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“Il corpo del reato”: in mostra a Pompei un primo lotto di tesori antichi, prove del saccheggio del patrimonio archeologico di Campania, Puglia, Basilicata, avvenuti tra il 1970 e il 1990. In vent’anni depredati più di 800mila reperti

All'antiquarium degli Scavi di Pompei la mostra "Il corpo del reato"

All’antiquarium degli Scavi di Pompei la mostra “Il corpo del reato”

Sono ceramiche, crateri, ex voto, anche qualche falso: dal IV secolo all’età romana. Vengono dalla Campania (Pompei e nei dintorni come Boscotrecase, Gragnano e Sant’Antonio Abate), ma anche da Puglia e Basilicata. In tutto 170 reperti con una caratteristica in comune: ognuno è un “corpo del reato”, come ricorda il titolo della mostra, “Il corpo del reato” appunto, che li presenta, fino al 27 agosto 2017, all’antiquarium degli scavi di Pompei. Ma questi preziosi reperti in mostra sono solo alcuni dell’immenso patrimonio archeologico saccheggiato dai tombaroli. E sono stati proprio i tombaroli a immettere sul mercato clandestino una enorme quantità di oggetti dal valore inestimabile, alcuni dei quali finiti persino in collezioni di musei internazionali come il Getty a Los Angeles e il Metropolitan di New York. Tra il 1970 e il 1990 si calcola siano stati depredati non meno di 800mila reperti. “Questa mostra denuncia lo “stupro” subito dal patrimonio culturale italiano, saccheggiato e clandestinamente rivenduto dal 1960 a oggi”, afferma Massimo Osanna, soprintendente di Pompei. “Il recupero dei reperti consente oggi di esporre qui una piccola parte del “bottino” svincolato e ora in vetrina nell’antiquarium degli Scavi di Pompei”. Si tratta di materiale di deliziosa fattura e di immenso valore, recuperato con operazioni internazionali da carabinieri, guardia di finanza e magistratura e lasciato nel buio di locali blindati, dai quali non poteva essere spostato né mostrato perché costituiva, appunto corpo di reato”.

In mostra decine di vasi di ceramica depredati dai tombaroli in Campania, Puglia e Basilicata

In mostra decine di vasi di ceramica depredati dai tombaroli in Campania, Puglia e Basilicata

Nelle vetrine dell’Antiquarium di Pompei ora sono dunque esposti 170 reperti: ceramiche, statue, anfore, offerte votive che affiancano oggetti di pari bellezza, ma prodotti dai falsari, anche questi finiti per decenni nei depositi giudiziari e ora rispolverati e collocati in teche di vetro. Gli originali di fronte ai fake dimostrano quanta perizia i falsari hanno mutuato dalla storia antica che ha fatto grande l’Italia. “Questi oggetti”, stigmatizza Osanna, “simboleggiano la violazione cui è costantemente sottoposto il patrimonio culturale. Molti di questi reperti provengono dalla Daunia, non sono quindi tutti del territorio campano, ma sono stati trafugati in Puglia e in Basilicata, regioni che hanno maggiormente subito il saccheggio di opere antiche. Purtroppo sono anche una cruda testimonianza della perdita di conoscenza per la nostra società. In molti casi, infatti, non è possibile risalire ai luoghi in cui sono stati trafugati e, nel contempo, alle popolazioni che hanno subito il saccheggio non è più dato conoscere le straordinarie bellezze di cui erano custodi”. I reperti esposti sono stati sequestrati anche a piccoli ricettatori non inseriti nella ramificata filiera del commercio internazionale, dediti piuttosto a rifornire il livello “basso” del mercato, quello dei piccoli antiquari e delle collezioni private. Oggetti, quindi, trafugati e destinati al solo desiderio personale, ma che oggi tornano seppur silenti a essere patrimonio di ogni cittadino del mondo.

I reperti esposti, tutti "corpi del reato", erano conservati nei depositi giudiziari

I reperti esposti, tutti “corpi del reato”, erano conservati nei depositi giudiziari

Osanna sottolinea il valore anche educativo della mostra che “vuole offrire ai visitatori il senso dell’oltraggio arrecato al patrimonio culturale italiano”. I reperti esposti sono associati ai nomi dei detentori illegali ai quali le forze dell’ordine effettuarono i sequestri, avvenuti tra gli anni Sessanta e Novanta del secolo scorso, quando la razzia di migliaia di siti italiani alimentò preziose collezioni di musei internazionali come il Getty a Los Angeles e il Metropolitan a New York. Per allestire questa mostra, è stato necessario superare i vincoli burocratici che bloccavano questi beni durante i lunghi processi per i quali, appunto, costituivano corpo di reato. Grazie alla sensibilità del giudice Carlo Spagna, magistrato delegato all’ufficio Corpi di Reato del Tribunale di Napoli, la soprintendenza di Pompei è entrata in possesso del materiale ora esposto. “Certe cose o si fanno in un giorno o non si fanno”, afferma il giudice Spagna spiegando con quale celerità è riuscito a ottenere ciò che non era affatto semplice: fare uscire dai sotterranei i reperti sequestrati negli anni Settanta, risalendo all’iter giudiziario per constatarne la chiusura. “Altri reperti sono stipati nell’Antiquarium di Stabia e speriamo presto di poterli svincolare per esporli al pubblico”, promette Osanna. I beni archeologici assegnati in via definitiva alla soprintendenza di Pompei provengono da Castel Capuano, a Napoli, sede del Museo Criminale che il giudice Spagna ha auspicato venga presto rinominato Museo delle Regole.

Tra i reperti sequestrati anche qualche falso come il famoso torso di ermafrodita: autentica contraffazione

Tra i reperti sequestrati anche qualche falso come il famoso torso di ermafrodita: autentica contraffazione

Attenti ai falsi. Tra i vasi decorati, utilizzati in epoca romana durante i banchetti, le piccole brocche dipinte finemente di nero, i boccali e i contenitori in vetro per custodire preziosi unguenti, spicca un busto bianchissimo di un ermafrodita. Né volto, né gambe ma il corpo sembra di una giovane donna dai seni appena accennati, vita stretta e fianchi rotondi, ma con portentosi genitali maschili. Ebbene, proprio questo busto è un clamoroso falso. Ed è il più fotografato. “Che sia un falso si ricava dall’analisi della fattura dei capelli e dei peli del pube, scolpita in riccioli”, assicura Luana Toniolo, l’archeologa che ha curato l’allestimento della mostra. Secondo solo al mercato della droga, quello dei falsi archeologici e artistici oggi è un vero e proprio business illegale. Ultimamente si è calcolato che i reperti archeologici immessi sul mercato dai trafficanti sono falsi per circa due terzi del loro volume. Falsi perfetti, o quasi, realizzati da artigiani e rifilati attraverso un’efficiente rete di canali, ai collezionisti privati e ai mediatori stranieri. Ad ogni sequestro, i tecnici delle soprintendenze si impegnano così a valutare l’autenticità degli oggetti custoditi clandestinamente, cercando di riconoscere la contraffazione sulla base degli errori che, involontariamente, il falsario può avere compiuto seguendo gli stili e gli usi del tempo antico. Nei laboratori dei falsari si rifà tutto: bronzi, ceramiche dipinte, monete, statue. Per soddisfare la richiesta di realizzano “falsi inediti” o rielaborati da oggetti veri; i falsi vengono poi venduti singolarmente o mescolati insieme a qualche pezzo autentico.

Scavi di Pompei. Per Natale i visitatori hanno trovato tre “doni”: restituiti il piccolo Lupanare, la casa di Obellio Firmo e la casa di Marco Lucrezio Frontone grazie agli interventi programmati dal Grande Progetto Pompei

Il grande atrio della casa di M. Obellio Firmo restituita per le festività natalizie ai visitatori degli scavi di Pompei

Il grande atrio della casa di M. Obellio Firmo restituita per le festività natalizie ai visitatori degli scavi di Pompei

Erotismo e lusso a Pompei nel 79 d.C nei 50mila mq restituiti ai turisti: il piccolo Lupanare, la casa di Obellio Firmo, la casa di Marco Lucrezio Frontone e, in più, lo scavo inedito di un ambiente totalmente occultato dal terreno sono i “doni” di Natale degli Scavi di Pompei ai visitatori del sito archeologico. Sessanta milioni di euro spesi, altri 40 milioni da impiegare. I fondi europei per i restauri del Grande progetto Pompei sono ancora in gran parte non spesi, ma il volto della città antica è già completamente cambiato come hanno sottolineato il direttore della soprintendenza speciale di Pompei, Massimo Osanna, e il direttore generale del Grande Progetto Pompei, gen. Luigi Curatoli, nel presentare la vastissima area di 50mila metri quadrati liberata da ponteggi, puntellamenti, vecchi residui di materiali inidonei che rendevano non percorribile le Regio V e IX. È terminato, infatti, il lavoro di messa in sicurezza della Regio V e IX previsti dal Grande Progetto Pompei. Un’imponente  opera di restauro che ha interessato le murature (integrazione di lacune e mancanze, stilatura dei giunti, revisione delle creste murarie, manutenzione o sostituzione di piattabande), gli apparati decorativi (pulizia, consolidamento, piccole integrazioni, sostituzione di materiali non idonei di vecchi restauri), oltre a prevedere interventi su strade e marciapiedi, cancelli e coperture, consentendo anche di conoscere e documentare dettagli finora ignoti delle aree interessate. Gli interventi strutturali sulle murature più compromesse hanno finalmente resi accessibili gli edifici del piccolo lupanare (Regio IX, insula 5, civico16), custode di un’altra serie di affreschi erotici in uno degli ambienti, la maestosa Casa di Obellio Firmo ( Regio IX insula 14 civico 4) aperta sul decumano di via di Nola e la casa di Marco Lucrezio Frontone (Regio V) completata con il restauro dell’ambiente triclinare, con lo splendido affresco che raffigura l’uccisione di Neottolemo da parte di Oreste.

Il gigantesco forziere in bronzo e ferro che M. Obellio Firmo teneva nell'atrio di ingresso della sua domus

Il gigantesco forziere in bronzo e ferro che M. Obellio Firmo teneva nell’atrio di ingresso della sua domus

Un gigantesco forziere in bronzo e ferro, sfondato dai lapilli dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. accoglie i visitatori all’ingresso della casa di Obellio Firmo, aperta nel sito archeologico di Pompei al termine del restauro. Cinque persone, delle quali sono stati trovati gli scheletri, tentarono di ripararsi all’ingresso del secondo atrio di questa Domus abitata da una famiglia aristocratica che mostrava la propria potenza economica esponendo all’ingresso una imponente cassaforte tra quattro colonne visibili dalla strada. La domus di M. Obellio Firmo è tra le più grandi e articolate di Pompei: il nome del proprietario, al momento dell’eruzione del Vesuvio, appunto Obellio Firmo, era scritto nell’angolo Nord Ovest del peristilio. La casa aveva due ingressi: il più importante, chiuso da un portone, era quello sul civico 4 di via di Nola, con un monumentale atrio a quattro colonne in tufo di più di 7 metri di altezza. Qui, visibile anche dalla strada, a ribadire lo status sociale della famiglia, c’era un cartibulum (tavolo)  in marmo a sostenere una statuetta. Un atrio secondario era destinato all’accoglienza dei clientes con sedili in muratura. È qui che sono stati trovati gli scheletri di cinque persone in cerca di un riparo durante l’eruzione. Su questo atrio gravitavano anche gli ambienti privati della casa, con la cucina e il quartiere termale tra i più antichi di Pompei.

La domus di Marco Lucrezio Frontone dalle preziose decorazioni

La domus di Marco Lucrezio Frontone dalle preziose decorazioni

Con le festività natalizie è stata aperta anche un’altra sontuosa dimora: la casa di Marco Lucrezio Frontone, identificata grazie alle iscrizioni elettorali rinvenute durante gli scavi. Lucrezio Frontone aveva infatti intrapreso una brillante carriera politica, candidandosi alle principali cariche pubbliche della città. In uno dei tre soggiorni di questa domus furono trovati i resti di cinque adulti e tre bambini morti in seguito dell’eruzione del Vesuvio. All’interno di questa casa, un gioiello per le decorazioni di notevole qualità nonostante le limitate dimensioni (460 mq), si può ammirare l’elegante parete a fondo nero e quadretti del tablino raffiguranti immaginarie ville marittime che affiancano i quadri principali: quello con il trionfo di Bacco e Arianna, e quello con gli amori di Venere e Marte. E poi, in un piccolo cubicolo, amorini in volo su un fondo giallo ocra e contorni di scene moraleggianti in cui si riconoscono Narciso e Perona, rappresentata mentre allatta il vecchio padre Micone per salvarlo dalla morte a cui era stato condannato. Triste pudore fuso con pietà è la traduzione del distico dipinto nell’angolo superiore della composizione per celebrare l’amore filiale proposto dal mito. I padroni di casa hanno ritratto i volti dei propri figli ai lati dell’ingresso di questo interessante cubicolo che probabilmente era la stanza dei ragazzi. Forse sono i volti di quei bambini trovati morti. La stanza della padrona di casa (domina) è decorata dall’affresco di Arianna che porge il filo a Teseo in una scena della toilette di Venere. Sulle pareti del giardino è ancora visibile l’affresco con scene di caccia (leoni, pantere e orsi, tori, buoi e cavalli). Al termine dei lavori di messa in sicurezza è stato restituito alla vista dei turisti il grande triclinio in cui campeggia il quadro in cui Neottolemo viene ucciso da Oreste davanti al tempio di Apollo a Delfi. La parte posteriore della casa è occupata dagli ambienti di servizio, con cucina e latrina, dal viridario e da un portico con tre colonne su cui si affacciano diversi ambienti di soggiorno. È qui che sono stati trovati gli scheletri di cinque adulti e tre bambini schiacciati dal crollo del tetto durante l’eruzione del 79 d.C.

Gli affreschi erotici del Piccolo Lupanare di Pompei o "Lupanariello"

Gli affreschi erotici del Piccolo Lupanare di Pompei o “Lupanariello”

La terza novità delle festività natalizie per i visitatori è il Piccolo Lupanare (“Lupanariello”) restaurato all’interno di una struttura che era, probabilmente, un luogo di ristorazione in cui veniva esercitata la prostituzione. Quattro affreschi erotici rivelano la natura degli incontri che si tenevano in quel locale, del quale era stata murata la finestra per garantire la privacy ai clienti. Inedito, infine, lo scavo emerso dalla pulizia effettuata dagli archeologi nella Regio IX, insula 3, utilizzata già dai pompeiani come una sorta di “discarica” di materiali di costruzione. Così la trovò Giuseppe Fiorelli e la lasciò durante i suoi scavi a metà del 1800. Oggi, grazie ai restauri del Grande Progetto Pompei, è riportato alla luce il pavimento in signinum di una dimora probabilmente abbandonata a seguito del terremoto del 62 d.C. Nei pressi, è stato portato alla luce un antico panificio (pistrinum) con una parte della macina, edificio poi trasformato in una tintoria (fullonica), con vasca e annesso lavatoio. Una bomba nel 1943 semidistrusse il pavimento in basoli della strada. Gli archeologi del Grande Progetto Pompei hanno risistemato la pavimentazione originaria di questa parte del sito.

A Pompei a tavola con gli antichi romani. Coldiretti, dall’esperienza di Eatstory, propone alcune antiche ricette pompeiane abbastanza facili. Provate a realizzarle

A Pompei con "Eatstory. Da noi il cibo ha una storia" si possono rivivere atmosfere e sensazioni gastronomiche del passato

A Pompei con “Eatstory. Da noi il cibo ha una storia” si possono rivivere atmosfere e sensazioni gastronomiche del passato

Lo street food? Non è una caratteristica solo dei nostri giorni. Basta andare agli scavi di Pompei per ricredersi. L’antica città romana era piena di botteghe dove si serviva e si poteva consumare il “cibo da strada”, che era molto diffuso.  Il cibo cucinato aveva aromi tramandati fino a oggi. Sulle tavole dei pompeiani non mancavano frutta, dolci e vino. Ma ai pompeiani piaceva molto mescolare il dolce e il salato. Anche oggi possiamo gustare quei sapori. Proprio in queste settimane, come già detto (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/11/07/a-pompei-con-eatstory-larcheologia-sposa-lenogastronomia-i-turisti-negli-spazi-coldiretti-possono-rivivere-atmosfere-e-sensazioni-del-passato-obiettivo-superare/) i visitatori di Pompei hanno un motivo in più per lasciarsi coinvolgere emotivamente dagli scavi romani: per tutto dicembre, almeno, c’è “Eatstory. Da noi il cibo ha una storia” iniziativa promossa da Coldiretti e soprintendenza speciale di Pompei che per la prima volta ha portato all’interno dell’area archeologica di Pompei la possibilità di degustare il cibo degli antichi romani. Proprio da questa esperienza gli esperti di Coldiretti hanno rielaborato alcune antiche ricette pompeiane che ora propongono per i nuovi percorsi legati al progetto Eatstory. Ecco come realizzarle.

Coldiretti ai visitatori di Pompei offre l'opportunità di assaggiare sapori antichi

Coldiretti ai visitatori di Pompei offre l’opportunità di assaggiare sapori antichi

GLOBI (dolce) Ingredienti: usare come formaggio la ricotta (preferibile) altrimenti il “primo sale” o un caprino; farina di farro; miele; semi di papavero; olio o sugna per la frittura. Preparazione: mescolare in parti uguali il formaggio e la farina di farro. Con questo impasto preparare tante polpettine. Versare dello strutto in una padella calda in cui friggere i “globi” da rigirare con due palette per favorire la cottura. Sollevare dalla padella e spalmare di miele, poi cospargere di semi di papavero. Servire così.

Affresco di Oplontis con la rappresentazione di una cassata

Affresco di Oplontis con la rappresentazione di una cassata

CASSATA DI OPLONTIS – In un affresco di un triclinio della Villa di Oplontis (Torre Annunziata) è raffigurato un dolce dalla incredibile somiglianza con una moderna cassata, il tradizionale dolce siciliano a base di ricotta e zucchero. Ecco una ricetta basata su ingredienti dell’epoca. Ingredienti: frutta secca tagliata a dadini, albicocche (150 gr), prugne (150 gr), uva sultanina (100 gr), datteri (a piacere). A parte tenere alcuni frutti interi per la decorazione; 600 grammi di miele; 100 grammi di noci spellate; 20 grammi di pinoli; 1,5 kg di ricotta di mucca; 150 grammi di farina di mandorle; colore rosso per alimenti; carta forno. Preparazione: passare in poco miele 100 gr di noci spellate e i pinoli fino ad ottenere una miscela caramellata consistente. Lasciar raffreddare e poi sminuzzare. Passare 1 kg e mezzo di ricotta vaccina al setaccio lasciandone 100 gr per la decorazione superiore. Mescolare il resto aggiungendo gradatamente 500 gr di miele fino ad ottenere una crema di dolcezza pari a quella della normale cassata. Continuare a mescolare fin quando la crema non diventa morbida e leggera. Aggiungere la frutta a dadini ed il caramello sminuzzato. A parte, impastare 150 gr di farina di mandorle con un po’ di miele e un po’ di colore rosso da pasticceria in polvere così da ottenere una sorta di marzapane rosso. Foderare una teglia dal diametro di 30 cm con carta unta con olio dalla parte interna. Stendere il marzapane rosso con un mattarello per ottenere una striscia con cui foderare i fianchi della teglia. Riempire il vuoto della teglia con la crema di ricotta ed infilare il tutto nel frigorifero. Lasciare riposare un giorno, poi sformare la cassata su di un vassoio staccando la carta delicatamente. Coprire la parte superiore con un velo di ricotta passata al setaccio e decorare con la frutta messa da parte.

Il libum, la tipica focaccia al formaggio degli antichi romani

Il libum, la tipica focaccia al formaggio degli antichi romani

LIBUM (PIZZA AL FORMAGGIO)Ingredienti: 6 etti di formaggio; 3 etti di farina di grano tenero; 150 g di semola. Preparazione: il “libum” si prepara tritando bene nel mortaio 6 etti di formaggio; aggiungere 3 etti di farina di grano tenero o, se si vuole più morbido, appena 1 etto e mezzo di semola, e mescolare bene il tutto. Con questo impasto si fa una pagnotta, la si appoggia su foglie di lauro e si cuoce col coppo lentamente, in forno caldo.
OLIVE NERE IN AGRODOLCEPreparazione: si prepara una marinata composta da 3 parti di miele ed una di aceto, nonché un pizzico di semi di finocchiella, il tutto sufficiente a coprire interamente le olive. Nel caso non si avesse tanto tempo e si volesse gustare subito le olive, utilizzare una pirofila dove versare le olive. Preparare la marinata con 3 parti di miele ed una di aceto nonché con un pò di semi di finocchiella e versarla sulle olive, ma senza coprirle interamente.

La sala cattabia, tipica bruschetta pompeiana

La sala cattabia, tipica bruschetta pompeiana

SALA CATTABIA (BRUSCHETTA POMPEIANA)Ingredienti: pane casereccio (tipo integrale) in fette; acqua; aceto; 50 grammi di parmigiano grattugiato; 3-4 foglie di coriandolo verde o prezzemolo; 3-4 foglie di menta; pepe in polvere; 2 spicchi di aglio; 3 cucchiai di miele millefiori; 3 cucchiai di olio Evo. Preparazione: immergere le fette di pane in una bagna composta da due parti d’acqua e una parte di aceto, facendo colare il liquido eventualmente in eccesso. Preparare in un frullatore una salsa con il parmigiano grattugiato, le foglie di coriandolo verde o prezzemolo, di menta, un pizzico di pepe, 2 spicchi di aglio (se piacciono), il miele e l’olio. Avrete realizzato una pasta (nel caso aggiungere un altro pò di olio o pochissima acqua) con cui spalmare le fette di pane.

Mostre, convegni, restauri, scavi archeologici, scambi culturali: siglato protocollo di collaborazione tra il museo Archeologico nazionale di Napoli, gli Scavi di Pompei e il museo Ermitage di San Pietroburgo

I firmatari del protocollo di San Pietroburgo: da sinistra, Massimo Osanna (Pompei), Paolo Giulierini (Mann), Michail Piotrovskij (Ermitage)

I firmatari del protocollo di San Pietroburgo: da sinistra, Massimo Osanna (Pompei), Paolo Giulierini (Mann), Michail Piotrovskij (Ermitage)

Il museo statale dell'Ermitage di San Pietroburgo

Il museo statale dell’Ermitage di San Pietroburgo

Il museo Archeologico nazionale di Napoli

Il museo Archeologico nazionale di Napoli

Il sito archeologico di Pompei

Il sito archeologico di Pompei

L’Ermitage sbarca a Napoli e mette radici alle falde del Vesuvio. L’accordo di collaborazione tra gli Scavi di Pompei, il museo Archeologico nazionale di Napoli (Mann) e il prestigioso museo di San Pietroburgo è stato siglato il 10 novembre 2016 nella storica città russa dal direttore del museo statale Ermitage, Michail Piotrovskij, il direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, Paolo Giulierini e il direttore generale di Pompei, Massimo Osanna. L’obiettivo è ambizioso: preparare e realizzare un programma di collaborazione culturale e scientifica tra le tre Istituzioni. A darne notizia è stato il ministro ai Beni culturali Dario Franceschini in visita a Napoli. “Il protocollo della durata di quattro anni – spiega – prevede una condivisione di esperienze e competenze nel campo dello scavo archeologico, lo scambio di mostre e la realizzazione congiunta di progetti espositivi e, inoltre, stage di studio tra i collaboratori scientifici e gli specialisti nel campo della storia dell’arte, dell’archeologia, dell’eredità culturale, della museologia, della conservazione e del restauro; l’attuazione di conferenze scientifiche, convegni, seminari, tavole rotonde, sulle problematiche della storia dell’arte, dell’eredità culturale, della museologia, della conservazione, del restauro e della gestione dei Beni Culturali; il confronto in merito all’utilizzo di sistemi e tecnologie innovative applicate ai beni culturali con particolare riferimento alla digitalizzazione, all’archiviazione, all’applicazione di realtà aumentate e multimedialità finalizzati alla valorizzazione del patrimonio, alla sua conservazione e fruizione pubblica e specialistica; lo studio e confronto sulle nuove forme di approccio e di diffusione della conoscenza, anche attraverso l’interdisciplinarità delle arti, dei patrimoni archeologici e delle eredità storico-artistiche; l’attivazione di borse di studio e la partecipazione reciproca ad attività di indagine e campagne di scavo sulla base di ricerche e progetti condivisi”. Secondo Giulierini “un protocollo con l’Ermitage, il più grande museo del mondo, vale più di una partecipazione a una Borsa del turismo, perché significa disseminare in Russia non solo l’immagine del Mann, ma anche quella della città e di tutta la Campania. E soprattutto fare in modo che i depositi di via Foria continuino a generare profitto senza depauperare l’esposizione permanente”. Il protocollo di San Pietroburgo è la seconda collaborazione internazionale siglata insieme da Pompei e Mann dopo quella per la mostra “Pompeii. The Exhibition” in tour negli Usa fino a maggio 2018 con tappe a Kansas City, Portland e Tampa.

Pompei. Dopo i restauri apre al pubblico una nuova domus, la Casa dei Mosaici geometrici, una delle più grandi della città romana; una superficie di 3000 metri quadrati e 60 stanze disposte a terrazze panoramiche

I caratteristici mosaici a disegno geometrico che hanno dato il nome alla Domus della Regio VIII a Pompei

I caratteristici mosaici a disegno geometrico che hanno dato il nome alla Domus della Regio VIII a Pompei

A Pompei riapre al pubblico la Casa dei Mosaici geometrici

A Pompei riapre al pubblico la Casa dei Mosaici geometrici

A Pompei una nuova domus mercoledì 16 novembre 2016 viene restituita al pubblico: è la Casa dei Mosaici geometrici, una delle più grandi domus di Pompei, situata nella Regio VIII, oltre sessanta stanze, frutto dell’unione di due abitazioni entrambe del III-I sec. a.C., rimodernata dopo il terremoto del 62 d.C.; copre una superficie di 3000 metri quadrati in una scenografica disposizione a terrazze panoramiche. La Casa dei Mosaici geometrici, così denominata per la ricca decorazione pavimentale con mosaici a tessere bianche e nere su motivi a labirinto e a scacchiera, apre al termine di importanti interventi di restauro. Adagiata sulle pendici sud-ovest della città, in posizione panoramica, presenta la tipica articolazione della domus romana: atrio (tra i più ampi di Pompei), con impluvium quadrato; tablino, da cui s’accedeva al portico e all’ampio peristilio. Interessante la decorazione superstite dei pavimenti, in cocciopesto e in bel mosaico bianconero a motivi geometrici. La casa è stata oggetto, assieme al Comitium e agli edifici municipali che affacciano sul Foro, anch’essi restituiti al pubblico, di interventi di restauro degli apparati decorativi nell’ambito del Grande Progetto Pompei. Mercoledì 16 novembre 2016, alle 11, la casa e gli altri edifici civili restaurati saranno mostrati in anteprima alla stampa e gli interventi e le relative indagini archeologiche dalle interessanti novità scientifiche saranno illustrati dal direttore generale Massimo Osanna.

A Pompei con “Eatstory” l’archeologia sposa l’enogastronomia: i turisti negli spazi Coldiretti possono rivivere atmosfere e sensazioni del passato. Obiettivo: superare i tre milioni di visitatori entro fine anno. Ogni martedì degustazioni di un tipico menù pompeiano. Se va bene, l’iniziativa sarà proposta negli altri siti vesuviani

Pompei: con

Pompei: con “Eatstory” di Coldiretti l’archeologia sposa l’enogastronomia

Il ministro Dario Franceschini alla presentazione di Eatstory a Pompei

Il ministro Dario Franceschini alla presentazione di Eatstory a Pompei

Tre mesi per testare il gradimento del pubblico sull’abbinamento archeologia-enogastronomia negli Scavi di Pompei. Poi si vedrà. Con l’obiettivo, intanto, neppure tanto nascosto, di superare entro la fine dell’anno i tre milioni di visitatori dell’area archeologica più famosa d’Italia grazie appunto a “Eatstory. Da noi il cibo ha una storia”, presentato il 5 novembre scorso dal soprintendente Massimo Osanna, il direttore generale del Grande Progetto Pompei Luigi Curatoli, il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo, alla presenza del ministro per i Beni culturali Dario Franceschini (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/11/04/pompei-a-pranzo-negli-scavi-archeologici-con-un-antico-menu-pompeiano-promosso-da-coldiretti-eatstory-da-noi-il-cibo-ha-una-storia/).  Fino a dicembre, ogni martedì e sabato, alla Casina dell’Aquila, per la prima volta all’interno dell’area archeologica di Pompei si può degustare il cibo degli antichi romani. Con “Eatstory” infatti i visitatori  potranno rivivere atmosfere e sensazioni del passato, apprendere e partecipare direttamente ad attività di coltivazione, trasformazione e conservazione dei prodotti locali. A conclusione di questo percorso è prevista la degustazione di pietanze o l’acquisto di prodotti preparati secondo le tecniche in uso all’epoca dell’eruzione. Ed è proprio la degustazione di un tipico menu pompeiano, preparato secondo le ricette e consumato secondo le modalità del passato nel contesto storico originale, la rivoluzionaria iniziativa della Coldiretti resa possibile grazie al protocollo con la soprintendenza per i Beni archeologici di Pompei e alla collaborazione con il Grande progetto Pompei.

Il soprintendente di Pompei Massimo Osanna nella cucina ricostruita alla Fullonica di Stephanus

Il soprintendente di Pompei Massimo Osanna nella cucina ricostruita alla Fullonica di Stephanus

“Pompei è città unica perché custode della memoria del nostro passato in tutti i suoi aspetti”, interviene il soprintendente Osanna. “Le numerose testimonianze della vita quotidiana del mondo romano è quanto di più vivo e forte ci è stato restituito. Sono numerosissime, a Pompei, le tracce tangibili dei gusti e delle tradizioni gastronomiche risalenti a 2000 anni fa. Dalle migliaia di graffiti ritrovati sui muri antichi, ai tanti oggetti di uso domestico rinvenuti nelle case, fino ai più fragili e impressionanti reperti organici carbonizzati, di legni, fibre ma soprattutto di cibi, da quelli preparati come le pagnotte di pane, ai prodotti della terra (cereali, fichi, melagrane, olive, lenticchie, ceci e tanto altro)”. Secondo Osanna, Eatstory “è l’occasione per mettere in evidenza l’origine dei nostri prodotti e dunque lo stretto legame tra mondo antico a moderno e la collaborazione con Coldiretti ci consente, attraverso la degustazioni di quegli stessi prodotti all’interno dell’area archeologica, di vivere un’esperienza unica”.

Con

Con “Eatstory” a Pompei si ricreano le atmosfere del simposio nel mondo romano

E a scorrere il menù non c’è dubbio che per i visitatori sarà proprio un’esperienza unica. Come antipasto (gustum) saranno serviti scriblita (focaccia con spezie), caseus (ricotta), caseus caprinus (formaggio di capra), brassica pompeiana (cavolo pompeiano in salsa di garum) e cucurbitas frictas (zucca fritta). La portata principale (mensae primae) a base di porcellum assus (maialino arrostito), esicia omentata (polpette avvolte nell’omento, ovvero la rete di maiale) e patina de apua fricta (torta di acciughe fritte) mentre come dolce e frutta (mensae secondae) sono stati serviti mala (mele annurche), mala granata (melograni), pira (pere), uvae (uva), caricae (fichi secchi) del Cilento e basynias (struffoli) come dolce, ma anche noci, nocciole e mandorle campane. Il tutto innaffiato da vino (vinum) falernum rubrum (falerno del massico rosso) e vinum passim (vino passito) e panis Pompeii. “Si tratta di specialità che”, sottolinea la Coldiretti, “sono state trasmesse praticamente inalterate nel corso dei secoli grazie all’impegno di generazioni di agricoltori che ne hanno custodito gelosamente tecniche e segreti. La mela annurca, a esempio, è senza dubbio il frutto maggiormente caratterizzante la Campania Felix, come dimostrano i dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano (in particolare nella Casa dei Cervi), città romana sommersa insieme a Pompei dalla distruttiva eruzione del Vesuvio del 79 d.C.”.

Le indicazioni di

Le indicazioni di “Eatstory” all’interno dell’area archeologica di Pompei

“Il turista”, spiega Curatoli di Grande Progetto Pompei, “attraverso le brochure approntate da Coldiretti, scoprirà come 2000 anni fa si mangiasse in modo assai simile ad oggi, seppure i prodotti subissero una lavorazione evidentemente meno progredita. Proprio per incrementare l’offerta turistica, la manifestazione che nasce a Pompei, qualora incontrasse il favore dei visitatori, proseguirà, durante il prossimo anno, negli altri siti archeologici dell’area appena menzionata, anche per favorire lo sviluppo socio-economico della zona attraverso il rilancio delle imprenditorialità anche agricole”. “Un’opportunità unica per l’Italia”, interviene Moncalvo di Coldiretti, “dove cultura e cibo sono le principali leve di attrazione turistica, strategiche per il rilancio dell’economia e dell’occupazione nel Mezzogiorno e in tutta Italia. Con questa iniziativa, si uniscono due eccellenze del Made in Italy che può contare sul primato mondiale nell’enogastronomia e sul maggior numero di siti inclusi nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità (51 siti), davanti alla Cina (50) e alla Spagna (48), su un totale di 1.052 siti (814 culturali, 203 naturali e 35 misti) presenti in 165 Paesi del mondo”.

Pompei. A pranzo negli Scavi archeologici con un antico menù pompeiano promosso da Coldiretti: “Eatstory, da noi il cibo ha una storia”

Un tipico banchetto degli antichi romani in un affresco pompeiano

Un tipico banchetto degli antichi romani in un affresco pompeiano

A pranzo negli Scavi di Pompei con un antico menù pompeiano. L’inaugurazione di “Eatstory, da noi il cibo ha una storia” è fissata per sabato 5 novembre 2016, dalle 9.30 al Quadriportico Teatro di Pompei alla presenza di Luigi Curatoli, direttore generale grande progetto Pompei; di Massimo Osanna, soprintendente speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia; di Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali e Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti. Il progetto “Eatstory, da noi il cibo ha una storia” è infatti realizzato dalla Coldiretti nell’area archeologica di Pompei e punta a fare rivivere ai visitatori degli scavi atmosfere e sensazioni del passato, “ma anche l’opportunità di apprendere e partecipare direttamente ad attività di coltivazione, trasformazione e conservazione dei prodotti locali. A conclusione di tale percorso è prevista la degustazione di pietanze o l’acquisto di prodotti preparati secondo le tecniche in uso all’epoca dell’eruzione”. Per la prima volta dunque nell’area archeologica di Pompei arriva il cibo degli antichi romani per far conoscere ai visitatori da tutto il mondo il legame che unisce la storia dell’Italia al proprio patrimonio enogastronomico. È prevista la degustazione del menu Pompeiano (gustum, primae mensae e secundae mensae) preparato secondo le ricette e consumato secondo le modalità del passato nel contesto storico originale. Una opportunità unica al mondo per l’Italia, sottolinea Coldiretti, “dove cultura e cibo sono le principali leve di attrazione turistica strategiche per il rilancio dell’economia e dell’occupazione nel mezzogiorno ed in tutta Italia, come dimostra il dossier Coldiretti presentato nell’occasione”.

Pompei. La soprintendenza celebra sul sito ufficiale l’anniversario di “Abbey Road” dei Beatles in “chiave archeologica” con i Fab Four che attraversano una via di Pompei. Successo dell’informazione virtuale e dei contatti social

L'immagine postata sul proprio sito dalla soprintendenza Pompei con i Beatles a Pompei alla maniera di "Abbey Road"

L’immagine postata sul proprio sito dalla soprintendenza Pompei con i Beatles a Pompei alla maniera di “Abbey Road”

La mitica copertina del disco "Abbey Road" dei Beatles del 1969

La mitica copertina del disco “Abbey Road” dei Beatles del 1969

26 settembre 1969: i Beatles pubblicano “Abbey Road”. E la copertina del disco con i Beatles in fila indiana che attraversano la strada sulle strisce pedonali diventa subito un’immagine icona, una delle più celebri e citate della storia della musica pop. Tra l’altro l’unica dei Beatles dove non compaiono né il titolo né il nome del gruppo. I Fab Four sono stati immortalati da Iain McMillan, verso mezzogiorno dell’8 agosto 1969, sulle strisce pedonali di Abbey Road, la via di Londra dove si affacciano gli Abbey Road Studios, nei quali i Beatles incisero per l’intera carriera. 26 settembre 2016: la soprintendenza Pompei ripropone in “chiave archeologica” i mitici Beatles che attraversano sì una strada, ma a Pompei non a Londra. Un po’ omaggio alla musica e al disco capolavoro della mitica band di Liverpool nell’anniversario di uscita del disco, un po’ pubblicità. La foto postata sul sito ufficiale Pompeii della soprintendenza, http://www.pompeiisites.org/, impazza sui social, da Facebook a Instagram e Twitter. L’idea è parte della campagna lanciata sei mesi fa dal Grande Progetto Pompei per spingere la comunicazione sui social e aprire anche al pubblico digitale, con il racconto in pillole di curiosità, immagini e storie della vita quotidiana nei cantieri. Curiosità e non solo, perché postati sui social ci sono anche interventi degli esperti che raccontano gli aspetti più interessanti delle campagne di ricerca, il prima e il dopo, il com’era e com’è. Sei mesi dopo, commentano dalla soprintendenza, i riscontri sono positivi con 16mila fan su Facebook, più di 2000 su Twitter e Instagram, quasi duecento nuovi utenti al giorno. Più della metà (58%) è donna, la provenienza mondiale. Tant’è, alcuni dei post, come quello per il ritorno di David Gilmour a Pompei, hanno raggiunto una portata virale. E la pagina Facebook del sito si è guadagnata la “spunta blu”, ovvero il riconoscimento ufficiale che distingue la pagina istituzionale della soprintendenza, tra le tante che usano impropriamente il nome della città.

Una schermata del sito www.pompeiisistes.org della soprintendenza Pompei

Una schermata del sito http://www.pompeiisistes.org della soprintendenza Pompei

“Questo nuovo canale di comunicazione, obbligato e più adeguato ai tempi correnti”, spiegano ancora in soprintendenza, “non poteva non coinvolgere il sito di Pompei allo scopo di comunicare in tempi veloci le varie attività della nostra soprintendenza oltre che divulgare la bellezza del luogo e della sua storia attraverso il racconto, soprattutto per immagini, del sito e puntando a coinvolgere fasce trasversali di pubblico di ogni età, provenienza e background culturale”. La soprintendenza, mantenendo una linea scientifica, racconta delle attività in corso, dei cantieri di restauro, delle riaperture al pubblico di edifici restaurati e svela luoghi nascosti o prospettive particolari del sito. L’utente della nuova comunicazione social di Pompei ha modo di scoprire novità e curiosità del sito attraverso rubriche settimanali, interviste ad archeologi, architetti e restauratori, il dietro le quinte di Pompei, con il lavoro degli operai in azione nelle operazioni quotidiane e fondamentali di gestione del sito, la celebrazione di anniversari legati alle scoperte e ai più importanti avvenimenti storici per il sito, i personaggi che hanno fatto la storia di Pompei, le fotografie a 360° degli ambienti più belli. E ancora le dirette streaming e periscope delle conferenze stampa, ma anche occasioni dedicate per interagire con gli archeologici come per la rubrica Twitter #Askacurator, per porre domande dirette agli esperti o per chiedere informazioni in tempo reale sulla visita e i servizi.

Pompei, ecco il “museo diffuso”: dai cubicula ricreati nella Villa Imperiale alla cucina nella Fullonica di Stephanus. E poi arredi nelle domus e reperti organici alla Palestra grande

"Museo diffuso" a Pompei: l'allestimento realizzato all'interno della Villa Imperiale

“Museo diffuso” a Pompei: l’allestimento realizzato all’interno della Villa Imperiale

Un museo dentro il museo. La tradizionale visita agli scavi di Pompei dal foro alle domus all’anfiteatro si arricchisce di “nicchie” a tema in punti diversi del sito archeologico. Così, se già da aprile 2016 nella Villa Imperiale sono stati ricreati i cubicula (stanze da letto), ora nella grande Palestra sono esposti reperti organici, nella Fullonica di Stephanus (aperta nelle festività natalizie 2015, vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/12/23/pompei-alla-vigilia-di-natale-il-premier-renzi-inaugura-sei-domus-ricche-di-affreschi-sulla-via-dellabbondanza-restaurate-nellambito-del-grande-progetto-pompei/) è stata ricreata una cucina del I secolo, e due domus sono state arredate come si sarebbero presentate prima della terribile eruzione del 79 d.C. È il cosiddetto “museo diffuso” tanto caro al soprintendente Massimo Osanna: spazi dislocati in diversi punti della città antica dedicati a temi specifici. Si è cominciato con Villa Imperiale, lussuosa residenza di I secolo dopo Cristo addossata alle mura di Pompei presso Porta Marina, mai aperta al pubblico prima di questa primavera, scoperta casualmente nel 1943 a seguito dei bombardamenti alleati che colpirono anche l’Antiquarium, oltre che altri edifici all’interno degli scavi. E scavata nuovamente nel 1947 da Amedeo Maiuri. Nella Villa Imperiale sono riproposte suggestive ricostruzioni di ambienti domestici della città romana e si può riammirare la grande sala da pranzo, il triclinio, con affreschi del mito di Arianna, Teseo e il Minotauro, il volo di Dedalo e la caduta di Icaro. E nel tempio di Iside sono ripercorsi i culti egizi.

La cucina con suppellettili e stoviglie del I sec. d.C. sul modello realizzato nel 1916

La cucina con suppellettili e stoviglie del I sec. d.C. sul modello realizzato nel 1916

La foto d'archivio del 1916 che testimonia l'allestimento voluto dall'allora soprintendente Vittorio Spinazzola

La foto d’archivio del 1916 che testimonia l’allestimento voluto dall’allora soprintendente Vittorio Spinazzola

Nella Fullonica di Stephanus, antica lavanderia situata lungo via dell’Abbondanza, è stata riallestita la cucina sul modello adottato un secolo prima dall’allora soprintendente Vittorio Spinazzola, documentato da una foto d’archivio che risale al 1916. L’allestimento della Fullonica di inizio Novecento rispondeva a un criterio didattico, molto moderno per l’epoca, di riproposizione degli spazi per mettere il visitatore a contatto con la vita quotidiana della città antica. Si poteva comprendere il funzionamento e l’organizzazione di una cucina del I sec. d.C. con la griglia in ferro per la carne ancora appesa alla parete e il vasellame necessario per la preparazione e la cottura degli alimenti disposto sul bancone. Gli oggetti di uso quotidiano oggi esposti provengono tutti dal deposito di Casa Bacco e sono stati identificati attraverso la rilettura delle “Librette Inventariali”, registri d’epoca che riportano il numero d’inventario dei pezzi, riferiscono dove sono stati trovati e forniscono brevi descrizioni. La Fullonica di Stephanus era dotata di grandi vasche in muratura per il risciacquo, alimentate da un flusso d’acqua ininterrotto e di bacini in pietra per la tintura, il lavaggio e la smacchiatura, che avveniva utilizzando particolari tipi di argilla o di orina. Terrazze al piano superiore erano adibite all’asciugatura e ai trattamenti delle stoffe. Una pressa (il “torcular”) serviva a stirare il tessuto e a renderlo brillante.

Il soprintendente di Pompei Massimo Osanna nella cucina ricostruita alla Fullonica di Stephanus

Il soprintendente di Pompei Massimo Osanna nella cucina ricostruita alla Fullonica di Stephanus

Una vetrina con reperti organici in mostra nella Palestra grande di Pompei

Una vetrina con reperti organici in mostra nella Palestra grande di Pompei

Nella Palestra grande, invece, trovano esposizione permanente i reperti organici, già inclusi nella mostra “Mito e Natura” da poco conclusasi e qui integrati da una ulteriore sezione di reperti naturalistici provenienti da Moregine. Infine due domus con gli arredi del I secolo d.C. I reperti collocati nelle due domus sono protetti da una struttura in cristallo temprato da 13,52 mm, con particolari accorgimenti di sicurezza nel caso di rottura accidentale, e con un sistema di scarico dei pesi a terra. La struttura è realizzata nel rispetto del contesto archeologico e non sigilla l’ambiente, permettendo il ricambio d’aria ed evitando la formazione di microclimi dannosi per la conservazione dei reperti archeologici.

Pompei. Ancora scoperte a Porta Ercolano: all’interno di due botteghe artigiane gli scheletri di cinque pompeiani – tra cui un bambino – in fuga dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Hanno trovato la morte dove speravano di salvarsi

Scavo a Porta Ercolano di Pompei: Il ritrovamento di cinque giovani pompeiani in fuga dall'eruzione del Vesuvio

Scavo a Porta Ercolano di Pompei: Il ritrovamento di cinque giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio

Stavano scappando dall’inferno del Vesuvio del 79 d.C., si erano riparati all’interno di una bottega artigiana, una scelta per loro fatale: quello che doveva essere il loro rifugio sicuro è diventata la loro tomba. Duemila anni dopo Pompei ci restituisce un altro tassello di storia quotidiana, di momenti di vita e di morte. Gli archeologi nel corso di una campagna di scavo nell’area di Porta Ercolano hanno riportato alla luce cinque scheletri di giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio: lì vicino resti di oggetti in oro, vasellame e un urceus (contenitore) del prezioso garum, quella che oggi chiamiamo “colatura di alici”; e poi zappe, forse usate dai giovani per scavarsi un cunicolo tra la cenere e i lapilli oppure lasciate lì, secoli dopo, dai saccheggiatori di tombe. Siamo dunque ancora a Porta Ercolano di Pompei, una zona che si sta rivelando particolarmente ricca, tra necropoli e area produttiva. Un anno fa, lo ricordiamo, qui era stata trovata la tomba di una donna sannitica, quindi del periodo in cui il nucleo abitato di Pompei non era ancora stato romanizzato. E poche settimane fa l’annuncio della scoperta dei resti di un giovane sepolto in una tomba, con tanto di corredo funerario, risalente a quasi 400 anni prima della devastante eruzione che cancellò le antiche Pompei, Ercolano e Stabiae (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/07/06/pompei-stupisce-ancora-nella-necropoli-di-porta-ercolano-scoperta-tomba-a-cassa-del-iv-secolo-a-c-con-corredo-funerario-completo-un-anno-fa-la-stessa-area-restitui-una-tomba-sannitica-che-fa-luce/).

Il soprintendente Massimo Osanna in sopralluogo alla tomba sannitica della necropoli di Porta Ercolano a Pompei

Il soprintendente Massimo Osanna in sopralluogo alla tomba sannitica della necropoli di Porta Ercolano a Pompei

Lo scavo della soprintendenza di Pompei con l'Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs

Lo scavo della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs

Sono queste le ultime scoperte della campagna di ricerca a Porta Ercolano della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs. I ritrovamenti particolarmente interessanti di sepolture e botteghe crea non poche problematiche. Gli archeologi dovranno infatti rispondere a ulteriori interrogativi sulla organizzazione, gestione e trasformazione, di questo intreccio tra spazio funerario e commerciale nell’area suburbana di Porta Ercolano. “Queste ultime scoperte”, sottolinea il soprintendente Massimo Osanna, “confermano come Pompei riservi continue sorprese. Sapevamo che in questa zona esisteva una prolifera attività produttiva. E qui abbiamo trovato le botteghe dei vasai, fuori le mura, perché questa produzione implicava rumore, fumi, scarti di lavorazione. Credevamo che queste attività fossero state altamente indagate, poiché la zona fu oggetto di scavo già nell’800 con l’archeologo Giuseppe Fiorelli. Invece, qui, abbiamo trovato ancora tracce delle attività che si svolgevano e, con la fortuna che deve sempre assistere l’archeologo, abbiamo trovato anche tombe dell’epoca sannitica, risalenti alla fine del V, e inizio del IV secolo. Le indagini che seguiranno ci daranno informazioni su come in quell’epoca cambia il popolamento di Pompei”.

Gli aurei e il vasellame trovati vicino agli scheletri dei giovani pompeiani in fuga dall'eruzione

Gli aurei e il vasellame trovati vicino agli scheletri dei giovani pompeiani in fuga dall’eruzione

Un urceus rinvenuto a Pompei

Un urceus rinvenuto a Pompei

I cinque scheletri, tra cui quello di bambino, sono stati trovati nel cantiere di scavo di due botteghe artigiane. Secondo Claude Pouzadoux, direttrice del Centre Jean Bérard, questi cinque pompeiani erano probabilmente in fuga dall’eruzione del 79 d.C. e avevano cercato rifugio in uno di questi locali, dove invece sono rimasti intrappolati e sono morti. “Purtroppo”, continua, “questo luogo è stato devastato dai tombaroli tra la fine ‘700 e gli inizi ‘800, scavatori clandestini alla ricerca di oggetti preziosi e metalli. Il loro passaggio ha scomposto le ossa delle cinque vittime, che ora ci apprestiamo a ricomporre e a studiare. Ai saccheggiatori dell’epoca sfuggirono tre monete d’oro (tre aurei datati 74 e 77/78 d.C.) e un fiore in foglia d’oro, probabilmente un pendente di collana. E poi ci sono vasi di diverse forme, alcuni anneriti dalla cottura. E c’è anche un’anfora dal collo allungato, un urceus, tipico contenitore per il garum, l’apprezzata ‘colatura di alici’ che ancora oggi viene prodotta dai pescatori della costiera amalfitana, come saporita salsa di pesce, un gustoso condimento della cucina meridionale”.