Vicenza. Tre incontri a tema a corollario della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana. Protagonisti gli stessi curatori: Corinna Rossi, Paolo Marini e Cédric Gobeil

Mostra “I creatori dell’Egitto eterno”: da sinistra, Paolo Marini, Corinna Rossi, Christian Greco, Francesco Rucco, Simona Siotto, Cédric Gobeil (foto graziano tavan)
Tre incontri a tema a corollario della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza fino al 7 maggio 2023. E a tenerli saranno gli stessi curatori della mostra, Corinna Rossi, Paolo Marini e Cédric Gobeil. Gli incontri sono a ingresso libero fino ad esaurimento posti. Si inizia venerdì 27 gennaio 2023, alle 17.30, con Corinna Rossi, docente di Egittologia al Politecnico di Milano, che terrà l’incontro “La tomba egizia come microcosmo” alle Gallerie d’Italia – Vicenza, museo di Intesa Sanpaolo, istituto bancario partner dell’esposizione (contra’ Santa Corona 25, Vicenza). Secondo appuntamento giovedì 23 febbraio 2023, alle 18: Paolo Marini, egittologo e curatore del museo Egizio, discuterà di “Timori e speranze a Deir el-Medina. Storie di geni, divinità mostruose e serpenti”, nella sede di Cereal Docks (via dell’Innovazione 1, Camisano Vicentino), nel contesto dell’iniziativa culturale “Carta Bianca l’arte in azienda”, aperta ai collaboratori del Gruppo Cereal Docks e alla cittadinanza. A concludere il ciclo di conversazioni sarà Cédric Gobeil, egittologo e curatore del museo Egizio, che venerdì 17 marzo 2023, alle 18, parlerà di “La vita quotidiana degli antichi egizi alla luce della scoperta di Deir el-Medina”, a Palazzo Chiericati (piazza Matteotti 37/39, Vicenza).

Statuetta in legno della dea Tauret, dedicata dal disegnatore Parahotep, venerata in ambito domestico, proveniente da Deir el Medina, e conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
Il percorso espositivo presenta 180 reperti, 160 provenienti dalle collezioni del museo Egizio e 20 dal Louvre di Parigi: statue, sarcofagi, papiri, bassorilievi, stele scolpite e dipinte, anfore, amuleti e strumenti musicali permettono di ricostruire la vita quotidiana degli abitanti di Deir el-Medina. Tra i tesori esposti a Vicenza anche il sarcofago antropoide di Khonsuirdis e il corredo della regina Nefertari, che torna in Italia dopo diversi anni di tour all’estero, in prestito a musei ed enti internazionali. Ai reperti originali si uniscono alcuni contenuti multimediali, che senza sostituirsi all’imprescindibilità della cultura materiale, intendono ampliare, come una sorta di “doppio digitale”, le informazioni e le conoscenze che gli oggetti stessi ci tramandano (vedi Vicenza. Christian Greco, direttore del museo Egizio, introduce alla visita della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana. Ecco la sua prolusione alla presentazione ufficiale | archeologiavocidalpassato).
Vicenza. Boom di visitatori nei primi 17 giorni della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, con effetto traino su tutti gli altri musei cittadini

In coda per entrare alla mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza (foto comune vi)

Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023
In fila in piazza dei Signori a Vicenza. Attendono di entrare in Basilica palladiana per la mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, curata dal direttore del museo Egizio di Torino. Christian Greco; dalla docente di Egittologia al Politecnico di Milano, Corinna Rossi; dagli egittologi e curatori del museo Egizio, Cédric Gobeil e Paolo Marini, con 180 reperti originali, 160 provenienti dal museo Egizio e 20 dal Louvre di Parigi, tra i quali statue, sarcofagi, papiri, bassorilievi, stele scolpite e dipinte, anfore, amuleti, strumenti musicali, che permettono di ricostruire la vita quotidiana degli abitanti di Deir-el Medina (vedi Vicenza. Christian Greco, direttore del museo Egizio, introduce alla visita della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana. Ecco la sua prolusione alla presentazione ufficiale | archeologiavocidalpassato).

Visitatori nella mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza (foto comune vi)

Il faraone Ramses II tra il dio Amon e la dea Mut, gruppo in granito dal tempio di Amon a Karnak (XIX dinastia, regno di Ramses II, 1279-1213 a.C.), conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
Un successo di pubblico. Nei primi 17 giorni di apertura ha totalizzato oltre 15mila visitatori paganti. Un’onda lunga che ha interessato tutti i musei civici di Vicenza che, grazie all’effetto traino dell’esposizione e alla netta ripartenza del turismo dopo due anni di pandemia, hanno raddoppiato gli ingressi, superando quota 20mila. È decisamente incoraggiante il bilancio delle prime due settimane di apertura della grande mostra sugli Egizi, allestita in Basilica palladiana fino al 7 maggio 2023. Dal 22 dicembre 2022 all’ 8 gennaio 2023, cioè in 17 giorni di apertura, sono stati 15551 gli ingressi a pagamento registrati dalla mostra “I creatori dell’Egitto eterno”, per un incasso pari a 146314 euro. Nello stesso periodo le sette sedi museali cittadine hanno registrato complessivamente 20800 ingressi, più del doppio dello stesso periodo dell’anno scorso, quando erano stati staccati in tutto 9727 biglietti. Con 9082 biglietti venduti, il più visitato risulta il Teatro Olimpico: nello stesso periodo dell’anno scorso aveva accolto 4383 visitatori.

In coda per entrare alla mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza (foto comune vi)
“All’emozione di rivedere le code di cittadini e turisti che attendono di entrare in mostra e alla soddisfazione di raccogliere i tanti commenti positivi all’uscita dalla Basilica”, commentano il sindaco di Vicenza Francesco Rucco e l’assessore alla Cultura Simona Siotto, “oggi possiamo a pieno titolo affiancare la certezza di numeri importanti, registrati durante tutte le feste natalizie, non solo dall’esposizione, ma anche dai musei civici che hanno saputo sfruttare al massimo i riflettori accesi sulla città grazie agli Egizi. Dal Teatro Olimpico a Palazzo Chiericati, tutte le sedi museali hanno raddoppiato i propri ingressi, segno che i visitatori hanno accolto appieno la composita proposta espositiva di Vicenza, città d’arte”.
Vicenza. Christian Greco, direttore del museo Egizio, introduce alla visita della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana. Ecco la sua prolusione alla presentazione ufficiale

Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023

Mostra “I creatori dell’Egitto eterno”: da sinistra, Paolo Marini, Corinna Rossi, Christian Greco, Francesco Rucco, Simona Siotto, Cédric Gobeil (foto graziano tavan)
Nell’anno, il 2022, in cui vengono celebrati gli anniversari di due avvenimenti fondamentali per la storia dell’Egittologia, i 200 anni dalla decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion e il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, il museo Egizio di Torino cura, per la prima volta in Italia, un progetto espositivo così importante “al di fuori del museo”, presentando una straordinaria selezione di reperti e sviluppando un tema centrale per gli studi egittologici. Parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana a Vicenza fino al 7 maggio 2023 (e durante le festività, fino all’8 gennaio 2023, sempre aperta dalle 10 alle 18, eccetto Capodanno dalle 13 alle 18), fortemente voluta dalla Città di Vicenza e curata dal direttore del museo Egizio, Christian Greco, dalla docente di Egittologia al Politecnico di Milano, Corinna Rossi, dagli egittologi e curatori del museo Egizio, Cédric Gobeil e Paolo Marini. Qualche numero: 180 reperti originali, 3 installazioni multimediali, 4 curatori, 2 prestatori (museo Egizio di Torino e museo del Louvre di Parigi), 17mila prenotazioni, 550 gruppi, 1 città (Vicenza).

L’allestimento della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” nella Basilica palladiana di Vicenza (foto graziano tavan)

Christian Greco, Francesco Rucco e Simona Siotto alla presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza (foto graziano tavan)
In occasione della presentazione ufficiale della mostra, prima della vernice, alla presenza del sindaco di Vicenza Francesco Rucco e dell’assessore alla Cultura Simona Siotto, il direttore dell’Egizio Christian Greco nella sua prolusione ha introdotto gli elementi più significativi che hanno sotteso la realizzazione della grande mostra, e il perché della scelta del villaggio di Deir el Medina e dei suoi abitanti per il senso della vita e della vita dopo la morte secondo gli antichi Egizi. Grazie a una registrazione live del regista veneziano Alberto Castellani, che l’ha gentilmente messa a disposizione di archeologiavocidalpassato.com, tutti gli appassionati possono così prepararsi meglio alla visita della mostra.
“Questa mostra, grazie al lavoro di tutti, vi permetterà di fare un viaggio ideale – lo si vede già dal video all’inizio dell’esposizione – tra Vicenza e Deir el Medina”, annuncia Christian Greco. “E quando Guido Beltramini, direttore del Cisa, mi disse Vorremmo una mostra dell’Egitto a Vicenza, pensare a Deir el Medina fu immediato. Perché era pensare a un villaggio, a un insediamento di cui conoscevamo le vite delle donne e degli uomini che vi avevano lavorato; era vedere l’altra faccia della medaglia, era collegarlo a quell’idea che era piaciuta molto al sindaco che l’ha voluto porre anche come manifesto per Vicenza candidata alla capitale della Cultura: l’idea di fabbrica, ovvero di un contesto sociale ed economico che lavora assieme per una trasformazione. Ebbene, a Deir el Medina avvenne questo.

Statua della dea Sekhmet (XVIII dinastia, regno di Amenofi III, 1390-1353 a.C.) conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“E quindi voi, visitando la mostra – spiega Greco -, vi troverete catapultati prima nella sponda Est della Tebe del Nuovo Regno, dove vengono eretti i grandi templi delle divinità locali che diventano divinità nazionali: Amon, colui che è nascosto – questo significa il nome -, che diventa la divinità principale dell’Egitto, profondamente legata alla regalità. E, come ricordava l’assessore Simona Siotto, l’esistenza e la caducità dell’esistenza era un qualcosa che interrogava molto gli Egizi e quindi proprio in quel periodo nella sponda Ovest di Tebe (vedrete la magnifica statua di Sekhmet) cominciarono a erigere i templi cosiddetti di milioni di anni, dove il culto del faraone potesse essere portato avanti.

La stele dedicata ad Amenofi I e Amhose Nefertari da Amenepimet e dal figlio Amennakht, conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Servivano però delle maestranze – fa notare il direttore del museo Egizio -, servivano delle persone che sapessero progettare, operare, scavare nella roccia, trasformare le pareti, levigarle, fare la sinopia. Dopo di ché scolpirle, e poi ancora con i pigmenti trasformare completamente questo spazio. Oggi si parla molto di metaverso. Ma cosa c’è di più metaverso della per djet, della casa per l’eternità, di quello spazio cioè che, una volta varcata la soglia, diventava la casa del faraone per sempre? Uno spazio però in cui valevano delle regole diverse, delle regole spazio-temporali completamente diverse. Non erano più in questa realtà. Serviva quindi uno sviluppo del tempo diverso, dal tempo ciclico che era il tempo del dio Sole, che ogni giorno risorge e di notte combatte contro Apofis e poi può tornare sulla terra. E il faraone, una volta entrato, dopo il rituale dell’Apertura della Bocca, era completamente trasformato.

Il faraone Ramses II tra il dio Amon e la dea Mut, gruppo in granito dal tempio di Amon a Karnak (XIX dinastia, regno di Ramses II, 1279-1213 a.C.), conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Prima l’assessore Siotto ricordava come si potrebbe definire la vita. Allora – continua Greco – i biologi e i filosofi si interrogano molto. E a me ha sempre molto colpito vedere immagini su cui i biologi lavorano molto: che differenza c’è tra una persona nel momento in cui è in vita e il momento successivo in cui la vita non c’è più? Cos’è la vita? Ebbene oggi ci dicono che nel momento successivo non ci sono più quelle connessioni, non ci sono più le connessioni molecolari, non c’è più l’energia, non c’è più lo scambio. E pensate che gli Egizi questo l’avevano capito perfettamente già nel Medio Regno, e codificato nel Nuovo Regno. E l’hanno capito in una serie di cose. Hanno capito che la persona era complessa. La persona era composta dal corpo. Però se io cadessi morto in questo momento gli egiziani mi definirebbero cadavere. Il corpo doveva ridiventare immagine vivente della persona, ricomponendo una serie di cose: ricomponendo il nome, ricomponendo l’ombra, ricomponendo il ba che è l’anima che può trasmigrare da questo all’altro regno, il ka che è la forza vitale, e mettendo assieme tutto questo potevano tornare a vivere.

Statuetta in legno della dea Tauret, dedicata dal disegnatore Parahotep, venerata in ambito domestico, proveniente da Deir el Medina, e conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Ebbene quindi in mostra – sintetizza Greco – vedrete come vivevano gli abitanti di Deir el Medina, questo villaggio voluto da Amenofi I e dalla madre Ahmose Nefertari, che per 600 anni ospita 120 famiglie che hanno un unico compito: quello di costruire le tombe nella Valle dei Re e nella Valle delle Regine. Il loro nome è “servitore nel luogo della verità (Set Maat)”, e avevano forse il lavoro più importante al mondo, cioè quello di consegnare all’eternità la vita dei faraoni in modo che il loro culto potesse perpetrarsi. Però non era un mero culto regale, era un qualcosa di più vitale, di cosmico. Lo vedrete nel video curato da Corinna Rossi, e ringrazio Robin Studio per il lavoro eccellente che anche questa volta hanno fatto, che vi farà fare un viaggio all’interno di uno dei progetti più antichi al mondo, il progetto della tomba di Ramses IV. La vedrete trasformata, potrete viaggiare assieme al faraone, come questo spazio era un nuovo spazio di vita.

Dettaglio del modellino della Tomba di Nefertari, scoperta da Ernesto Schiaparelli nel 1904, conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“La mostra continua Greco – vi farà riflettere sulla wehem meswt, sulla rinascita, su quello che gli egiziani chiamavano la nuova vita che non era la morte. Ci saranno gli elementi che tutti noi ricolleghiamo all’Egitto, ovvero i sarcofagi, che sono quel luogo di trasformazione che permette al corpo di tornare a nuova vita. E passando dalla prima alla seconda parte della mostra, passerete proprio dalla vita del villaggio alla vita nell’aldilà e incontrerete un personaggio importantissimo, incontrerete Nefertari, la cui tomba fu trovata nel 1904 da Ernesto Schiaparelli. E vedrete il modello che Schiaparelli ha fatto fare. Ma vedrete anche le statuette funerarie. E vedrete gli oggetti che Nefertari si era portata con lei. Pensate, c’è persino una manopola con sopra il nome di Ahy, un faraone che era vissuto più di 200 anni prima, e quindi forse lei era legata ad Ahy che era stato sovrano dell’Egitto; o era un oggetto di famiglia caro, un ricordo che lei volle portare tomba. Non dobbiamo pensare che gli egiziani fossero degli alieni. Avevano lo stesso trasporto per la cultura materiale che abbiamo noi.

Ushabti in faience del faraone Seti I (XIX dinastia, 1290-1279 a.C.) conservati al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“In mostra si possono vedere le statuette in faiance, meravigliose, di un altro grande sovrano, Seti I, proprio di fronte a Nefertari. Vedrete i sarcofagi gialli. Vedrete il sarcofago di XXV dinastia che ci fa vedere un’evoluzione dell’iconografia.
“Però volevamo chiudere facendovi vedere anche la fine di questa storia. Amenofi I e Ahmose Nefertari hanno voluto questo villaggio. Questo villaggio ha funzionato. Poi probabilmente – oggi si direbbe – l’Egitto aveva speso troppo rispetto alle proprie necessità. Già all’epoca di Ramses III cominciamo ad assistere a dei disagi sociali, e nell’epoca di Ramses XI, probabilmente durante la vita di Butehamon, venne abbandonato il villaggio. Non è sicurissimo, perché alcuni ostraka, sia figurativi sia letterari, forse ci attestano una continuazione della vita nel villaggio. Però sappiamo sicuramente che Butehamon fondò un suo ufficio, la casa, forse anche la sua tomba nel tempio di Medinet Habu, qualche chilometro più a Sud, in un posto che era protetto. E sappiamo che Butehamon aveva un compito importantissimo: lui andava in giro per la necropoli, perché abbiamo ritrovato i suoi graffiti, a mettere in sicurezza i sarcofagi che venivano depredati. A Londra c’è un documento, il Robbery Papyrus, che ci parla del fatto di come fosse finito questo periodo dell’Eldorado, di come una vedova viene interrogata da un magistrato che le chiede ma perché tuo marito notte tempo si è introdotto in una tomba e ha rubato dei bacili di bronzo? e lei risponde perché con quello io e i miei figli abbiamo mangiato per tre anni. “E allora abbiamo voluto farvi riflettere anche su questo: come questa parabola del villaggio si concluda anche con un periodo di crisi e lo facciamo vedere – a mio giudizio in modo esemplare – utilizzando le nuove tecnologie, facendovi vedere il sarcofago di Butehamon, colui che mise in sicurezza i sarcofagi delle necropoli e al contempo, mentre lo faceva, prese dei pezzi per mettere in sicurezza anche il proprio.

Sarcofago giallo femminile, in legno e stucco, del Terzo periodo intermedio (XXI dinastia, 1076-943 a.C.) conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“È una mostra quindi – conclude – che ci fa riflettere sulla vita, sulla vita dopo la morte, sull’esistenza, sulle difficoltà dell’esistenza, su come il lavoro veniva organizzato, su come si svilupparono anche delle credenze locali, e su come c’è un tema etico che pare trascendere i limiti temporali della storia. Alla fine anche per gli Egizi, come molto spesso anche per noi, quello che contava era maat, era la giustizia, era la verità, ed era l’unica cosa che ci permetteva di vivere bene sulla terra e di poter ambire a una vita dopo. E allora auguriamoci anche noi, come si auguravano gli antichi Egizi, di diventare maat keru, veritieri di voce, e di poter essere dotati di vita come il dio Sole per sempre”. Buona visita.
Vicenza. Dietro le quinte della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi artigiani e operai al servizio del faraone”: a pochi giorni dall’apertura i tre curatori approfondiscono scelte dell’allestimento, identikit degli operai/artisti e attualità dell’Antico Egitto

Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023
Chi erano e dove vivevano le maestranze che hanno forgiato le tombe dei faraoni? Quali erano i loro talenti? Con i curatori della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi artigiani e operai al servizio del faraone” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 andiamo a scoprire il dietro le quinte e i dettagli della mostra coordinata da Christian Greco, direttore del museo Egizio, e curata da Corinna Rossi, professore associato di Egittologia al Politecnico di Milano, da Cédric Gobeil e Paolo Marini, egittologi e curatori dell’Egizio. Sei domande, due per ogni curatore: Corinna Rossi è invitata a spiegare come nasce questa mostra, le difficoltà di allestimento e la tecnologia applicata alla divulgazione; Cédric Gobeil ci fa conoscere il villaggio di Deir el-Medina, come era organizzato, e chi erano i suoi abitanti, gli operai/artisti per le dimore eterne dei faraoni; Paolo Marini infine si sofferma sull’attualità dell’Antica Egitto e su cosa accomuna o distingue gli antichi operai da quelli rinascimentali o moderni.

Corinna Rossi (politecnico di Milano) (foto graziano tavan)
Qualche episodio del “dietro le quinte” della mostra, dalle fasi di studio alla progettazione degli allestimenti? Corinna Rossi: “Ogni mostra, prima di essere aperta al pubblico, conosce una fase di studio, poi una fase di ragionamento su cosa portare, ma poi soprattutto sul come trasportare gli oggetti. Questa per la mostra di Vicenza è stata una fase di studio particolarmente complessa. Parliamo di Antico Egitto, e quindi a statue gigantesche in pietra. Ma abbiamo dovuto fare i conti anche con la Basilica Palladiana e con gli spazi espositivi che sono al primo piano destinati ad ospitare gli oggetti abbastanza pesanti. E quindi la scelta degli oggetti si è orientata in questa direzione, cioè a oggetti che potessero essere effettivamente trasportati e sollevati al primo piano e sostenuti dal pavimento della Basilica nel corso della mostra. Quindi c’è stato uno studio attentissimo che ha coinvolto tecnici ed esperti sia da parte degli architetti allestitori che da parte delle istituzioni a Vicenza per raggiungere questo risultato. È una mostra che celebra la perizia degli antichi operai ma non dimentichiamoci di celebrare la perizia dei tecnici e degli operai che hanno reso possibile questa mostra”.

Cédric Gobeil (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)
Il villaggio di Deir el-Medina era una fucina di talenti. Quale era la sua struttura e come divenne il polo produttivo per cui è celebre ancora oggi? Cédric Gobeil: “La struttura del villaggio di Deir el-Medina è molto semplice, è un insieme di 68 case. Nel suo stato finale, nel periodo ramesside, è circondata da un muro di cinta, e ognuna di queste case aveva una struttura veramente ideale e tipica di circa quattro stanze, in modo tale che ogni lavoratore potesse beneficiare degli stessi servizi e pari accesso alle risorse. Queste persone erano sotto l’autorità di un visir, che è una specie di primo ministro, che era proprio sotto il faraone, e direttamente sotto l’autorità di uno scriba reale che viveva con gli operai a Deir el-Medina. Questi lavoratori vivevano quindi nel villaggio con le loro famiglie, mogli e figli. E la cosa importante è che la maggior parte di queste persone avevano una specialità manuale, un lavoro manuale. Quindi possiamo, ad esempio, nominare disegnatori, pittori, muratori, scultori così come carpentieri. Ciascuno di questi mestieri era necessario per l’elaborazione delle tombe reali, compreso lo scavo, ma anche la decorazione delle tombe che troviamo oggi nelle cosiddette Valli dei Re e delle Regine, proprio dietro il villaggio di Dei el-Medina”.

Paolo Marini (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)
Perché l’Antico Egitto suscita così tanto interesse nella contemporaneità? In cosa risiede la sua “attualità”? Paolo Marini: “I motivi sono differenti, primo tra tutti sicuramente il fatto che ancora l’Antico Egitto sia al centro di tantissime ricerche da parte di tantissimi studiosi. Gli scavi che operano sul suolo egiziano sono innumerevoli per cui le scoperte che ancora oggi vengono compiute sono davvero straordinarie. Negli ultimi tempi, a esempio, è stata scoperta una cachette con all’interno numerosissimi sarcofagi e oggetti di corredo funerario e che ci illustrano un’epoca molto problematica dal punto di vista storico come quella che noi egittologi chiamiamo Epoca Tarda, e questo ovviamente suscita nel non addetto ai lavori sempre un interesse eccezionale anche per la qualità dei reperti. E l’interesse storico archeologico che questi riescono a trasmettere”.

Corinna Rossi (politecnico di Milano) (foto graziano tavan)
Quale ruolo gioca la tecnologia in una mostra di stampo archeologico e quale posto occupa nell’allestimento all’interno della Basilica Palladiana? Corinna Rossi: “In una mostra come quella di Vicenza in cui portiamo oggetti antichissimi fragili piccoli, la componente immateriale della mostra può giocare un ruolo molto importante perché attraverso le nuove tecnologie noi riusciamo a portare all’attenzione del pubblico dettagli che sarebbero altrimenti invisibili perché troppo piccoli o invisibili, proprio perché non visibili a occhio nudo, e riusciamo anche a convogliare verso l’esterno i risultati delle ricerche che sono state effettuate nel corso degli anni da quanti hanno studiato in maniera approfondita questi reperti. Quindi la mostra sarò accompagnata da una serie di installazioni multimediali che avranno proprio questo scopo: non sostituirsi all’oggetto, ma allargare il punto di vista e ampliare il ventaglio di informazioni che possono essere convogliate al grande pubblico”.

Cédric Gobeil (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)
Qual è l’identikit di “scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”? Cédric Gobeil: “Per avere un’idea precisa di chi fosse questo operaio di Deir el-Medina, ci sono alcuni tratti che qui possono essere evidenziati. Prima di tutto sono membro di un’élite. Non siamo più in un’élite legata all’Alta Corte, ma in un’élite tra lavoratori, tra lavoratori specializzati. E questo lavoratore ha una qualità: quella di poter esercitare mestieri manuali estremamente richiesti, estremamente preziosi per l’elaborazione, lo scavo e la decorazione delle tombe reali. E in quel momento può essere uno scultore, un muratore e un pittore per esempio. Si dovrebbe anche considerare che questo individuo, questo lavoratore è in grado di scrivere. In ogni caso diciamo che nella stragrande maggioranza dei casi sono in grado di scrivere e leggere il che dà loro accesso a testi magici e anche alla letteratura per poter raccontare storie. L’importante è che queste persone abbiano potuto quindi scrivere appunti in modo tale da lasciare traccia ai posteri. Ed è così che oggi siamo in grado di ricreare chi era questo operaio di Deir el-Medina”.

Paolo Marini (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)
Che cosa differenzia gli artisti/artigiani dell’Antico Egitto da quelli rinascimentali e da quelli di oggi? Paolo Marini: “La domanda pone un problema di tipo metodologico perché quando si parla di antiche civiltà è molto difficile poter parlare allo stesso tempo di artisti e di arte: questi sono concetti che si sviluppano soltanto in epoche successive. Nel caso specifico dell’Antico Egitto è molto difficile, ad esempio, individuare personalità artistiche o artigianali proprio perché c’è un concetto e un’organizzazione del lavoro che è completamente differente da quello che sicuramente lo era nel Rinascimento. Gli artigiani lavoravano in squadre, in diversi su un unico soggetto e ognuno occupandosi di quelle che erano le proprie competenze. Pertanto alla fine di un lavoro era anche molto difficile riuscire a determinarne la paternità”.
Al museo Egizio di Torino i protagonisti scientifici della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone” hanno presentato l’evento a un mese dall’apertura in Basilica Palladiana di Vicenza: oltre 180 oggetti (tra cui una ventina dal Louvre) danno uno spaccato della vita quotidiana in Egitto 3500 anni fa

Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023

Corinna Rossi (politecnico di Milano) (foto graziano tavan)

Cédric Gobeil (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)

Paolo Marini (museo Egizio Torino)
Poco meno di un mese per il grande evento che in Basilica Palladiana a Vicenza chiude il ciclo “Grandi mostre in Basilica”: parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023. Curata dal direttore del museo Egizio di Torino Christian Greco, da Corinna Rossi, professore associato di Egittologia al Politecnico di Milano, da Cédric Gobeil e Paolo Marini, egittologi e curatori dell’Egizio, la mostra restituisce uno spaccato della vita quotidiana nell’antico Egitto, con un focus particolare su Tebe, l’odierna Luxor, e Deir el-Medina, il villaggio, fondato intorno al 1500 a.C., dove scribi, disegnatori e artigiani lavoravano per costruire e decorare le tombe dei faraoni nelle Valli dei Re e delle Regine, plasmando l’immaginario dell’antica civiltà nata sulle rive del Nilo.

La Basilica Palladiana nel cuore di Vicenza, capolavoro di Andrea Palladio, sede della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” (foto comune di vicenza)
Il progetto “Grandi Mostre in Basilica” è ideato e promosso dal Comune di Vicenza e dal museo Egizio, con il patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Vicenza, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio” e la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza. La promozione e l’organizzazione sono curate da Marsilio Arte, che ne pubblica il catalogo. Tra i partner dell’esposizione Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia – Vicenza, Fondazione Giuseppe Roi, AGSM AIM, Confindustria Vicenza, LD72, Beltrame Group ed Euphidra.

La presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” al museo Egizio di Torino: da sinistra, il sindaco Francesco Rucco, l’assessore Simona Siotto, il direttore delle Gallerie d’Italia Michele Coppola, e il direttore dell’Egizio Christian Greco (foto graziano tavan)
I protagonisti scientifici e politici della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone” si sono ritrovati al museo Egizio di Torino a quattro settimane dal taglio del nastro per la presentazione ufficiale davanti a un nutrito gruppo della stampa specializzata e a egittologi, ricercatori e restauratori convenuti per conoscere in anteprima il grande evento culturale che ha convolto in prima linea tutto lo staff tecnico-scientifico del museo Egizio con la collaborazione del museo del Louvre di Parigi.

Stele dedicata da Smen, al fratello Mekhimontu e a sua moglie Nubemusekhet (Nuovo Regno, XVIII dinastia) da Deir el Medina, conservata al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
L’esposizione riunisce infatti più di 180 oggetti: oltre ai reperti dell’Egizio, ci sono una ventina di prestiti dal Louvre di Parigi. In esposizione capolavori della statuaria, sarcofagi, papiri, bassorilievi, stele scolpite e dipinte, anfore e amuleti. Molti i tesori che verranno svelati in occasione dell’esposizione, tra cui il sarcofago antropoide di Khonsuirdis e il celebre corredo della regina Nefertari, che torna in Italia, a Vicenza, dopo diversi anni di tour all’estero. Installazioni multimediali e riproduzioni in 3D arricchiscono il percorso espositivo: tra le curiosità la storia in 3D del sarcofago dello scriba Butehamon, che restituisce al visitatore quasi una biografia dell’oggetto a partire dalla sua costruzione e l’istallazione multimediale che svela i segreti del Papiro della tomba del faraone Ramesse IV.
“Chiudiamo un ciclo importante”, interviene il sindaco di Vicenza Francesco Rucco, “con una mostra sugli Egizi guidata da Christian Greco il direttore del museo Egizio, che oggi ci ospita per la presentazione. Sarà un bellissimo connubio tra Vicenza città del Palladio e Torino che ospita il museo Egizio. Quindi una collaborazione all’interno del monumento nazionale di Vicenza, una valorizzazione anche del nostro territorio che avrà sicuramente un grande riscontro nazionale”. E continua: “La Basilica palladiana, Monumento nazionale e una delle massime espressioni architettoniche di Andrea Palladio, è il luogo più visitato e ammirato di Vicenza. La mostra sugli Egizi – osserva – chiuderà il ciclo delle tre Grandi mostre, avviato nel 2019, con un evento internazionale che sta già suscitando notevole interesse. La mostra segue l’esposizione “La Fabbrica del Rinascimento” in cui i visitatori hanno potuto approfondire la conoscenza del Cinquecento a Vicenza, periodo di invenzioni che hanno reso la città veneta un territorio dinamico e vivace sotto il profilo economico e culturale. Attraverso reperti dell’antico Egitto, tra cui sarcofagi, statue monumentali e oggetti preziosi, che verranno esposti nel grande salone della Basilica, sarà possibile un confronto tra l’operosità di Vicenza nel Rinascimento e Deir el-Medina, il villaggio egiziano in cui vissero gli artigiani che costruirono e decorarono le tombe reali della Valle dei Re e delle Regine, sulla sponda occidentale del Nilo, di fronte alla capitale Tebe”.
“Questa mostra”, sottolinea Simona Siotto, assessore ala Cultura del Comune di Vicenza, “è innanzitutto un’operazione culturale. Portare 180 pezzi, di cui 170 dal museo Egizio nella Basilica Palladiana che è monumento nazionale, patrimonio mondiale dell’Unesco, non è stato affatto semplice. Il senso però è quello di valorizzare un luogo straordinario, che però è anche piuttosto complesso perché è molto grande, e di renderlo se possibile ancora più bello attraverso una mostra che vuole insegnare qualcosa. Io ci tengo sempre a dirlo: non c’è grande cultura se non c’è una scelta dietro. E queste sono le uniche mostre che mi sento di organizzare. Apriamo il 21 dicembre una mostra che resterà aperta fino al 7 maggio 2023, e che va a investigare su quello che era la quotidianità anche nell’antico Egitto, coloro che in qualche modo hanno creato la prima grande architettura, messa all’interno di una delle opere più belle del più grande architetto del Cinquecento, che ha insegnato che attraverso la bellezza si trasformano le città. Un insegnamento di cui vogliamo essere testimoni ancora oggi”.
“La mostra nasce per rendere omaggio a Vicenza con un progetto culturale che potesse legarsi e sposarsi con quanto si è fatto negli ultimi tre anni in Basilica”, ricorda Christian Greco, “e su quanto può funzionare all’interno del tessuto culturale di Vicenza. Allora, dopo la grande mostra sul Rinascimento, facciamo una mostra che ci parla di coloro che erano i creatori dell’Egitto eterno, ovvero gli operai, gli artigiani, gli artisti che hanno collaborato per creare le tombe e le tombe erano – potremmo definirlo il metaverso – lo spazio in cui il defunto entrava in una nuova dimensione, doveva essere assimilato al dio Sole e viaggiare in un periplo costante attorno alla Terra. Parlare quindi di quale era la concezione teologica della trasformazione che il defunto aveva dopo la fine della vita terrena in quello che gli Egiziani chiamano “la nuova nascita” era fondamentale, però noi lo volevamo fare raccontando la storia delle donne e degli uomini, la storia delle persone che hanno vissuto a Deir el Medina, uno dei pochi insediamenti culturali che noi abbiamo in cui troviamo dei frammenti di vita quotidiana: e a questa prima parte abbiamo dedicato uno spazio espositivo molto importante. E quindi ci racconterà delle vite di creatori dell’Egitto eterno e poi di come la tomba diventasse un elemento di trasformazione del defunto”. E continua: “Si è trattato di un lavoro sugli archivi e sulla materialità degli oggetti. Il tutto per permettere al visitatore di intraprendere un viaggio nella Tebe del Nuovo Regno, di conoscere coloro che lavorarono nelle necropoli reali e comprendere quali fossero gli elementi iconografici e testuali che rendevano la tomba una “casa per l’eternità”, una dimensione nuova dove il sovrano poteva intraprendere il suo viaggio e iniziare la wehem meswt, la sua rinascita”.
“Il tema di questa mostra”, entra nel merito la curatrice Corinna Rossi, “è la creazione dell’Egitto che noi conosciamo, nel senso che gli operai di Deir el Medina che realizzarono le tombe dei faraoni, in realtà realizzarono-materializzarono l’Aldilà degli Egizi, e quindi lo resero luogo, lo decorarono in maniera che questo luogo potesse ospitare il faraone e condurlo alla vita eterna. Ovviamente le tombe dei faraoni erano paradigmatiche, ma a seguire tutte le tombe di nobili e di chi se lo poteva permettere tendevamo a mantenere gli stessi criteri. Questa mostra è dedicata alle persone che hanno realizzato le immagini che fanno parte proprio dello stesso immaginario dell’antico Egitto per noi: tantissimi oggetti dell’Antico Egitto che conosciamo in realtà venivano creati per accompagnare appunto i defunti nell’Aldilà. Quindi è una mostra un po’ a cavallo tra la vita prima della morte e la vita dopo la morte”.
Civita Castellana. Bilancio campagna di scavo sul colle del Vignale, su cui sorgeva l’antica Falerii: trovate strutture murarie monumentali dell’età del Bronzo
L’obiettivo? Indagare il processo di strutturazione e gestione di questa città preromana, l’antica Falerii, dopo la conquista romana, con la nascita di Falerii Novi. Si è conclusa il primo luglio scorso la campagna di scavi sul colle del Vignale (Civita Castellana), uno dei due rilievi su cui sorgeva la città antica, pressoché non toccato dall’urbanizzazione. E condotta, su concessione ministeriale, dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza Università di Roma (Insegnamento di Civiltà dell’Italia preromana), in forte collaborazione con la soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Etruria meridionale. È il coronamento di un processo di ricerca che dura da molto tempo: 15 anni fa si è partiti dalla ricerca nei depositi dei musei e degli archivi e poi sono state sviluppate le indagini non invasive (voli multispettrali e termici da drone e georadar) e le ricognizioni territoriali del 2020; ora gli scavi recenti. Un’operazione possibile grazie al finanziamento della Fondazione CARIVIT e del Comune di Civita Castellana. Andata ben oltre le aspettative.

Antica Falerii: campagna di scavo sul colle del Vignale 2022: struttura in blocchi di tufo, la cui fase ultima di utilizzo è databile tra IV e III sec. a.C. (foto filippo materazzi)
Due le aree di scavo scelte: una nei pressi della sommità del colle e una più prossima al declivio. Nella prima sono emerse tracce di attività agricole (arature degli anni ’80 del secolo scorso e trincee delle vigne del XVIII-XIX secolo), ma anche un’interessante struttura in blocchi di tufo, la cui fase ultima di utilizzo è databile tra IV e III sec. a.C. Nell’altra addirittura alcune strutture murarie monumentali, oltre quelle inerenti alla città, riconducibili all’età del Bronzo e a un periodo compreso tra VIII e inizi VI sec. a.C.

Antica Falerii: campagna di scavo sul colle del Vignale 2022: strutture murarie monumentali riconducibili all’età del Bronzo e a un periodo compreso tra VIII e inizi VI sec. a.C. (foto filippo materazzi)
Lo scavo di Vignale è costola di un progetto più articolato, il “Falerii Project”. Si è tornati ad indagare qui da quando, alla fine dell’800, Raniero Mengarelli ispezionò la porzione orientale del colle, rinvenendo i resti del santuario di Vignale. Uno scavo emozionante, che ha unito allo stesso tempo ricerca scientifica, consapevolezza storica ed esperienza umana. Centrale è stata la sinergia con il museo Archeologico dell’Agro Falisco, ma soprattutto col Comune di Civita Castellana, proprietario del terreno in cui si sono svolti gli scavi, che ha acquistato l’altura di Vignale alla fine degli anni ’90 per realizzarvi un parco cittadino a forte vocazione archeologica. E che presto siglerà anche un protocollo d’intesa decennale con il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza Università di Roma; ciò permetterà poi di continuare le indagini. Intanto si stanno eseguendo, in collaborazione con il Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta” del Politecnico di Milano, analisi mirate sui frammenti di intonaci e sui materiali edilizi dell’alzato delle strutture architettoniche.
Negrar. La nuova campagna di scavo ha interessato il settore Ovest della Villa dei Mosaici: emersi mosaici con raffigurazioni di animali che hanno riscontri in Oriente. Ma ora servono nuovi finanziamenti per proseguire le ricerche e indagare sull’area produttiva della villa: olio e, forse, vino

I mosaici con raffigurazioni di animali emersi dallo scavo archeologico nel peristilio Ovest della Villa dei Mosaici a Negrar di Valpolicella (foto sabap-vr)

Gianni De Zuccato, archeologo della Soprintendenza di Verona, sullo scavo della Villa dei Mosaici di Negrar (foto Comune di Negrar)
Di trovare nuove porzioni di mosaici in soprintendenza ne erano sicuri. Ma certo non di trovare dei mosaici con raffigurazioni così belle da richiamare “altre iconografie molto più famose come la Villa degli Uccelli di Alessandria d’Egitto”. Parola dell’archeologo Gianni De Zuccato, direttore dello scavo alla Villa dei Mosaici di Negrar di Valpolicella (Vr). E questo è solo un dettaglio dei risultati raggiunti in questa nuova fase di ricerca su cui è stato fatto il punto nei giorni scorsi da parte del soprintendente Vincenzo Tinè. Lo scavo è infatti ripreso a gennaio 2022. Questa volta è stata interessata la nuova area di proprietà della Società Agricola Franchini che, come già l’Azienda Benedetti, ha generosamente messo a disposizione i mezzi e sostenuto le spese per le operazioni preliminari allo scavo nel quadro di uno specifico accordo di valorizzazione pubblico-privato tra la soprintendenza e i proprietari. Ma ora per la prosecuzione degli scavi necessita urgentemente di ulteriori contributi finanziari per consentirne il completamento.

Una fase degli scavi del marzo 2022 nel peristilio Ovest della Villa dei Mosaici a Negrar di Valpolicella (foto sabap-vr)
Anche questo nuovo intervento è realizzato dalla SAP – Società Archeologica, sotto la direzione scientifica di Gianni De Zuccato della Soprintendenza. Il finanziamento è stato concesso dal Bacino Imbrifero Montano dell’Adige, grazie all’intervento del Comune di Negrar di Valpolicella, che fin dall’inizio ha affiancato la soprintendenza nelle nuove ricerche nel sito. L’università di Verona – Dipartimento Culture e Civiltà collabora agli scavi e agli studi, mentre l’Accademia di Belle Arti di Verona al restauro conservativo dei mosaici e dei materiali rinvenuti, con cui il Comune di Negrar di Valpolicella ha già attivato un protocollo d’intesa per la valorizzazione culturale del territorio.

L’ampia area di scavo della Villa dei Mosaici a Negrar di Valpolicella (foto Comune di Negrar)
Lo scavo archeologico della Villa romana dei Mosaici di Negrar di Valpolicella, intrapreso negli anni ’20 del secolo scorso è stato riavviato dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio nel 2019, mettendo in luce su un’ampia area di proprietà dell’Azienda Agricola Benedetti le strutture residenziali della villa. Particolare rilievo mediatico hanno avuto l’anno scorso i pavimenti mosaicati, ancora straordinariamente conservati di questa villa, che sono ora in corso di restauro e valorizzazione. L’Azienda Agricola Benedetti è fatta carico delle prime coperture provvisorie della parte residenziale scavata lo scorso anno che, oltre alla protezione, renderanno possibile il restauro e la visione pubblica dei mosaici in attesa del completamento dello scavo e della musealizzazione di tutta l’ampia area archeologica messa in luce, la cui progettazione è affidata al Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Mantova (vedi Negrar di Valpolicella (Verona). A meno di un anno dalla ri-scoperta della Villa dei Mosaici, una villa rustica a carattere residenziale e produttivo di media età imperiale (III sec. d.C.), Comune Soprintendenza e Aziende vitivinicole siglano un patto per lo scavo, la musealizzazione e la valorizzazione del sito immerso tra i vigneti: archeologia e vino, due eccellenze in sinergia. Il ministro Franceschini: “Modello di rapporto pubblico-privato da esportare” | archeologiavocidalpassato).

Lo scavo archeologico alla Villa dei Mosaici a Negrar di Valpolicella è realizzato dalla SAP – Società Archeologica, sotto la direzione scientifica di Gianni De Zuccato della Soprintendenza di Verona (foto sabap-vr)

Alberto Manicardi, archeologo della Sap (foto sap)

Il soprintendente di Verona Vincenzo Tinè (foto mic)
L’intervento di questi primi mesi del 2022 si è concentrato sul peristilio Ovest della villa. “Diversamente dagli altri lati del peristilio che hanno restituito bei mosaici geometrici”, spiega De Zuccato, “qui abbiamo trovato raffigurazioni di animali, e di altri soggetti, di una certa qualità, con l’uso di tessere dai colori vistosi. A prima vista queste raffigurazioni guardano a Oriente. La qualità sembra superiore a quella delle altre parti del peristilio: le tessere sono più piccole. Il disegno sembra molto più curato. Anche la parte geometrica sembra più complessa e più curata. Con il settore Ovest della villa abbiamo individuato quello che potrebbe essere il muro limite Ovest, ma vediamo che ci sono dei muri che continuano ancora. Quindi non abbiamo al certezza assoluta”. E Alberto Manicardi, archeologo Sap, ricorda che è stato tolto tutto lo strato che seppelliva la stratigrafia archeologica e anche il livello agricolo che copriva direttamente le strutture residuali. “Dalla strada romana – spiega – si scendeva a gradoni e ci si immetteva direttamente all’interno di un lungo cortile tutto lastricato, con una sorta di canaletta che lo perimetra e costituiva l’impluvium. Il lastricato è integro. Un lungo corridoio sicuramente scoperto, e poi due grandi ambienti molto lunghi, uno a destra e uno a sinistra, a Ovest e a Est, che costituivano questi lunghi ambienti a fianco di questo grande cortile”. Riprende De Zuccato: “Di questo settore non sappiamo nulla, sappiamo solo che è molto più ampio rispetto al settore Est della villa, dove c’erano solo una fila di stanze larghe circa un 5 metri. Qui invece lo spazio è molto più ampio. Potrebbero essere stanze ad uso agricolo come magazzini o forse anche alla lavorazione dei prodotti agricoli. Speriamo che si trovi qualche prova della lavorazione del vino”. Il soprintendente Vincenzo Tinè è prudente: “Siamo in fase di scavo, e quindi è presto per un’interpretazione finalmente complessiva della villa nelle sue due parti residenziale e produttiva. Dobbiamo capire bene anche queste strutture che stanno emergendo di tipo chiaramente produttivo funzionale alla produzione dell’olio e forse del vino: che cosa sono? Lo vedremo nelle prossime settimane”.
A Pompei applicate nuove tecnologie per il monitoraggio dello stato di conservazione dei manufatti archeologici: iniziati alla Casa di Arianna i rilievi con laser scanner per la modellazione tridimensionale in BIM

La Casa di Arianna a Pompei interessata dalle nuove tecnologie per il monitoraggio dello stato di conservazione dei manufatti archeologici. Sono iniziate da alcuni giorni le prime attività di rilievo con laser scanner della domus di Arianna, i cui dati confluiranno in una piattaforma HBIM, che per la prima volta sarà applicata al contesto archeologico pompeiano. HBIM è acronimo di Heritage Building Information Modeling, una tecnologia che consente di acquisire informazioni per la gestione digitale integrata dei processi di conservazione, programmazione e manutenzione del sito, nell’ottica di una sempre maggiore sostenibilità economica e ambientale nella gestione del patrimonio archeologico. Il parco archeologico di Pompei, ancora una volta, si dimostra dunque campo privilegiato di applicazione delle nuove tecnologie di rappresentazione e monitoraggio delle strutture archeologiche. Avere a disposizione un modello digitale BIM implementabile di una domus o edificio archeologico permette di disporre di un database interoperabile da interrogare (con l’ausilio di strumenti informatici dedicati al facility management) per pianificare in modo strategico le operazioni di manutenzione e gestire in maniera ottimale: il monitoraggio del degrado, anche strutturale, dell’edificio, attraverso un confronto informatizzato tra un dato inserito nel modello digitale e lo stesso dato rilevato in tempo reale tramite sensori; la pianificazione degli interventi di restauro; la catalogazione delle informazioni legate all’opera, che vengono in questo modo preservate tramite un archivio digitale in cloud; la simulazione degli effetti di eventi catastrofici (ad es. i terremoti).

Il progetto è realizzato dal parco archeologico di Pompei assieme all’università Federico II di Napoli, che dal 2010 ha seguito per il sito di Pompei i progetti di miglioramento dell’accessibilità “Pompei accessibile”, “Accordo Deloitte” e “Enhancing Pompeii”, dal Politecnico di Milano che conduce da anni ricerche sul superamento dei modelli tradizionali di archiviazione dei dati e sulla costruzione di piattaforme interoperabili per i beni culturali e dall’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR, con una consolidata esperienza di ricerca sull’impiego delle tecnologie ICT per la conoscenza, conservazione e fruizione del patrimonio culturale. Il gruppo di ricerca è composto per l’università di Napoli Federico II: Renata Picone (Coordinamento), Mario R. Losasso, Luigi Veronese, Enza Tersigni, Eduardo Bassolino, Mariarosaria Villani; il Politecnico di Milano: Stefano Della Torre, Luisa Ferro, Daniela Oreni; per il Cnr: Costanza Miliani, Elena Gigliarelli, Filippo Calcerano, Cristiano Riminesi; per il Parco archeologico di Pompei: Gabriel Zuchtriegel direttore generale, Alberto Bruni, Arianna Spinosa, Vincenzo Calvanese, Raffaele Martinelli; per Acca software: Antonio Cianciulli, Enrico Ciampi.

L’obiettivo del gruppo di ricerca, che vanta un approfondito know-how sui temi del restauro, miglioramento della fruizione del Parco archeologico pompeiano e delle tecnologie abilitanti per i patrimoni culturali, è di portare a compimento l’idea progettuale di un prototipo di piattaforma digitale HBIM calata su un’insula del Parco archeologico pompeiano in 6 mesi, per definire in una seconda fase la sperimentazione del risultato prototipale e la relativa dimostrazione di funzionalità. L’attività prevede il coinvolgimento di docenti e giovani ricercatori da impiegare nell’attività sul campo e si avvarrà della consulenza del Distretto tecnologico Stress, per la realizzazione di rilievi e indagini diagnostiche non invasive, e per l’elaborazione della piattaforma digitale, della società Acca Software, sviluppatrice dei programmi Edificius e usBIM, grazie ai quali i componenti della ricerca hanno già sperimentato soluzioni per l’implementazione dei programmi finalizzati alla lettura, all’archiviazione dati e all’interpretazione del patrimonio culturale.
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