Napoli. Al museo Archeologico nazionale tornano i Giganti di Mont’e Prama: conferenza di Nadia Canu su “Sardegna isola dalle vene d’argento” e vernice della mostra fotografica “I Giganti in mostra”

Il Pugilatore, uno dei Giganti di Mont’e Prama, è il testimonial della mostra “Sardegna isola megalitica” al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto valentina cosentino)
I Giganti di Mont’e Prama ritornano al museo Archeologico nazionale di Napoli. Dopo il successo di “Sardegna Isola Megalitica”, la mostra ospitata proprio al Mann, che ha visto la presenza del Gigante “Manneddu” (Pugilatore), al via una mostra fotografica sulle statue del Sinis, e conferenza sui tesori archeologici della Sardegna. A Napoli la Fondazione Mont’e Prama arriva stavolta in compagnia della Dinamo Sassari per la prima tappa italiana della campagna di comunicazione che vede le due società impegnate assieme per promuovere i tesori del Sinis.
Sabato 21 gennaio 2023, alle 11, conferenza dal titolo “Sardegna isola dalle vene d’argento” a cura della direttrice della Fondazione Nadia Canu. “Argyróphleps nésos”, “l’isola dalle vene d’argento”, questo è l’antico nome dato alla Sardegna dai Greci, in quanto l’isola era nota come terra che ha moltissime miniere d’argento. Già i Romani usarono il toponimo Argentiera per indicare una miniera d’argento che si collocava nel nordovest della Sardegna. Famosa in tutto il mondo per il suo mare cristallino e le meravigliose spiagge, destinazione ogni anno di milioni di turisti, la Sardegna è una terra antica, con un ricchissimo patrimonio culturale. Dalla preistoria nuragica, che si distingue per la sua eccezionalità e quantità di risorse, fino al patrimonio architettonico di epoca romanica e l’originalità del tessuto urbano che forma le principali città e cittadine.

L’archeologa Nadia Canu, direttrice della fondazione Mont’e Prama (foto fondazione mont’e prama)
Ne parlerà l’archeologa Nadia Canu, dal 3 ottobre 2022, prima direttrice della Fondazione Mont’e Prama, che per dieci anni si è occupata del patrimonio archeologico della Sardegna come funzionaria archeologa della soprintendenza di Sassari e Nuoro. La nomina ministeriale è stata possibile una volta conclusi gli accordi tra la Fondazione Mont’e Prama, la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari, Oristano e Sud Sardegna e la direzione regionale Musei e il museo Archeologico nazionale di Cagliari per l’effettivo passaggio di consegna dei beni archeologici presenti nel territorio di Cabras: le statue dei Giganti del Museo civico, l’antica città di Tharros, l’ipogeo di San Salvatore e la Torre spagnola di San Giovanni.

Un allestimento della mostra fotografica “I Giganti in mostra” (foto mann)
A seguire, nel Braccio Nuovo del Mann, l’inaugurazione della mostra fotografica “I Giganti in mostra”, un’esposizione didattica e divulgativa sui celebri Giganti: nove pannelli racconteranno al pubblico la fortuna di un mito ancora tutto da scoprire. Intervengono il direttore del Mann, Paolo Giulierini; il presidente della Fondazione, Anthony Muroni; e il chief marketing officer della Dinamo Sassari, Marsilio Balzano. Gli operatori della Cooperativa Penisola del Sinis illustreranno la mostra agli ospiti e ai visitatori.
La mostra, curata dalla Fondazione Mont’e Prama, è composta da pannelli che raccontano la storia della più importante scoperta archeologica degli ultimi duecento anni nel Mediterraneo occidentale. Giganti di Mont’e Prama si tratta dell’unico caso di statuaria monumentale scolpita a tutto tondo tremila anni fa, ritrovata per caso da alcuni contadini nel 1974, nelle campagne di Cabras, paese che sorge nella costa occidentale della Sardegna. Le pietre giacevano sotto la terra nella collina denominata Mont’e Prama (cioè Monte della Palma) per via della vegetazione che allora vi cresceva rigogliosa.

La sala dei Giganti di Mont ‘e Prama nel museo civico di Cabras “Giovanni Marongiu” (foto museo cabras)
Quei massi così grandi e definiti non lasciarono indifferenti i contadini che lavoravano i campi, tantomeno la Soprintendenza che, nel 1975, avviò in quei luoghi una prima campagna di scavo, facendo affiorare dalla terra più di cinquemila frammenti che riuniti tra loro diedero nuovamente vita a ventotto statue maschili, raffiguranti pugilatori, arcieri e guerrieri, oggi custoditi insieme agli ultimi ritrovamenti nel museo di Cabras e in parte al museo Archeologico nazionale di Cagliari.
Cagliari. Nella ricorrenza dei 100 anni dalla scomparsa, convegno su “Filippo Nissardi e l’archeologia sarda tra fine Ottocento e inizi Novecento”: due giorni in presenza alla Cittadella dei Musei e in streaming
La figura di Filippo Nissardi rappresenta ancora oggi un punto di riferimento per l’archeologia sarda; la sua instancabile attività, svolta tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento all’interno degli uffici delle Antichità e Belle Arti, ha toccato numerosi importanti siti sardi e tematiche centrali nello studio del patrimonio archeologico dell’isola e, in particolare, di quello di ambito pre-protostorico. Nella ricorrenza dei 100 anni dalla scomparsa, si terrà il convegno “Filippo Nissardi e l’archeologia sarda tra fine Ottocento e inizi Novecento” incentrato sulla sua attività e sul contributo dato agli studi di archeologia sarda, nella convinzione che l’analisi delle fonti documentarie relative alla storia delle ricerche risulti imprescindibile per una ricostruzione corretta di contesti, siti e collezioni museali. Il convegno, organizzato congiuntamente dall’università di Cagliari e dall’università di Sassari, e dal Segretariato regionale del Mic per la Sardegna, è in programma venerdì 2 e sabato 3 dicembre 2022 a Cagliari, nella Cittadella dei Musei, in modalità mista in collegamento sulla piattaforma Teams (Partecipa alla conversazione (microsoft.com). Comitato organizzatore: Massimo Casagrande (Segretariato regionale del MIC per la Sardegna), Carla Del Vais (università di Cagliari), Anna Depalmas (università di Sassari).
VENERDÌ 2 DICEMBRE 2022. Alle 9.30, saluto delle autorità: Ignazio Efisio Putzu (direttore del dipartimento di Lettere, Lingue e Beni culturali), Massimo Onofri (direttore del dipartimento di Scienze umanistiche e sociali), Patricia Olivo (segretario regionale del MIC per la Sardegna), Monica Stochino (soprintendente ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna), Bruno Billeci (soprintendente ABAP per le province di Sassari e Nuoro), Francesco Muscolino (direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari).
I SESSIONE. Alle 10, Massimo Casagrande (segretariato regionale del MIC), Carla Del Vais (università di Cagliari), Anna Depalmas (università di Sassari) su “Prologo: Filippo Nissardi e l’archeologia sarda tra fine Ottocento e inizi Novecento”; Francesco Muscolino (direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari) su “Vicende inedite o poco note della direzione del Museo di Cagliari nel tardo Ottocento”; Attilio Mastino (università di Sassari), Antonio Maria Corda (università di Cagliari) su “L’amichevole collaborazione di Theodor Mommsen con Filippo Nissardi in ambito epigrafico: la Sardegna esce dalla saecularis ignavia e dalle tenebrae vetustate consecratae. L’incendio della Biblioteca stregata, i calchi scomparsi, l’escursione archeologica a Sorabile, una febbre immaginaria”; Carla Del Vais (università di Cagliari) su “Il Canonico Giovanni Spano e Filippo Nissardi: il Maestro e l’allievo”; Elena Romoli (soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna) su “Ricerca archeologica, ricognizione sul territorio e documentazione cartografica: nascita e prima strutturazione del sistema e delle metodologie della tutela in Sardegna nel rapporto tra Filippo Vivanet e Filippo Nissardi”; Massimo Casagrande (segretariato regionale del MIC per la Sardegna) su “Filippo Nissardi e Antonio Taramelli, due mondi a confronto”; Raimondo Zucca (università di Sassari) su “Filippo Nissardi e il catalogo della collezione dell’avvocato Efisio Pischedda (Oristano)”.
II SESSIONE. Alle 15, Massimo Casagrande (segretariato regionale del MIC per la Sardegna) su “Filippo Nissardi e il collezionismo”; Patricia Olivo (segretario regionale del MIC per la Sardegna) su “La Sardegna archeologica di fine Ottocento nelle immagini del padre domenicano Peter Paul Mackey”; Giuseppina Manca di Mores (Accademia di Belle arti “M. Sironi” di Sassari) su “Thomas Ashby, Duncan Mackenzie e Filippo Nissardi: gli archeologi inglesi e la Sardegna all’inizio del ’900”; Anna Depalmas (università di Sassari) su “Le ricerche territoriali di Filippo Nissardi nella Sardegna settentrionale”; Gabriella Gasperetti (soprintendenza ABAP per le province di Sassari e Nuoro) su “Porto Torres, nuove scoperte ad oltre un secolo dai rilievi di Filippo Nissardi”; Patrizia Tomassetti (segretariato regionale del MIC), Gabriella Gasperetti (soprintendenza ABAP per le province di Sassari e Nuoro), Luca Doro (independent researcher) su “Un secolo di ricerche. Anghelu Ruju e Palmavera tra indagini passate e prospettive future”; Anna Depalmas, Giovanna Fundoni (università di Sassari), Claudio Bulla (independent researchers) su “Gli interventi Gouin-Nissardi nel santuario di Abini-Teti”; Gianfranca Salis, Anna Piga (soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna) su “Un’isola nell’isola. Spunti di riflessione sulla Sardegna centro-orientale alla luce dell’attività di Filippo Nissardi”.
SABATO 3 DICEMBRE 2022. III SESSIONE. Alle 9.30, Anna Piga, Alessandro Usai (soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna) su “Filippo Nissardi e il nuraghe Losa di Abbasanta”; Riccardo Cicilloni (università di Cagliari), Marco Cabras (independent researcher) su “La Giara di Gesturi (Sardegna centro-meridionale): nuove analisi sul paesaggio archeologico dell’età del Bronzo”; Carla Del Vais (università di Cagliari) su “Filippo Nissardi a Tharros: scavi e ricerche nelle necropoli puniche”; Giovanna Pietra (soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e per le province di Oristano e Sud Sardegna) su “L’archeologia di Filippo Nissardi a Cagliari. Note a margine di contesti (quasi) inediti dalla necropoli di Tuvixeddu e da via Baylle”; Jacopo Bonetto, Alessandro Mazzariol, Arturo Zara (università di Padova) su “Tra Ottocento e Novecento: Filippo Nissardi a Nora”; Fabio Calogero Pinna (università di Cagliari) su “Filippo Nissardi e le origini dell’archeologia medievale in Sardegna: la scoperta del fondo Pula”; Enrico Dirminti (soprintendenza ABAP per le province di Sassari e Nuoro) su “Gli scarabei in steatite e fayence della Sardegna arcaica: da Filippo Nissardi a nuovi approcci metodologici di studio”; Miriam Napolitano (independent researcher) su “I cassetti della memoria. Filippo Nissardi e la sua collezione di impronte di gemme”; Paolo Filigheddu (independent researcher) su “L’epigrafia punica ai tempi di Filippo Nissardi e oltre: scoperte e valutazioni”.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale è giunto il Pugilatore, uno dei Giganti di Mont’e Prama, simbolo della mostra “Sardegna isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storia di pietra nel cuore del Mediterraneo” che apre al Mann (arricchita) dopo il successo delle tappe di Berlino, San Pietroburgo e Salonicco. L’assessore regionale Chessa: “Il turismo archeologico volano per creare nuovi posti di lavoro in Sardegna”


La squadra del Mann impegnata nella mostra “Sardegna isola megalitica” davanti alla cassa con il Pugilatore di Mont’e Prama (foto valentina cosentino)
Il Pugilatore, uno dei Giganti di Mont’e Prama, è giunto a Napoli, simbolo della mostra “Sardegna isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storia di pietra nel cuore del Mediterraneo” che si apre al museo Archeologico nazionale venerdì 10 giugno 2022, alle 17. Autentico ambasciatore di un messaggio di continuità tra le antichissime culture mediterranee, il Pugilatore chiude nel golfo partenopeo un lungo viaggio che lo ha portato a uscire per la prima volta dal museo Archeologico nazionale di Cagliari seguendo le tappe della grande mostra archeologica promossa dalla Regione Autonoma della Sardegna-Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio, con il museo Archeologico nazionale di Cagliari e la Direzione Regionale Musei della Sardegna. Prima al museo nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino (dal 1° luglio 2021 all’11 settembre 2022), quindi al museo statale Ermitage di San Pietroburgo (dal 26 ottobre 2021 al 16 gennaio 2022), poi al Museo Archeologico di Salonicco (dall’11 febbraio al 15 maggio 2022) contribuendo ad accendere i riflettori sulle ricchezze archeologiche della Sardegna.
La Sardegna ha attirato l’attenzione e l’interesse del grande pubblico in tutte e tre le tappe europee. Un successo decretato dai grandi numeri di visitatori registrati: 96mila al Neues Museum di Berlino, 117.400 al museo statale Ermitage di San Pietroburgo. E al museo Archeologico nazionale di Salonicco, per il quale non ci sono ancora i dati finali, hanno addirittura allungato la mostra di una settimana, dal 15 al 22 maggio 2022. E ora siamo all’unica tappa italiana, a Napoli, per la quale la mostra ha ottenuto il Patrocinio del MAECI e del MIC e si avvale della collaborazione della Fondazione di Sardegna e del coordinamento generale di Villaggio Globale International. La tappa napoletana di “Sardegna Isola Megalitica” è organizzata in collaborazione con Regione Campania e Comune di Napoli. Intesa Sanpaolo è partner della mostra promossa al Mann.
Questo successo conferma quanto sostenuto da Giovanni Chessa, assessore per il Turismo, Artigianato e Commercio della Regione Sardegna, che in un’intervista rilasciata ad archeologiavocidalpassato.com a Firenze, in occasione di Tourisma 2021, dove la Regione Sardegna aveva uno spazio prestigioso per promuovere la Sardegna archeologica, spiega le azioni della sua politica che punta a far tornare sull’isola i giovani che sono andati lontano a studiare e a prepararsi: “Il turismo culturale in generale e archeologico in particolare deve diventare volano per creare nuovi posti di lavoro. La Sardegna non è solo mare. E la mostra Sardegna isola megalitica è lì a dimostrarlo. E con la cultura l’isola può essere attrattiva tutti i mesi dell’anno”.

In calendario nel Salone della Meridiana del museo Archeologico nazionale di Napoli dal 10 giugno all’11 settembre 2022, la mostra “Sardegna isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storia di pietra nel cuore del Mediterraneo” rivela al pubblico storie suggestive, testimonianze materiali, civiltà affascinanti, per molti versi ancora tutte da scoprire. L’allestimento partenopeo si arricchisce, su iniziativa del Mann, di approfondimenti ed eventi collaterali, che aprono, come nella linea del Museo, all’incrocio dei linguaggi: previsto non solo un parallelismo con la Sezione Preistoria e Protostoria dell’Archeologico, ma anche un ambiente immersivo, “NURAGICA”, che consente di viaggiare alla scoperta delle antiche culture isolane.
Dopo Berlino (96mila visitatori) la mostra “Sardegna Isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo“ è approdata al museo statale Ermitage di San Pietroburgo: quasi 200 reperti provenienti dai musei archeologici sardi, compreso uno dei grandi guerrieri di Mont’e Prama, a raccontare la storie e il fascino dell’Isola. Gli interventi all’inaugurazione e il percorso espositivo

Dopo Berlino, dove, nonostante le restrizioni legate alla pandemia, la mostra, ospitata al museo nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino ha registrato un successo straordinario, con oltre 96mila visitatori, la mostra “Sardegna Isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo“ è approdata in Russia, al museo statale Ermitage, seconda tappa del tour internazionale dell’esposizione (dal 26 ottobre 2021 al 16 gennaio 2022), con i quasi 200 reperti provenienti dai musei archeologici di Cagliari, Nuoro e Sassari, compreso uno dei grandi guerrieri di Mont’e Prama – prestito eccezionale – a raccontare la storie e il fascino dell’Isola e le tracce impressionanti di un passato lontano che essa ancora conserva. Le prossime tappe saranno al museo Archeologico nazionale di Salonicco (dall’11 febbraio al 15 maggio 2022) e al museo Archeologico nazionale di Napoli (dal 10 giugno all’11 settembre 2022).

“Sardegna Isola Megalitica” è la mostra-evento promossa dalla Regione Sardegna-Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio (parte di un articolato progetto di Heritage Tourism finanziato dall’Unione Europea) insieme al museo Archeologico nazionale di Cagliari, alla Direzione regionale Musei della Sardegna e ai Musei sede della mostra – museo nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino, il museo statale Ermitage di San Pietroburgo, il museo Archeologico nazionale di Salonicco e il museo Archeologico nazionale di Napoli. L’esposizione ha il patrocinio del MAECI e del MIC, la collaborazione della Fondazione di Sardegna e il coordinamento generale di Villaggio Globale International. La mostra – che nella tappa russa è sostenuta anche dall’Ambasciata Italiana in Russia e dall’Istituto Italiano di Cultura – ha inoltre ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica.

Alla cerimonia inaugurale, trasmessa in diretta sul canale YouTube del Museo, insieme al direttore generale del museo statale Ermitage Michail Piotrovsky erano presenti anche il neonominato ambasciatore d’Italia a Mosca Giorgio Starace, alla sua prima partecipazione ufficiale a un evento a San Pietroburgo, il console generale d’Italia Alessandro Monti e la direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura Paola Cioni; per la Regione Sardegna, insieme alla delegazione è volato a San Pietroburgo l’assessore degli Enti Locali, Finanze e Urbanistica Quirico Sanna, per i Musei sardi Francesco Muscolino, direttore regionale dei musei della Sardegna e direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari. Presenti anche Maurizio Cecconi e Irina Artemieva rispettivamente segretario generale e direttore scientifico di Ermitage Italia e una delegazione anche da Cabras, con il sindaco della città e il presidente della Fondazione Mont’e Prama.

Riflettori sulle sepolture delle “domus de janas” di epoca neolitica ed eneolitica e sulle iconiche riproduzioni statuarie di “dee madri”, talvolta veri e propri capolavori artistici; sulle incredibili architetture dei nuraghi che hanno caratterizzato l’Età del Bronzo nell’Isola e sulle cosiddette “tombe di giganti”; sui contatti tra civiltà lontane e sugli eccezionali bronzetti nuragici raffiguranti donne, uomini, guerrieri e animali; su spade votive, modellini di edifici e di navi e sugli incredibili, monumentali Guerrieri di Mont’e Prama: autorappresentazione di un passato mitico riferito all’apogeo dell’Età nuragica, ma in piena Età del Ferro.

Il percorso. Si parte dunque dal periodo recente e finale del Neolitico, quando si diffondono le ”domus de janas” scavate nella roccia, ovvero in lingua sarda le “case delle fate o delle streghe” – in diversi casi successivamente monumentalizzate in facciata – o quando si diffondono i dolmen e poi, in Età del Rame, quando si costruisce un altare monumentale unico nel panorama del Mediterraneo – ma con parallelismi nelle ziqqurath del Vicino Oriente – come il santuario di Monte d’Accoddi e si realizza la muraglia monumentale di Monte Baranta.

Quindi la mostra conduce nel cuore della civiltà nuragica, vero simbolo dell’unicità della Sardegna. Gli impressionanti nuraghi, costruiti in numero elevatissimo a partire dal 1600/1800 a.C. circa con blocchi di basalto, trachite e granito, di grande varietà tipologica e funzionale ma tutti accomunati dalle torri a tholos (sistema di copertura), sono stati al centro di importanti dibattiti e interpretazioni che hanno messo a fuoco le loro molteplici funzioni, rievocate in mostra dai manufatti esposti: l’alimentazione, l’agricoltura e allevamento, il controllo del territorio, le produzioni artigianali. Attorno ad essi, in molti siti, si sono sviluppati villaggi più o meno estesi, talvolta racchiusi da antemurali altrettanto imponenti, anche questi intervallati da torri.

Nello stesso contesto, ispirati al megalitismo, sono anche gli edifici legati al campo funerario e i luoghi di culto, pur con tutti i mutamenti della religiosità che si possono supporre nell’ampia fase nuragica. Le “tombe di giganti”, così chiamate a livello popolare a causa delle imponenti dimensioni, che nell’immaginario venivano collegate al gigantismo dei defunti, erano in realtà sepolture comunitarie ospitanti anche centinaia di individui e connesse forse al culto degli antenati, davanti alle quali venivano praticati rituali e offerte, spesso al cospetto della rappresentazione di divinità (betili). Allo stesso modo anche i luoghi di culto e i santuari si articolano in numerose tipologie edilizie tutte improntate al megalitismo: tempi a pozzo, fonti sacre e templi a megaron sono diffusi in tutta la Sardegna a partire dal Bronzo Recente e spesso le differenti tipologie coesistono all’interno dello stesso complesso.

La religiosità delle genti nuragiche è qui rappresentata al suo massimo grado dall’enorme numero di ex voto figurati in bronzo – i cosiddetti “bronzetti” di cui la mostra darà conto con alcuni reperti di grandissimo interesse – che riproducono figure umane, maschili e femminili nei diversi ruoli della società, ma anche animali, oggetti e persino edifici. Proprio la produzione della bronzistica figurata offre uno spaccato vivace della società nuragica, del vestiario, della gestualità, delle armi, dei sistemi alimentari; mentre la presenza di collane e vaghi in ambra, rinvenuti negli scavi degli ultimi trent’anni in tanti santuari della Sardegna, testimonia stretti collegamenti dell’Isola non solo con il mondo mediterraneo, ma anche con le reti commerciali e culturali della Penisola e dell’Europa centrale.

Anche nell’Età del Ferro (I millennio a.C.), in una società in cui si sono profondamente modificate le dinamiche sociali, economiche e costruttive, i nuraghi, pur non edificati da vari secoli, continuano a essere centrali nell’immaginario collettivo quale simbolo di un passato mitico in cui tutta la popolazione dell’Isola si riconosce. Finito il tempo degli ingegnosi e arditi costruttori di torri nuragiche, si diffondono dunque le miniature di tali edifici, in pietra, ceramica, bronzo e anche in materiali deperibili, utilizzate probabilmente come altari in rituali collettivi e rinvenuti infatti al centro di edifici megalitici intesi come “capanne delle riunioni”.

È questo il momento in cui alcuni gruppi emergono sugli altri e si formano le prime aristocrazie. A Mont’e Prama una di queste si autorappresenta e si autocelebra con un complesso scultoreo unico nel suo genere, composto da quasi 40 imponenti statue in pietra di Guerrieri, Arcieri e Pugilatori, oltre a modelli di nuraghe e betili. Per la nuova società, il tempo lontano degli eroi era oggetto di venerazione e di richiamo identitario. Evento irripetibile è il prestito di una delle celebri sculture di Mont’e Prama da parte del museo Archeologico nazionale di Cagliari per questa storica esposizione internazionale: un “Pugilatore” alto con piedestallo 190 cm e pesante circa 300 kg. Rinvenute in frammenti a partire dagli scavi del 1975-1979 e ricomposte grazie a interventi di restauro di eccezionale delicatezza e dai risultati sorprendenti (i primi nel 2007-2011), queste imponenti statue, nelle loro raffigurazioni schematiche realizzate secondo uno stile convenzionale d’impronta geometrica, non trovano paragoni nel variegato patrimonio artistico e monumentale della Sardegna e ancora sono aperte a diverse interpretazioni.

Un dato tuttavia è certo: la civiltà nuragica era ormai al tramonto. Nonostante questo, il suo retaggio continuerà ad essere leggibile attraverso i secoli, malgrado il mutare dell’orizzonte semantico: dapprima con l’arrivo dei Fenici attestati lungo le coste sarde a partire dal IX secolo a.C., quindi con la presa dell’Isola da parte di Cartagine, alla fine del VI secolo, e poi con l’arrivo dei Romani. Anche dopo la conquista romana (238 a.C.) l’eredità nuragica appare leggibile, come testimoniano i resti della cultura materiale in mostra e in alcuni casi le fonti epigrafiche che ci restituiscono una onomastica prelatina. Persino in età medievale i nuraghi e addirittura le “domus de janas” sono ancora oggetto di riutilizzo e molti villaggi medievali si addensano intorno alle torri nuragiche. Un mondo in evoluzione che non dimentica le sue origini.

Michail Piotrovky – che ha ringraziato sentitamente l’Italia e la Sardegna per aver voluto essere comunque presenti e vicini all’Ermitage nonostante la difficile situazione pandemica che sta vivendo in questi giorni la Russia, ha evidenziato la fascinazione della cultura megalitica e nuragica sarda e della mostra allestita all’Ermitage: “Nei materiali che raccontano di questa mostra sono scritte parole magiche come Nuraghi, betili, Tombe di Giganti: tutte parole che sembrano prese da una favola. Se noi parliamo di Stonehenge che è famoso in tutto il mondo è un neonato rispetto alle cose che riusciamo a vedere oggi, che rappresentano un paradigma dell’antica civiltà, qui rappresentato dal dialogo tra la pietra e il bronzo, tra la scultura litica gigantesca e le raffinata piccole figure di bronzetti, un dialogo che sarà ripreso dalla civiltà successive, compresa quella greca e greco-romana. Con il suo viaggio internazionale – ha aggiunto Piotrosvky – la mostra si inserisce di fatto in un complesso vastissimo progetto che viene chiamato “l’Europa senza confini” che racconta delle antiche civiltà e che raccorda la storia della prima Europa antica all’Europa come la conosciamo adesso. Anche in Russia, nel Caucaso e nel Mar Nero, ci sono vestigia di civiltà analoghe – resti di torri, betili, fortezze – che raccontano della stessa cultura che ci accomuna alla tradizione europea”.

L’ambasciatore d’Italia a Mosca Giorgio Starace alla mostra all’Ermitage (foto Aleksey Bronnikov)
“Questa iniziativa, a un mese dall’assunzione del mandato a Mosca”, ha sottolineato l’ambasciatore d’Italia a Mosca Giorgio Starace, “mi ha dato il privilegio di rinnovare i legami di amicizia e di collaborazione con San Pietroburgo e con questo prestigiosissimo museo che rappresenta il punto di riferimento in tutto il mondo per la promozione dell’arte e che da anni dà vita a progetti di altissimo livello con la collaborazione della nostra Ambasciata, del Consolato Generale e dell’Istituto Italiano di Cultura, che invitano a scoprire il ricco patrimonio artistico, storico e archeologico della nostra bellissima Italia e mostrano anche l’inesauribile attrazione che lega la cultura italiana e la cultura russa. La mostra dedicata alle antiche civiltà e culture della Sardegna – ha poi continuato – raccontando magnificamente storia di pietra nel cuore del Mediterraneo permette anche di veicolare in Europa un concetto legato all’Italia ovvero il costante connubio che esprimono tutte le nostre regioni tra bellezza paesaggistica e ricchezza storico-artistica, tra esperienza culturale ed esperienza di tradizioni e gastronomia”.

L’assessore regionale Quirico Sanna e il direttore dei musei della Sardegna Francesco Muscolino alla mostra all’Ermitage (foto Aleksey Bronnikov)
Dalle magnifiche sale del Palazzo d’Inverno dell’Ermitage grande soddisfazione è stata espressa anche dall’assessore regionale Quirico Sanna: “Con grande orgoglio e piacere presentiamo il patrimonio archeologico delle terra di Sardegna al mondo. Speriamo che questa collaborazione tra la Sardegna e il Museo Ermitage, uno dei più prestigiosi e importanti a livello internazionale, possa portare ad una sempre maggiore conoscenza della storia e della cultura di questa nostra meravigliosa terra”. E Francesco Muscolino, direttore regionale dei Musei della Sardegna e direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari: “La seconda tappa della mostra, ospitata nella prestigiosissima sede dell’Ermitage, si conferma come un ottimo esempio di proficua collaborazione tra il Ministero della Cultura, la Regione Sardegna e i grandi musei internazionali. Ai funzionari tecnico-scientifici del Ministero va, in particolare, il merito di aver redatto, in collaborazione con i colleghi degli altri musei ospitanti e con altri studiosi, il complesso progetto scientifico della mostra, accompagnata anche da un ponderoso catalogo”.
“Sardegna isola megalitica: dai menhir ai nuraghi. Storie di pietra nel cuore del Mediterraneo”: Berlino, San Pietroburgo, Salonicco e Napoli sono le tappe (dal 1° luglio 2021 all’11 settembre 2022) di una straordinaria mostra dedicata alle antichissime culture megalitiche della Sardegna, compresa quella nuragica, per la prima volta al centro dell’attenzione internazionale. La presentazione dei promotori e dei direttori dei musei coinvolti
Prendete una cartina dell’Europa, segnate con delle bandierine la posizione di Berlino, San Pietroburgo, Salonicco e Napoli. Poi idealmente collegatele con una linea. Si formerà un arco il cui fuoco finisce su una grande isola nel cuore del Mediterraneo: la Sardegna, cui oggi sempre più viene riconosciuto dagli studiosi internazionali un ruolo di primo piano in età preistorica e protostorica nei contatti e negli incroci di civiltà, sia nell’ambito del Mare Nostrum, sia nei rapporti con il Centro e Nord Europa e con il Levante. Un’isola che ha visto svilupparsi, millenni or sono, culture e civiltà originali, capaci di dar vita a testimonianze ed evidenze monumentali. Berlino, San Pietroburgo, Salonicco e Napoli sono state scelte come tappe di una straordinaria mostra dedicata alle antichissime culture megalitiche della Sardegna, compresa quella nuragica, per la prima volta al centro dell’attenzione internazionale: “Sardegna Isola Megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storie di pietra nel cuore del Mediterraneo” è la mostra-evento promossa dalla Regione Sardegna-assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio con il museo Archeologico nazionale di Cagliari e la Direzione Regionale Musei della Sardegna, con il patrocinio del MAECI e del MIC, la collaborazione della Fondazione di Sardegna e il coordinamento generale di Villaggio Globale International. La mostra ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica. È questa l’ultima tappa di un articolato progetto di Heritage Tourism finanziato dall’Unione Europea, sull’archeologia sarda nel contesto del Mediterraneo, preparata nel 2017 da un ampio convegno internazionale sul tema (vedi “Le civiltà e il Mediterraneo”: in un eccezionale convegno internazionale i grandi musei si confrontano a Cagliari sul Mediterraneo, per secoli crocevia di culture culla delle più significative civiltà antiche. Così la Sardegna riafferma il suo ruolo centrale nella storia del Mediterraneo e la ricchezza della civiltà nuragica | archeologiavocidalpassato) e nel 2019 dall’esposizione a Cagliari “Le Civiltà e il Mediterraneo” (vedi Apre a Cagliari la mostra “Le Civiltà e il Mediterraneo”: 550 reperti tra ceramiche, armi e utensili, oggetti di culto e antichi idoli, monili e, soprattutto, straordinari oggetti in bronzo, a documentare come il bacino del Mediterraneo non sia stato un luogo chiuso ma contaminante e in continua evoluzione | archeologiavocidalpassato), presenti i musei che ora ospiteranno la nuova importante mostra: il museo nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino (dal 1° luglio 2021 al 30 settembre 2021), il museo statale Ermitage di San Pietroburgo (dal 19 ottobre 2021 al 16 gennaio 2022), il museo Archeologico di Salonicco (dall’11 febbraio 2022 al 15 maggio 2022) e il museo Archeologico nazionale di Napoli (dal 10 giugno 2022 all’11 settembre 2022).


Giovanni Chessa, assessore della Regione Sardegna
“C’è una certezza che da tanti anni abbiamo dentro di noi”, interviene Giovanni Chessa, assessore del Turismo, Artigianato e Commercio, Regione Autonoma della Sardegna. “E ogni qualvolta guardiamo alla nostra regione, alla sua storia, alla sua dimensione culturale, ai suoi musei, ai suoi parchi archeologici questa sensazione si rafforza e diviene realtà. La Sardegna è il cuore della civiltà del Mediterraneo. E non lo è in maniera statica o isolata. Non lo è soltanto per la “propria” dimensione. È punto di riferimento nel grande mare che bagna le coste dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia. Ma è anche luogo di relazioni che contaminano il Centro ed il Nord Europa con il Levante. Questa coscienza non è solo antica, non è storia sepolta degna del pensiero e della ricerca degli studiosi. Questo modo di vedere la Sardegna è nel senso della vita di ciascuno di noi, è nell’aspirazione ad un futuro importante che veda le nostre genti protagoniste di un nuovo sviluppo. È per questo che abbiamo voluto questa mostra”.

Francesca Lissia della Regione Sardegna
E Francesca Lissia, Autorità di Gestione PO FESR Sardegna 2014-2020: “Il Progetto espositivo La Civiltà Nuragica e millenaria della Sardegna, che nei prossimi mesi e fino al mese di settembre del 2022 sarà visitabile in quattro tra le più importanti e suggestive città europee, segna il ritorno dell’isola e del suo immenso patrimonio archeologico, tra i più numerosi al mondo se rapportato alla popolazione e alla sua dimensione geografica, all’interno dei cartelloni culturali internazionali. Lo fa ancora una volta, e lo sottolineo non senza orgoglio, grazie al contributo decisivo delle risorse comunitarie – in particolare del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale – che consentiranno alla Regione Autonoma della Sardegna di rafforzare il quadro delle iniziative culturali promosse dall’Italia all’estero in una fase di ripresa, di rilancio e di grande entusiasmo”.


Il soprintendente Bruno Billeci
“Attualità e fragilità del patrimonio nuragico in Sardegna. La meraviglia accompagna ogni descrizione delle testimonianze antiche di Sardegna”, assicura Bruno Billeci, soprintendente per l’Archeologia, le Belle Arti e il Paesaggio per le Province di Sassari e Nuoro, “esse vengono collocate in un passato lontano statico e sostanzialmente sospeso rispetto alle processualità successive. In modo lapidario Tacito ha affermato sui resti del passato: omnia […] quae nunc vetustissima creduntur, nova fuere, ma questa considerazione non sembra trasparire nelle parole di nessuno degli storici antichi o dei viaggiatori che, tra Ottocento e Novecento, hanno descritto i resti archeologici dell’isola e tra i primi lo Spano, importante esponente della cultura sarda nell’epoca della nascita dell’interesse verso la storia antica locale. E questa meraviglia è oggi intatta e presente ogni volta che siamo al cospetto delle architetture e dei manufatti preistorici e nuragici che costituiscono una delle peculiarità del paesaggio culturale sardo denso di stratificazioni e di testimonianze”.

Francesco Muscolino, direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari
Il museo Archeologico nazionale di Cagliari, autonomo dal dicembre 2019, ma attivo come nuovo istituto solo dal novembre 2020, ha “ereditato” e portato avanti alcuni progetti già avviati dalla Direzione Regionale Musei Sardegna, cui il Museo afferiva prima dell’autonomia. Tra questi progetti, emerge per importanza la mostra – promossa dalla Regione Autonoma della Sardegna – che, nonostante il comprensibile ritardo causato dalla pandemia, trova finalmente coronamento con la pubblicazione del catalogo. “Per il “nuovo” Museo di Cagliari”, sottolinea Francesco Muscolino, direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari e direttore ad interim della Direzione Regionale Musei Sardegna, “sarà un’ottima occasione per avviare e, in alcuni casi, corroborare e continuare i rapporti con altri prestigiosi musei, anche in vista di future iniziative comuni di esposizione e di ricerca. In un anno che si spera possa segnare l’avvio della progressiva uscita dalla crisi pandemica, un’iniziativa culturale come questa, complessa e di alto profilo, in fattiva condivisione di intenti con altre istituzioni, può sicuramente offrire un importante apporto alla auspicabile ripresa, contribuendo a far conoscere sempre meglio lo straordinario patrimonio archeologico sardo, anche nei suoi aspetti meno noti al grande pubblico. È importante sottolineare come il Museo di Cagliari non sia solo un ente prestatore, che contribuisce in maniera determinante alla mostra con centinaia di reperti, ma abbia predisposto e coordinato, grazie all’impegno dei suoi funzionari e in collaborazione con la Direzione Regionale Musei, il progetto scientifico del catalogo e dell’esposizione, oltre a curare le necessarie procedure amministrative e i delicati aspetti conservativi”.

Matthias Wemhoff, direttore del museo per la Preistoria e Protostoria di Berlino
La mostra “Sardegna – Isola Megalitica” segna un’altra tappa significativa della collaborazione tra il museo nazionale per la Preistoria e Protostoria, gli Staatliche Museen zu Berlin (Musei nazionali di Berlino) e i Musei Archeologici della Sardegna e la Regione Autonoma della Sardegna. “In questo progetto, sostenuto dall’Unione Europea e dalla Regione Autonoma della Sardegna, il nostro museo non solo ha partecipato con prestiti, insieme ad altri musei di fama internazionale”, sottolinea Matthias Wemhoff, direttore del museo per la Preistoria e Protostoria di Berlino e Archeologo di Stato, “ma ha anche messo a disposizione uno dei due curatori di questa mostra, Manfred Nawroth, che desidero ringraziare di cuore per il suo grande impegno profuso anche per la realizzazione della tappa espositiva di Berlino. È un piacere che il museo nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino possa non solo partecipare alla mostra, ma addirittura essere il primo museo ad ospitare l’esposizione. E, in fin dei conti, il nostro museo è legato alla Sardegna da decenni. Da questo punto di vista resta indimenticabile la mostra “Kunst und Kultur Sardiniens vom Neolithikum bis zum Ende der Nuraghenzeit” (“Arte e cultura della Sardegna dal Neolitico alla fine del periodo nuragico”), in cui quasi 300 prestiti, tra cui alcuni provenienti dai musei di Cagliari e Sassari, furono presentati nel 1980 nell’allora museo nazionale per la Preistoria e per la Protostoria di Berlino Ovest, e in occasione della quale fu pubblicato un catalogo riccamente illustrato. Ad oltre 40 anni di distanza, rivolgiamo nuovamente uno sguardo più ampio a questo paesaggio culturale così speciale. Per mostrare anche fattivamente il nostro apprezzamento per il progetto abbiamo liberato per questa esposizione speciale alcune delle nostre sale storiche più belle, in cui normalmente presentiamo reperti importanti quali la collezione di antichità troiane di Heinrich Schliemann. Al Neues Museum intendiamo non solo far conoscere la cultura della Sardegna nell’estate del 2021 alla gente di Berlino, ma ci auguriamo – se la situazione pandemica lo permetterà – di presentarla nuovamente anche a un pubblico internazionale”.


Michail Piotrovsky, direttore generale del museo dell’Ermitage
“Il mar Mediterraneo, con le sue isole, sembrerebbe essere stato attraversato, solcato dalle navi in lungo e in largo, studiato e descritto in ogni sua parte”, sottolinea Michail Piotrovskj direttore generale del Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo. “Tuttavia, fortunatamente, oggi, sia nelle isole famose che in quelle dimenticate, l’immaginazione di visitatori e studiosi è risvegliata da monumenti poco o per niente conosciuti, pieni di fascino oscuro, che emanano mistero per viaggiatori e ricercatori. La Sardegna è un luogo che in particolar modo crea suggestioni, che incanta e fa sorgere molteplici teorie sulla natura e sull’origine delle sue antiche culture, sui destini dei popoli del mare. A volte sembra sorprendente che non tutti i libri di testo scolastici raccontino delle meraviglie dell’età del Bronzo mediterranea: delle gigantesche tombe di pietra, delle enormi statue di guerrieri in pose da combattimento e di quelle incredibili torri monumentali, i nuraghi, antenati dei castelli medievali. Per non parlare di piccole statuette di bronzo aggraziate, probabilmente ispirate agli dei, di guerrieri con scudi, arcieri, donne con bambini, animali con le corna, brocche dalle forme incomprensibili… La grazia severa della ‘cultura nuragica’, di recente nuovamente glorificata dai ritrovamenti e dal restauro di statue monumentali (una delle quali vedremo esposta a San Pietroburgo), è diventata oggetto di studio ed esposizione in una splendida mostra realizzata dagli sforzi di esperti e leader museali provenienti da Italia, Germania, Grecia e Russia. E la Russia – conclude – ha una sua tradizione nazionale di studio della storia antica della Sardegna, che riceve attraverso questa mostra un nuovo stimolo tangibile per il suo sviluppo, e che le torri di pietra e il bronzo ricorderanno ancora una volta l’archeologia esotica del mar Nero e del Caucaso. Il nostro mondo è tanto unito, quanto variegato”.

Angeliki Koukouvou, vicedirettore del museo Archeologico di Salonicco
E Angeliki Koukouvou, vicedirettore del museo Archeologico di Salonicco: “Accogliamo con grande piacere e soddisfazione l’organizzazione di una grande mostra che rinnova la consolidata sinergia creativa tra il museo Archeologico di Salonicco e la Regione Autonoma e i musei archeologici della Sardegna. La mostra verrà presentata in quattro importanti musei, affiancandosi alle loro collezioni e mettendo in evidenza le affinità eclettiche delle antiche civiltà che un tempo si incrociavano nei porti del Mediterraneo, il grande mare di comunicazione e coesione. Il museo archeologico di Salonicco è particolarmente grato al ministero della Cultura italiano, alla Regione Autonoma della Sardegna e ai suoi musei che ci hanno affidato molti dei loro più celebri tesori. Sia i capolavori già famosi che i ritrovamenti più recenti saranno messi in risalto dal più ampio contesto archeologico in cui vengono presentati. Siamo entusiasti che il nostro museo sia stato scelto come sede in Grecia di questo evento senza pari. Auspichiamo che il magico universo sardo e il suo profumo mediterraneo catturino i nostri cuori e ispirino molti altri emozionanti viaggi”.


Il direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, Paolo Giulierini (foto mann)
“Abbiamo tutti abbastanza presente la classica suddivisione della storia della Sardegna”, esordisce Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli: “la fase prenuragica e quella dei nuraghi e delle tombe dei giganti; il successivo periodo in cui si concentra la produzione di raffinati bronzetti nuragici, forse la più rappresentativa espressione dell’ethnos sardo, e il successivo arrivo dei Fenici e dei Cartaginesi che perfezionano nell’isola il modello dei centri urbani; la romanizzazione finale, a prezzo anche di gravi episodi di violenza da parte dell’Urbe e di una scarsa integrazione delle popolazioni dell’interno. Nel corso di studi consolidati nel tempo e di una bella mostra intitolata “Le Civiltà e il Mediterraneo”, alla quale anche il Mann ha partecipato, si è anche chiarito la posizione baricentrica della Sardegna per tutti coloro che, fin dall’età del Bronzo, dovessero intraprendere rotte o scali commerciali da Oriente a Occidente: fossero essi mercanti Micenei, Fenici, Ciprioti e, più tardi, Cartaginesi o Etruschi, avidi soprattutto di metalli. Forse è meno chiaro al grande pubblico – continua Giulierini – come, nel corso di molti millenni, il popolo sardo si riplasmi di continuo, assorbendo i nuovi arrivati e rielaborando, talora attivamente, talora in forma coercitiva, ulteriori stimoli culturali. L’idea di formazione del popolo etrusco, rispetto ai rigidi criteri della provenienza in blocco di un popolo da una sola area geografica, sviluppata da Massimo Pallottino, potrebbe in effetti tranquillamente allargarsi ai Sardi ma, a ben vedere, un po’ a tutti i popoli dell’Italia antica. Basti pensare alla stessa Campania che vede, dopo sporadiche incursioni micenee nell’età del Bronzo che avviano connessioni con le popolazioni locali, un arrivo massiccio, a partire dal IX secolo a.C., di Greci lungo le coste, Etruschi, Campani e altri popoli italici in molti centri dell’interno. E, a ben guardare, anche le stesse cornici geografiche, pur determinando con i fiumi, le fonti, le risorse naturali in genere o le conformazioni geologiche alcune caratteristiche di base degli insediamenti, mutano in parte e vengono riplasmate da questo infinito numero di uomini e donne che, conoscendosi, incrociandosi, talora combattendosi, formano quegli ethnoi che, pur se costretti a parlare nel tempo la lingua dei nuovi padroni, in realtà conservano “sotto traccia” caratteristiche definite fino ai giorni nostri. Andare alla scoperta dei mattoncini di questo DNA culturale – conclude – è, credo, la cosa più stimolante che possa fare una mostra”.
Donna o dea? Cosa rappresentavano le figure femminili preistoriche? La risposta nella mostra al museo Archeologico nazionale di Cagliari “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”: 2^ parte, dal Neolitico al Ferro

Le vetrine con testimonianze del Neolitico nella mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda” (foto Graziano Tavan)
Dalla fine del Paleolitico in poi le raffigurazioni femminili iniziano a essere presenti su larga scala. Continua così il nostro viaggio alla scoperta del ruolo della donna seguendo la seconda parte della mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”, con la validazione scientifica di Carlo Lugliè, aperta al museo Archeologico nazionale di Cagliari fino al 12 maggio 2019. Attraverso i millenni si può leggere una loro continuità icnografica, pur declinata in lente evoluzioni stilistiche. Il passaggio da un’economia di pura sussistenza, come quella paleolitica, a un’economia più strutturata e tecnologicamente progredita, contrassegna la più straordinaria avventura dell’uomo moderno: la grande rivoluzione neolitica. Avvenuta tra i 12mila e i 10mila anni fa, vede articolarsi la società secondo schemi e ruoli del tutto nuovi.
I betili. “Durante il VI millennio a.C.”, scrive Carlo Lugliè dell’università di Cagliari, “la Sardegna è interessata da un fenomeno di grande portata storica. L’isola entra infatti nel processo migratorio verso l’Occidente di gruppi di coloni neolitici, comunità portatrici della tecnologia di domesticazione di vegetali e animali utili per la sussistenza. In questa fase l’isola viene esplorata interamente e, in rapido progresso di tempo, occupata in ogni distretto geografico, come rivelato dalla densità del tessuto residenziale. L’introduzione delle specie domesticate prima ignote nell’isola (es., cereali quali il frumento, l’orzo; animali come la pecora, il maiale e il bue) è solo uno degli aspetti tra i più macroscopici di una profonda variazione degli assetti insediativi-organizzativi ma anche ideologici della società, che si riflette in produzioni materiali innovative quali quella dei contenitori vascolari in ceramica”. In tutto il bacino del Mediterraneo il Neolitico medio (VI millennio a.C.) è caratterizzato da statue di piccole e piccolissime dimensioni. Raramente ci vengono restituite sculture di dimensioni maggiori: una delle più importanti è un betilo rinvenuto in Sardegna, figura antropomorfa in granito databile al Neolitico medio (II metà del V millennio a.C.) proveniente da Sa Mandara Samassi (Medio Campitano). Interessante, sopra la linea di cintura, la particolare lavorazione a “Z”, che denota la presenza di una veste ornata.

La statuetta femminile del Neolitico medio proveniente dalla necropoli di Cuccuru is Arrius a Cabras (Or) (foto Graziano Tavan)
Le statuette femminili del Neolitico medio sono emerse da diversi contesti abitativi, funerari, cultuali. Numerose le “statuette steatopigiche”, ovvero caratterizzate dai glutei abbondanti. Alcune appaiono particolarmente raffinate, tutte sono caratterizzate da una significativa attenzione alla postura: in piedi, sedute, con le braccia lungo i fianchi o piegate sul grembo o flesse, con le mani che sorreggono i seni. Sono segni evocativi di fertilità e regalità. Come la figura antropomorfa con mani sul petto in calcare proveniente dalla necropoli di Cuccuru is Arrius (Cabras, Or). Il corpo è sagomato in due blocchi sferoidi sovrapposti e una linea sottile, visibile nel dorso, ne accentua la divisione. Il petto è staccato dal triangolo pubico dal quale si dipartono gli arti inferiori voluminosi. L’elevato livello di finitura delle superfici, incise e ben lisciate, si caratterizza nella resa naturalistica delle mani frangiate e portate al petto.
La donna nuragica. “Per quanto riguarda l’età del Bronzo e la prima età del Ferro, che coincidono con la gran parte della civiltà nuragica (XVII-VII sec. a.C.)”, scrive Anna Depalmas dell’università di Sassari, “la documentazione archeologica della componente femminile della società è esigua. L’assenza di rappresentazioni figurative umane caratterizza le espressioni artistiche delle comunità insediate nei nuraghi e nei piccoli gruppi di case circostanti durante il Bronzo medio e recente. Il profondo mutamento che investe la società nuragica dell’età del Bronzo finale si dovette riflettere anche nelle forme espressive con l’avvio di un processo che rivolse una crescente attenzione alla figura umana, che giunse a compimento nella fase successiva. Benché non siano note le tappe intermedie di questo percorso, sappiamo che all’inizio del IX sec. a.C. sono già diffuse le statuine di bronzo che rappresentano il più importante documento per la ricostruzione della società sarda della prima età del Ferro. Tra i soggetti rappresentati la figura femminile riappare, dopo più di un millennio di assenza, mostrandoci un’identità complessa costruitasi nel lungo processo che, lungi dall’estrema idealizzazione delle dee madri eneolitiche, ha portato alla raffigurazioni le donne reali, compiutamente inserite nelle società sarda della prima età del Ferro”.

La cosiddetta Madre con Infante dal complesso nuragico di Santa Vittoria di Serri (Ca) (foto Graziano Tavan)

La cosiddetta Madre dell’Ucciso dalla grotta di Sa Domu e S’Orku a Urzulei (Nu) (foto Graziano Tavan)
Con le età del Bronzo e del Ferro, la bronzistica nuragica si esprime anche in repertori di donne calate in ruoli terreni, verosimilmente complementari a una figura maschile egemone e divinizzata. I soggetti sono spesso domestici: mogli, sorelle, madri, talvolta sorprese nel dolore del lutto. Fortemente evocativa la Madre dell’ucciso, statuetta bronzea dalla grotta di Sa Domu e S’Orku (Urzulei, Nu) che rappresenta l’incontro con il dolore di una Donna e Madre dell’età nuragica. O la Donna con infante dal complesso nuragico di Santa Vittoria (Serri, Ca). “La rappresentazione di queste madri sedute su uno sgabello circolare a cinque piedi costituisce un’iconografia di particolare rilievo”, continua Depalmas, “che potrebbe rimandare alla commemorazione di un mito o di un racconto celebrativo nell’ambito del patrimonio narrativo delle comunità nuragiche. E proprio la ricorrente associazione della figura femminile con lo sgabello, evocato nelle riproduzioni in pietra delle capanne delle riunioni, rafforza l’ipotesi che le donne sarde della prima età del Ferro potessero rivestire ruoli sociali di rilievo”.
Sono le sepolture a restituire il maggior numero possibile di rappresentazioni femminili. I defunti accompagnati da queste statuine dei quali è stato possibile stabilire il genere erano tutti individui maschi. La presenza di queste sculture sembra affermare il loro status e, potenzialmente, la loro condizione di appartenenza a una specifica ascendenza ancestrale, forse mitizzata. Alla fine del Neolitico in Sardegna si affermano e tombe collettive, luoghi dove vengono progressivamente disposti i diversi membri delle comunità di appartenenza. Nelle fasi preistoriche e protostoriche sembra non ci fossero differenze di genere nei rituali di inumazione. Nell’età del Ferro riappaiono le sepolture individuali, come le tombe a pozzetto della necropoli di Monte e’Prama (Cabras, Or). Qui, fra gli individui finora ritrovati, è presente una sola femmina. Tutti gli altri sono maschi giovani e robusti, a indicare che la necropoli era riservata a una categoria specifica. Vecchi, bambini e donne venivano sepolti altrove, in tombe non ancora individuate.

Il caratteristico vaso a cestello del IV millennio a.C. dal villaggio di Puisteris di Mogoro (Or) (foto Graziano Tavan)
Nel Neolitico anche le attività di competenza femminile si articolano in diverse specializzazioni. Per esempio, alla cura della prole si affianca la produzione di contenitori ceramici, funzionali alla preparazione e alla conservazione dei cibi. L’attributo di madre e nutrice si estende così, dopo il tempo della gestazione e dell’allattamento, oltre il proprio corpo. E con nuova efficacia: la disponibilità di cibi bolliti, più facili da digerire, contribuirà notevolmente a incrementare le prospettive si sopravvivenza del bambino e la loro salute. La diffusione della cerealicoltura, introdotta anche in Sardegna a partire dal VI millennio a.C., è documentata dalle sottili analisi palinologiche e paleobotaniche su resti di semi e piante rinvenuti presso i diversi contesti abitativi. Ma sono testimoniate soprattutto dalle numerose macine e macinelli in pietra, utilizzati per la trasformazione del cereale in farina. Dal Neolitico in poi costituiranno una presenza costante nel focolare domestico. Alcune figure femminili in ginocchio sembrano compiere proprio il gesto del macinare. Ai ritratti familiari e alle donne con la cesta sul capo, intente al lavoro, si affiancano rappresentazioni di donne offerenti. Ampi mantelli, importanti copricapo, vesti accurate che talvolta sembrano paramenti. Posture fissate in un gesto ieratico, come di chi officiasse qualche rito.

La bellissima collana con vaghi di conchiglia del V millennio a.C. dalla necropoli di Cuccuru is Arrius (foto Graziano Tavan)
L’uso dei monili non è da intendersi qui in una dimensione puramente estetica, di semplice abbellimento. Rappresenta innanzitutto un contrassegno sociale: un codice che rende immediatamente riconoscibili i ruoli e le gerarchie vigenti in quelle comunità. “I monili preistorici, a differenza di quello che potremmo essere indotti a pensare dal confronto con i corrispettivi moderni”, interviene l’archeologa Valentina Puddu, “non avevano una connotazione di genere. Essi devono piuttosto essere intesi come prodotti culturali distintivi, tratti da un contesto di tradizione, di costumi e di valori che un individuo, sia esso uomo, donna o bambino, adottava sia in termini di unione che di divisione: l’ornamentazione personale dava una identità alla persona, definendola all’interno di un gruppo e contemporaneamente escludendola da altri”.
Una trasversalità tematica fa da cornice alla mostra: nel corso dell’apertura dell’esposizione sono stati previsti numerosi appuntamenti con contenuti dal taglio non soltanto archeologico e antropologico-etnografico, ma anche sociologici, con richiami all’attualità. Un mondo al femminile che nei millenni, attraversando le sfere del mito, del sacro, del religioso e del quotidiano, giunge fino a noi. Il trait d’union tra le prime comunità antropiche e i giorni nostri è il telaio di Maria Lai che, con la sua opera La Terra del 1968, rappresenta il simbolo narrativo della mostra. Le trame e l’ordito simbolicamente evidenziati dall’artista, narrano la storia di donne.
Donna o dea? Cosa rappresentavano le figure femminili preistoriche? La risposta nella mostra al museo Archeologico nazionale di Cagliari “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”: 1^ parte, il Paleolitico

Figurina femminile a placca traforata da Porto Ferro (Alghero, Ss) del IV millennio a.C. (foto Graziano Tavan)

Locandina della mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda” al museo Archeologico nazionale di Cagliari
Donna o dea? Cosa rappresentavano le figure femminili preistoriche? A questa domanda vogliono dare una risposta l’antropologa Silvia Fanni e le archeologhe Marcella Sirigu e Laura Soro, che hanno curato la mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”, con la validazione scientifica di Carlo Lugliè, aperta al museo Archeologico nazionale di Cagliari fino al 12 maggio 2019. “Nelle prime fasi della preistoria”, spiegano sul catalogo (Edizioni WRB), “il principio femminile veniva considerato prioritario e più importante di quello maschile. Si riteneva che la donna fosse l’unica ad avere la facoltà di dare la vita: a lei sola era dovuta la nascita, il nuovo si riproduceva dal nulla, per partenogenesi e per tale ragione era identificata come dea. La sua divinizzazione sarebbe nata in un momento in cui non esistevano ancora strutture gerarchiche definite, livelli sociali stratificati, dove il ruolo della donna poteva essere messo in primo piano, dove la sua essenza cosmica la elevava a una dimensione forse magico-religiosa”.

Le vetrine con le “Veneri paleolitiche” nella mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda” al museo Archeologico nazionale di Cagliari (foto Graziano Tavan)
“Dal Paleolitico giungono centinaia di suggestive figurine prevalentemente femminili, realizzate utilizzando diverse materie prime: la pietra, nelle sue più svariate morfologie e tipologie; l’osso di varie specie animali; l’argilla e forse anche il legno. Donne in miniature, dalle sinuosità appena bozzate o dalle forme ora rotonde, ora lineari, con volti caratterizzati da evidenti schemi dai tratti ben netti, arricchite da acconciature o copricapi dettagliati. Altre, prive di caratteri sul volto, hanno un aspetto per così dire impersonale, con braccia stese sui grassi fianchi o flesse sul petto, stanti o assise in trono in posizione ieratica, rappresentate sia con grandi mammelle, sia con piccoli seno appena sporgenti. Capire e interpretare il loro scopo lascia ancora in disaccordo gli studiosi: potrebbero costituire, infatti, ritratti di donne realmente esistite, sacerdotesse di un culto ad oggi sconosciuto, rappresentazioni simboliche dei più grandi misteri naturali come il parto e quindi la vita, oppure della divinità stessa, intesa come custode dei bisogni primari dell’uomo, dalla creazione al sostentamento di queste prime comunità antropiche”.
Il museo Archeologico nazionale di Cagliari ha ideato un progetto per osservare i numerosi elementi simbolici e interpretare segni e gestualità quali traduzioni di idee e pensieri antichi ma, al tempo stesso, concettualmente molto attuali. Per la prima volta insieme, la più ricca collezione di manufatti della preistoria isolana a confronto con alcuni tra i più antichi e famosi reperti peninsulari. Il progetto espositivo vuole mettere infatti in risalto alcune delle raffigurazioni femminili presenti dalle fasi preistoriche fino alla protostoria sarda e offrire così una visione d’insieme di una serie di manufatti presenti in diversi contesti archeologici del territorio isolano. Partendo dalle più antiche espressioni artistiche dell’arte Paleolitica, con la famosa Venere di Savignano, databile a circa 25mila anni fa, manufatto che apre il precorso espositivo anticipando un’analisi iconografica e stilistica, passando dalle volumetrie classiche del Neolitico medio si giunge alle raffigurazioni di donne nuragiche, descritte attraverso una resa stilistica essenziale e solenne.
Veneri paleolitiche. “Una compiuta espressione della coscienza di sé, riflessa nella capacità di autorappresentazione, è prerogativa esclusiva dell’uomo anatomicamente moderno, l’Homo sapiens sapiens. Un ricco repertorio di raffigurazioni del corpo umano accompagna la diffusione della nostra specie nel continente europeo. Questi manufatti, denominati tradizionalmente arte paleolitica, sono quasi esclusivamente naturalistiche dell’immagine femminile, realizzati in forma di scultura a tutto tondo su supporti di materie dure, soprattutto pietra e osso. Queste produzioni simboliche attestano la presenza di un “sentire comune” che attraversa l’intero continente, dalle steppe dell’Europa orientale fino ai confini atlantici, e che perdura a lungo presso le comunità di cacciatori e raccoglitori del Pleistocene. In questo immaginario collettivo, l’anatomia femminile è costantemente caratterizzata da seni prorompenti, dai fianchi floridi e dalla prosperosa rotondità dei glutei. Il riproporsi di questo modello – forse anche ideale estetico – ha suggerito la denominazione di Veneri paleolitiche (o epipaleolitiche)”.
Venere sarda terio-antropomorfa. La figurina costituisce un pezzo unico sotto diversi aspetti: per la materia prima impiegata, per il soggetto e le caratteristiche della raffigurazione, per la difficoltà di attribuzione a una specifica fase della preistoria della Sardegna. Il manufatto raffigura un corpo umano femminile dotato di un volto ferino. La compresenza di elementi umani e ferini nelle raffigurazioni preistoriche è attestata anche se rara, ancor più se riguardante il genere femminile. Tale combinazione di elementi avrebbe una sua spiegazione nell’ambito delle pratiche sciamaniche, particolarmente diffuse presso le bande di cacciatori-raccoglitori.
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