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A Troia aperto il nuovo museo dell’antica Ilio: il 2018 è stato dichiarato dalla Turchia l’anno di Troia, nel ventennale dell’iscrizione nella lista del Patrimonio dell’Umanità. L’anniversario ricordato alla XXI Bmta di Paestum, altro sito Unesco sempre dal 1998

Il 2018 è stato proclamato dalla Turchia “l’anno di Troia” (foto haberizlenim.com)

Il direttore degli scavi di Troia, Rustem Aslan (al centro) con la targa ricevuta alla XXI Borsa mediterranea del Turismo archeologico (a sinistra il segretario Ugo Picarelli) per il ventennale dell’iscrizione nella lista dei siti Unesco

Il 2018 è stato proclamato dalla Turchia l’anno di Troia. Una scelta non casuale perché quest’anno ricorre il ventennale dall’inserimento del sito di Troia nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco. La ricorrenza è stata ricordata nel corso della XXI Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, sito possiamo dire “gemello” perché diventato Patrimonio dell’Umanità nello stesso anno: il 1998. “Troia, tra l’Asia e l’Europa, tra il mar Egeo e il mar Nero, importantissima nell’età del Bronzo”, è stato sottolineato a Paestum, “riporta ai poemi di Omero e lascia aperto l’interrogativo sulla sua distruzione o una delle sue distruzioni: che sia stato il cavallo oppure no, è oggetto ancora di discussione”. L’area archeologica di Troia ha appena inaugurato un nuovo museo dal design moderno, e continua a essere interessata da scavi archeologici, soprattutto dopo l’arrivo del nuovo direttore Rustem Aslan, che proprio alla XXI Bmta – nell’ambito dell’incontro in collaborazione con l’Ufficio Cultura e Informazioni dell’Ambasciata di Turchia – ha ricevuto una targa per celebrare i vent’anni del sito nella lista dell’Unesco.

Un’affascinante visione del nuovo museo di Troia a Çanakkale (foto troya2018.com)

Per tutto il 2018 sono state molte le iniziative, nazionali e internazionali, culturali, scientifiche e sportive, patrocinate dal ministero della Cultura e del Turismo turco per sensibilizzare il turismo verso l’antica città di Troia nella provincia nord-occidentale di Çanakkale. E i numeri sono stati confortanti: nel primo semestre del 2018 il numero di turisti è più che raddoppiato rispetto allo stesso semestre dell’anno precedente. Ma di certo l’evento destinato a rinnovare l’attenzione sul sito di Troia è stata l’apertura, ai primi di novembre 2018, del museo dedicato all’antica città di Ilio, al confine del villaggio di Tevfikiye. Il progetto, scelto tra i 150 presentati al National Architectural Design Competition, è stato quello sviluppato dall’architetto Omer Selcuk Baz della Yalın Architecture. I lavori furono avviati nel 2013. L’area archeologica dista dal museo un migliaio di metri che si percorrono, a piedi o con una navetta, su una stradina – immersa in un grande giardino – pavimentata con blocchi di pietra che ricorda molto quelle delle antiche città ellenistiche.

L’archeologo tedesco Manfred Osman Korfmann, per 17 anni direttore degli scavi a Troia (foto arkeologjihaber)

Il cosiddetto Grande diadema con pendenti dal Tesoro di Priamo, oggi al museo Puskin di Mosca

Aprire un museo sul sito archeologico di Troia è stato il sogno a lungo accarezzato dall’archeologo tedesco Manfred Osman Korfmann, morto nel 2005 per un tumore all’età di 63 anni, il quale era divenuto famoso nel suo Paese, la Germania, per aver promosso nuovi scavi nell’antica Troia. Infatti dal 1988, anno in cui il governo turco gli aveva rilasciato un permesso di scavo esclusivo, al 2005, anno della sua morte, Korfmann ha diretto lo scavo di 13mila mq di superficie con l’aiuto di 370 archeologi, portando alla luce – tra l’altro – la parte inferiore della città di Troia e parte delle mura difensive. Ma il sogno di Korfmann era di riportare a Troia le testimonianze più significative del sito, conservate da decenni fuori dalla Turchia, come il famoso Tesoro di Priamo, scoperto da Heinrich Schliemann, e che oggi, dopo varie vicissitudini, è esposto al museo Puskin di Mosca. Ovviamente il sogno di Korfmann è rimasto tale. Delle tante richieste di rimpatrio inoltrate solo il Penn Museum (Pennsylvania) ha risposto affermativamente restituendo nel 2012 24 oggetti in oro.

Reperti in oro esposti nelle vetrine del nuovo museo di Troia (foto Arkeofili)

Veduta d’insieme delle sale espositive del nuovo museo di Troia (foto dunyabizim.com)

Sculture provienti dal sito archeologico di Troia esposte nel nuvo museo

Ma allora cosa possiamo ammirare nel nuovo museo di Troia? La maggior parte dei reperti esposti nel nuovo museo proviene da quattro musei turchi: solo il museo di Istanbul e quello di Topkapi hanno rifiutato il trasferimento dei pezzi originali proponendo delle copie, ma il ministero della Cultura ha respinto al mittente la proposta, ribadendo l’importanza di garantire ai visitatori solo il meglio, “per poter essere di esempio – è stato scritto – ai sette musei esteri che conservano i reperti contrabbandati della leggendaria Troia”. Il Museo, costruito su un’area coperta di circa 11mila metri quadrati, ha la forma di un grande cubo rivestito in pannelli di acciaio color ruggine, “colore che ricorda – spiegano gli architetti progettisti – le ceramiche riportate alla luce dal vicino sito archeologico e rimanda ad una storia vissuta: materiale e design architettonico che evocano quindi una connessione tra passato e presente. La struttura – continuano – è accessibile tramite una rampa che conduce al piano interrato; si ha come l’impressione di accedere alle sale espositive attraverso una spaccatura del sottosuolo: man mano che ci si avvicina alla struttura, che si vede però all’orizzonte, il paesaggio e la terra scompaiono gradualmente, lasciando alla vista solo porzioni di cielo. All’interno, una rampa elicoidale conduce il visitatore agli spazi espositivi e alla terrazza sul tetto. La verticalità riprodotta dalla rampa rappresenta la stratificazione archeologica. Dai punti di risalita interni, attraverso delle aperture sulle facciate, si può godere della bellissima vista del paesaggio circostante ricco di campi e reso suggestivo dalle rovine di Troia”.

Annunciate le cinque grandi scoperte archeologiche del 2016 in lizza per il terzo International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” promosso da Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo: in Egitto i graffiti di 120 navi; in Francia opere architettoniche di Neanderthal; in Iraq città dell’età del Bronzo; in Pakistan città indo-greca; in Inghilterra tavolette lignee romane

L’archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall’Isis il 18 agosto 2015: a lui è dedicato l’International Archaeological Discovery Award

Ugo Picarelli, direttore della Bmta

In Egitto, l’edificio della barca di Sesostri III e i graffiti di 120 navi ad Abido; in Francia, la prima opera architettonica dei Neanderthal in una caverna di Bruniquel; in Iraq, la grande città dell’Età del Bronzo presso il piccolo villaggio curdo di Bassetki; in Pakistan, la città indo-greca di Bazira; nel Regno Unito, le 400 tavolette di epoca romana ritrovate nella City di Londra. Di cosa stiamo parlando? Si tratta delle prime cinque scoperte archeologiche del 2016, candidate alla vittoria della terza edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. Ad annunciarlo Ugo Picarelli, direttore della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, e  Andreas Steiner, direttore della rivista Archeo, che hanno inteso dare il giusto tributo alle scoperte archeologiche attraverso un Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa:Current Archaeology (Regno Unito), Antike Welt (Germania), Dossiers d’Archéologie (Francia),  Archäologie der Schweiz (Svizzera). Il Premio sarà assegnato alla scoperta archeologica prima classificata, secondo le segnalazioni ricevute da ciascuna testata. Inoltre, sarà attribuito uno “Special Award” alla scoperta, tra le prime cinque classificate, che avrà ricevuto il maggior consenso dal grande pubblico attraverso la pagina Facebook della Borsa (www.facebook.com/borsamediterraneaturismoarcheologico) nel periodo 5 luglio – 29 settembre. I premi saranno consegnati venerdì 27 ottobre – in occasione della XX BMTA, nell’area archeologica della città antica di Paestum dal 26 al 29 ottobre – alla presenza dei direttori delle testate che intervisteranno i protagonisti. Nella 1ª edizione (2015) il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri, responsabile degli scavi della Tomba di Amphipolis (Grecia); la 2ª edizione (2016) ha premiato l’Inrap (Institut National de Recherches Archéologiques Préventives, Francia), nella persona del presidente Dominique Garcia, per la scoperta della Tomba celtica di Lavau, alla presenza di Fayrouz Asaad archeologa e figlia di Khaled al-Asaad e Mohamad Saleh ultimo direttore per il Turismo di Palmira. I direttori Picarelli e Steiner hanno condiviso questo cammino in comune, consapevoli che “le civiltà e le culture del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante assumono oggi sempre più un’importanza legata alla riscoperta delle identità, in una società globale che disperde sempre più i suoi valori”. Il Premio, dunque, si caratterizza per divulgare uno scambio di esperienze, rappresentato dalle scoperte internazionali, anche come buona prassi di dialogo interculturale e cooperazione tra i popoli. Vediamo meglio le prime cinque scoperte archeologiche in nomination per il terzo International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”

i resti di una grande città del Bronzo scoperta in Iraq, vicino al villaggio curdo di Bassetki dalla missione dell’università di Tubinga

GRANDE CITTÀ DELL’ETÀ DEL BRONZO NEL NORD DELL’IRAQ  Gli archeologi dell’Istituto di Studi del Vicino Oriente Antico dell’Università di Tubinga (IANES) hanno scoperto una grande città dell’Età del Bronzo nel nord dell’Iraq, presso il piccolo villaggio curdo di Bassetki non lontano dalla città di Dohuk, nella regione autonoma del Kurdistan, fondata intorno al 3000 a.C. e la cui storia si protrasse per 1200 anni. Gli archeologi hanno anche scoperto strati di insediamento risalenti all’impero accadico (2340-2200 a.C.), che è considerato il primo impero del mondo nella storia umana. I ricercatori sono coordinati dal prof. Peter Pfalzner dell’Università di Tubinga e dal dott. Hasan Qasim della Direzione delle Antichità di Dohuk. La città possedeva un muro difensivo, che correva intorno alla parte superiore della città già nel 2700 a.C. e che doveva proteggere i suoi abitanti dai nemici. Sono stati rinvenuti, anche, frammenti di tavolette cuneiformi assire risalenti al 1300 a.C. circa, che ha suggerito l’esistenza di un tempio dedicato al dio mesopotamico della tempesta Adad. Con la misurazione geomagnetica gli archeologi hanno individuato una vasta rete stradale, vari quartieri residenziali, grandi case e un edificio sontuoso dell’Età del Bronzo. Gli abitanti della città sconosciuta seppellivano i loro morti fuori dal perimetro cittadino. La città era collegata ai vicini insediamenti mesopotamici ed anatolici tramite un percorso viario risalente al 1800 a.C. circa.

La città indo-greca di Bazira, l’attuale Barikot, scoperta dalla missione dell’Ismeo nella valle dello Swat in Pakistan

CITTÀ INDO-GRECA DI BAZIRA IN PAKISTAN La scoperta della città di Bazira, l’attuale Barikot, nella valle pakistana dello Swat, grazie al lavoro di Francesco Palmieri dell’ISMEO, è stata asseverata dagli esami sui materiali rinvenuti che si sono appena conclusi. La valle, nota alle cronache per il suo emirato talebano e l’attentato a Malala Yusufzai e alle sue compagne di scuola, sembra rientrata nella normalità, è meta del turismo archeologico con nuovi siti scavati e il Museo inaugurato nel 2013. Lo scavo di Barikot, l’antica Bazira (12 ettari inclusa l’acropoli) riguarda circa un ettaro dei quartieri sud-occidentali dell’antica città. Lo scavo condotto dalla Missione e dal Directorate of Archaeology and Museums della Provincia del Khyber-Pakhtunkhwa è finanziato dal progetto ACT nell’ambito dell’accordo italo-pakistano di riconversione del debito. Bazira fu assediata e conquistata dai macedoni di Alessandro Magno verso la fine del quarto secolo a.C. L’archeologia aveva datato la città al periodo indogreco, quasi due secoli dopo Alessandro, al tempo del re Menandro, il re greco di fede Buddhista, le cui monete sono state ritrovate nello scavo. La città si sviluppò e fu poi abbandonata alla fine dell’Impero Kushana nella seconda metà del terzo secolo d.C. anche in concomitanza con un devastante terremoto. Lo scavo presenta livelli cospicui della città indogreca, che finora era nota grazie al monumentale muro di cinta (metà del secondo secolo a.C.) esposto per molti tratti, con i suoi bastioni e terrapieni. Per la costruzione del muro di cinta indogreco fu tagliata artificialmente una stratigrafia molto antica lungo il perimetro delle mura, esponendo i resti di un villaggio preistorico. Lo studio dei materiali ha rivelato che i livelli urbani pre-indogreci trovati dentro la città, sono databili con assoluta certezza alla metà del terzo secolo a.C., addirittura un secolo più antichi delle mura cittadine, quindi in piena fase Maurya. Non solo, ma anche che effettivamente il villaggio protostorico rivelato dalla trincea di fondazione all’esterno del muro di cinta, risale al 1.100-1.000 a.C.

L’edificio della barca funeraria di Sesostri III e i graffiti di 120 navi scoperti ad Abido, in Egitto, scoperta dalla missione dell’università della Pennsylvania

L’EDIFICIO DELLA BARCA DI SESOSTRI III E I GRAFFITI DI 120 NAVI AD ABIDO IN EGITTO La spettacolare scoperta è stata effettuata ad Abido Sud (città dell’antico Egitto, rinvenuta intorno l’odierna el-‛Arābah el-Madfūnah sul deserto occidentale presso el-Bályanā, a circa 530 chilometri a sud del Cairo), dalla Missione del Penn Museum (University of Pennsylvania) diretta da Josef Wegner. Nei pressi del complesso funerario di Sesostri III (1878-1841), infatti, tra il 2014 e il 2016, è stata liberata dalla sabbia una struttura sotterranea già nota dal 1904 (Arthur Weigall, Egypt Exploration Fund), ma mai scavata. Si tratta di una camera rettangolare (21 x 4 m) in mattoni crudi con copertura a volta a botte, sulle cui pareti stuccate di bianco è stato individuato un gran numero, 120, di graffiti che rappresentano imbarcazioni di diverso tipo e grandezza (da 10 cm al 1,5 m), più alcune immagini di gazzelle, bovini e fiori. La resa dei particolari è molto precisa grazie alla presenza di alberi, vele, cabine, timoni, remi e vogatori. Anche se l’utilizzo della struttura non è ancora del tutto chiaro, è probabile che il cosiddetto “Boat building” ospitasse la barca funeraria del faraone di XII dinastia, di cui si sono conservate alcune tavole deposte in una cavità al centro della stanza. Molto interessante è anche il ritrovamento di oltre 145 “giare da birra”, sepolte lungo il viale d’accesso alla camera, molte delle quali con il collo rivolto proprio verso l’ingresso. La presenza di queste ceramiche è stata spiegata come sepoltura simbolica di contenitori di acqua, su cui far galleggiare la barca reale nel viaggio nell’aldilà o come deposito dei vasi effettivamente usati per la lubrificazione del terreno durante il traino del natante nella struttura.

Le stalagmiti della caverna di Bruniquel, in Francia, prima opera architettonica dell’uomo di Neanderthal scoperta dall’università di Bordeaux

LA PRIMA OPERA ARCHITETTONICA DEI NEANDERTHAL IN UNA CAVERNA DI BRUNIQUEL NEL SUD DELLA FRANCIA Quattrocento pezzi di stalagmiti, assemblati in modo da formare due anelli imponenti, al centro dei quali venivano forse accesi dei fuochi, costruiti molto probabilmente dagli uomini di Neanderthal, che erano capaci di realizzare progetti complessi di architettura. Lo studio è stato coordinato da Jacques Jaubert dell’Università di Bordeaux. Scoperti nelle profondità della caverna di Bruniquel, nel sud della Francia nel 1992, questi anelli sono stati studiati solo ora. Gli uomini di Neanderthal vissero in Europa tra i 400mila e i 40mila anni fa. Fino all’arrivo dall’Africa degli Homo Sapiens, nostri progenitori diretti, furono gli unici esseri umani a popolare il continente. Della loro esistenza e del loro aspetto sappiamo soprattutto grazie ai frammenti di scheletri rinvenuti dai paleontologi. In Italia uno degli esemplari meglio studiati è l’Uomo di Altamura, un Neanderthal caduto nella grotta di Lamalunga (Bari) e lì rimasto intrappolato fino al suo ritrovamento. Gli anelli sono composti da circa 400 pezzi di stalagmiti, con dimensioni che vanno dai 2 ai quasi 7 metri, e risalgono a 176.000 anni fa. Il che fa di questa costruzione la più antica finora conosciuta realizzata dall’uomo. La loro società aveva già degli elementi di modernità, come l’organizzazione dello spazio, l’uso del fuoco e l’occupazione delle caverne. La loro presenza, a 366 metri dall’entrata della grotta, dimostra che questi antenati dell’uomo avevano già dominato l’ambiente sotterraneo. Che gli anelli siano stati costruiti con pezzi di dimensioni simili indica che la loro costruzione è stata progettata attentamente, anche se la funzione non è del tutto chiara. Le ipotesi formulate vanno dal rifugio al significato simbolico. Si sapeva dal 1992 delle strutture fatte con stalagmiti, ma non si conosceva la data di realizzazione. L’equipe di Jaubert è riuscita a datare la polvere che ha ‘saldato’ tra loro le stalagmiti dopo che erano state deposte. E questo ci permette di attribuire la costruzione a Neanderthal.

Una delle 400 tavolette lignee di età romana scoperte nella City di Londra durante lo scavo per la realizzazione di un edificio

NELLA CITY DI LONDRA 400 TAVOLETTE DI EPOCA ROMANA  Nella City di Londra, durante i lavori per la costruzione di un edificio per la multinazionale della comunicazione Bloomberg, sono state rinvenute 405 tavolette di epoca romana. L’area del ritrovamento è quello dove una volta sorgeva il tempio di Mitra. Delle tavolette scoperte ne sono state decifrate 87 e risultano di estrema importanza in quanto forniscono una serie di interessanti informazioni relative agli abitanti della città. In particolare prima e dopo la rivolta di Boudicca, la regina della tribù degli Iceni, che nel 61 d.C. condusse la più importante rivolta antiromana, per cui la città di Londinium fu letteralmente rasa al suolo. Alcune delle tavolette documentano la rapida ripresa della città dopo la distruzione. Ad esempio in una di esse è riportato un contratto datato 21 ottobre 62 d.C. e fa riferimento ad un carico di provvigioni da consegnare. In una tavoletta in particolare, datata 65 d.C. appare il nome Londinium, e rappresenta il riferimento scritto più antico della capitale. È grazie al fango del torrente Walbrook (ora interrato) che le tavolette si sono conservate. La mancanza di ossigeno ha impedito il deterioramento del legno. Ovviamente sono rimaste solo le incisioni sul legno mentre lo strato di cera è scomparso. Le tavolette hanno una estrema importanza dal punto di vista archeologico e storico, in quanto documentano la Londra del I secolo d.C. e quindi anche della prima generazione di londinesi. Con le tecnologie più avanzate utilizzate dal Dipartimento Archeologico del Museum of London, sono infatti emersi nomi, professioni, date relative agli abitanti dell’antica Londra, che danno testimonianza di una città in espansione e in pieno fermento.

Egitto. Doppia scoperta degli americani ad Abido: tomba reale di Sobekhotep (XIII din.) e sepoltura di Senekbay, faraone sconosciuto della dimenticata dinastia di Abido

Nuove eccezionali scoperte ad Abido in Egitto: in primo piano il sarcofago di Sobekhotep

Nuove eccezionali scoperte ad Abido in Egitto: in primo piano il sarcofago di Sobekhotep

Doppia eccezionale scoperta ad Abido, la città santa dell’Antico Egitto dedicata a Osiride il dio dell’Oltretomba, a 150 chilometri da Luxor ai margini del deserto occidentale: prima è stata scoperta una tomba reale della XIII dinastia (1781 – 650 a.C.), fatto già di per sé straordinario visto che di questa dinastia ne sono state scoperte solo dieci e tutte a Dahshur, a sud del Cairo: la tomba reale scoperta ad Abido appartiene al faraone Sobekhotep I, ritenuto il fondatore della XIII dinastia, che ha regnato solo per pochi anni, in un momento in cui l’Egitto stava entrando in un periodo di declino. Non a caso i dati cronologici per questo periodo sono così complessi che gli studiosi stanno ancora discutendo sull’ordine dei re della XIII dinastia. Ma collegata e conseguente a questa scoperta ne è risultata un’altra che – forse – è ancora più importante: è stata rinvenuta la sepoltura di un faraone, Senebkay, fino ad oggi poco conosciuto per non dire sconosciuto. Il ritrovamento di Senebkay a sua volta conferma l’esistenza della mitica dinastia di Abido (1650-1600 anni a.C.), finora poco più che un’ipotesi, una dinastia presto dimenticata, parallela a quelle ufficiali, e pertanto priva di numerazione.

La tomba reale del faraone Sobekhotep (XIII dinastia) scoperta dagli archeologi americani

La tomba reale del faraone Sobekhotep (XIII dinastia) scoperta dagli archeologi americani

Tutto è iniziato l’estate del 2013 durante la missione archeologica ad Abido dell’università americana della Pennsylvania diretta da Josef Wegner, curatore della sezione egizia del Penn Museum. Gli archeologi scoprono una grande tomba reale attribuita alla XIII dinastia e, poco distante, un massiccio sarcofago di 60 tonnellate di cui si ignorava l’appartenenza. Ma la posizione e la “location” all’interno di una camera sepolcrale convincono gli archeologi americani ad approfondire le ricerche. E poche settimane fa l’annuncio trionfale da parte del ministro delle Antichità, Mohamed Ibrahim: “Un gruppo di archeologi dell’Università della Pennsylvania ha scoperto ad Abido, nel governatorato di Sohag, la tomba del faraone Sobekhotep I, ritenuto il fondatore – 3800 anni fa – della XIII dinastia, e lì vicino, più modesta e di epoca posteriore, quella di un faraone dimenticato, Senebkay”, ha spiegato. “Il team dell’Università della Pennsylvania è riuscito a identificare chi fosse sepolto nel sarcofago in quarzite rossa, del peso di circa 60 tonnellate, ritrovato l’anno scorso”.

I frammenti trovati nella tomba reale con il nome del faraone Sokekhotep (XIII din.)

I frammenti trovati nella tomba reale con il nome del faraone Sokekhotep (XIII din.)

Il riconoscimento è stato possibile grazie al ritrovamento nella tomba di frammenti di piatti su cui era inciso il nome del faraone, e di un fregio in cui Sobekhotep I siede sul trono. Oltre al sarcofago in quarzite gli archeologi hanno trovato i frammenti di vasi canopi che contenevano gli organi interni del faraone e gli oggetti d’oro che gli appartenevano. La tomba di Sobekhotep è stata costruita in calcare portato dalle cave di Tura vicino alla moderna città del Cairo, mentre la camera sepolcrale è stata realizzata in quarzite rossa, trasportata ad Abido da Gebel Ahmar, sempre vicino al Cairo. La sepoltura originariamente era sormontata da una piramide simile a quella di Ameny Qemau, faraone appartenente alla stessa dinastia.

La tomba del faraone Senekbay della Dinastia di Abido trovata accanto a quella di Sobekhotep

La tomba del faraone Senekbay della Dinastia di Abido trovata accanto a quella di Sobekhotep

E veniamo alla seconda scoperta. “La tomba di Senebkay”, hanno spiegato alla presentazione al Cairo, “è situata vicino alla tomba reale più grande, attribuita al re Sobekhotep I (1780 a.C.), della XIII dinastia. La camera del sarcofago, in quarzite rossa, era stata assegnata al tardo Medio Regno, ma il defunto era sconosciuto. Il riutilizzo del sarcofago in un’altra tomba è rimasto un mistero per tutta l’estate”. Ora, gli archeologi sanno che il colossale sarcofago proviene dalla tomba costruita per il faraone della XIII dinastia. “Elementi della tomba di Sobekhopet I sono stati riutilizzati dalla particolare dinastia di Abido, durante il Secondo Periodo Intermedio, per costruire e ornare le proprie tombe. La tomba scoperta l’anno scorso, risalente al 1650 a.C., è di uno di questi re, finora sconosciuto, identificato come Woseribre Senebkay, della Dinastia di Abido” spiegano Wegner e Kevin Cahail, del dipartimento di Lingue e Civiltà del Vicino Oriente all’Università della Pennsylvania, che hanno identificato il faraone. La tomba si compone di quattro camere, una delle quali decorata con immagini delle dee Nut, Nefti, Selket e Iside sul canopo del re e dediche che recitano “al re dell’Alto e Basso Egitto, Wosebire, figlio di re, Senebkay”.

I resti della mummia del faraone Senekbay dal sarcofago già saccheggiato in antico

I resti della mummia del faraone Senekbay dal sarcofago già saccheggiato in antico

La tomba, saccheggiata in antico da tombaroli che spogliarono la mummia del suo oro, appare modesta. La cassa, in legno di cedro, porta ancora, ricoperto da dorature, il nome del re Sobekhotep, cioè del primo proprietario del sarcofago. “Il riutilizzo di questi oggetti e della camera del sarcofago sono la prova di risorse limitate nella situazione economica del Regno di Abydos nella parte meridionale del Medio Egitto, in confronto ai regni più grandi di Tebe (dinastie XVI-XVII) e Hyksos (dinastia XV), a nord”. La tomba, si è detto, fu saccheggiata già in epoca antica: tuttavia, tra i detriti del sarcofago ligneo frantumato, sono stati recuperati i resti della mummia, la maschera funeraria in cartonnage (probabilmente in origine dorata) e il canopo. “Grazie agli esami preliminari sulla base delle ossa”, spiegano i due professori, “si può stabilire che Senebkay era un uomo di altezza media (circa un metro e settanta), che morì prima dei cinquant’anni d’età”.

Il cartiglio del faraone Senekbay della dimenticata dinastia di Abido

Il cartiglio del faraone Senekbay della dimenticata dinastia di Abido

La scoperta fornisce nuove prove sulla storia politica e sociale del Secondo Periodo Intermedio d’Egitto (1781 a.C. – 1549 a.C.). L’esistenza di una “Dinastia Abydos” indipendente, “contemporanea della XV (Hyksos) e XVI (Tebana), ipotizzata dall’egittologo K.Ryholt nel 1997 – spiegano gli archeologi -, viene ora dimostrata da questa scoperta, che ne individua la necropoli a sud di Abydos, in una zona anticamente chiamata Montagna di Anubis”. Il nome di Senebkay compare in un frammento della famosa “Lista dei Re di Torino”, un papiro risalente al regno di Ramses II (1200 a.C.), in cui due nomi “Woser…re” sono iscritti tra una dozzina di re, la maggior parte dei cui nomi è andata perduta. A differenza delle dinastie “numerate”, i faraoni della dinastia Abydos rimasero dimenticati dalla storia e la loro necropoli sconosciuta fino alla scoperta della tomba di Senebkay che avrebbe governato come un re regionale a Abydos durante il Secondo Periodo Intermedio dell’Egitto, un momento in cui il potere del governo centrale era rotto e l’unità del regno si era frammentato.