A Reggio Emilia convegno internazionale nel 200° della nascita del concittadino don Gaetano Chierici, scienziato, sacerdote, patriota, insegnante, ma soprattutto il fondatore e il padre della paletnologia italiana

Don Gaetano Chierici, scienziato, sacerdote, patriota, insegnante, ma soprattutto il fondatore e il padre della paletnologia italiana
Fu sacerdote per scelta e vocazione e, pur subendo negli anni ostracismi e punizioni, non abbandonò mai la Chiesa né la fede. Fu patriota, monarchico, liberale e antitemporalista. Fu insegnante di vasta cultura, sia nelle discipline umanistiche sia in quelle matematiche. Fu impegnato nel sorgere delle prime istituzioni cattoliche a carattere sociale. Fu animatore dell’associazionismo culturale, come testimoniano gli incarichi ricoperti nella Deputazione di Storia Patria e nel Cai. Fu soprattutto un archeologo, in rapporto con gli ambienti più avanzati di questa disciplina, che partendo da studi classici approdò alla Paletnologia e contribuì a gettare le basi in Italia di questa “novissima scienza”. Don Gaetano Chierici fu tutto questo. Ma soprattutto con Luigi Pigorini e Pellegrino Strobel è stato il fondatore e il padre della paletnologia italiana. La sua città natale Reggio Emilia è pronta a ricordarlo alla grande l’anno prossimo, 2019, nel 200° anniversario della nascita. Gaetano Chierici nacque infatti a Reggio Emilia da Nicola e Laura Gallinari il 24 settembre 1819. E sempre a Reggio Emilia morì il 9 gennaio 1886.

Ricostruzione di una terramara realizzata da Gaetano Chierici (Archivi del musei civici di Reggio Emilia)
Il Comitato scientifico d’accordo con il Comitato promotore delle Celebrazioni per il bicentenario della nascita di don Gaetano Chierici ha deciso così di promuovere un Convegno sulla figura dello scienziato, del sacerdote, del patriota, dell’insegnante. Il convegno si terrà a Reggio Emilia nei giorni 19, 20, 21 settembre 2019. Sono previste escursioni in provincia di Reggio Emilia nei luoghi delle ricerche paletnologiche ed archeologiche di Gaetano Chierici. Fu proprio Chierici a introdurre nello studio della preistoria il metodo dello scavo stratigrafico. Scoprì i primi villaggi dell’Età della Pietra nell’Appennino Reggiano e contribuì notevolmente allo studio delle terramare e all’identificazione dell’Età del Rame come periodo compreso tra Neolitico ed Età del Bronzo. Inoltre fondò e diresse il Bullettino di paletnologia italiana ed istituì il museo di Storia patria di Reggio Emilia, di cui fu direttore.
Museo “Gaetano Chierici” di Paletnologia Diretta espressione del lavoro culturale del fondatore, il sacerdote Gaetano Chierici, il museo reggiano è preziosa testimonianza della scienza e della museologia del tardo Ottocento. Nel 1862 Chierici ordina il Gabinetto di Antichità Patrie, ampliato nel 1870 come museo di Storia Patria, il cui nucleo fondamentale è la Collezione di Paletnologia. Conservata negli arredi e con l’ordinamento originari, essa rappresenta la più diretta espressione del lavoro di un paletnologo nell’età in cui la ricerca preistorica si afferma anche in Italia. L’esposizione si articola in tre serie. La prima riunisce i materiali archeologici della provincia di Reggio Emilia. Rimangono ad essa subordinate le due serie con materiali extraprovinciali, che illustrano rispettivamente l’archeologia di altre regioni d’Italia, e con quelli pertinenti a culture archeologiche ed etnologiche di altri Paesi europei e di altri continenti. Una quarta sezione espone “sepolcri” trasportati intatti in museo. Nella serie locale i materiali, esposti integralmente, sono ordinati entro sequenze cronologiche e suddivisi per provenienza, per materia, per tecnologia, per tipologia. In questo metodo di lavoro, di impronta positivistica, si valorizzano gli apporti della Geologia, delle Scienze Naturali, dell’Antropologia. Alla morte del suo fondatore (1886) la Collezione fu ribattezzata museo “Gaetano Chierici” di Paletnologia.

Ricostruzione deal tomba di Cenisola nell’allestimento ottocentesco del museo Chierici (archivi dei musei civici di Reggio Emilia)
Il convegno scientifico internazionale “Don Gaetano Chierici a 200 anni dalla nascita” si articolerà in tre sessioni: 1 : il paletnologo e l’archeologo; 2 : il museologo, la tutela dei beni culturali nella seconda metà del XIX sec.; 3: il sacerdote, l’insegnante, il patriota, l’animatore dell’associazionismo culturale. Per ciascuna sessione sono previste relazioni, comunicazioni e posters. Le relazioni, a cura dei componenti il Comitato scientifico, avranno la durata di 20′. Si prevedono i seguenti titoli provvisori delle singole sessioni: 1: il paletnologo e l’archeologo: Gaetano Chierici nella Storia della Paletnologia, Gaetano Chierici e Luigi Pigorini, Gaetano Chierici e il metodo multidisciplinare, Gaetano Chierici e l’archeologia del territorio, Gaetano Chierici e il comparativismo etnografico, Gaetano Chierici e il Neolitico, Gaetano Chierici e l’Eneolitico, Gaetano Chierici e l’Età del bronzo, Gaetano Chierici archeologo classico, Gaetano Chierici e l’Età del ferro, Gaetano Chierici e l’Archeologia medievale. 2 : il museologo, la tutela dei beni culturali nella seconda metà del XIX sec.: Gaetano Chierici museologo, Gaetano Chierici e la politica degli scambi fra musei, Gaetano Chierici ispettore dei monumenti e scavi. 3: il sacerdote, l’insegnante, il patriota, l’animatore dell’associazionismo culturale: Gaetano Chierici sacerdote, Gaetano Chierici insegnante, Gaetano Chierici patriota, Il fondo “Don Gaetano Chierici” nella Biblioteca “Panizzi” di Reggio Emilia, Gaetano Chierici e la Deputazione di Storia Patria, Gaetano Chierici e il Club Alpino Italiano, Gaetano Chierici: l’uomo e la famiglia. Ogni comunicazione non potrà superare la durata di 15′. I riassunti delle comunicazioni e dei posters (non più di 1000 battute) dovranno essere inviati entro e non oltre il 30 settembre 2018 alla segreteria della Deputazione di Storia Patria Sezione di Reggio Emilia (deputazionereggioemilia@gmail.com), che le sottoporrà all’esame del Comitato Scientifico, cui è demandata la loro accettazione e la scelta se tradurle in comunicazioni orali o in posters.
Reggio Emilia, per i 90 anni di Anas, la mostra fotografica “Mi ricordo la strada” con immagini storiche della Via Emilia, amarcord tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento, arricchisce la mostra archeologica “On the road. Via Emilia 187 a.C. – 2017”
Per due giorni Roadshow #Congiunzioni, promosso in occasione dei 90 anni di Anas e realizzato dalla stessa Azienda, ha fatto tappa a Reggio Emilia, il 27 e 28 aprile 2018, proponendo la mostra fotografica “Mi ricordo la strada”, a cura di Emilia Giorgi e Antonio Ottomanelli, con una sezione dedicata alla Via Emilia dell’Italia del Boom economico del secondo dopoguerra. La proposta di Anas si associa perciò alla grande mostra archeologica “On the road. Via Emilia 187 a.C. – 2017”, dedicata alla strada consolare e al suo fondatore Marco Emilio Lepido, a cura di Luigi Malnati, Roberto Macellari e Italo Rota, in corso al Palazzo dei Musei Reggio Emilia fino al 1° luglio 2018, di cui l’Anas ha reso possibile anche la Guida alla visita, quale arricchimento attraverso una dimensione definibile – in maniera non più di tanto paradossale – di “archeologia del contemporaneo”. La mostra “On the road, Via Emilia 187 a.C. – 2017”, articolata in 400 reperti, diversi dei quali di assoluta importanza storico-archeologica, offre al pubblico un racconto su due livelli: il “sotto”, ovvero la storia antica di questa colossale opera viaria, e il “sopra”, ovvero l’attualità della Via Emilia. Le immagini “storiche” che Anas propone a corredo della grande esposizione giungono a completare quel progetto culturale e allestitivo, contribuendo in maniera significativa alla sua declinazione nel Contemporaneo.
In realtà le immagini fotografiche che Anas propone appartengono anch’esse al registro del ricordo, ma ad un ricordo che permane ancora nella memoria di molti. Offrono un intenso amarcord sulla Via Emilia nel secondo dopoguerra, tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento. Ci riportano ad una Via Emilia calcata da biciclette e cavalli, rade auto e motociclette per arrivare fino alla Fiat 600 del boom economico che solca un’Emilia fiancheggiata da cartelloni pubblicitari che fotografano consumo e benessere. Nel racconto è tutto il territorio che si specchia in una strada operosa che diviene essa stessa paesaggio e sfondo, luogo di passaggio e costruzione, che ritrae operai al lavoro, uomini in completo affacciati sull’uscio delle porte, chiese che sorgono ai bordi della strada, case cantoniere come benevole vedette di un’Italia in perenne corsa e trasformazione. Quell’Italia che arriva fino a noi, con le varianti alla statale pensate per alleggerire il traffico dai centri abitati e il nuovo ponte sul fiume Po. Immagini in bianco e nero di un “altro ieri” che ha creato l’oggi.

Modello di carro romano da trasporto merci e derrate (carrus) in mostra a Reggio Emilia (foto Graziano Tavan)
La lunga linea da Est a Ovest, che sembra segnare la rotta del Sole sulla Terra, la Via Emilia, percorsa dal 187 avanti Cristo dai legionari del console Marco Emilio Lepido, da mercanti in viaggio dal Mediterraneo o dal resto d’Europa, da coloni stanziali con i loro attrezzi e raccolti, da viandanti in cerca di fortuna e cavalieri coperti di gloria, ancora oggi – inossidabile al tempo – è luogo di identità, di lavoro e di vita per chi la percorre e per chi la abita, è cerniera fisica e simbolica tra i due mondi che l’Italia unisce e a cui l’Italia appartiene: il Mare Nostrum e il Vecchio Continente, con i loro popoli, le loro culture, i loro scambi. È così importante e funziona così bene, la Via Emilia, che è stata affiancata, quasi “clonata”, in una serie di altri landmark delle comunicazioni nazionali: la ferrovia storica, l’autostrada, la ferrovia Alta velocità. E oggi, inanellando le città che sono nate con lei 2200 anni fa e ancor prima, la Via consolare ospita un fiume di mezzi, pubblici, privati, commerciali, a motore, elettrici, a “propulsione umana” come la bicicletta. I rilevamenti dell’Anas, per dare un’idea precisa dell’importanza della Via Emilia per la mobilità, evidenziano numeri impressionanti: 136mila auto e 9200 camion, in media, ogni giorno dell’anno. Un traffico paragonabile a quello del Grande Raccordo Anulare di Roma. Una strada, assai nota anche con la sigla SS9, su cui si muovono la vita e lo sviluppo di un sistema-regione, l’Emilia-Romagna, e di un sistema di portata nazionale e internazionale, quale l’Italia settentrionale. Quell’intuizione di Marco Emilio Lepido, in altre parole, è oggi un asse strategico della mobilità e della logistica italiana.
“Un’occasione preziosa per celebrare”, affermano Ennio Cascetta e Gianni Vittorio Armani, presidente e amministratore delegato di Anas, “il ruolo fondamentale che Anas ha avuto nella modernizzazione del Paese, influenzandone lo sviluppo economico e culturale, dalla data di fondazione dell’Aass nel maggio del 1928 fino all’ingresso nel Gruppo FS Italiane a gennaio del 2018, solo l’ultimo dei passi compiuti nel processo di continua trasformazione di un’azienda che non si è fermata mai”. Ed Elisabetta Farioli, direttore dei Musei Civici di Reggio Emilia: “Con questa importante nuova sezione “On the road. Via Emilia 187 a.C. – 2017” approfondisce ulteriormente la storia ma anche l’attualità della strada consolare voluta da Marco Emilio Lepido e che da lui assume il nome. Allora rappresentava la strada utilizzata dall’esercito per difendere ed espandere i confini dell’Impero ma anche uno dei primi esperimenti urbanistici dell’antichità. I nuclei urbani che si trovavano sull’itinerario erano edificati a una distanza media l’uno dall’altro di circa 25 chilometri, corrispondenti a una giornata di marcia dell’esercito”.
Giochi e spettacoli nel mondo antico. A Reggio Emilia una giornata di studi internazionali sulle nuove scoperte che aprono nuovi scenari nel campo delle indagini sul divertimento nell’antichità

A Reggio Emilia la giornata di studi “Giochi e spettacoli nel mondo antico. Problematiche e nuove scoperte”
Barcellona, Volterra, Reggio Emilia. Ma anche Claterna di Ozzano dell’Emilia, Bologna e Lodi. Luoghi diversi, anche lontani tra loro. Eppure c’è qualcosa che li lega: la scoperta o la riscoperta degli anfiteatri romani e degli apprestamenti per il divertimento dei legionari al fronte, risultati archeologici importanti che aprono nuovi scenari nel campo delle indagini sul divertimento nell’antichità. Da questa premessa muove la giornata di studio “Giochi e spettacoli nel mondo antico. Problematiche e nuove scoperte”, sabato 24 marzo 2018, dalle 9.30 alle 18, alla Fondazione FAR Studium Regiense, in via San Filippo a Reggio Emilia. Promosso da Famiglia Artistica Reggiana Studium Regiense, con la partecipazione di studiosi di prestigiosi atenei italiani e stranieri e di archeologi pubblici e privati (tra cui quelli delle soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna, Mantova e Pisa) questo convegno internazionale, curato da Paolo Storchi (Sapienza Università di Roma – Scuola Archeologica Italiana ad Atene) e organizzato da P. Storchi, E. Badodi e G. Mete, intende presentare le più importanti novità sul tema degli spettacoli e dei giochi nel mondo antico. Curiosità, conferme e sorprese dal “mondo di sotto”, dai nuovi approcci di ricerca, come la geofisica e le ricostruzioni tridimensionali, all’anfiteatro individuato “scendendo in cantina”, dai ludi gladiatori agli agoni atletici, senza dimenticare i proverbi inventati da greci e romani per parlare del “mondo dello spettacolo” e le nuove prospettive dall’America precolombiana.
Ricco il programma che apre alle 9.30, con i saluti di Carlo Baldi (presidente della fondazione FAR Studium Regiense) e delle autorità. Alle 10, iniziano i lavori con la I sessione “Novità dall’Italia. Fra scavi, fonti antiche e nuove tecnologie” moderata da Roberto Macellari (università di Parma). Intervengono: 10.15: C. Calastri (AnteQuem; Archeoimprese), “Archeologia di cantina: la scoperta dell’anfiteatro di Bologna”; 10.35: R. Curina, M. Molinari, C. Negrelli (soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Ferrara e Reggio Emilia), “Dalla fotografia aerea allo scavo archeologico: il teatro romano di Claterna”; 10.55: E. Sorge (soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno), “La scoperta dell’anfiteatro di Volterra”; 11.15: R. Tosi (università di Bologna), “I Proverbi antichi riguardo gli spettacoli ed i giochi”. Dopo il coffee break, 11.55: P. Blockley; G. Mete (Ra.Ga srl), M. Camorani (G.S.T. srl), P. Storchi (Sapienza università di Roma-Scuola Archeologica Italiana ad Atene), “Elementi di novità dal Reggiano”; 12.15: D. Dininno (università di Pisa), “Il Circo Massimo nell’ambito urbanistico della Regio XI”; 12.35: L. Marsicano, S. Onofri (Sapienza università di Roma), M. Montanari (Open History Map), “Interagire con il passato: il caso del circo di Massenzio”. Pausa pranzo.
Nel pomeriggio, la II sessione “Nuove prospettive nella ricerca italiana”, moderata da Stefano Maggi (università di Pavia). Intervengono: 14.15: M. Bianchini (università della Campania L. Vanvitelli), “Il ruolo dell’opus caementicium nel processo evolutivo dell’architettura anfiteatrale”; 14.35: G. Legrottaglie (università Cattolica di Milano), “L’anfiteatro di Milano fra città e ager”; 14.55: M. Balbo (università di Torino), P. Storchi (Sapienza università di Roma-Scuola Archeologica Italiana ad Atene), “Divertirsi nelle campagne. Il curioso caso dell’Ager Saluzzensis”; 15-15: S. De Francesco, S. Jorio (soprintendenza Archeologica per le province di Lodi, Cremona e Mantova ), G. Mete (museo Archeologico di Laus Pompeia), “L’anfiteatro di Laus Pompeia, tra scavo e geofisica”; 15.35: D. Iacobone (Politecnico di Milano), “Il destino degli anfiteatri dopo l’antichità, nuovi dati”. Segue la III sessione “Principali novità dalle Province dell’Impero e fuori dal mondo romano”, moderata da Damiano Iacobone (Politecnico di Milano). Intervengono: 16.15: T. Wilmott (English Heritage), “Anfiteatri e campi militari in Britannia”; 16.35: T. Hufschmid (University of Basel), “Giochi e svago nella Svizzera romana”; 16.55: D. Bomgarder (university of Winchester), “Una rilettura del concetto di anfiteatro nel mondo romano”; 17.15: J. Sales-Carbonell (universitat de Barcelona), “Ipotesi di riconoscimento dell’anfiteatro di Barcino”; 17.35: G. Carosi (Sapienza università di Roma), “Edifici da spettacolo in area maya, un’analisi topografica”. Alle 17.55, saluti e brindisi di fine lavori.
“On the road”: nella mostra di Reggio Emilia si percorre la via Emilia da Ariminum a Placentia, viaggio nello spazio e nel tempo, tra la costruzione di ponti, le necropoli ai lati della carreggiata, le comodità delle mansiones e i prodotti tipici commerciati
A Est sorge Ariminum (l’odierna Rimini), fondata dai romani nel 268 a.C. sul fiume Marecchia (Ariminus), dove dal 220 a.C. terminava la via Flaminia, il collegamento più veloce da Roma per l’alto Adriatico. A Ovest, troviamo Placentia (l’odierna Piacenza), fondata nel 218 a.C., prima colonia romana in Italia settentrionale (Gallia Cisalpina) come importante avamposto militare contro la minaccia incombente di Annibale. E solo poco più di mezzo secolo più tardi, nel 148 a.C., avrebbe incrociato la via Postumia (da Genova ad Aquileia). A collegare le due colonie di Ariminum e Placentia, un lungo rettifilo di 262 chilometri, la via Emilia, fondata dal console Marco Emilio Lepido nel 187 a.C., toccando Caesena (Cesena), Forum Popilii (Forlimpopoli), Forum Livii (Forlì), Forum Cornelii (Imola), Claterna, Bononia (Bologna), Mutina (Modena), Regium Lepidi (Reggio Emilia), Tannetum (Sant’Ilario d’Enza), Parma, Fidentia (Fidenza). Sono passati 2200 anni dalla fondazione della via Emilia, celebrati con grandi mostre. Come quella che stiamo seguendo a Reggio Emilia. Ora, dopo aver avuto un’informazione generale sui reperti esposti, aver conosciuto il territorio della Gallia Cisalpina prima dell’arrivo dei romani, e aver visto alcuni elementi caratteristici di una via consolare, come i miliari, i mezzi di trasporto, e gli agrimensori, il percorso della mostra “On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017”, aperta fino al 1° luglio 2018 al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia, al piano terzo, nella cosiddetta Manica Lunga, sala centrale di 50 metri, immerge il visitatore nella Via Emilia/SS9, un viaggio nello spazio e nel tempo, da Piacenza a Rimini e oltre, che si propone di presentare l’ieri e l’oggi della Via Emilia: Marco Emilio Lepido e la sua città, Racconti per l’eternità (archeologia e sepolcri), La buona strada (tecniche costruttive) e Ruote, zoccoli, calzari (mezzi e dotazioni per il viaggio e il cammino).

L’originale allestimento della mostra “On the road” con gli exhibit archeologici (foto Carlo Vannini)
Alle estremità contrapposte della sala le testimonianze dei due capolinea: Ariminum, evocata con la ricostruzione dell’Arco di Augusto, che corrisponde all’innesto della Via Aemilia alla Via Flaminia, e l’esposizione del corredo funerario di uno dei primi coloni romani della città; e Placentia, ricordata con i rilievi di uno spettacolare fregio d’armi che coronava un monumento funerario. Cadenzano il percorso sette “espositori-teatrini”, exhibit archeologici avanzati (sette come i temi trasversali) che espongono i reperti insieme a piccole videoproiezioni che li animano e li rendono narrativi. I temi proposti sono: Limite, Ponte, Sepolture, Commercio, Foro, Locanda e Casa. Vediamo di approfondirne qualcuno.
“Nel sentire comune degli antichi romani”, spiegano i curatori, “la costruzione di un ponte ricadeva prima di tutto nella sfera del sacro: non a caso uno dei principali collegi sacerdotali di Roma era quello dei pontefici, cioè costruttori di ponti. E i romani erano in grado di costruire arditi ponti in murature ad arcate poggianti su pilastri grazie alla perizia dei propri ingegneri e alla scoperta dell’opus coementicium, una malta idraulica che permetteva di realizzare opere murarie di sostegno a diretto contatto con l’acqua”. Lungo la via Emilia famoso è il cosiddetto ponte di Tiberio a Rimini, realizzato in soli sette anni tra il 14 e il 21 d.C. Non meno peculiari in un tracciato stradale erano le sepolture. “Il cimitero romano non era infatti un recinto, come ai giorni nostri”, ricordano gli archeologi, “ma, in ossequio al divieto imposto dalle leggi delle XII tavole di seppellire i morti all’interno dei confini urbani, si articolava in allineamenti, quasi cortine, di tombe lungo le strade di accesso alle città”. Così era abbastanza frequente l’esortazione “Viandante, fermati a leggere”, rivolta ai passanti, che percorrevano una strada alle porte della città romana, dalle lapidi che ne accompagnavano il percorso. “Percorrendo queste vie sepolcrali il viandante poteva rivivere le esistenze di cittadini più o meno illustri attraverso le parole incise nella pietra dei monumenti funerari, così come essi stessi si erano presentati con evidenti intenti propagandistici”. La via Emilia, alle porte di Regium Lepidi, ospitò sepolture sia in direzione di Parma, sia di Mutina, dove era allestita la necropoli più monumentale perché imperniata sulla strada la cui proiezione raggiungeva Roma.
Lungo il percorso delle principali vie consolari, a un giorno di viaggio l’uno dall’altra, c’erano le mansiones, una sorta di servizio postale che doveva garantire il transito di magistrati e ufficiali imperiali e il trasporto di merci e informazioni lungo le strade, con corrieri a cavallo e postini. Le mansiones offrivano particolari comodità per il ristoro dei viaggiatori, come il lussuoso deversorium (albergo), l’impianto formale, il santuario locale, la stazione di polizia, il servizio medico e il ricovero ospedaliero, il negozio di rivendita, l’ufficio di cambio e il mercato. E nei dintorni non mancavano ristoranti (tabernae) e locande (stabulae) dove i clienti potevano intrattenersi con le stabulariae. Invece a V/VII, IX/X, ma anche XII miglia, lungo le vie consolari si trovavano le mutationes, per il cambio dei cavalli e dei mezzi, dove si poteva usufruire dei servizi di carrettieri, maniscalchi ed equarii medici, cioè veterinari specializzati nella cura dei cavalli.
La via Emilia risuonava del frastuono dei carri, con conduttori di muli (muliones) e trasportatori (conductores) ricordati nelle epigrafi funerarie. Il commercio non era considerato un vero lavoro, perché si riteneva non comportasse fatica e che il guadagno fosse legato alla frode. La vocazione commerciale di Regium Lepidi è implicita nella sua stessa originaria denominazione Forum, quindi di mercato, le cui attività erano poste sotto la protezione di Mercurio, dio delle vendite e dei guadagni, dei commercianti e dei viaggiatori. “Il piccolo commercio”, sintetizzano ancora gli archeologi, “poteva essere esercitato nelle botteghe (tabernae), originariamente costruite nel foro, ma anche su bancarelle all’aperto o sotto i portici della via Emilia. È probabile che nella basilica o macellum (mercato della carne e del pesce) del foro di Regium si svolgessero attività commerciali. Di queste rimangono stadere e pesi (in pietra, bronzo, piombo) garantiti dallo Stato sulla base dell’unità di misura, la libbra, pari a 327 grammi, con i suoi multipli, e l’oncia, pari a mezza libbra”. I commercianti erano riuniti in associazioni. Potentissima a Regium quella dei cardatori di lana (lanarii pectinatores et carminatores). “Perno dell’economia locale era infatti la compravendita dei prodotti dell’allevamento ovino, formaggi ma soprattutto lane, cui si affiancava quella dei frutti dell’agricoltura e delle carni porcine, tagliate e salate”.
Il percorso della mostra al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia incrocia altre città attraversate dalla Via consolare, le vie trasversali, le vie d’acqua, e le loro storie rappresentate dalla sequenza dei cippi miliari in originale o in calco, delle iscrizioni e di frammenti delle pile pertinenti ai ponti della Strada consolare, delle dediche a divinità protettrici della strada e dei viandanti. Protagoniste della grande parete le storie degli antichi romani, restituite attraverso i volti dei grandi attori protagonisti di film peplum a cui viene chiesto di interpretare storie vere tratte dalle fonti in un grande racconto che restituisce la complessa articolazione della società romana. In scena a citare storie e dar voce a personaggi, star di sceneggiati e kolossal quali Orson Welles, Kirk Douglas, Charlton Easton, Russel Crow, Marlon Brando, Richard Burton ed Elizabeth Taylor, Peter Ustinov e Patricia Laffan, Bekim Fehmiu, Irene Papas, Peter O’Toole. L’installazione multimediale a soffitto, con riprese effettuate al livello zero della Via Emilia di oggi, racconta invece l’attualità della strada. L’oggi diventa storia delle comunità e delle persone.
(3 – continua; precedenti post il 14 e 16 gennaio 2018)
“On the road”: in cammino sulla via Emilia. Nella mostra di Reggio Emilia, si va dalla sala Regium Lepidi 3D al tracciato in epoca preromana, ai miliari fino alla descrizione dell’itinerario da Gades a Roma

Frammento del fregio dalla Basilica Emilia con costruttori di città, conservato al museo nazionale Romano (su concessione del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo)
Strada come viaggio della vita, scrive Jack Kerouac nel suo On the road, come luogo di partenza-arrivo-ripartenza, perché l’andare è importante quanto la meta. “Strada, è quanto mai il caso della via Emilia”, sottolinea il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, “in cui è facile tornare, e fermarsi, abitare, incontrare, fondere idee, culture, invenzioni, oggetti, soprattutto popoli e persone”. E allora, dopo esserci fatti un’idea sommaria della mostra “On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017” aperta fino al 1° luglio 2018 al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/01/14/on-the-road-la-mostra-di-reggio-emilia-propone-una-riflessione-sulla-storia-della-via-emilia-e-sul-suo-fondatore-sul-significato-della-strada-nella-contemporaneita-in-un-itinerari/), accogliamo l’invito del primo cittadino reggiano e iniziamo il nostro cammino lungo la via Emilia, seguendo l’allestimento dell’esposizione curata da Luigi Malnati, Roberto Macellari e Italo Rota. Nell’atrio del Palazzo dei Musei ci accoglie il portale Aemilio’s Road che, evocando la facciata di un tempio romano, esibisce il particolare del fregio della Basilica Aemilia in Roma, dove viene rappresentato Marco Emilio Lepido come costruttore di città. Superato il portale, prima di affrontare il percorso vero e proprio della mostra, scopriamo le collezioni storiche conservate tutte al piano terra del Palazzo dei Musei.
È qui infatti che si aprono il chiostro dei marmi romani (allestito in forma di giardino archeologico agli inizi del XX Secolo per ospitare i numerosi reperti architettonici romani rinvenuti nella necropoli di San Maurizio) e il portico dei marmi, dove sono esposti in sequenza i monumenti funerari riportati alla luce dal XV Secolo ad oggi fra Villa Ospizio e San Maurizio, vera e propria Via Emilia dei defunti, che ogni viandante avrebbe percorso in arrivo o in uscita da Regium Lepidi. E non dimentichiamo l’installazione in “realtà aumentata”, predisposta dalla Duke University, della ricostruzione della città romana Regium Lepidi 3D, la cui tecnologia è stata implementata, grazie al sostegno del Lions Club Reggio Emilia Host, proprio in occasione dell’avvio del progetto “2200 anni lungo la Via Emilia”. La “Sala Regium Lepidi 3D”, è stata infatti inaugurata l’8 aprile 2017 per dar vita a un museo virtuale permanente all’insegna della Cyber Archeologia. Oggi come allora, immersi nell’architettura dell’antica Regium Lepidi, quando i romani ne percorrevano le strade in toga e calzari, si può vivere un’esperienza unica, che consente una full immersion nella città antica grazie a sofisticate apparecchiature all’avanguardia come i caschi immersivi Oculus Rift, le postazioni olografiche di Z-space, le proiezioni 3D di Dreamoc, i QR code in realtà aumentata e la visualizzazione stereo-immersiva del paesaggio archeologico.

Il soprintendente Luigi Malnati illustra la stele etrusca trovata in via Saffi a Bologna (foto Graziano Tavan)
Un’indicazione stradale, SS 9, la moderna via Emilia, ci distoglie dalla Regium Lepidi virtuale e ci invita a salire al primo piano dove comincia il percorso vero e proprio della mostra con la prima sezione “La Via Emilia prima della Via Aemilia”. Sulla parete l’attualità della via Emilia è sottolineata dal testo di “Canzone per un’amica” di Francesco Guccini: “Lunga e diritta correva la strada, l’auto veloce correva, la dolce estate era già cominciata, vicino a lui sorrideva”; mentre la presenza della grande balena fossile rinvenuta nel Reggiano pone il tema delle grandi trasformazioni del territorio della regione. E poi c’è la grande stele etrusca in arenaria (475 – 450 a.C.) con la raffigurazione di un carro, scoperta recentemente durante gli scavi della soprintendenza in via Saffi a Bologna. Insieme con altri reperti provenienti dal Reggiano documenta il tracciato stradale in età preromana, con particolare riferimento al primo Millennio a.C., quando si manifesta una primo utilizzo del percorso che attraversa il territorio da Est a Ovest nella fascia di media pianura, vettore di una cultura scritta che fa del territorio reggiano uno dei più precocemente interessati dalla diffusione della scrittura di tutta l’Italia settentrionale.

Il cippo miliario della via Emilia con nome di Marco Emilio Lepido e distanza da Roma, Castel San Pietro Terme, conservato al museo Archeologico di Bologna (foto Graziano Tavan)
La via consolare romana la incontriamo al secondo e al terzo piano dove, nel cubo vetrato dello scalone monumentale del Palazzo dei Musei, alcuni importanti reperti introducono il tema della Via Emilia, a cominciare dal grande cippo miliare proveniente dal museo Archeologico di Bologna, che riporta una esplicita intestazione a Marco Emilio Lepido, ed è quindi una delle rare tangibili testimonianze del console costruttore di strade. Tutto l’ambiente è caratterizzato dalla partizione in misure e numeri riferiti alla lunghezza della strada, alle sue ortogonalità, alle distanze tra le città, ai tempi di percorrenza secondo una grafica ben individuata che accompagnerà tutto il percorso espositivo come imprescindibile riferimento alla geografia della strada e all’ambiente che la circonda. È qui che incontriamo alcuni degli “oggetti” che caratterizzano una strada, come il carro qui riproposto in una ricostruzione in scala 1:1, o i morsi in bronzo dei cavalli, fino ai modellini dei moderni mezzi di locomozione.

Modello di carro romano da trasporto merci e derrate (carrus) in mostra a Reggio Emilia (foto Graziano Tavan)
“Nell’antica Roma esistevano numerose tipologie di carro”, spiegano gli archeologi curatori, “ognuno con caratteristiche differenti in base al loro utilizzo. Una prima distinzione va fatta tra i mezzi utilizzati per il trasporto di persone e quelli adibiti al carico di merci: i carri per il trasporto di persone a loro volta si differenziavano tra mezzi leggeri e veloci, utilizzati da un numero esiguo di passeggeri e per coprire brevi tratte (calessi e carrozze) e carri utilizzati per viaggi lunghi, che potevano trasportare più passeggeri (diligenze)”. Calessi sono il cisium, il covinnus e l’essedum, monoassi a due ruote con telaio senza copertura, trainati da un cavallo, per un passeggero con conducente. Il carpentum era invece una carrozza monoasse, con copertura ad arco, trainata da due animali, per due-tre passeggeri. Tra i carri pesanti c’era il reda, a due assi, trainato da due cavalli, per viaggi di lunga durata: poteva trasportare 4 passeggeri o mille libbre di carico (3,25 quintali). Per lunghi viaggi veniva utilizzata anche la carruca dormitoria, a due assi, trainato da quattro animali, con telaio robusto coperto da un tendone in cuoio con finestrelle. I sei passeggeri potevano contare su vere e proprie cuccette. Tra i carri agricoli, famoso era il plaustrum, con due ruote piene, molto lento. Più agile, ma sempre con due ruote piene, era il sarracum, usato nei campi. Infine c’era il carrus, come quello ricostruito in mostra, destinato al trasporto di merci e derrate, ma anche a trasporti militari: con quattro ruote a otto raggi, e trainato da muli, aveva un pianale chiuso da fiancate lisce o da una piccola ringhiera per trattenere il carico fino a 600 libbre (circa 20 quintali).

La scultura dell’agrimensore proveniente dal museo della Civiltà romana di Roma esposta a Reggio Emilia
Il percorso della mostra ci porta poi a conoscere uno dei quattro vasi in argento iscritti (databili al 330 d.C.), quasi un’imitazione in piccola scala delle pietre miliari, scoperti nel 1852 presso la fonte termale delle Aquae Apollinares a Vicarello (Bracciano), mai uscito prima d’ora dal museo nazionale Romano: riporta inciso un itinerario con le stazioni e le relative distanze dell’intero percorso da Gades, l’odierna Cadice, a Roma, un viaggio di 1835-1842 miglia romane (circa 2700 chilometri). Completano questa sezione, caratterizzata da un lungo murales che mette in dialogo la via Emilia con le altre direttrici di collegamento che in tempi recenti l’hanno affiancata, ma non soppiantata (ferrovia storica, ferrovia Alta velocità, autostrada, perfino rotte aeree), la scultura dell’agrimensore proveniente dal museo della Civiltà romana di Roma e un rarissimo esempio di modello di lituo in bronzo da Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia), che era l’insegna dell’augure, magistrato/sacerdote addetto alle fondazioni urbane e al tracciamento delle strade. “Presso gli antichi romani”, spiegano i curatori, “l’agrimensore, detto gromaticus, era un tecnico specializzato, una sorta di ingegnere che svolgeva compiti civili e militari, come la misurazione dei terreni pubblici, la suddivisione dell’agro da assegnarsi ai coloni, la definizione della pianta dell’accampamento legionario. L’agrimensore si chiamava gromaticus perché usava la groma, uno strumento utilizzato per tracciare sul terreno allineamenti ortogonali”. Il lituo, invece, era il bastone ritorto e senza nodi impugnato dagli auguri nei riti più sacri, come la definizione del perimetro e delle partizioni del templum, il settore della volta celeste all’interno della quale si potevano trarre gli auspici. Il lituo, come la maggior parte degli strumenti liturgici, fu acquisito dai romani dalle insegne sacerdotali di antica origine etrusca. E proprio da un contesto caratterizzato da strade etrusche, pavimentate e orientate secondo le disposizioni della più antica disciplina religiosa, proviene il frammento di modello di lituo in bronzo del VI-V sec. a.C., esposto in mostra.
(2 – continua; precedente post il 14 gennaio 2018)
“On the road”: la mostra di Reggio Emilia propone una riflessione sulla storia della via Emilia e sul suo fondatore, sul significato della strada nella contemporaneità, in un itinerario che va dalle popolazioni preromane, ai romani, all’avvento del Cristianesimo e Medioevo. Oltre 400 reperti, molti inediti, “messi in scena” con la mediazione di spezzoni di celebri film peplum e il concorso della multimedialità e della tecnologia digitale
Immaginate di essere un centurione romano che marcia al fianco dei legionari agli ordini del console: loro stanno andando a consolidare la sicurezza della Gallia Cisalpina. I Boi sono stati gli ultimi a cadere nell’ultimo scorcio del III sec. a.C. A pochi decenni dalle decisive battaglie di Cremona (200 a.c.) e Mutina (194 a.C.) è ora più facile raggiungere velocemente la pianura Padana: c’è un’asse rettilineo che si incunea come una spada affilata nel cuore della Cisalpina, da Rimini a Piacenza. È la via Emilia, voluta dal console Marco Emilio Lepido nel 187 a.C. Da allora sono passati 2200 anni e noi, come gli antichi legionari, possiamo ancora percorrere fisicamente quella via consolare il cui nome e tracciato rimasti sono così peculiari da dare il nome all’intera regione, l’Emilia-Romagna. Ma possiamo scegliere anche un percorso virtuale che ci permette di conoscere i segreti della via Emilia, la sua costruzione, le sue strutture, i suoi servizi, ma anche le città sorte lungo il suo tracciato e le popolazioni che le abitavano. È quanto proposto dalla mostra “On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017” aperta fino al primo luglio 2018 in una città simbolo, Reggio Emilia, che ha preso il nome dal console che tracciò la via Emilia, Marco Emilio Lepido appunto, il quale giocò un ruolo da protagonista anche nel dare forma istituzionale al Forum che da lui prese il nome, Forum o Regium Lepidi.

Lo straordinario ritratto del console Marco Emilio Lepido proveniente dal museo Archeologico nazionale di Luni (foto Carlo Vannini)

La presentazione della mostra “On the road”: da sinistra, l’architetto Italo Rota, il soprintendente Luigi Malnati, il ministro Graziano Delrio, il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, la vicepresidente dell’Emilia Romagna Ottavia Soncini, e il direttore dei civici musei Elisabetta Farioli
“On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017”, curata da Luigi Malnati, Roberto Macellari e Italo Rota, è promossa dai Musei Civici del Comune di Reggio Emilia, dal Segretariato regionale del ministero dei Beni e delle Attività culturali e Turismo (Mibact) per l’Emilia-Romagna unitamente alla stessa soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna e la Fondazione Pietro Manodori, con il contributo Art Bonus di Credem e Iren, il patrocinio di Anas, sponsor CarServer. Nell’ambito del progetto di promozione della cultura e del territorio “2200 anni lungo la Via Emilia”, Reggio Emilia – con la grande mostra “On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017” propone specificamente una riflessione sulla storia della via Emilia e sul suo fondatore, sul significato della strada nella contemporaneità, in un itinerario che include Età Romana, pre-Romana (Etruschi, Celti, Liguri), avvento del Cristianesimo e Medio Evo, Contemporaneità. Reggio è l’unica città emiliana che conserva nel proprio nome il ricordo del fondatore (eponimo), ma anche della strada su cui si impostava l’intero popolamento della regione che, a sua volta, da essa avrebbe preso nome. Particolare attenzione è dedicata perciò alla riscoperta della figura di Marco Emilio Lepido, il geniale costruttore che, sgominati i Celti e i Liguri, decise la costruzione di una lunghissima strada che collegava le colonie di Rimini e Piacenza, ma anche alla sua fortuna nel corso dei secoli.

Nella suggestiva immagine da satellite dell’Italia si riconosce subito il rettilineo della via Emilia
“C’è tanto di noi in questa On the road “, ha detto il sindaco Luca Vecchi all’inaugurazione, “mostra archeologica in chiave dichiaratamente contemporanea, dedicata a una strada nata come linea di confine tra la civiltà romana e altre popolazioni e divenuta ben presto sistema di connessione e integrazione fra persone, luoghi, città, merci, culture diverse. Edmondo Berselli, a millenni dalla loro fondazione, ha scritto delle città emiliane che sono tanto simili tra loro e quanto sono diverse le une dalle altre: è lo stesso effetto Via Emilia giunto intatto sino a noi, ovvero il saper convivere nelle diversità, connettendole”. E l’architetto Italo Rota, curatore dell’allestimento: “La Via Emilia è per me uno dei grandi gesti dell’umanità. Non a caso è uno dei pochi luoghi perfettamente distinti dai satelliti, e forse non a caso la sua direttrice coincide con tante rotte aeree. Le strade evolvono, possono scomparire senza lasciare traccia: non la Via Emilia, che esiste, vive nei territori che attraversa, si moltiplica senza cambiare percorso ed è nel contempo una miniera di antichi reperti. L’archeologia è materia difficile. Abbiamo pensato di proporre questo grande scenario, che rappresenta una cosa astratta quale la linea della Strada nello spazio e nel tempo, declinando accanto a essa in miniature i luoghi di vita, lavoro, viaggio, che raccontano ai visitatori un luogo antico, contemporaneo, molteplice”.

La statua 3D di Marco Emilio Lepido posta in piazza del Monte, sulla via Emilia, nel cuore di Reggio Emilia
“On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017” è articolata in più sedi: quella principale è al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia, alla quale si affiancano il Palazzo Spalletti Trivelli del gruppo bancario Credem e il Museo Diocesano. Ma anche non si possono dimenticare altri luoghi pertinenti, fra cui la sede del Municipio, dove è stata restaurata la scultura settecentesca di Marco Emilio Lepido, che accoglie il visitatore ai piedi dello scalone d’onore. E una riproduzione 3D del monumento dedicato al console, realizzata con stampanti digitali e in polistilene è stata collocata nel cuore di Reggio Emilia, in piazza del Monte, sulla Via Emilia e da qui indica la sede espositiva di Palazzo dei Musei. Proprio al Palazzo dei Musei, l’allestimento su tre piani, a cura dello stesso architetto Italo Rota, si pone l’ambizioso obiettivo di restituire alla sensibilità contemporanea i preziosi reperti archeologici esposti – più di 400: della città, della regione e prestati da grandi istituzioni nazionali, quali il museo nazionale Romano e il museo della Civiltà romana di Roma, il museo Archeologico di Bologna e il museo Archeologico nazionale di Luni – nella ferma convinzione che l’antico non possa non essere oggi osservato se non con occhi contemporanei. Persone, vicende storiche, società romana vengono restituite in raffinati display che ricostruiscono in piccola scala i principali ambienti di vita dell’antica strada romana valorizzando e contestualizzando i materiali archeologici originali, “messi in scena” anche tramite la mediazione di spezzoni di celebri film peplum e il concorso della multimedialità e della tecnologia digitale.

Il prezioso bicchiere da Vicarello (Bracciano) con la più antica rappresentazione figurata di una strada (su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Museo Nazionale Romano)
Per tutta l’età romana e fino alla caduta dell’impero, la strada ha costituito un elemento fondamentale di coesione e collaborazione tra le città che attraversava, veicolo indispensabile per persone, merci e idee. Le diverse popolazioni che avevano abitato la regione dalla protostoria proprio attraverso la via Emilia vennero incluse via via nel modello culturale e civile portato da Roma, che successivamente poté essere adottato anche dalle popolazioni che da tutte le parti dell’impero e da oltre il limes confluirono in Emilia. La mostra è l’occasione per presentare le novità provenienti dagli scavi degli ultimi venti anni a Reggio Emilia e nel suo territorio, ma anche per illustrare col prestito di reperti molto significativi l’itinerario della strada. Tra le opere esposte, alcune hanno lasciato per la prima volta la loro sede originaria, come il bicchiere d’argento da Vicarello (Bracciano) del museo nazionale Romano, con la più antica rappresentazione figurata di una strada; il ritratto di Marco Emilio Lepido da Luni; la stele etrusca con la raffigurazione di un carro dal recente scavo di via Saffi a Bologna; o il fregio d’armi di età romana repubblicana di Piacenza. È tempo dunque di conoscere meglio la Via Emilia. “Camminiamo, idealmente e realmente, lungo la via Emilia: quale luogo migliore per avere consapevolezza di noi stessi e per farci conoscere?”, è l’invito del sindaco di Reggio Emilia, Vecchi. E allora mettiamoci in cammino… on the road.
(1 – continua)
Le aquile romane invadono Reggio Emilia: nell’ambito del progetto“2200 anni lungo la via Emilia” in centro la rievocazione storica “Aemilia, la strada dell’Impero: il ritorno delle legioni” con il gruppo di Archeologia Sperimentale Legio I Italica
I legionari porteranno l’aquila di Roma nel cuore di Reggio Emilia. Domenica 22 ottobre 2017, dalle 9 alle 18, la Legio I Italica invaderà pacificamente il parco del Popolo di Reggio Emilia a 2200 anni dalla sua fondazione per volontà del console Marco Emilio Lepido, che la istituì come forum intorno al 175 a.C., cioè come luogo di incontro tra Galli e Liguri autoctoni e coloni romani, lungo quell’asse strategico che era la via Aemilia, tracciata nel 187 a.C. dallo stesso Marco Emilio Lepido, favorendo così il radicamento di una cultura in grado di superare differenze tra popolazioni e alimentare relazioni. E fare della strada o della via Aemilia, elemento unificante della regione che tuttora ne conserva il nome, un ponte fra la romanità e la contemporaneità e luogo ideale in cui generare dibattiti, punti di vista, confronti tra antichità e attualità, tradizione e innovazione, è quanto si propone Reggio Emilia nell’ambito del progetto“2200 anni lungo la via Emilia” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/04/12/la-via-emilia-ecco-il-ricco-calendario-di-grandi-mostre-presentazione-di-ricerche-e-scoperte-archeologiche-ricostruzioni-3d-cyber-archeoologia-ed-eventi-per-celebrare-i-2200-anni-dalla-fondazione/), promosso unitamente alle città di Modena e Parma e Bologna con uno specifico programma di iniziative e mostre da ottobre 2017 a luglio 2018.
L’appuntamento al parco del Popolo davanti monumento dei Concordi, il recinto funerario della Gens Concordia (I sec. d.C.) rinvenuto a Boretto nel 1929, e dal 1930 nei giardini di Reggio, una delle più interessanti espressioni del rilievo funerario romano di tutta l’Italia settentrionale. Il recinto formava un quadrilatero all’interno del quale furono rinvenuti quattro ustrini (aree sacre), evidentemente corrispondenti alle deposizioni dei defunti menzionati nell’iscrizione e ritratti sulla stele, inquadrata da due semicolonne a scanalature elicoidali coronate da capitelli corinzi. Queste sorreggono una trabeazione a cui erano sospese a festone ghirlande di bronzo, delle quali non restano che i fori per il fissaggio. Gli apparati figurativi contengono riferimenti ai temi dello scorrere del tempo, del trapasso, della vita nell’aldilà. I nomi dei quattro personaggi sono restituiti dall’iscrizione: la liberta Munatia Rufilla dedica il monumento funebre a Caius Concordius Primus, a Caius Concordius Rhenus e alla figlia Concordia Festa. I due Concordii, entrambi liberti, avevano ricoperto la carica del sevirato, dedicandosi al culto dell’imperatore.
È qui, in questo angolo che respira di storia, che si potrà seguire a ingresso gratuito la rievocazione storica “Aemilia, la strada dell’Impero: il ritorno delle legioni” del gruppo di Archeologia Sperimentale Legio I Italica, fondato a Rovigo nel 1996 per divulgare l’evoluzione dell’esercito romano dall’ epoca arcaica al Tardo impero. Le rievocazioni in tutta Italia ed all’estero costituiscono un appuntamento molto atteso sia dagli studiosi, sia dal vasto pubblico degli appassionati. A Reggio Emilia sei tende e venti figuranti tra civili e legionari, per un’intera giornata, animeranno il parco e la città con attività, esercitazioni, dimostrazioni e manovre militari relative all’età Repubblicana nel rigoroso rispetto della filologia e delle fonti storiche che hanno ispirato il gruppo fin dalle origini nelle attività di ricostruzione storico-culturale. Strategie, tattiche, schieramenti, armamento, equipaggiamento, addestramento e combattimento sono solo alcuni degli argomenti della vita da campo. Ma alle tematiche prettamente marziali il gruppo affianca anche lo studio degli aspetti antropologici che completano l’universo legionario, nelle loro molteplici sfaccettature: religione, tradizione, medicina, usi e costumi accompagneranno il visitatore in un avventuroso viaggio a ritroso nel tempo e in un percorso didattico che non mancherà di affascinare.
Commenti recenti