifica era fondamentale per rendere partecipe il grande pubblico dei passi avanti della Scienza e far uscire le ricerche accademiche da quella torre d’avorio dove rimanevano un “bene” per i soli addetti ai lavori. E così non lesinava il suo tempo per spiegare in modo semplice concetti e situazioni che soprattutto nella Paleontologia umana proprio semplici non sono. Posso dire di essere stato onorato della sua stima, dimostratami in tante interviste ufficiali e ufficiose.

Il paleontologo, prof. Alberto Broglio, morto a 91 anni, il 17 febbraio 2023
È il gruppo di lavoro sulla preistoria e sull’evoluzione umana dell’università di Ferrara ad affidare sul sito dell’ateneo un ricordo vivo e partecipato del loro “prof”. “La scomparsa, avvenuta questo venerdì del professore emerito Alberto Broglio induce a un profondo raccoglimento attorno a una figura di eccezionale profilo scientifico, mente costantemente lucida e reattiva nei confronti di ogni avanzamento compiuto nel campo della Paletnologia, dell’Archeologia preistorica e della Paleoantropologia. Attraverso le sue ricerche, il prof. Alberto Broglio, cattedratico di Paleontologia Umana all’università di Ferrara dal 1973 al 2006, ha fornito un fondamentale contributo agli studi sull’umanità del Pleistocene e del primo Olocene. A partire dalla seconda metà degli anni ’50 sotto la guida del prof. Piero Leonardi, egli si rese protagonista della scoperta di siti archeologici di eccezionale valore scientifico, riferibili ai neandertaliani del Paleolitico medio più recente e ai sapiens del Paleolitico superiore e del Mesolitico nel Veneto, Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia Giulia e Marche”.

Dal 1967 al Riparo Tagliente le ricerche archeologiche sono condotte dall’università di Ferrara (foto unife)
“Vanno ricordate – continuano – le scoperte dei primi insediamenti tardo-paleolitici e mesolitici delle Alpi italiane orientali, documenti inconfutabili della colonizzazione umana della regione alpina al termine dell’ultima glaciazione. Si aggiungano le grotte, che hanno restituito testimonianze uniche, riconducibili alla sussistenza, alle culture e all’organizzazione delle prime comunità di sapiens e delle ultime popolazioni neandertaliane. Tra tutti, si citano il Riparo Tagliente e la Grotta di Fumane nella Lessinia (Vr), la Grotta del Brojon nei Colli Berici (Vi) e il Riparo Villabruna nel Feltrino, archivi di caratura internazionale attorno ai quali il prof. Alberto Broglio ha costruito e formato ricercatori e docenti, coltivando una mai doma passione giovanile per l’esplorazione archeologica e la ricerca interdisciplinare”.

L’ingresso della grotta di Fumane, uno dei massimi siti preistorici in Europa (foto unife)
Direttore di Istituto, direttore di Dipartimento e presidente di Consiglio di Corso di Laurea nell’ambito della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, il prof. Alberto Broglio ha anche tenuto l’insegnamento di Paletnologia all’università di Trento, in coerenza con i solidi rapporti intessuti, sin dagli anni ’60, con l’amico prof. Bernardo Bagolini e con il museo Tridentino di Scienze naturali, attuale museo delle Scienze (Muse), per il quale figura conservatore onorario. È stato membro dell’Academie Internationale de Prehistoire et Protohistoire e del consiglio permanente della Union Internationale des Sciences Préhistoriques et Protohistoriques, presiedendo la VIII Commissione Paléolithique supérieur. La sua caratura internazionale è testimoniata inoltre dalle innumerevoli partecipazioni a congressi, dalle numerosissime pubblicazioni scientifiche, dai manuali redatti anche in collaborazione con colleghi europei, dal coinvolgimento nei programmi di formazione accademica di massimo livello presso Università francesi e dalla partecipazione a comitati scientifici di riviste europee. Ha fatto parte del consiglio direttivo dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. È stato corrispondente dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti e membro dell’Accademia Olimpica di Vicenza e dell’Accademia delle Scienze di Ferrara. Ha inoltre ricoperto la carica di vicepresidente della Fondazione CariVerona.
“Alla sua fervente attività sul piano scientifico interdisciplinare – ricordano i colleghi dell’ateneo ferrarese – si affiancavano una vivace curiosità nel campo delle metodologie della ricerca archeologica, paleoantropologica e paleoecologica, una costante attenzione all’affinamento della formazione accademica a vantaggio di generazioni di studiosi e una propensione a disseminare le conoscenze scientifiche nella società civile. In questo momento nel quale gli eventi si accompagnano alla tristezza, al prof. Alberto Broglio va il pensiero degli studiosi, dei docenti, dei giovani ricercatori e degli studenti della Sezione di Scienze preistoriche e antropologiche del Dipartimento di Studi umanistici dell’università di Ferrara”.

Lo “sciamano” dalla Grotta di Fumane (foto drm-veneto)
Aggiungo un ricordo personale legato alle ricerche nella Grotta di Fumane (Vr), uno dei maggiori siti archeologici preistorici d’Europa. Siamo nell’autunno del 1999. Io ero caposervizio al Gazzettino, in sede centrale a Mestre, quindi un po’ “distante” dalle ricerche nella grotta della Lessinia, scoperta nel 1962 dall’archeologo Giovanni Solinas, ricerche che dal 1988 erano portate avanti da soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto, università di Ferrara, università di Milano e dal museo civico di Storia Naturale di Verona, con eccezionali risposte sulle frequentazioni dell’Uomo di Neanderthal e dei primi Uomini Moderni. Il prof. Broglio mi chiamò e mi invitò a Vicenza per comunicarmi un’importantissima scoperta archeologica: la roccia dipinta con lo Sciamano, quello che oggi è il simbolo del neonato museo Archeologico nazionale di Verona. La campagna di scavo del 1999 (27 agosto – 2 ottobre) fu quella infatti che restituì le pietre dipinte aurignaziane: il mustelide e lo sciamano. In quell’occasione il professore mi onorò di essere il primo (al mondo) a dare la notizia: fu un grande scoop, è vero, ma ancora oggi per me quello rimane un tributo di grande stima e di fiducia. Grazie, professore.
Verona. Al museo Archeologico nazionale aperta la sezione dell’Età del Ferro: visita guidata con la direttrice Giovanna Falezza tra reperti inediti e installazioni multimediali. E un occhio al futuro: la sezione dell’Età Romana
L’ombra dello Sciamano si allunga sulle pareti della grotta illuminata dalle fiaccole delle torce. Chi entra al museo Archeologico nazionale di Verona si immedesima nello Sciamano, simbolo del museo veronese: la sua ombra si muove sulla parete d’ingresso e “scopre” passo dopo passo le immagini dei tesori che si rivelano, quasi magicamente, agli occhi del visitatore. È questo l’effetto dell’installazione immersiva, la novità presentata all’inaugurazione, al terzo piano dell’ex caserma asburgica di San Tomaso, delle nuove sale dedicate all’Età del Ferro nel Veronese, con le quali si completa l’allestimento della sezione Preistoria e Protostoria, la cui prima parte era stata inaugurata nel febbraio 2022 (vedi Verona. Il museo Archeologico nazionale è una realtà: le due protagoniste – l’ex direttrice Federica Gonzato e la nuova Giovanna Falezza – ci introducono alla nuova istituzione culturale, con un breve excursus sulla storia della sede e sull’allestimento. Apertura completa entro il 2025 | archeologiavocidalpassato).
“Il nuovo allestimento”, spiega l’architetto Chiara Matteazzi, “va assolutamente in continuità con quanto già realizzato. Infatti il filo conduttore è la pulizia, in modo tale che in qualche modo l’allestimento scompaia per dare maggior risalto ai pezzi esposti. Tutto l’ultimo piano del museo è stato rivisto nel suo itinerario con l’inserimento di accenni multimediali. Abbiamo infatti inserito 5 postazioni multimediali che ci aiutano nella conoscenza dei materiali esposti e due installazioni multimediali immersive: la prima in ingresso, che ci aiuta attraverso l’uso della nostra ombra un po’ per richiamare quello che era lo sciamano, il protagonista assoluto del museo, e l’ultima che racconta invece in modo molto suggestivo un tema che può andare a colpire la sensibilità di molti: si tratta del funerale di un principe bambino. In questo caso il materiale che avevamo a disposizione era molto dettagliato e ci ha permesso di fare una ricostruzione molto suggestiva di questo momento funerario. Con un obiettivo: cercare di non colpire la sensibilità. Nel senso che ci si avvicina ad avere l’emozione di partecipare a un funerale senza rendersi troppo conto che si tratta del funerale di un bambino”.

Giovanna Falezza, direttrice del museo Archeologico nazionale di Verona, davanti a una vetrina della sezione dell’Età del Ferro (foto graziano tavan)

Il pannello che introduce alla sezione “ENTRANDO NELLA STORIA. L’età del Ferro” del museo Archeologico nazionale di Verona (foto graziano tavan)
“ENTRANDO NELLA STORIA. L’età del Ferro nel Veronese”. Cominciamo allora a conoscere meglio la nuova sezione, curata sotto il profilo scientifico da Giovanna Falezza, direttrice del Museo, e da Luciano Salzani, già funzionario della Soprintendenza veronese, e allestita da Chiara Matteazzi – come ha spiegato ad archeologiavocidalpassato.com -, in continuità con il precedente allestimento museale. Il criterio è quello cronologico, con una serie di focus su oggetti e rinvenimenti di particolare interesse. Ad essere documentata è la storia del territorio veronese, luogo di incontri e contatti che qui si intrecciarono tra Veneti, Etruschi e Celti. È proprio la direttrice Giovanna Falezza a introdurci alla visita delle nuove sale del museo Archeologico nazionale di Verona.
“Oggi inauguriamo le nuove sale dedicate all’Età del Ferro del Veronese del museo Archeologico nazionale di Verona che, come ricorderete, a febbraio è stato aperto esponendo materiali che arrivavano in ordine cronologico fino alla fine dell’Età del Bronzo”, spiega Giovanna Falezza ad archeologiavocidalpassato.com. “Con le sale che apriamo oggi, come nel suggestivo titolo che abbiamo proposto “ENTRANDO NELLA STORIA. L’età del Ferro nel Veronese”, entriamo nella Storia e vediamo cosa succede nel nostro territorio: abbiamo cercato di organizzare l’esposizione seguendo il più possibile un ordine cronologico perché è un racconto che si snoda nei secoli – siamo nel primo millennio a.C.: quindi circa dal IX al I sec. a.C. -, ma abbiamo anche cercato di raccontare delle storie, quindi mantenere dei gruppi tematici.

Parte di alari a testa di ariete (IV-I sec. a.C.) e pesi da telaio (V-IV sec. a.C.) da siti della Valpolicella (foto graziano tavan)
“Nella prima sala – continua Falezza -, ci siamo concentrati sugli abitati, come si viveva, quali erano le attività quotidiane, e quindi materiale, vasellame di uso quotidiano, che raccontano storie di tutti i giorni, alari, pesi da telaio. Poi si passa al mondo delle attività produttive che erano delle attività di sussistenza dei popoli dell’età del Ferro: quindi la lavorazione dell’osso corno, la produzione della ceramica in grandi fornaci, la lavorazione dei metalli, e naturalmente la produzione agricola.
La fornace di Oppeano (prima età del Ferro): nella sezione dell’Età del Ferro al museo Archeologico nazionale di Verona si può scoprire la ricostruzione moderna della fornace per la cottura della ceramica rinvenuta a Oppeano (loc. Fornace). Al suo interno, alcuni vasi in ceramica, anch’essi ricostruiti.

La vetrina con gli oggetti dalle tombe della necropoli Le Franchine di Oppeano, e di Lovara di Villabartolomea, tutte dell’età del Ferro (foto graziano tavan)

Dettaglio della Tomba di bambina dalla necropoli dell’Età del Ferro di Lovara di Villabartolomea (foto graziano tavan)
“Nelle altre sale – riprende Falezza – si passa a quello che abbiamo chiamato il mondo dei morti. Sappiamo che i corredi funerari sono quelli che ci restituiscono sempre gli oggetti più straordinari, perché i defunti volevano autorappresentarsi e farsi ricordare come persone eminenti, e quindi caratterizzati da oggetti sempre eccezionali. Nelle prime due sale ci sono le necropoli afferenti ai centri veneti di Gazzo Veronese e Oppeano, con materiali che ci parlano molto della loro cultura veneta. Siamo ai margini occidentali della cultura del mondo dei veneti che ha il suo centro naturalmente nel Veneto orientale, e anche dei rapporti con le popolazioni vicine, in particolare con gli etruschi che in quest’epoca si espandono a Nord del Po. E quindi materiali notevolissimi. Con alcune storie suggestive: la Tomba di Lovara (Villabartolomea) di una bambina di pochi anni con un uovo di cigno che ci racconta il dolore di una famiglia e una speranza di rinascita e rigenerazione simboleggiata proprio da quest’uovo. La necropoli di Ponte Florio, scoperta nel 1993, quando è stata realizzata la tangenziale Est di Verona, e che per la prima volta viene esposta con materiali eccezionali sempre di cultura veneta.

I numerosi oggetti in bronzo dalla necropoli di Casalandri di Isola Rizza (II-I sec. a.C.) (foto graziano tavan)
“E poi – conclude la direttrice del MAN-Vr -, si passa alle ultime sale dedicate ai popoli venuti dal Nord, i Celti, che a partire dal IV sec. a.C. arrivano e si stanziano nel Veronese. I celti sono documentati dalle sepolture. Non abbiamo dati sugli abitati. Ma le sepolture sono in molti casi principesche e con corredi enormi caratterizzati da una grande presenza di metalli e soprattutto di armi che connotano questo popolo come un popolo di guerrieri, anche se non indicano realmente una belligeranza ma un’autorappresentazione come guerrieri”.
Alla fine del percorso dell’Età del Ferro nel museo Archeologico nazionale di Verona è esposto il ricco corredo della Tomba del Carro di Zevio, la numero 7 delle 181 ritrovate nella necropoli di Lazisetta di Santa Maria di Zevio (II sec. a.C. – I sec. d.C.). Si tratta della tomba di un bambino di 5-7 anni le cui ceneri furono deposte insieme a un sontuoso carro da parata e a un ampio corredo tipico dei guerrieri adulti. L’attento studio dei contesti ha permesso agli archeologi di ricostruire – con una installazione multimediale – il rituale con cui questo giovane “principe” fu sepolto.
Il prossimo step: la sezione sull’età Romana. È ancora la direttrice Giovanna Falezza ad anticipare il prosieguo dei lavori di allestimento del museo Archeologico nazionale di Verona. “Con il completamento della sezione Preistoria e Protostoria siamo arrivati alla soglia dell’età romana e quindi non possiamo che proseguire con l’età romana. Al termine del percorso al terzo piano del museo ci sono delle scale che fanno scendere al piano secondo dove troverà posto – stiamo già iniziando a lavorarci – tutta l’esposizione di Verona Romana e del territorio in età romana. Anch’essa occupa un intero piano, circa 1500 mq. Esporremo materiali tra i tantissimi i materiali che vengono dagli scavi urbani e dal territorio di età romana a Verona, e materiali – alcuni in parte esposti alcuni mai esposti – relativi alle necropoli della Spianà e di Porta Palio; alle domus veronesi con affreschi, mosaici, reperti importantissimi; al Capitolium, alle grandi architetture monumentali. Insomma ci sarà molto di nuovo da vedere”.
Verona. Al museo Archeologico nazionale apre la sezione dell’Età del Ferro che completa il percorso espositivo della Preistoria e Protostoria: tra le star in mostra i “Cavalli delle Franchine” di Oppeano e la tomba del “principe bambino” dalla necropoli celtica di Lazisetta a Santa Maria di Zevio

17 febbraio 2022: taglio del nastro al museo Archeologico nazionale di Verona all’ex carcere asburgico di San Tomaso (foto graziano tavan)
Sono passati otto mesi da quel 17 febbraio 2022 quando l’ex carcere asburgico di San Tomaso ha aperto le porte – dopo un restauro decennale – all’atteso museo Archeologico nazionale di Verona. Si era cominciato con una parte dell’ultimo piano dello storico edificio, quello dedicato alla Preistoria e alla Protostoria: “Agli albori della creatività umana”. Nell’allestimento curato dall’architetto Chiara Matteazzi la storia del popolamento del Veronese si è snodata dal Paleolitico all’Età del bronzo, con i visitatori accolti dallo Sciamano della Grotta di Fumane, raffigurazione in ocra rocca riferibile ai primi Sapiens (40.000 BP, Paleolitico superiore, ad oggi una delle più antiche figure teriomorfe (figure di uomo-animale) del pianeta, che del nuovo museo Archeologico nazionale di Verona è diventato il simbolo (vedi Verona. Il museo Archeologico nazionale è una realtà: le due protagoniste – l’ex direttrice Federica Gonzato e la nuova Giovanna Falezza – ci introducono alla nuova istituzione culturale, con un breve excursus sulla storia della sede e sull’allestimento. Apertura completa entro il 2025 | archeologiavocidalpassato). Ma già al taglio del nastro la direttrice del museo, Giovanna Falezza, aveva assicurato che all’inizio dell’autunno il percorso sarebbe stato completato con la sezione dell’Età del Ferro. E ora ci siamo.

Il pozzo di Bovolone dell’Età del Bronzo, conservato al museo Archeologico nazionale di Verona (foto graziano tavan)
Mercoledì 26 ottobre 2022, alle 11, con l’evento “ENTRANDO NELLA STORIA. L’età del Ferro nel Veronese” si inaugurano le nuove sale espositive del museo Archeologico nazionale di Verona, con un’ampia sezione interamente riservata all’Età del Ferro, che saranno aperte al pubblico dal venerdì successivo, 28 ottobre 2022. La nuova sezione, curata sotto il profilo scientifico da Giovanna Falezza, direttrice del Museo, e da Luciano Salzani, già funzionario della Soprintendenza veronese, è stata allestita da Chiara Matteazzi, in continuità con il precedente allestimento museale. Il criterio è quello cronologico, con una serie di focus su oggetti e rinvenimenti di particolare interesse. Ad essere documentata è la storia del territorio veronese, luogo di incontri e contatti che qui si intrecciarono tra Veneti, Etruschi e Reti.

Giovanna Falezza, direttrice del museo Archeologico nazionale di Verona (foto graziano tavan)
L’Età del Ferro si sviluppò nel corso del primo millennio a.C., volgendo al termine con le prime manifestazioni dell’arrivo dei Romani, all’incirca nel II secolo a.C. “Già a partire dal IX secolo a.C., nel Veronese, sia in pianura che in collina, sorgono numerosi abitati, anche di rilevanti dimensioni”, anticipa la direttrice Giovanna Falezza: “ad esempio il centro veneto di località Coazze di Gazzo Veronese, che si estendeva su una superficie di oltre 60 ettari, con ampie aree di insediamenti abitativi accanto ad aree artigianali. Oltre, naturalmente, alle estese necropoli, dalle quali provengono oggetti particolari, venuti da lontano e con lavorazioni raffinatissime, a testimoniare la ricchezza dei contatti di cui il nostro territorio è teatro in questo periodo”. Sono soprattutto i ricchissimi materiali rinvenuti negli scavi delle necropoli ad fornire i contenuti della nuova sezione. Sepolture di uomini e donne ma anche di cavalli: i cavalli veneti, citati da fonti latine e greche per la loro agile bellezza. Nel percorso museale, uno dei due “Cavalli delle Franchine”, necropoli in territorio di Oppeano. Un maschio, morto a 17-18 anni, 135 cm al garrese, sepolto in una piccola fossa coricato sul fianco destro, con le gambe ripiegate.
Sicuramente emoziona la tomba del “Principe bambino”, una delle 187 della necropoli celtica di Lazisetta a Santa Maria di Zevio, unica per la ricchezza del corredo funebre. È la sepoltura di un bambino di 5-7 anni, le cui ceneri vennero deposte assieme ad un sontuoso carro da parata (di cui restano gli elementi metallici quali mozzi delle ruote, timone, 1 cerchione di ruota, 2 morsi dei cavalli che lo trainavano) e a un ampio corredo tipico solitamente dei guerrieri adulti (spada, lancia, giavellotto e scudo), oltre a vasellame ceramico e bronzeo, monete, attrezzi agricoli e strumenti per il banchetto (spiedi, coltelli, alari e un graffione di ferro). All’interno di alcuni vasi erano residui di ossa di maiale, resti del banchetto funebre. L’attento studio del contesto ha permesso agli archeologi di ricostruire il rituale con cui questo giovane “principe” fu sepolto: dopo essere stato cremato insieme ad alcune offerte, le sue ceneri furono raccolte in un contenitore in materiale organico (stoffa o cuoio) e deposte nella fossa assieme al resto del corredo; al di sopra fu collocato il carro, capovolto e parzialmente smontato; infine, dopo un parziale interramento, fu acceso un secondo grande fuoco rituale. Alla fine la tomba fu probabilmente coperta da un tumulo che segnalava l’elevato stato sociale del defunto.
Non meno curiosa una tomba (VII sec. a.C.) rinvenuta in una delle tre necropoli di Oppeano. Appartenne ad una bambina di pochi anni. All’interno dell’urna, al di sopra delle ossa combuste, oltre ad alcuni elementi di corredo sono stati deposti alcuni elementi molto particolari: delle conchiglie, di cui una forata, legate forse alla sfera del gioco; un astragalo, probabilmente un amuleto; infine un uovo di cigno, uccello acquatico ritenuto sacro. Proprio quest’ultimo assume un significato rituale molto importante, interpretabile come simbolo di rinascita e rigenerazione.

L’architetto Chiara Matteazzi ha curato l’allestimento del museo Archeologico nazionale di Verona
“Con l’allestimento delle sale dell’Età del Ferro abbiamo voluto anche inserire due esperienze immersive e alcune postazioni multimediali, destinate ad arricchire la narrazione dei reperti presentati nel percorso museale”, aggiunge Chiara Matteazzi. “L’uso delle tecnologie in campo museale consente infatti di migliorare con nuovi linguaggi la comprensione di tematiche complesse legate ai reperti esposti, utilizzando tecniche di storytelling per stimolare la curiosità del visitatore e amplificare il coinvolgimento cognitivo ed emozionale. L’obiettivo è quello di trasferire al visitatore, in maniera adeguata, non solo informazioni ma anche emozioni, rendendolo partecipe e coinvolgendolo nella narrazione”. “I lavori sono proseguiti senza soluzione di continuità da febbraio e con ottimi risultati”, conclude il dirigente della Direzione regionale Musei Veneto, Daniele Ferrara. “Terminato l’intero terzo piano del museo, contiamo ora di avviare molto presto il cantiere per la sezione romana, che i veronesi (e non solo) attendono da molti anni”.
Verona. Il museo Archeologico nazionale è una realtà: le due protagoniste – l’ex direttrice Federica Gonzato e la nuova Giovanna Falezza – ci introducono alla nuova istituzione culturale, con un breve excursus sulla storia della sede e sull’allestimento. Apertura completa entro il 2025

Taglio del nastro all’Archeologico di Verona: da sinistra, Matteazzi, Falezza, Ferrara, Gonzato, Osanna, Sboarina (foto graziano tavan)
Obiettivo 2025. L’impegno è stato preso ufficialmente da tutti i protagonisti dell’inaugurazione del museo Archeologico nazionale di Verona nell’ex caserma asburgica San Tomaso, la prima istituzione statale nella città scaligera: da Daniele Ferrara, direttore della Direzione regionale Musei Veneto, a Giovanna Falezza, neo direttrice dell’Archeologico (che parla nell’intervista rilasciata ad archeologiavocidalpassato.com), dal prof. Massimo Osanna, direttore generale Musei ministero alla Cultura, all’architetto Chiara Matteazzi, che ha curato l’allestimento. Intanto da oggi, 18 febbraio 2022, il museo Archeologico nazionale è aperto al pubblico: per ora tre giorni alla settimana, venerdì, sabato e domenica, dalle 10 alle 18. La visita è limitata all’ultimo piano, dove è stata allestita la sezione di Preistoria e Protostoria: si va dal Paleolitico all’Età del Bronzo. Per l’Età del Ferro dovremo attendere settembre 2022.
Il nuovo museo, come ha spiegato l’ex direttrice Federica Gonzato, che ha seguito passo passo la nascita dell’Archeologico – il cui iter è iniziato almeno vent’anni fa – e ne ha curato il progetto scientifico, si distingue dai musei civici proprio perché raccoglie le testimonianze dell’archeologia di tutta la provincia di Verona: raccoglie i reperti provenienti da scavi di emergenza e da campagne di scavo curate in decenni dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio di Verona e da molte università. E soprattutto partiamo da circa 100mila anni fa di storia, dal Paleolitico: e da qui si instaura un dialogo con il visitatore per raccontargli quella che è la storia dell’uomo. “Ecco questa è proprio la mission del museo Archeologico nazionale di Verona – spiega Gonzato: l’evoluzione dell’uomo e della sua mente, di come lui vede se stesso, di come si vede proiettato nell’ambiente, e di tutto il percorso che lui fa quotidianamente di piccole scoperte e intuizioni per migliorare la sua vita quotidiana”.

Il museo Archeologico nazionale di Verona è accolto da quello che, in epoca asburgica, fu il carcere di guarnigione (Garnisons Stockhaus). L’edificio si innalza su un lotto trapezoidale, adiacente al fianco meridionale della chiesa di San Tomaso, in precedenza occupato dal monastero, con un grande chiostro quadrangolare e alcune corti minori. Il carcere (ed oggi il Museo) si articola su tre corpi di fabbrica lineari: i due maggiori si affacciano, rispettivamente, sullo stradone di San Tomaso e sulla via retrostante dell’isolato, vicolo Campanile di San Tomaso. Il terzo corpo di fabbrica, minore, li collega a meridione. Verso l’interno i medesimi fabbricati delimitano una grande corte quadrangolare; un cortile di servizio è annesso a sud del tratto minore e lo divide dagli altri fabbricati civili dell’isolato. Il tratto principale, contiguo alla facciata della chiesa, conteneva gli uffici, con la cancelleria, gli archivi, e gli alloggiamenti del personale addetto alla custodia. Al centro, verso il cortile, sporgeva il corpo poligonale della cappella, in asse con l’androne d’ingresso. Le due campate iniziali, adiacenti alla chiesa, pur inserite nel nuovo edificio, non appartenevano al Carcere, ma alla casa canonica. Questa era collegata da un passaggio, lungo il fianco della chiesa, alla vecchia sagrestia, sulla via retrostante, unita all’altro tratto del Carcere, destinato, con l’ala minore, alle celle. Il passaggio adiacente al fianco della chiesa è il resto del chiostro quattrocentesco, con gli archi murati, che continua anche sul lato della sagrestia, a est.
Ad accogliere il pubblico è lo Sciamano della Grotta di Fumane, scelto come simbolo del museo stesso. Ma sono molti i motivi e i tesori che dovrebbero spingere il pubblico a venire a visitare l’Archeologico, come spiega ad archeologiavocidalpassato.com la neodirettrice Giovanna Falezza.

Nella prima sezione cronologica, il Paleolitico, fase in cui anche il territorio veronese è testimone della piena espansione delle popolazioni neandertaliane e dell’Homo sapiens in Europa, il Museo racconta le prime forme d’arte e la vita di queste popolazioni di cacciatori e raccoglitori, accogliendo preziosi reperti di due siti di grande rilevanza a livello europeo: la Grotta di Fumane, con le sue pietre dipinte – prima fra tutte, lo sciamano -, e Riparo Tagliente.

Nella seconda sezione cronologica, il Neolitico, fondamentale fase della preistoria in cui i gruppi umani passano da un’economia basata essenzialmente su caccia e pesca all’introduzione di agricoltura e allevamento e quindi alla possibilità di produrre il cibo per il proprio sostentamento, spiccano i reperti dal sito veronese di Lugo di Grezzana che proiettano i visitatori nella vita di un villaggio neolitico, mentre i rinvenimenti da altri siti veronesi li introducono ai rituali funebri e agli oggetti dedicati al culto.

Nella terza sezione cronologica, l’Età del Rame, momento della preistoria in cui l’Uomo scopre la possibilità di utilizzare un metallo – il rame, appunto – per realizzare armi e strumenti, troviamo la capanna di Gazzo Veronese, la necropoli recentemente scoperta di Nogarole Rocca, statue-stele e preziosi corredi tombali dal territorio veronese che accompagnano i visitatori nella prima “età dei metalli”.

Nella quarta ed ultima sezione aperta al pubblico, la più articolata, l’Età del Bronzo, fase in cui le comunità umane, oltre ad introdurre l’uso del bronzo per la costruzione dei propri oggetti, diventano sempre più numerose, articolate ed interconnesse tra loro, il Museo racconta la vita di questi abili artigiani e costruttori: l’enorme pozzo di Bovolone, valorizzato con un gioco di luci, campeggia al centro della sala dedicata ai villaggi; attorno, alcuni modellini raccontano le antiche tecniche edilizie, mentre reperti eccezionali parlano al visitatore della vita e del lavoro di tutti i giorni.

Questa sezione accoglie una vetrina dedicata alla tre palafitte UNESCO della provincia di Verona, oltre ad una serie di reperti in legno dal sito di Vallese di Oppeano, eccezionalmente conservati. L’articolata vita dell’Età del Bronzo viene poi raccontata nelle sale seguenti, con una serie di reperti derivati dagli scambi con il mondo europeo e mediterraneo, e con gli eccezionali rinvenimenti dalle necropoli veronesi. Fra tutte, si ricorda quella di Olmo di Nogara, con le raffinate spade di bronzo deposte al fianco dei guerrieri. Infine, il Museo racconta quella che doveva essere l’antica ritualità, con un’ultima sala dedicata ai “doni agli dei” dell’Età del Bronzo.
Verona. L’attesa è finita. Domani si inaugura, e venerdì apre al pubblico, il nuovo museo Archeologico nazionale nell’ex caserma asburgica San Tomaso. Si inizia con la sezione di Preistoria e Protostoria: un percorso da 200mila anni fa al I sec. a.C. Ecco le prime immagini

L’attesa è finita. Il museo Archeologico nazionale di Verona è una realtà. Domani, giovedì 17 febbraio 2022, alle 11.30, si inaugura la sezione “Preistoria e protostoria: agli albori della creatività umana” del nuovo museo Archeologico nazionale di Verona nell’ex caserma asburgica San Tomaso, in stradone San Tomaso, 3. E venerdì 18 febbraio 2022 il museo sarà aperto al pubblico che nei giorni di venerdì, sabato e domenica, dalle 10 alle 18, potrà percorrere 200mila anni di storia. Là dove erano imprigionati i carbonari che lottavano contro l’Impero Asburgico hanno trovato posto infatti le testimonianze più antiche degli insediamenti umani nel territorio veronese, portate alla luce dopo un secolo e più di campagne archeologiche. Si tratta di reperti considerati i primi, eccezionali esempi delle espressioni della civiltà e della creatività umane, che si possono ora finalmente ammirare accompagnati da un chiaro corredo introduttivo. Ricostruzioni fisiche e virtuali, video e altri mezzi di comunicazione multimediale valorizzano questo straordinario patrimonio in bianche teche sovrastate dalle colossali capriate lignee del grande edificio costruito nel 1856 per farne sede carceraria.

I muri perimetrali delle celle sostengono possenti arcate in mattoni, conferendo all’ambiente la sembianza di una chiesa romanica. La Direzione regionale Musei Veneto, cui questo museo statale afferisce, ha investito fondi del ministero alla Cultura per restaurare e mettere a norma l’edificio che si sviluppa su tre piani, compresa la elegante facciata sul lungadige veronese. L’allestimento del nuovo museo Archeologico, affidato all’architetto Chiara Matteazzi su progetto scientifico dell’ex direttrice Federica Gonzato, è iniziato dall’ampio sottotetto dove hanno trovato collocazione le sezioni dedicate alla Preistoria e alla Protostoria, a documentare un lasso di tempo che prende avvio circa 200mila anni fa e si dipana sino al primo secolo a.C. Il piano intermedio accoglierà invece i reperti dell’età celtica e romana, oltre ad uffici, biblioteca e spazi per incontri, mentre il piano terra è destinato a documentare l’età altomedievale.

Domani, all’inaugurazione, con Daniele Ferrara direttore della Direzione regionale Musei Veneto e Giovanna Falezza neo direttrice dell’Archeologico, interverrà il prof. Massimo Osanna direttore generale Musei ministero alla Cultura. “Complessivamente l’investimento supererà i 3 milioni di euro, integralmente finanziati dal ministero alla Cultura”, afferma Daniele Ferrara. “Aperta al pubblico la sezione riservata alla preistoria e alla protostoria, contiamo di avviare molto presto il cantiere per la sezione romana, mentre con fondi assegnati tramite il PNNR metteremo a cantiere anche il piano terra per completare quello che si prefigura come uno dei più importanti musei archeologici italiani”.

Il percorso espositivo della sezione Preistoria e Protostoria, anche grazie a ricostruzioni fisiche e virtuali, video e altri mezzi di comunicazione multimediale, narra le principali componenti storiche del veronese in un arco cronologico compreso tra oltre 100mila anni fa e il 100 a.C. Predisposto con la collaborazione dell’università di Ferrara, dell’università di Trento e della soprintendenza ABAP di Verona, il percorso si articola in una serie di sottosezioni dedicate ai principali siti preistorici e protostorici, dal Paleolitico (rappresentato dalla famosa pietra dipinta, nota come lo “Sciamano”, considerato tra le più antiche rappresentazioni umane sino ad oggi note al mondo, proveniente dalla Grotta di Fumane), passando attraverso il Neolitico e l’età del Rame, fino all’età del Bronzo, con l’esposizione dei materiali provenienti dai siti palafitticoli inseriti nella lista UNESCO del veronese, e all’età del Ferro. L’allestimento si sviluppa in modo lineare, attraverso le diverse sale dei due bracci del terzo piano (dal Paleolitico all’età del Bronzo) fino a confluire nel terzo braccio (dedicato all’età del Ferro).

Tra i molti tesori del nuovo Museo, la neo direttrice dell’istituzione veronese, Giovanna Falezza, segnala la pietra dipinta nota come “lo Sciamano”, assunto a simbolo del nuovo museo. Tra le opere d’arte in ocra rossa rinvenute nella Grotta di Fumane e riferibili all’attività artistica dei primi Sapiens (40mila BP, Paleolitico superiore), la più famosa è questa pietra calcarea sulla quale, in ocra rossa, è raffigurato un personaggio che indossa un copricapo. Questa pietra è, ad oggi, una delle più antiche figure teriomorfe (figure di uomo-animale) del pianeta.

Risale invece all’Età del Bronzo antico, lo straordinario esemplare di vaso a bocche multiple recuperato durante lo scavo archeologico della Palafitta del Laghetto del Frassino presso Peschiera del Garda. Dal medesimo sito provengono anche ceramiche con decorazioni incise, conchiglie, metalli e utensili in osso, pietra e legno. Sempre dal Garda, rinvenuti ad una profondità di circa tre metri, provengono una tazza dell’Età del Bronzo antico e alcuni resti paleobotanici, tra i quali una spiga carbonizzata di farro.

Dal sito di Pila del Brancon, a Nogara, provengono spade ripiegate, cuspidi di lancia, pugnali ed altri elementi laminari contorti, materiali che possono essere riferiti ad una fase iniziale dell’età del Bronzo finale. Notevoli e numerosi gli oggetti da ornamento esposti nel nuovo Museo e tra essi spicca il magnifico spillone scoperto presso la palafitta de La Quercia a Lazise, lungo più di mezzo metro, con larga testa a disco e gambo ritorto.
Verona. Dopo un lungo restauro e decenni di attesa, apre il nuovo museo Archeologico nazionale nell’ex caserma asburgica San Tomaso: si inizia con la ricca sezione di Preistoria e Protostoria, con lo Sciamano di Fumane, simbolo del museo


Le eleganti architetture dell’ex caserma asburgica, sede del nuovo museo Archeologico nazionale di Verona (foto drm-veneto)
Se si apre il sito del museo Archeologico nazionale di Verona e si clicca alla voce “orari”, la risposta è secca: temporaneamente chiuso per restauri. Una situazione che permane da sempre, da decenni: perché in realtà non è mai stato aperto. Da quando lo Stato ha individuato l’ex caserma asburgica di San Tomaso affacciata sull’Adige a Verona come sede dell’istituendo museo Archeologico nazionale per coprire una storica lacuna della città scaligera, dove non c’è alcun museo statale ma solo civici, tutti gli interventi sono stati indirizzati al recupero e al restauro del grande edificio, adiacente alla chiesa di S. Tomaso Cantuariense, una delle testimonianze di architettura civile austriaca meglio conservate a Verona, per renderlo idoneo all’esposizione delle ricchissime testimonianze provenienti dalle ricerche archeologiche effettuate nella città e nel territorio veronese negli ultimi quarant’anni, articolate in un arco temporale che va dalla preistoria alla protostoria, alla fase celtica, alla romanizzazione, fino all’età romano-imperiale. Ma, dopo vari annunci, stavolta ci siamo. Giovedì 17 febbraio 2022, alle 11.30, sarà inaugurato il nuovo museo Archeologico nazionale di Verona nell’ex caserma asburgica San Tomaso alla presenza del direttore regionale Museo Veneto, Daniele Ferrara; del direttore dell’Archeologico, Giovanna Falezza; del soprintendente Abap di Verona, Vincenzo Tinè. Interverrà il prof. Massimo Osanna, direttore generale Musei del ministero della Cultura.

Si comincia con l’apertura al pubblico dell’importante Sezione riservata alla Preistoria e Protostoria. Dal Neolitico all’età del Rame, del Bronzo e del Ferro, con l’esposizione, tra gli altri, dei materiali provenienti anche dai siti palafitticoli UNESCO del veronese. Il percorso espositivo della sezione Preistoria e Protostoria, anche grazie a ricostruzioni fisiche e virtuali, video e altri mezzi di comunicazione multimediale, narra le principali componenti storiche del veronese, compreso tra 50mila anni fa e il 100 a.C. In generale il percorso espositivo si articola in una serie di sottosezioni dedicate alle principali epoche della preistoria-protostoria del territorio veronese, dal Paleolitico (rappresentato dalla famosa pietra dipinta, nota come lo “Sciamano”, proveniente dalla Grotta di Fumane), passando attraverso il Neolitico e l’età del Rame, fino all’età del Bronzo, con l’esposizione dei materiali provenienti dai siti palafitticoli UNESCO del veronese, e l’età del Ferro. L’obiettivo è quello di far percepire il ruolo formativo di questo territorio rispetto al centro urbano di Verona, la cui nascita è l’esito di un percorso storico di lunga durata. L’allestimento si sviluppa in modo unilineare e senza interferenze, partendo dalla sala di orientamento (accessibile dalla scalinata e dall’ascensore) attraverso le diverse sale dei due bracci del terzo piano (dal Paleolitico all’età del Bronzo) fino a confluire nel terzo braccio (dedicato all’età del Ferro).
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