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Ultime scoperte delle missioni archeologiche all’estero. Al museo Classis Ravenna per “Classe al chiaro di luna” protagonista Antonio Curci con “Tra egiziani e nubiani…recenti scavi di salvataggio della missione AkAP nella regione di Aswan (Egitto)”

Il manifesto delle manifestazioni “Classis al chiaro di luna”

L’archeologo Antonio Curci

Le serate al museo Classis – Museo della Città e il territorio alla scoperta delle missioni archeologiche italiane all’estero nell’ambito della rassegna estiva “Classe al Chiaro di Luna!” questa settimana ci portano in Nubia. Appuntamento dunque mercoledì 17 luglio 2019, al museo Classis, alle 20.15, per la visita guidata, e alle 21, con la conferenza a ingresso gratuita del ciclo “Missioni archeologiche all’estero: le ultime scoperte” su “Tra egiziani e nubiani…recenti scavi di salvataggio della missione AkAP nella regione di Aswan (Egitto)”, a cura di Antonio Curci dell’università di Bologna, in collaborazione con L’Ordine della casa Matha.

Ricognizioni archeologiche nell’ambito della missione Akap in Egitto (foto Unibo)

Veduta satellitare del territorio interessato dalla missione Akap in Egitto (foto Unibo)

L’Aswan – Kom Ombo Archaeological Project (Akap) nasce nel 2005 con l’obiettivo di studiare, dal punto di vista storico-archeologico, l’interazione tra Egiziani e Nubiani nella loro terra di “confine”. Nel corso degli anni, diverse istituzioni hanno sostenuto il progetto (British Museum, università di Milano, La Sapienza università di Roma) e dal 2010 è missione congiunta tra l’istituto di Egittologia della Yale University e il dipartimento di Archeologia dell’università di Bologna. Le attività di ricerca principali prevedono: ricognizione geoarcheologica, archeologica ed epigrafica, scavo e documentazione dell’arte rupestre. Tutti gli interventi realizzati, in particolar modo le ricognizioni e gli scavi, sono da considerarsi di salvataggio poiché la costruzione di numerosi nuovi villaggi lungo la riva occidentale del Nilo, inclusa la città di New Aswan, e l’utilizzo delle aree circostanti, soprattutto come cave di arenaria e caolino, mettono in serio pericolo le evidenze archeologiche.

Le tre aree in concessione della missione Akap in Egitto (foto Unibo)

Restauro virtuale del pannello con il giubileo regale a Nag el-Hamdulab (foto Unibo)

L’attività di ricognizione archeologica ha riguardato le tre aree in concessione della missione (Wadi Abu Subeira, la riva occidentale tra Qubbet el-Hawa e Kubbaniya e il deserto a est di Kom Ombo), concentrandosi soprattutto nella zona di Gharb Aswan. Numerosi sono i siti individuati databili dal Paleolitico Medio al periodo Ottomano. Secondo la tipologia i siti sono localizzati lungo la valle del Nilo, lungo i maggiori wadi o nel plateau. La maggior parte dei siti è a rischio distruzione a causa delle numerose attività edilizie e minerarie attualmente in corso. Al fine di visualizzare in maniera integrata tutti i dati archeologici disponibili, è stato deciso innanzitutto, di non realizzare un progetto GIS dedicato esclusivamente all’arte, ma di integrare i dati dell’arte rupestre nel GIS complessivo della missione. La revisione e l’aggiornamento dei dati, inclusa la conversione delle coordinate topografiche, ove necessaria, ha permesso di ottenere una piattaforma più completa sulla quale poter avviare nuovi studi ed analisi.

Da Atum a Horus: la cosmogonia dell’Antico Egitto elaborata a Eliopoli al centro della mostra di Jesolo “Egitto. Dei, faraoni, uomini”

Il logo della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” che Jesolo ospita dal 26 dicembre 2017 al 15 settembre 2018

L’egittologo Alessandro Roccati

“La nascita del mondo (cosmogonia) costituisce uno dei cardini della religione egizia”, spiega l’egittologo Alessandro Roccati, uno dei curatori della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” aperta fino al 15 settembre 2018, nello Spazio Aquileia di Jesolo: “Secondo la visione egizia, l’uomo che diventava faraone si trasformava in dio, ovvero rivelava la propria natura divina non riconosciuta prima”. Quindi, dopo aver incontrato i popoli che nel II e I millennio a.C. interagirono con l’Antico Egitto; aver conosciuto le principali città che sorgevano lungo il Nilo, da Alessandria a Menfi a Tebe; ed essere stati a tu per tu con i faraoni, è arrivato il momento di saperne di più del pantheon egizio, tema della quarta sala della mostra jesolana. Il faraone era quindi “il solo a poter fornire il tramite con la popolazione celeste che avrebbe protetto il genere umano. Ma si pensava che anche gli dei avessero avuto un’origine, come avrebbero avuto una fine”.

Raffigurazione di Osiride proiettata sulla parete di un tempio egizio nella mostra di Jesolo (foto Gianfranco Grendene)

Stele in calcare con il dio Bes di tarda età tolemaica dal museo Barracco di Roma (foto Gianfranco Grendene)

La prima entità cosmica fu Atum, il “Tutto”. Da lui si generarono due coppie, che diedero origine ad altre due, nelle quali si riconoscono i quattro elementi: l’Aria (Shu) e il Fuoco (Tefenet), genitori della Terra (Geb: maschile in egiziano) e del(l’Acqua del) Cielo (la dea Nut). Geb e Nut separati da Shu, misero al mondo due coppie di dei, Osiride e Iside, Seth e Nefti. Dall’unione miracolosa di Osiride (che era stato ucciso da Seth) e Iside nacque Horus, il bambino modello di ogni faraone. La natura sregolata di Seth, oltre a portarlo all’uccisione di Seth, gli impedì di avere una famiglia stabile. Dalla sua unione con Nefti nacque Anubi, il dio dell’imbalsamazione (che però potrebbe essere stato frutto di una “scappatella” di Thot), ma da altre sue unioni adulterine furono generati demoni. In seguito alla sua morte, Osiride fu nel tempo considerato il dio dei morti. Atum fu presto collegato alla dottrina che vedeva nel Sole (il dio Ra, uno dei due occhi del cielo; l’altro era considerato Thot, la Luna) il creatore del mondo. Atum fu considerato quindi il sole serale, ormai vecchio, mentre il sole mattutino fu impersonato da Khepri. “Questa”, conclude Roccati, “fu la teologia elaborata ad Eliopoli (in greco la “città del sole”), presso Menfi, l’antica capitale. Essa non fu l’unica, ma altre fiorirono nel lungo periodo, connesse alle figure di altri grandi dei”.

Bronzetto ella collezione Sinopoli con il falco che porta la doppia corona dell’Alto e Basso Egitto del tardo periodo tolemaico (foto Gianfranco Grendene)

Gruppo di divinità egizie proiettate nella mostra jesolana (foto Graziano Tavan)

In mostra, accanto alla proiezione su una parete del tempio di gruppi di divinità egizie che sembrano materializzarsi e sparire nella sabbia del deserto, e a ampi pannelli con l’elenco e la descrizione delle singole divinità, ecco un bronzetto votivo di Ptah della XXV-XXVI dinastia (dal museo di Storia ed arte di Trieste) o la stele di Bes di età tardo-tolemaica (dal museo Barracco di Roma), e poi amuleti con Thot, Tauret, Bes e Pateco (museo Egizio di Firenze). Particolarmente interessante una statua in bronzo di falco con la doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto del tardo periodo tolemaico che fa parte della collezione Sinopoli. “Il bronzetto”, spiegano gli egittologi, “riproduce il dio del cielo Horo sotto forma di falco, particolarmente venerato nel santuario di Edfu e identificato dai greci con Apollo. La corona che porta sul capo lo indica come titolare della regalità: il nome di Horo fu il primo titolo portato dai faraoni dall’inizio dell’età storica”.

(4 – continua; precedenti post 12 e 17 aprile, 23 maggio 2018)

Alla scoperta del grande fiume, il Nilo, personificato dal dio Hapi: a Jesolo nella mostra “Egitto. Dei, faraoni. uomini” si risale il Nilo incontrando le grandi città di Alessandria, Menfi e Tebe

Il logo della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” che Jesolo ospita dal 26 dicembre 2017 al 15 settembre 2018

Il percorso del Nilo con le grandi città dell’Antico Egitto: Menfi, Tebe, Sais

“Thalassa! Thalassa!” (“Mare! Mare!”) gridò Senofonte giunto in vista del mar Nero: per i reduci dei diecimila dopo aver perso il loro generale Clearco vedere le sponde del Ponto Eusino significava la fine del loro lungo viaggio verso la meta, l’amata Patria. Dopo aver navigato virtualmente attraverso il Mediterraneo di alcuni millenni fa, incontrando popoli e naviganti che lo solcavano intessendo molti rapporti anche con l’antico Egitto, tema della prima sala della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” aperta fino al 15 settembre 2018, nello Spazio Aquileia di Jesolo: un viaggio nello spazio e nel tempo che ti porta a tu per tu con la grande civiltà del Nilo, ora possiamo parafrasare la famosa esclamazione dell’Anabasi con “Il Nilo! Il Nilo!”. Perché la nostra navigazione è giunta alla meta, il grande fiume, che ci porta direttamente nella terra dei faraoni (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/04/12/jesolo-ve-alla-mostra-egitto-dei-faraoni-uomini-viaggio-nello-spazio-e-nel-tempo-dalla-laguna-veneta-alla-scoperta-della-grande-civilta-del-nilo-attraversando-il-mediterraneo/). Scendiamo virtualmente dalla grande imbarcazione a remi che ci ha permesso di attraversare il Mediterraneo e saliamo su una più agevole barca egizia di giunco e papiro che ci permetterà di venire a contatto con gli antichi egizi. La sala 2 della mostra jesolana, dedicata al grande fiume, presenta pochi reperti, ma ci introduce nell’atmosfera della civiltà – non a caso chiamata – del Nilo.

Una nave fluviale dell’antico Egitto

La mitica fonte del Nilo Il primo contatto con il Nilo ci porta a conoscere un aspetto poco noto. “Gli egizi credevano nell’esistenza di un fiume sotterraneo, un Nilo-Nun, che scorreva nella Amduat, cioè nell’Oltretomba”, interviene l’egittologa Stefania Mimmo. “Si trattava dello stesso Nilo che inondava ogni anno, uscendo dalla sua cavità sotterranea. L’acqua della piena fuoriesce dalla terra, si trova nel mondo sotterraneo e il luogo dove risiede è chiamato Tephet, che si può tradurre con caverna. La credenza che esistesse una caverna dove Hapi (il Nilo) risiedeva non era diffusa né nell’Antico né nel Medio Regno, ma solo a partire dalla XVIII dinastia (Nuovo Regno). La caverna di Nun e Hapi rappresentano insieme l’acqua primordiale dalla quale tutto è stato creato e il rinnovamento annuale di tale creazione”. Ma c’è un altro termine che nei testi antichi si trova collegato a Hapi (il Nilo): è Qerti, che si può tradurre con le due caverne della fonte dalla quale sgorga il Nilo. “Le due fonti – continua Mimmo – che rappresentano le due fonti della piena del Nilo, possono essere considerate come l’espressione mitizzata del carattere della piena del Nilo, buono e terribile al tempo stesso”.

Stele con il dio Hapi che personifica il Nilo (foto Graziano Tavan)

L’Inno al Nilo “Salute a te, o Nilo, che esci da questa terra e vieni a vivificare l’Egitto… che inondi i campi fecondati dal Sole per vivificare tutti gli animali selvatici, che sazi il deserto lontano dall’acqua, giacché è la rugiada di te che scende dal cielo”. Inizia così “L’inno al Nilo” che conferma, se ce ne fosse stato bisogno, l’importanza del grande fiume per l’Egitto. Nell’inno si fa riferimento a Elefantina e all’Alto Egitto attraverso il dio Khnum e la caverna della sorgente, mentre il Medio Egitto è citato con il dio Ptah, l’artigiano divino, originario di Menfi e Ra che risiede a Eliopoli. “L’inno traccia un percorso secondo cui la piena del Nilo è creta da Khnum di Elefantina e attraversa le Due Terre a partire dall’Alto Egitto, nel Basso Egitto, poi torna nuovamente nel mondo sotterraneo presso Kheraha, poco a sud del Cairo, dove c’era un importante luogo di culto. E dove c’era anche un nilometro usato nel Medio Regno per misurare ufficialmente il livello della piena.

Una rappresentazione di fantasia del Faro di Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo antico

Risalendo il Nilo incontriamo le tre grandi città che hanno fatto la storia dell’antico Egitto. La prima che incontriamo è anche la più recente, Alessandria, sul delta occidentale del Nilo, affacciata sul Mediterraneo, dove la volle e fondò Alessandro Magno dopo aver conquistato l’Egitto nel 332 a.C. “In realtà non si trattava di un luogo isolato”, intervengono gli esperti: “nell’entroterra, a poche decine di chilometri, sorgeva la città di Sais, antichissimo centro che in epoca tarda divenne la capitale della XXVI dinastia, periodo in cui i greci si erano stabiliti al vicino porto di Naucrati, che rimase il principale mercato tra greci ed egizi prima della fondazione di Alessandria. Nel III sec. a.C., Alessandria divenne il centro ellenistico più importante del Mediterraneo, politicamente, culturalmente ed economicamente, pur conservando egualmente un’anima egizia. Oggi riconoscere l’Alessandria tolemaica è molto difficile, dopo due millenni di profonde modificazioni. E soprattutto non c’è più il faro, una delle sette meraviglie del mondo antico”.

Il colosso di Ramses II a Menfi: era nel tempio di Ptah

Dove il Nilo inizia a rallentare la sua corrente prima di aprirsi nel delta, sorse la città di Menfi, molto vicino alla moderna città del Cairo. “Punto di passaggio obbligato delle vie commerciali”, spiegano gli archeologi, “qui fin dal IV millennio a.C. si sono susseguiti gli insediamenti più importanti dell’Egitto, di cui sono rimaste vastissime rovine ma relativamente pochi monumenti. L’abitato comprendeva un importante porto sul Nilo, e aveva come riferimenti verso Est Eliopoli (toponimo greco, “Città del Sole”, che si affianca al toponimo indigeno Iunu, “Città del Pilastro”, perché secondo la tradizione sarebbe stata la prima terra emersa alla creazione), e verso Ovest una corona di piramidi, sepolcro dei faraoni per tutto il terzo millennio. Come si vede tutti simboli solari”. Fu proprio una di queste piramidi, quella di Pepi I (VI dinastia, 2400 a.C.), a imporre successivamente il nome di Menfi (che significa “stabile e perfetta”), inizialmente il nome della piramide. Nei primi secoli del II millennio a.C., durante il Medio Regno, i faraoni della XII dinastia spostarono la capitale più a Sud, a Lisht. I romani fortificarono il loro insediamento nel luogo allora chiamato Babilonia, e oggi Fustat (dal latino fossatum) nome del quartiere bizantino del Cairo.

Turisti nella valle dei Re a Tebe Ovest

La terza grande città antica che incontriamo è Tebe, l’odierna Luxor.  La Bibbia ricorda Tebe come la “città di Amon”, nota anche come “Eliopoli meridionale” per il binomio Amon-Ra, il dio protettore dei faraoni dal Medio Regno (inizio II millennio a.C.) quando il dio Amon fu accostato al dio Sole Ra. Già nel IV millennio a.C. (predi nastico) erano sorti centri come Nagada a Nord e Ieracompoli a Sud. Ma è con la riunificazione dell’Egitto nel II millennio a.C. che Tebe divenne un centro politico dominante. “La città fu dotata di edifici religiosi di pietra capaci di rivaleggiare con quelli di Menfi ed Eliopoli”, ricordano i curatori della mostra, “e quando gli Hyksos fecero dell’Egitto settentrionale un loro protettorato, Tebe divenne sede della necropoli reale. La celebre Valle dei Re accolse sepolcri monumentali per tutto il Nuovo Regno (dinastie XVIII-XIX-XX) quando fu capitale di un impero dalla Nubia alla Siria. Il clima più arido e la posizione più defilata hanno permesso la conservazione di manufatti in quantità superiore ad ogni altro luogo d’Egitto”.

(2 – continua; precedente post il 12 aprile 2018)

L’Antico Egitto non finì col suicidio di Cleopatra, ma per l’effetto disastroso di eruzioni vulcaniche (forse in Islanda): niente pioggia sugli altopiani etiopici, niente benefica piena del Nilo. L’ipotesi formulata dal team del prof. Ludlow del Trinity College di Dublino e pubblicata su “Nature”

Le piramidi della piana di Giza in Egitto: nei secoli sono state il simbolo della civiltà dei faraoni

“La morte di Cleopatra” dipinta da Guido Reni conservato a Potsdam nel castello di Sansouci

Non fu il morso di un aspide sul seno di Cleopatra a porre fine alla millenaria storia del Regno d’Egitto, ma l’effetto catastrofico di più di due secoli di eruzioni vulcaniche, anche distanti migliaia di chilometri dal grande fiume, sulle piene annuali del Nilo. Con buona pace del grande drammaturgo William Shakespeare che ha reso immortale nel suo “Antonio e Cleopatra” il melodramma di Cleopatra, tra Cesare e Marco Antonio. A queste conclusioni sono giunti gli scienziati coordinati da Francis Ludlow del Trinity College di Dublino (Irlanda) che hanno pubblicato la loro ricerca con le nuove ipotesi il 17 ottobre 2017 su Nature. Infatti durante il regno dei Tolomei in Egitto, iniziato nel 305 a.C. con il generale macedone Tolomeo e conclusosi nel 30 a.C. con la morte di Cleopatra VII e l’annessione dell’Egitto a Roma, le ceneri prodotte dall’eruzione di vulcani, probabilmente islandesi anche se non c’è la sicurezza matematica, e trasportate dai venti sull’Africa sub-sahariana avrebbero causato una drastica diminuzione delle piogge, con la conseguente contrazione dell’annuale piena del Nilo che per millenni ha regolato la vita degli antichi egizi, garantendone la prosperità. L’effetto sarebbero state ripetute carestie, lunghi periodi di privazioni, che provocarono rivolte tra la popolazione. I ricercatori irlandesi sono prudenti, ma dai dati raccolti le continue guerre a Oriente con i Seleucidi, i conquistatori ellenistici dell’impero persiano, e le ripartizioni di terre incolte – registrate dai papiri – potrebbero essere lette in modo diverso: come un modo per far fronte alla necessità di approvvigionarsi di derrate di cereali in Siria e Anatolia o garantire alla popolazione stremata nuovi appezzamenti.

Carotaggi in Antartide: i ricercatori del Trinity College di Dublino sono riusciti a ricostruire la sequenza delle eruzioni vulcaniche nell’arco di alcuni millenni

Ma su quali basi scientifiche l’équipe del prof. Ludlow è giunta a queste conclusioni? Fonti storiche, insieme a prospezioni e analisi con le più sofisticate tecnologie. E tutto è cominciato molto lontano dalla valle del Nilo: in Groenlandia e in Antartide. Proprio i ghiacci conservano e sigillano in microscopiche bolle d’aria le particelle in sospensione nell’atmosfera. E quindi – se ci sono – anche le ceneri vulcaniche. Grazie a speciali carotaggi è stato così possibile ricreare una sequenza cronologica degli eventi climatici nei millenni e datare le eruzioni vulcaniche. Questi dati poi sono stati incrociati con le informazioni storiche disponibili: innanzitutto il nilometro islamico, che riporta registrazioni sistematiche dei livelli del Nilo dal 622 d.C. (anno dell’invasione araba) al 1902, quando fu inaugurata dai britannici la prima diga di Assuan che in pratica annullò le piene annuali. E poi le testimonianze riportate dagli antichi papiri: testi amministrativi e decreti sacerdotali. “L’Egitto tolemaico era una delle superpotenze dell’epoca meglio documentate”, spiegano i ricercatori. “Possiamo quindi vedere quali provvedimenti presero all’insorgere di rivolte o la relazione tra le guerre contro la grande potenza rivale, l’impero dei Seleucidi, e l’effetto delle eruzioni vulcaniche”.

Il Nilo ha garantito per millenni la prosperità dell’Egitto

Il percorso del Nilo dalle sorgenti al Mediterraneo

Il Nilo, circa 6825 chilometri di lunghezza, è tra i grandi fiumi della Terra, alimentato da piogge nella fascia equatoriale dell’Africa (principalmente attraverso il Nilo Bianco) e gli altopiani etiopici (soprattutto attraverso il Nilo Azzurro). Prima del XX secolo, l’inondazione estiva, legata principalmente alle piogge monsoniche negli altopiani etiopici, cominciava con l’osservazione della crescita delle acque ad Assuan già da giugno, per arrivare ai livelli massimi tra agosto e settembre, e poi a decrescere progressivamente entro la fine di ottobre. Finora gli effetti negativi delle eruzioni vulcaniche sulle piene sono stati poco studiati anche se ci sono conferme che imponenti eruzioni vulcaniche (anche geograficamente molto distanti dal grande fiume) possano alterare il ciclo delle inondazioni del Nilo: fatti accertati, per esempio, in concomitanza con le eruzioni dell’Eldgjá (Islanda, nel 939), del Laki (Islanda, 1783-’84) e del Katmai (Alaska, 1912). Gli scienziati spiegano così questo fenomeno: quando si verificano importanti eruzioni esplosive la quantità di particelle che arriva fino alla troposfera, ossia nell’atmosfera più alta, è tale da ridurre in modo significativo la radiazione solare, con conseguenze sul clima, e quindi sulla piovosità e sulle piene dei grandi fiumi.

La valle del Nilo: una striscia verde tra due deserti

I papiri nel regno tolemaico. “Abbiamo esaminato la tempistica e la frequenza delle guerre avviate dai Tolomei”, spiegano i ricercatori su Nature, “e l’emissione di decreti sacerdotali in relazione agli anni di eruzione, nonché la tempistica e la frequenza dell’insorgere della rivolta contro la cosiddetta regola tolemaica (un sistema di tassazione che si rifà al mondo greco) e le vendite di terreni usualmente di successione ereditaria”. Papiri e iscrizioni segnalano rivolte di diversa gravità ed estensione che hanno portato minor gettito fiscale, come durante la grande rivolta di Tebe del 207 a.C. durata 20 anni. “Queste rivolte – sottolineano – sono generalmente considerate rivolte nazionaliste da parte degli egiziani che risentono della regola greco-tolemaica e/o della pesante tassazione statale, e sono raramente considerati in relazione alle sollecitazioni socioeconomiche dopo la mancata piena del Nilo. Non è un caso che ci sia un picco di scoppi di rivolte proprio negli anni successivi alle mancate piene del Nilo, anche se qualche volta alcune di queste proteste sono state ritardate o prevenute grazie all’intervento statale, come nel caso proprio di Cleopatra che fece elargizioni di grano dalle riserve statali durante le crisi dovute alle mancate piene del Nilo nel 46 e 44 a.C.”.

Il faraone Tolomeo III Evergete

Terza guerra siriaca (246 – 241 a.C.). Le fonti storiche restituiscono molte informazioni sulla guerra intrapresa da Tolomeo III Evergete contro Seleuco II, riuscendo a fare dell’Egitto la maggiore potenza militare del Mediterraneo. Una vittoria cui Tolomeo non fece seguire altri conflitti, togliendo fondi all’esercito che, alla fine del suo regno, risultò molto indebolito. Forse – dicono i ricercatori irlandesi – sono state altre le motivazioni che hanno indotto Tolomeo III a non forzare la mano: per esempio, le due grandi eruzioni vulcaniche registrate nel 247 e 244 a.C. Lo storico romano Giustino scriveva, qualche secolo dopo, che se Tolomeo III “non fosse stato richiamato in Egitto per problemi interni [egli avrebbe conquistato tutti i territori dei Seleucidi], essendo giunto a est dell’Eufrate fino a Babilonia in una campagna di grande successo”. Quali saranno stati questi “problemi interni”? Ce lo rivela un papiro coevo, cioè del III sec. a.C., che fa sapere che Tolomeo III rientrò in patria per affrontare “la rivolta egiziana”.

La mappa della località di Capono dove è stata trovata la stele bilingue con il decreto sacerdotale

C’è poi il decreto sacerdotale di Canopo, scolpito su una stele nel 238 a.C. Si tratta di un decreto dei sacerdoti egizi in onore di Tolomeo III e della regina Berenice scritto in due lingue con tre scritture: il geroglifico, il demotico e il greco. L’iscrizione, tra l’altro, esalta il successo del re nel reprimere le insurrezioni dei nativi egiziani, operazione che viene definita “mantenere la pace”, con interventi su vasta scala finanziati con i fondi stornati dalla guerra di Siria, chiusa nel 241 a.C. e ricorda che durante un anno di limitate inondazioni il governo ha annullato le tasse, e importato grano dall’estero. Infine c’è il caso delle vendite di terreni al di fuori della famiglia. Gli egittologi ci ricordano che la proprietà privata passava di generazione in generazione all’interno delle famiglie, un modo per rispondere alle molte imposte che gravavano sui terreni. “Nelle nostre ricerche”, scrivono i ricercatori su Nature, “abbiamo riscontrato un sensibile aumento di terreni dopo un’eruzione. Ciò suggerisce una risposta alla mancata piena del Nilo causata da un’eruzione vulcanica da parte di famiglie che probabilmente si trovavano costrette a vendere le terre private impoverite da scarsi rendimenti del raccolto e in difficoltà a onorare imposte e altri obblighi”. E continuano: “Torniamo a focalizzarci sulla rivolta tebana del 207 a.C. che segue di due anni un’eruzione in area tropicale. Un papiro riporta che “al momento della rivolta … la maggior parte degli agricoltori sono stati uccisi e la terra è andata a seccare … quando … [questo] … è stato registrato come terra senza proprietari, … i sopravvissuti hanno preso la terra … I loro nomi sono sconosciuti e quindi nessuno per questa terra paga le tasse al tesoro …”. I nostri risultati suggeriscono inoltre che l’intervento statale nelle aste sul terreno rappresenta un’ulteriore strategia di copertura economica a livello statale per restituire la terra alla produzione e quindi renderla imponibile alla tassazione dopo la mancata piena del Nilo e la relativa instabilità sociale”. Mentre la dinastia tolemaica si sarebbe conclusa ufficialmente con il suicidio di Cleopatra nel 30 a.C., dopo la sconfitta navale di Roma ad Azio nel 31 a.C., il team irlandese ipotizza che l’Egitto in realtà fosse giunto alla fine del decennio precedente fortemente penalizzato da ripetute mancate piene del Nilo, carestia, peste, inflazione, corruzione amministrativa, spopolamento rurale, migrazione e abbandono delle terre. Un decennio che ha sperimentato, nel 44 a.C., la terza più grande eruzione degli ultimi 2500 anni.

L’Antico Egitto a Conegliano. Non solo mostra: al via gli incontri sui misteri, l’arte, le scoperte, la cosmogonia di Abido, a tu per tu con egittologi e esperti

L'immagine del dio Osiride si staglia su uno scorcio dell'Osireion ad Abido: è il manifesto della mostra di Paolo Renier a Conegliano

L’immagine del dio Osiride si staglia su uno scorcio dell’Osireion ad Abido: è il manifesto della mostra di Paolo Renier a Conegliano

Paolo Renier l’aveva promesso e annunciato. Ed è stato di parola: Conegliano fino a dicembre si conferma fucina di studi e interessi sull’Antico Egitto. Così alla mostra “EGITTO. Come Faraoni e Sacerdoti NEL TEMPIO DI OSIRIDE custodi di percorsi ormai inaccessibili”, aperta a Palazzo Sarcinelli di Conegliano fino al 21 dicembre, l’ultimo progetto-idea-creatura del vulcanico Paolo Renier, il fotografo trevigiano che da quasi trent’anni studia, fotografa, scheda, e cerca di valorizzare (cercando di favorirne così la sua salvaguardia) il sito di Abido, a 150 chilometri a sud di Luxor, la città sacra per eccellenza dell’Antico Egitto, sede del più antico culto di Osiride, il dio dell’Oltretomba e della resurrezione; così oltre alla mostra, dicevamo, ora a Conegliano ci sono anche gli incontri di approfondimento con famosi egittologi e studiosi sulla città sacra di Abido, il culto di Osiride, le implicazioni teogoniche e cosmogoniche dell’Antico Egitto, e molti altri temi suggeriti dalla mostra. Non dimentichiamo infatti che proprio ad Abido i faraoni delle prime dinastie hanno posto le loro sepolture, che ad Abido i faraoni hanno perpetuato la loro divina regalità rendendo omaggio ad Osiride, che ad Abido per tremila anni il popolo egiziano è venuto in pellegrinaggio o ha fatto giungere una propria epigrafe sulla tomba di Osiride, il cosiddetto Osireion, un unicum nell’architettura sacra dell’Antico Egitto. Così dopo esserci inoltrarci in quei percorsi ormai inaccessibili alla scoperta dei misteri dell’Antico Egitto, quelli che erano prerogativa dei faraoni e dei gran sacerdoti, e che oggi possiamo conoscere seguendo il percorso della mostra di Palazzo Sarcinelli, ci si può fermare a Conegliano anche per conoscere da vicino chi questo mondo affascinante – che si è sviluppato lungo le sponde del Nilo – lo studia da vicino.

L'egittologo Emanuele Ciampini di Ca' Foscari apre gli incontri culturali sull'Antico Egitto a Conegliano

L’egittologo Emanuele Ciampini di Ca’ Foscari apre gli incontri culturali sull’Antico Egitto a Conegliano

Si inizia venerdì 10 ottobre. Alle 18, a Palazzo Sarcinelli di Conegliano: il professor Emanuele Ciampini, egittologo dell’università Ca’ Foscari di Venezia, affronterà gli “Aspetti del culto di Osiride”, un tema più che propedeutico alla mostra. Il sabato della settimana successiva, 18 ottobre, alle 17, ma stavolta in sala consiliare del Comune di Conegliano, toccherà al professor Attilio Scienza, docente di Viticultura all’università di Milano, con un incontro destinato a suscitare l’interesse del pubblico: l’esperto collegherà – come già succede con una sezione della mostra – le conoscenze dell’Antico Egitto con la vocazione vitivinicola del territorio di Conegliano: “Nella vigna del faraone: vite e vino nell’Antico Egitto”.

Una ricostruzione dell'Osireion di Abido, la cosiddetta tomba di Osiride: un unicum nell'architettura dell'Antico Egitto

Una ricostruzione dell’Osireion di Abido, la cosiddetta tomba di Osiride: un unicum nell’architettura dell’Antico Egitto

Si passa quindi all’ultimo venerdì del mese, il 31 ottobre, alle 18.30, ancora in sala consiliare del Comune di Conegliano, con un incontro che ci porterà direttamente nelle segrete cose dei faraoni e dei gran sacerdoti proponendo relazioni intriganti col monumento più carico di simboli del Cristianesimo. Alfonso Rubino, ingegnere, esperto in Geometria sacra, parlerà infatti de “L’Osireion: il codice geometrico armonico universale di tutti i tempi. Relazione armonica con il Santo Sepolcro di Gerusalemme”

Il cartiglio del faraone Senekbay della dimenticata dinastia di Abido

Il cartiglio del faraone Senekbay della dimenticata dinastia di Abido

Particolarmente atteso l’incontro di sabato 8 novembre (salvo impegni dell’ultima ora in Egitto), alle 18.30, in sala consiliare del Comune di Conegliano. Mahmoud Amer Ahmed Mohamed, archeologo dell’università di Sohag, la grande città molto vicina ad Abido, farà il punto sulle nuove scoperte fatte proprio ad Abido all’inizio di quest’anno (di cui archeologiavocidalpassato ha dato le anticipazioni nei post del 21 e del 29 gennaio 2014): “I faraoni di Abido: la dinastia perduta nelle più recenti scoperte”. Il sabato successivo, 15 novembre, alle 18.30, sempre in sala consiliare del Comune di Conegliano, Elisabetta Gesmundo, professoressa di Psicoterapia alla Scuola di Specializzazione in Psicosomatica di Milano, con “Morte e rinascita nel mito egizio e greco” accompagnerà il pubblico nel cuore dei misteri di Osiride. Una settimana dopo, sabato 22 novembre, alle 18.30, in sala consiliare del Comune di Conegliano, Maria Cristina Guidotti, direttrice del museo Egizio di Firenze, che da anni segue le iniziative di Paolo Renier su Abido, focalizzerà il suo intervento sui reperti di Abido conservati nel museo fiorentino: “Da Abido al museo Egizio di Firenze”.

Particolare del sarcofago del faraone Tutankhamon

Particolare del sarcofago del faraone Tutankhamon

L’ultimo sabato del mese, il 29 novembre, alle 18.30, in sala consiliare del Comune di Conegliano, ci sarà un gemellaggio ideale tra Conegliano e Oderzo nel nome dell’Antico Egitto. L’egittologa Donatella Avanzo parlerà di “Arte e letteratura sulle sponde del Nilo”, e con l’occasione presenterà in anteprima la mostra, di cui è curatrice, “Omaggio a Tutankhamon: l’arte egizia incontra l’arte contemporanea”, che appunto apre ad Oderzo il 19 dicembre, due giorni prima della chiusura della mostra di Conegliano su Abido: quasi un passaggio di consegne. Gli incontri culturali di Conegliano sull’Antico Egitto chiudono sabato 6 dicembre, alle 18.30, in sala consiliare del Comune di Conegliano, con Franco Naldoni, esperto di Antico Egitto dell’Associazione Archeosofica, il quale sta valutando quale portare tra i dei due temi ipotizzati, “Iside svelata” oppure “Il Libro cristiano dei Morti”: in entrambi i casi, temi impegnativi quanto intriganti per degno gran finale.

 

Il British Museum apre la nuova galleria sull’Antico Egitto con una mostra permanente degli scheletri di Jebel Sahaba, vittime (13mila anni fa) del primo conflitto razziale armato

Gli scheletri da Jebel Sahaba sono la prova del primo conflitto razziale documentato dagli archeologi

Gli scheletri da Jebel Sahaba sono la prova del primo conflitto razziale documentato dagli archeologi

In mostra a Londra le vittime di quello che 13mila anni fa potrebbe essere il primo conflitto razziale armato documentato dall’archeologia, dove le vittime sarebbero venute dall’Africa centrale mentre i “carnefici” dal Mediterraneo. Si trattava di cacciatori-raccoglitori che molti millenni prima della civiltà egizia si erano sfidati e massacrati vicino al Nilo in un ambiente che durante l’ultima glaciazione era diventato molto inospitale. Il British Museum ha aggiornato e rinnovato la sezione dedicata all’Antico Egitto aprendo pochi giorni fa una nuova galleria dove hanno trovato posto – come mostra permanente – parte degli scheletri di un gruppo di 26, tra cui uomini, donne e bambini, che vennero uccisi fra Egitto e Sudan intorno a 13mila anni fa e sono stati recuperati dal sito di Jebel Sahaba, sulla riva orientale del Nilo, nel Sudan settentrionale, noto agli studiosi come “cimitero 117”. Già negli anni Sessanta del secolo scorso questo sepolcreto aveva restituito molte punte di freccia e ossa con i segni inequivocabili di un impatto violento. I resti erano stati trovati nel 1964 dall’archeologo americano Fred Wendorf durante gli scavi finanziati dall’Unesco per analizzare i siti archeologici che stavano per essere sommersi dalla diga di Assuan. Ma, fino alle attuali indagini in corso, non erano mai stati esaminati con la moderna tecnologia che oggi ha permesso agli scienziati appunto di identificare quella che potrebbe essere la più antica guerra razziale, combattuta 13mila anni fa ai margini del Sahara. Infatti tutto il materiale di Jebel Sahaba era stato portato da Fred Wendorf nel suo laboratorio in Texas, e solo 30 anni dopo è stato trasferito alla cura del British Museum, che ora sta lavorando con altri scienziati per effettuare una nuova importante analisi su questi resti. “Il materiale scheletrico è di grande importanza – non solo a causa delle prove di conflitto, ma anche perché il cimitero di  Jebel Sahaba è il più antico scoperto nella Valle del Nilo finora”, spiega Daniel Antoine, tra i curatori del British Museum.

Archeologi al lavoro nel sito di Jebel Sahaba sulla riva orientale del Nilo nel Sudan settentrionale

Archeologi al lavoro nel sito di Jebel Sahaba sulla riva orientale del Nilo nel Sudan settentrionale

Intanto scienziati francesi in collaborazione con il British Museum hanno esaminato decine di scheletri, la maggioranza dei quali sembrano essere stati uccisi da arcieri con frecce con punta di selce. Negli ultimi due anni poi gli antropologi della Bordeaux University hanno scoperto dozzine di segni di impatto di freccia non rilevati in precedenza e frammenti di punte di freccia in selce sia sulle ossa delle vittime che intorno ai loro resti. Questa scoperta suggerisce che la maggior parte degli individui scoperti a Jebel Sahaba – uomini, donne e bambini -, siano stati uccisi da arcieri nemici, e poi sepolti dalla loro stessa gente. Le nuove ricerche dimostrano che gli attacchi (ma sarebbe meglio parlare di una guerra prolungata di basso livello) hanno avuto luogo nel corso di molti mesi se non di anni.

Uno scheletro riportato alla luce a Jebel Sahaba con i segni di un conflitto di 13mila anni fa

Uno scheletro riportato alla luce a Jebel Sahaba con i segni di un conflitto di 13mila anni fa

Ma chi erano queste popolazioni in lotta tra loro? A questa domanda sta cercando di dare una risposta una ricerca parallela curata dalla Liverpool John Moores University, dalla University of Alaska e dalla New Orleans Tulane University. Dai primi risultati si può dire che gli aggrediti facevano parte della popolazione sub-sahariana originaria – gli antenati dei moderni africani neri. L’identità dei loro assassini è comunque meno facile da determinare. “Ma è plausibile – spiegano gli antropologi – fossero persone di un gruppo razziale ed etnico totalmente diverso – parte di una popolazione nordafricano / levantina / europea che viveva in gran parte del bacino del Mediterraneo. I due gruppi – anche se entrambi parte della nostra specie, Homo sapiens – sarebbero sembrati molto diversi tra di loro ed erano anche quasi certamente diversi culturalmente e linguisticamente”. Il gruppo di origine sub-sahariana presenta arti lunghi, torsi relativamente corti e mascelle superiore e inferiore prominenti con fronti arrotondate e ampi nasi, mentre il gruppo nord africano/levantino/europeo originari del Nord Africa aveva gli arti corti, torsi lunghi e facce piatte. Entrambi i gruppi erano molto muscolosi e strutturalmente forti. “Certamente la zona settentrionale del Sudan in questo periodo vedeva la presenza dei due gruppi etnici, dal momento che tracce del gruppo nord africano/levantino/europeo originario del Nord Africa sono state trovate anche 200 miglia a sud di Jebel Sahaba, suggerendo così che le vittime furono uccise in una zona dove operavano entrambe le popolazioni”.

I primi scheletri a Jebel Sahaba sono stati scoperti nel 1964 dall'archeologo americano Fred Wendorf

I primi scheletri a Jebel Sahaba sono stati scoperti nel 1964 dall’archeologo americano Fred Wendorf

Non è un caso che le due tribù o i due clan rivali siano venuti in conflitto proprio 13mila anni fa, periodo di enorme concorrenza per le risorse a causa di una grave crisi climatica che, soprattutto nel periodo estivo, prosciugava molte sorgenti d’acqua. La crisi climatica – conosciuto come il periodo Younger Dryas – era stato preceduto da uno molto più lussureggiante, con condizioni più umide e più calde che avevano consentito alle popolazioni di espandersi. Ma quando le condizioni climatiche peggiorarono durante il Younger Dryas, le pozze d’acqua si prosciugarono, la vegetazione appassì e gli animali morirono o si spostarono verso l’unica fonte di acqua ancora disponibile per tutto l’anno: il Nilo. Gli esseri umani di tutti i gruppi etnici della zona sono stati costretti a seguire l’esempio – e migrarono verso le sponde del grande fiume (in particolare la sponda orientale). A causa della competizione per le limitate risorse, i gruppi umani si sarebbero inevitabilmente scontrati – e la ricerca in corso sta dimostrando la scala di questo primo notevole conflitto umano.

 

Scoperta nel tempio funerario di Amenofi III a Luxor la statua della figlia Iset per la prima volta rappresentata da sola senza i fratelli

La statua di Iset figlia del faraone Amenofi III, trovata al tempio funerario di Kom al Hitan

La statua di Iset figlia del faraone Amenofi III, trovata al tempio funerario di Kom al Hitan

Il recupero (e restauro) del grande tempio funerario di Amenofi III a Luxor non finisce di stupire tanto da convincere il ministro egiziano alle Antichità Mohamed Ibrahim ad annunciare: “Eccezionale scoperta archeologica nel sud dell’Egitto: per la prima volta trovata una statua di Iset da sola, senza i suoi fratelli”. Un gruppo di esperti archeologi egiziano-europei diretto dall’archeologa armena Hourig Sourouzian (che si sta occupando anche del restauro dei Colossi di Memnone) ha infatti rinvenuto nelle scorse settimane una statua raffigurante Iset, una figlia del faraone Amenofi III (1387-1348 a.C.), sulla riva occidentale del Nilo dii fronte a Luxor (cioè nell’antica Tebe ovest dove c’erano le necropoli: famosissime quelle della valle dei Re e delle Regine), durante i lavori di restauro del tempio funerario di Amenofi III a Kom al Hitan.

I Colossi di Memnone i resti più significativi del tempio funerario di Amenofi III a Tebe Ovest

I Colossi di Memnone i resti più significativi del tempio funerario di Amenofi III a Tebe Ovest

Amenofi III, noto anche con il nome greco, Amenhotep III è stato uno dei faraoni più importanti della diciottesima dinastia, e padre del re Akhenaton e il nonno di Tutankhamon. Al tempo della sua costruzione, il tempio funerario di Amenofi III era il più grande dei templi funerari della zona di Tebe, più grande del complesso di Karnak e copriva un’area di 350mila metri quadri. Ma l’edificio fu costruito più vicino al fiume di qualsiasi altro tempio funerario, e per questo si rovinò più velocemente. Il resto lo ha fatto l’uomo: le struttture del tempio furono utilizzate in tempi antichi come fonte di materiale edilizio. Oggi del monumento resta molto poco, solo i famosi Colossi di Memnone, due massicce statue in pietra alte 18 metri raffiguranti Amenofi che si trovano sull’entrata, tuttora visibili. Il sito è stato incluso nella lista World Monuments Watch dei siti in pericolo, gestita dalla World Monuments Fund (Wmf)).

L'archeologa armena Hourig Sourouzian direttore del progetto di recupero del tempio funerario di Amenofi III

L’archeologa armena Hourig Sourouzian

È in questo contesto che opera Hourig Sourouzian come direttore del progetto di conservazione dei Colossi di Memnone e del tempio funerario di Amenofi III col compito di rimontaggio e conservazione dei resti monumentali del tempio funerario: dal torso di 400 tonnellate del Colosso nord di Amenhotep III al II pilone ai blocchi di alabastro appartenenti ad altre due statue colossali di Amenhotep III al terzo pilone. La pulizia e la conservazione delle opere sono in corso.

La statua di Iset scoperta a Kom al Hitan, con il dettaglio della parrucca nubiana

La statua di Iset scoperta a Kom al Hitan, con il dettaglio della parrucca nubiana

La statua ritrovata di Iset, alta 170 centimetri e larga 52, faceva parte di un gruppo scultoreo in alabastro alto 14 metri addossato al terzo pilone del tempio, che rappresentava il colosso del faraone Amenofi III assiso sul trono, con la figlia che si regge alle sue gambe: la statua è danneggiata ma porta il nome della principessa – vissuta nel XIV secolo avanti Cristo – e i suoi titoli nobiliari. “L’importanza della scoperta – sottolinea il ministro Ibrahim – è legata al fatto che è la prima volta che viene trovata una statua di “Iset” da sola con il padre. In precedenza Iset era sempre stata ritratta con i genitori e i fratelli”. E il responsabile del Dipartimento delle Antichità presso il ministero delle Antichità (Msa), Ali Al Asfar, conclude: “La statua porta una parrucca nubiana, una lunga tunica e una collana menat nella mano destra. Il volto della principessa è eroso, ma vicino alla base della statua compaiono il suo nome e alcuni titoli come: Amata da suo padre e “Grande Sposa Reale” (Amenofi, infatti, sposò sua figlia intorno al 34° anno di regno, in corrispondenza della sua seconda festa sed).”.

 

 

Senebkay, il faraone sconosciuto della dinastia di Abido, potrebbe essere la star del “nuovo” museo Egizio di Torino

I resti della mummia del faraone Senekbay dal sarcofago già saccheggiato in antico

I resti della mummia del faraone Senekbay dal sarcofago già saccheggiato in antico

Il futuro per Senebkay, il “faraone sconosciuto” identificato nelle scorse settimane ad Abido, la città santa dell’Antico Egitto, a 150 chilometri da Luxor, ai margini del deserto occidentale, potrebbe riservargli un viaggio fuori dal suo Paese, al museo Egizio di Torino, dove è conservato l’unico documento, il Papiro dei Re, che parla di lui. “A marzo 2015”, anticipa Eleni Vassilika, direttore del museo Egizio di Torino, che sta seguendo con interesse gli sviluppi della scoperta, “è prevista l’apertura dell’intero palazzo con un allestimento definitivo nonché nuovi impianti, vetrine e un area per ospitare le mostre temporanee”. Così mentre ad Abido dopo la scoperta eccezionale del “faraone sconosciuto” si annunciano altre clamorose novità, a Torino potrebbe rivelarsi vincente quella che al momento sembra essere solo un’idea suggestiva: “ricongiungere” Senebkay con il papiro dei Re.

Eleni Vassilika, direttore del museo Egizio di Torino

Eleni Vassilika, direttore del museo Egizio di Torino

Ad Abido la scoperta della tomba reale del faraone Senebkay ha dato forma – ricordiamolo (vedi nostro post del 21 gennaio 2014) – alla mitica dinastia di Abido (1650-1600 a.C.) , una dinastia regionale indipendente e parallela a quelle tradizionali numerate contemporanee (cioè la XV Hyksos e la XVI Tebana) , che finora era stata solo un’ipotesi formulata ancora nel 1997 dall’egittologo K. Ryholt. Ma gli archeologi Josef Wegner e Kevin Cahail, del dipartimento di Lingue e Civiltà del Vicino Oriente all’Università della Pennsylvania, che hanno identificato il faraone, sono convinti che la tomba reale di Senebkay non sia l’unica e che nella necropoli individuata a sud di Abido vi potrebbe essere un’altra quindicina di tombe regali della Dinastia dimenticata. “La sepoltura di Senebkay è la prima attribuibile a una dinastia regale della città di Abydos”, conferma Vassilika. “Il ritrovamento perciò apre una finestra su un aspetto del tutto nuovo della storia di quel periodo. Potrebbe essere solo la prima di altre clamorose scoperte. E se si confermerà quanto ipotizzato dal team Usa dell’università di Pennsylvania, cioè che vi potrebbe essere un’altra quindicina di tombe regali in questa necropoli, non possiamo che aspettarci nuove importanti rivelazioni”.

Il Papiro dei re conservato al museo Egizio di Torino

Il Papiro dei re conservato al museo Egizio di Torino

Intanto a Torino si favoleggia il “ricongiungimento” del sovrano Senebkay al celebre papiro che parla di lui al museo Egizio. “Abbiamo rapporti eccellenti con i nostri colleghi egiziani”, conferma il direttore dell’Egizio di Torino, uno dei più importanti al mondo (nel 2013 ha avuto 540mila visitatori). “E possiamo sicuramente immaginarci di poter collaborare in futuro a un progetto del genere per portarne i resti a Torino. La scoperta della tomba di Senebkay è di grandissimo interesse innanzitutto da un punto di vista storico. Ma non possiamo dimenticare che il suo nome era ricordato proprio in un papiro custodito al Museo Egizio di Torino”. Gli esperti del Museo Egizio erano però riusciti a decifrare solo “User…Ra”. Mancava il centro della parola, il cuore del nome di questo faraone rimasto a lungo sepolto nella sabbia della sua terra d’origine. Però grazie alle decifrazioni del team statunitense il “re sconosciuto” ha finalmente un nome, si chiama “User Ib Ra”, il forte cuore di Ra che, dopo millenni di anonimato, potrebbe avere un futuro proprio a Torino. “La tomba di Senebkay è stata devastata dagli antichi saccheggiatori”, continua Vassilika, “lo scheletro del sovrano è sicuramente un importante documento antropologico, ma degli oggetti funerari (il “corredo”) abbiamo solo poveri resti. La tomba però ha ancora scene dipinte dove si è potuto appunto leggere il nome del re”. Portare il sarcofago di User Ib Ra sotto la Mole sarebbe un colpo inestimabile per il patrimonio di un museo, attualmente in fase di ristrutturazione, ma che entro marzo 2015 riaprirà tutte le sale agli appassionati, proponendo il nuovo e definitivo allestimento con tantissime novità.