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Ultime scoperte delle missioni archeologiche italiane all’estero. Al museo Classis Ravenna per “Classe al chiaro di luna” protagonista Nicolò Marchetti con “Da Karkemish a Ninive. Scavi e ricerche archeologiche dell’università di Bologna in Turchia e in Iraq”

Il manifesto delle manifestazioni “Classis al chiaro di luna”

L’archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

“Classe al chiaro di luna” questa settimana ci porta alla scoperta delle missioni archeologiche dell’università di Bologna in Turchia e Iraq con il direttore delle due aree di ricerca, il prof. Nicolò Marchetti. Mercoledì 24 luglio 2019, alle 21, al museo Classis Ravenna, per “Museo Classis. Missioni archeologiche all’estero: le ultime scoperte” la conferenza a ingresso gratuito “Da Karkemish a Ninive. Scavi e ricerche archeologiche dell’Università di Bologna in Turchia e in Iraq” con Nicolò Marchetti, professore di Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico all’università di Bologna, dal 2011 direttore della missione archeologica turco-italiana a Karkemish e dal 2016 direttore della missione archeologica italo-irachena per la ricognizione di superficie del settore orientale della regione di Qadissiya (QADIS).

Muri scolpiti, bassorilievi, sculture, fregi risalenti al 900 a.C. a Karkemish in Turchia (foto della missione italo-turca)

Bassorilievi dallo scavo di Karkemish in Turchia (foto della missione italo-turca)

“Il sito archeologico di Karkemish in Turchia sud-orientale”, spiegano gli archeologi dell’università di Bologna, “è una delle più importanti capitali del Vicino Oriente preclassico. Attestato nella documentazione cuneiforme fin dal 2300 a.C., Karkemish è uno dei principali regni al tempo di Hammurabi di Babilonia, poi la sede del viceré ittita e infine un centro di straordinaria monumentalità artistica nell’Età del Ferro, fino alla distruzione assira del 717 a.C., che viene seguita da una nuova fioritura nel VII sec. a.C. fino a divenire più tardi una città romana provinciale. Le imponenti rovine del sito, con mura alte fino a 20 m che racchiudono un’area di 90 ettari, sono state oggetto di celebri campagne di scavo condotte tra il 1911 e il 1920 dal British Museum con C.L. Woolley e T.E. Lawrence (d’Arabia). Le ricerche si sono poi interrotte a causa della presenza di un’installazione militare. Nell’autunno del 2011 una missione congiunta turco-italiana con le università di Bologna, Istanbul e Gaziantep, ha avviato una prima, nuova campagna di scavi e restauri, nel quadro di un progetto integrato di ricerca attivo nella regione di Gaziantep dal 2003. Il nuovo progetto, di lunga durata, intende realizzare sul sito anche un parco archeologico e ambientale in vista della valorizzazione della provincia di Karkamış”. Muri scolpiti, bassorilievi, sculture, fregi risalenti al 900 a.C.: è un tesoro inestimabile quello venuto alla luce a Karkemish: “Scoperte così non se ne facevano da 50 anni”, sottolinea Nicolò Marchetti. “Una scoperta sensazionale, eravamo emozionati”. Dal punto di vista operativo è un “paradiso, anche se il nostro isolamento è presto destinato a finire”, dichiarava qualche anno fa l’archeologo, svelando gli ambiziosi piani futuri per l’area, con la creazione di un parco archeologico. Un progetto già in fase avanzata in cui Marchetti crede molto: “Vogliamo che questa regione abbia uno sviluppo economico dal turismo, ci sembra giusto ed etico”.

Planimetria del progetto Qadis della missione italo-irachena a Qadisiyah (foto Unibo)

L’archeologo Nicolò Marchetti a Karkemish (Turchia) e a Qadisiyah (Iraq)

Le campagne archeologiche nella zone di Qadisiyah e al-Kut in Iraq hanno avuto l’obiettivo di reperire dati sul popolamento, sulla cultura materiale e sul rapporto tra uomo e territorio nell’antica Mesopotamia. I dati raccolti e il lavoro archeologico saranno la base per organizzare attività di training per il personale impiegato nel settore dei beni culturali in Iraq, corsi nelle scuole superiori sull’importanza del patrimonio culturale e per lavorare in alcuni importanti musei a Baghdad e in zone provinciali come Kufa e Qadisiyah. Ma l’impegno dell’università di Bologna in Iraq non finisce qui. L’Alma Mater è attiva infatti nel paese mediorientale anche con Qadis: progetto congiunto italo-iracheno diretto da Nicolò Marchetti e pensato per la ricognizione mirata di siti archeologici. Il punto di partenza di Qadis risale al lavoro svolto tra gli anni ’60 e ’70 da una équipe americana diretta da Robert Mc. Adams (Università di Chicago). L’obiettivo è comprendere, grazie a metodologie e tecnologie innovative, l’evoluzione degli insediamenti e dell’utilizzo del territorio nell’area orientale della moderna regione di Qadisiyah, in Iraq centrale. I ricercatori di Qadis utilizzano immagini satellitari (Google Earth, ESRI, Bing Maps, Corona), foto da droni (sia quadricotteri, sia velivoli monoala), ricerche geoarcheologiche con carotaggi, ricognizioni sul campo e sondaggi stratigrafici. Tutte attività che nascono dalla collaborazione tra archeologi e topografi di università di Bologna, State Board of Antiquities and Heritage, università di Qadisiyah e università di Kufa. Metodologie d’indagine innovative, grazie alle quali è stato possibile scoprire nuovi siti archeologici e definire i percorsi degli antichi canali d’acqua, vere e proprie vie di comunicazione dell’antica Mesopotamia. Le immagini scattate con i droni hanno inoltre permesso di ricostruire gli impianti urbani di alcuni siti risalenti a più di 4000 anni fa, come Puzrish Dagan (Tell Drehem), Tummal (Tell Dlehim) e Umm al-Fugas.

Archeologie “alibi”: l’università di Bologna approfondisce l’archeologia degli archivi e dei depositi attraverso il caso Reggio Emilia e Modena

L’aula “Giorgio Prodi” ospita l’incontro “Archeologie alibi: Reggio Emilia e Modena” promosso dall’università di Bologna

Il termine tecnico è archeologie “alibi”: si tratta dell’insieme delle pratiche archeologiche che non avvengono sul campo, ma rappresentano comunque una componente fondamentale nel percorso di conoscenza e di valorizzazione per tutti quei siti che abbiano alle spalle una lunga storia di indagini, scavi, interventi di recupero e musealizzazione. “Si tratta in particolare”, spiegano all’università di Bologna, “di un’archeologia degli archivi, custodi della documentazione prodotta, e dei depositi, custodi dei reperti. Questa preziosa mole di dati non in situ viene oggi riscoperta e riletta  stratigraficamente per essere utilmente organizzata in nuovi archivi digitali, le cui potenzialità – in particolare quelle derivanti dall’archeologia virtuale che consente di produrre modelli tridimensionali – si configurano come interfacce per la gestione dei dati della ricerca, dai dati primari ai metadati e paradati”. Proprio “Archeologie alibi: i casi di Modena e Reggio Emilia” è il titolo del quinto appuntamento della serie “Discorsi sul Metodo”, dedicato al tema delle archeologie “alibi”, promosso nell’ambito dell’accordo di collaborazione didattico-scientifica di recente sottoscritto tra l’Istituto Centrale per l’Archeologia e il Dipartimento di Storie Culture Civiltà dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, e si pone all’inizio di una serie di iniziative dedicate proprio alle archeologie “alibi” curate dagli organizzatori in varie sedi, in Italia e all’estero.

Luigi Malnati, soprintendente archeologo

Appuntamento venerdì 23 Marzo 2018, alle 10.30, nell’aula “Giorgio Prodi” dell’università di Bologna, in piazza San Giovanni in Monte 2, a Bologna. Ingresso libero. Ai saluti istituzionali di Nicolò Marchetti, direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici; Antonella Coralini, dipartimento di Storia Culture Civiltà; Elena Calandra, direttore dell’Istituto Centrale per l’Archeologia / Dirigente ad interim del Servizio II – Scavi e tutela del patrimonio archeologico, Direzione Generale Archeologia, belle arti e paesaggio; seguono gli interventi:  Luigi Malnati, soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e per le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, su “Conoscenza, tutela, conservazione: il ruolo dei musei archeologici civici e di quelli di Stato nel dopo riforma Franceschini”; Fiamma Lenzi, Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, su “L’Istituto per Beni Culturali, le politiche regionali e i musei civici: il distretto emiliano”.

Il manifesto della mostra “On the road. La Via Emilia, 187 a.C. – 2017” al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia

Si entra poi nel caso specifico di Reggio Emilia. Elisabetta Farioli, direttore dei musei civici di Reggio Emilia, interviene su “I Musei Civici di Reggio Emilia e l’eredità dell’antico”; Roberto Macellari, responsabile delle collezioni Archeologiche dei musei civici di Reggio Emilia, su “La lezione di Don Gaetano”; Georgia Cantoni, responsabile comunicazione dei musei civici di Reggio Emilia, su “Tra conoscenza ed emozione: comunicare e condividere la Storia per connettersi al futuro”; Giada Pellegrini, responsabile Educazione del settore Archeologia dei musei civici di Reggio Emilia, su “Educare all’antico / educare al futuro”; Annalisa Capurso, funzionario archeologo della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e per le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, su “On the Road: dietro le quinte di una mostra”.

Il manifesto della mostra “Mutina Splendidissima. La città romana e la sua eredità” al Foro Boario di Modena dal 25 novembre 2017 all’8 aprile 2018

Per il caso Modena, intervengono: Francesca Piccinini, direttore dei musei civici di Modena, su “I progetti di ricerca dei Musei Civici di Modena: risultati e prospettive”; Cristiana Zanasi, funzionario archeologo dei musei civici di Modena, su “Le ricerche di pre-protostoria”; Silvia Pellegrini, funzionario archeologo dei musei civici di Modena, su “L’età romana, dalla Carta Archeologica a Mutina Splendidissima”; Donato Labate, funzionario archeologo della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e per le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, su “Modena e territorio: l’impegno della Soprintendenza. Un bilancio”. Chiude la discussione coordinata da Elena Calandra e Antonella Coralini.

“…comunicare l’archeologia…”: il Gruppo archeologico bolognese presenta il ricco programma del ciclo del IV trimestre 2017 tra medicina etrusca e cucina degli antichi greci, news delle più recenti ricerche archeologiche e il resoconto della situazione del patrimonio archeologico in Vicino Oriente

L’archeologo Nicolò Marchetti a Karkemish: il 14 novembre sarà ospite del Gabo

Il Gruppo archeologico bolognese iscritto ai Gruppi archeologici d’Italia

Dalla medicina etrusca alla tavola degli antichi greci, dai rapporti dei longobardi con le popolazioni locali ai casi di buone azioni al femminile nella Chiesa delle origini, e poi tanta ricerca: l’anfiteatro romano di Bononia, la valle del Samoggia, da Marzabotto a Pompei, fino alle “interviste impossibili” con l’uomo di Neanderthal e al resoconto drammatico sulla situazione del patrimonio archeologico in Vicino Oriente. È un programma particolarmente ricco quello proposto dal nuovo ciclo di incontri “…comunicare l’archeologia…” promosso per il IV trimestre del 2017, cioè da ottobre a dicembre, dal Gruppo archeologico bolognese, costituito nel 1991, composto da insegnanti di scuole medie superiori, studenti universitari, archeologi ed appassionati di vario tipo, tutti accomunati dal medesimo interesse per la storia della cultura e dell’arte antica. Il Gabo, che aderisce ai Gruppi archeologici d’Italia, oggi collabora con il museo nazionale Etrusco “Pompeo Aria” di Marzabotto e con il museo della Preistoria “Luigi Donini” di San Lazzaro di Savena. Gli incontri, come da tradizione, si tengono il martedì alle 21, al  Centro Sociale “G.Costa” in via Azzo Gardino 48 a Bologna. E allora vediamo più da vicino il programma proposto dal Gabo.

L’uomo di Neanderthal protagonista delle “Interviste impossibili”

Il manifesto della mostra “Longobardi. Un popolo che cambia la storia” a Pavia

Serata inaugurale martedì 17 ottobre 2017, alle 21 al Centro Sociale G.Costa. La prima parte dell’incontro sarà riservata alla presentazione del programma sociale di conferenze, viaggi, eventi culturali. Quindi prima conferenza del ciclo con Silvia Romagnoli, archeologa specializzata in etruscologia e viaggiatrice, che parlerà di “Etrusca medicina: rimedi e cure naturali nell’Italia antica”. Il martedì successivo, 24 ottobre 2017, alle 21 ancora al “G.Costa”, conferenza preparatoria al viaggio a Pavia del 5 novembre per la visita della mostra “Longobardi. Un popolo che cambia la storia” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/08/23/pavia-e-pronta-a-tornare-capitale-del-regnum-langobardorum-apre-al-castello-visconteo-la-mostra-longobardi-un-popolo-che-cambia-la-storia-un-grande-evento-in-cui-per-la-prima-volt/). Erika Vecchietti, archeologa specializzata in archeologia romana, ha scelto un tema intrigante: ““In fila longobarda. Piccola storia di migrazioni, contrasti e integrazioni nell’Italia di VI-VII secolo”. Attenzione, perché col terzo incontro si cambiano giorno, luogo e orario: l’appuntamento, nell’ambito della Festa internazionale della Storia, è infatti domenica 29 ottobre 2017, alle 16.30, al MUV Museo della civiltà villanoviana in via B. Tosarelli 191 a Villanova di Castenaso (Bo). Per la serie “Le interviste impossibili”, Italo Calvino intervista l’Uomo di Neanderthal: con Marco Mengoli nel ruolo dell’Uomo di Neanderthal e Michele Gambetti in quello dell’Intervistatore. Introduce l’evento Federica Fontana, ricercatrice al Dipartimento di Studi Umanistici dell’università di Ferrara.

Scena di banchetto da una pittura vascolare greca: ne parlerà Cristina Servadei

Martedì 31 ottobre 2017, si torna alle 21 al “G.Costa” con Cristina Servadei, archeologa specializzata in archeologia greca, che ci farà fare un viaggio dei gusti e nei sapori del mondo antico con “A tavola con gli antichi. Il cibo degli dei, degli eroi e dei mortali nell’antica Grecia”. La settimana successiva “…comunicare l’archeologia…” fa una pausa per lasciare spazio all’altra tradizionale iniziativa del Gabo “Imagines: obiettivo sul passato”, XV edizione, rassegna del documentario archeologico in cartellone il 10-11-12 novembre 2017 alla Mediateca del Comune di S. Lazzaro di Savena (Bo). Gli incontri riprendono martedì 14 novembre 2017, alle 21, al “G.Costa” su “Il patrimonio archeologico del Vicino Oriente: una rassegna dei vari tipi di minacce e distruzioni nella culla della civiltà”, preziosa testimonianza di Nicolò Marchetti, docente al dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’università di Bologna, dal 2011 direttore della missione archeologica turco-italiana a Karkemish e dal 2016 direttore della missione archeologica italo-irachena per la ricognizione di superficie del settore sud-orientale della regione di Qadissiya (QADIS).

La musealizzazione dell’anfiteatro romano di Bologna

Martedì 21 novembre 2017, alle 21, al “G.Costa”, si “gioca in casa”: Claudio Calastri, archeologo e coordinatore del settore Archeologia di Ante Quem srl, presenta le “Nuove ricerche sull’anfiteatro romano di Bononia”. Sara Campagnari, funzionario archeologo alla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, e ricercatrice all’università di San Marino, completa gli incontri di novembre, martedì 28 novembre 2017, alle 21, al “G.Costa”, illustra le “Nuove testimonianze archeologiche dalla valle del Samoggia. Gli scavi lungo la Nuova Bazzanese”. Martedì 5 dicembre 2017l alle 21, ma stavolta alla mediateca comunale di S. Lazzaro di Savena, chiude il ciclo del IV trimestre 2017, con un incontro in collaborazione con il museo della Preistoria “L. Donini” di S. Lazzaro: i ricercatori Andrea Gaucci ed Enrico Giorgi, assegnisti di ricerca all’università di Bologna – dipartimento Storia Culture Civiltà, con la collaborazione di Simone Garagnani e Michele Silani, si soffermano su “La ricerca in scena: raccontare la città da Marzabotto a Pompei”. Presenta la serata Giuseppe Sassatelli, già docente di Etruscologia e Antichità Italiche all’università di Bologna.

A Karkemish, città-stato ittita al confine tra Turchia e Siria, torna a risuonare al voce di Sargon II zittita da Nabucodonosor II. La missione italo-turca guidata da Nicolò Marchetti dell’università di Bologna ha scoperto in fondo a un pozzo tre tavolette del grande re assiro fatte sparire dal sovrano babilonese

Un leone in marcia scolpito su un ortostato della città-stato ittita di Karkemish, al confine tra Turchia e Siria

Un leone in marcia scolpito su un ortostato della città-stato ittita di Karkemish, al confine tra Turchia e Siria

Sargon II, grande re assiro

Sargon II, grande re assiro

Nabucodonosor II lo sapeva. La conquista di Karkemish, la potente città in posizione strategica tra l’Anatolia ittita e la Mesopotamia assira, non sarebbe bastata a cancellare il ricordo del grande re assiro Sargon II (721-705 a.C.) che più di cento anni prima, sul finire dell’VIII sec. a.C., aveva costruito un impero in Vicino Oriente, nella Mezzaluna Fertile, conquistando Samaria, Damasco, Gaza e, nel 717, anche Karkemish, città-stato ittita che sorgeva sul corso dell’Eufrate, dove oggi corre il confine tra Siria e Turchia. Lo spettro di Sargon aleggiava ancora. Le sue parole sembravano ancora vive nella memoria della gente. Lui che sintetizzava così la sua vita: “Io sono Sargon, re forte, re di Akkad. Mia madre era una sacerdotessa; mio padre non lo conosco; era uno di quelli che abitano le montagne. Il mio paese è Azupiranu sull’Eufrate. La sacerdotessa mia madre mi concepì e mi generò in segreto; mi depose in un paniere di giunco, chiuse il coperchio con del bitume, mi affidò al fiume che non mi sommerse. I flutti mi trascinarono e mi portarono da Aqqui, l’addetto a raccogliere acqua. Aqqui, immergendo il suo secchio, mi raccolse. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi adottò come figlio e mi allevò. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi fece suo giardiniere. Durante il periodo in cui ero giardiniere la dea Ishtar mi amò. Per… anni io fui re”. Quella voce doveva essere spenta. Così Nabucodonosor fece distruggere tutti i documenti di Sargon affidandoli all’oblio del tempo. Fino all’arrivo degli archeologi. E la voce di Sargon è tornata a risuonare.

Una delle tavolette di argilla con testi in cuneiforme celebrativi di Sargon II trovata dalla missione archeologica dell'università di Bologna a Karkemish

Una delle tavolette di argilla con testi in cuneiforme celebrativi di Sargon II trovata dalla missione archeologica dell’università di Bologna a Karkemish

Tre preziosi frammenti di tavolette d’argilla, che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro Sargon II, sono stati scoperti in fondo a un pozzo (a 14 metri di profondità), nel sito di Karkemish, dalla missione archeologica italo-turca avviata nel 2011 dall’università di Bologna insieme agli atenei turchi di Gaziantep e Istanbul. Le tavolette furono gettate in fondo a un pozzo su ordine del re babilonese Nabucodonosor II, per essere per sempre dimenticate. Scrive Sargon: “Ho costruito, aperto nuovi corsi d’acqua, incrementato la produzione di grano, rinforzato le porte con cerniere di bronzo, allargato i granai, costituito un esercito con 50 carri, 200 cavalli, tremila fanti. E ho reso il popolo felice, fiducioso in se stesso”.

La mappa del sito archeologico di Karkemish studiato dalla missione archeologica italo-turca guidata dall'università di Bologna

La mappa del sito archeologico di Karkemish studiato dalla missione archeologica italo-turca guidata dall’università di Bologna

Spesso paragonata a città gloriose come Troia, Ur, Gerusalemme, Petra e Babilonia, Karkemish è stato un centro di straordinaria importanza. Abitato almeno dal VI millennio a.C., a partire dal 2300 acquista un ruolo centrale nella regione e diviene contesa da ittiti, assiri e babilonesi. Solo con l’impero romano inizia il suo declino, che termina nell’Alto Medioevo, attorno al X secolo, quando la città viene definitivamente abbandonata e dimenticata. Ricompare solo alla fine dell’800. Fu allora che una serie di campagne esplorative promosse dal British Museum (ci lavorò anche Lawrence d’Arabia) riportarono per la prima volta alla luce le tracce del suo grande passato. Un’opera di riscoperta che oggi è passata nelle mani dell’Alma Mater, con un progetto di scavo guidato dal prof. Nicolò Marchetti che, al suo quinto anno di attività, è finito – letteralmente – in fondo a un pozzo. Per riemergere con le parole ritrovate del re Sargon II.

L'archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

L’archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

Tre frammenti di tavolette d’argilla”, ricorda Marchetti, “che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro. Frasi autocelebrative, che esaltano le vittorie militari e le misure a favore della popolazione. Frasi che, proprio per il loro carattere propagandistico, furono fatte sparire, gettate in fondo a un pozzo su ordine di Nabucodonosor II, il re babilonese che nel 605, dopo un lungo assedio, strappò Karkemish al controllo assiro. Cancellare le tracce e i simboli del nemico sconfitto è una pratica che attraversa tutta la storia dell’umanità e che ancora oggi, purtroppo, viene praticata”.

Il pozzo di Karkemish in fondo al quale sono stati trovati i frammenti di tre tavolette con testi celebrativi di Sargon

Il pozzo di Karkemish in fondo al quale sono stati trovati i frammenti di tre tavolette con testi celebrativi di Sargon

Il pozzo è stato rinvenuto dalla missione italo-turca nell’area dove un tempo sorgeva il palazzo di re Katuwa, costruito attorno al 900 a.C. e ampliato e modificato da Sargon II. Gli archeologi dell’Alma Mater si sono calati nella stretta imboccatura, scendendo fino a 14 metri sotto al livello del suolo. Lì, sul fondo, è stata trovata una fitta serie di oggetti e utensili di ambito amministrativo, letterario e decorativo: gettoni d’argilla (tokens) per la contabilità, recipienti di bronzo e di pietra, un’armatura di ferro e i tre frammenti di tavolette d’argilla con le parole di Sargon II. Oltre al pozzo, i lavori della missione archeologica dell’Alma Mater hanno portato alla luce anche tre ortostati, lastre di pietra con funzioni sia di sostegno che decorative, in ottime condizioni. In uno è rappresentato un leone in marcia, mentre nelle altre due sono incisi un toro alato e un dio-ibex alato, con un volto umano. Quest’ultimo, in particolare, rappresenta un caso unico nel campo dell’arte neo-ittita. Puliti e restaurati, gli ortostati sono stati lasciati nell’area del palazzo di re Katuwa, ed è stato inoltre completata la rilevazione digitale ad alta precisione della mappa dell’antica città. Tutti interventi che puntano a far nascere un parco archeologico che possa attirare turisti e visitatori a Karkemish, coinvolgendoli in un’esperienza immersiva tra storia e attualità.