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“Afghanistan: tracce di una cultura sfregiata”: il regista veneziano Alberto Castellani svela in anteprima il suo nuovo film che racconta di un Paese martoriato, un popolo umiliato, una cultura millenaria e un patrimonio archeologico ricchissimo a rischio; con il contributo dei massimi esperti in materia

“Afghanistan, una terra dimenticata. Un popolo ferito e umiliato. Una tragedia immane. Un conflitto senza fine. Afghanistan, ultimo atto? Afghanistan, una cultura millenaria. Una cultura calpestata. Una incredibile avventura archeologica. Un patrimonio archeologico ricchissimo singolare incrocio di culture diverse oggi sottoposte a un sistematico saccheggio”. È con queste parole accompagnate da immagini straordinarie e drammatiche che il regista veneziano Alberto Castellani ci svela con un promo in anteprima il suo ultimo nuovo film, di cui sta ultimando in queste settimane la produzione: “Afghanistan: tracce di una cultura sfregiata” destinato a essere uno dei film protagonista delle rassegne cinematografiche a soggetto archeologico dell’autunno 2022. “Dovrebbe durare all’incirca un’ora”, anticipa Castellani, “ma un minutaggio preciso al momento non è possibile. Vorrei che il film fosse disponibile per settembre in tempo per partecipare fuori concorso ad un momento dedicato all’Afghanistan che il RAM, il festival internazionale di Rovereto, sta organizzando per la giornata finale della manifestazione di quest’anno, esattamente tra tre mesi, il 2 ottobre 2022”.

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La valle di Bamiyan in Afghanistan con quel che resta dei Budda fatti saltare dai Talebani (foto TOI)

Dopo il film “Mesopotamia in memoriam” il racconto di una nuova pagina drammatica destinata a sconvolgere le nostre coscienze: “È stata una decisione presa all’indomani della presa di Kabul da parte dei talebani”, racconta Castellani. “Una decisione forse un po’ avventata per l’impegno e le difficoltà che poteva comportar la realizzazione di programma televisivo dedicato all’Afghanistan. Ed è così che abbandonato per un po’ il Medio Oriente legato alla mia produzione audiovisiva di questi ultimi anni, mi sono letteralmente “tuffato” nel continente asiatico venendo a contatto con un mondo ed una cultura che fino ad oggi non mi avevano coinvolto”.

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La corona d’oro trovata nelle tombe di Tillia Tepe (Afghanistan)

L’Afghanistan è una data, il 15 agosto 2021, quando ha cominciato a chiamarsi “Emirato islamico dell’Afghanistan”. “È lo Stato, se così possiamo ancora chiamarlo, che, nel corso di poche settimane, le milizie talebane hanno conquistato o meglio riconquistato occupando i principali centri della nazione compresa la capitale Kabul. Ed è lo Stato totalmente disfatto, da cui la popolazione civile sta tuttora cercando, con crescente difficoltà, di fuggire verso l’occidente. A quale Afghanistan rivolgersi? mi sono allora chiesto. Ma perché allora non pensare anche ad un altro possibile intervento, ad altre risorse che non debbono essere dimenticate dall’opinione pubblica internazionale oltre che dagli stessi afghani? Perché non pensare, ad esempio, alla millenaria cultura di quel popolo, a qualcosa che va ad inserirsi nelle radici più lontane di una comunità oggi in ginocchio ma che forse un domani potrà trovare nuove forze guardando al suo glorioso passato? L’Afghanistan rischia di perdere la propria identità e di svegliarsi dal caos attuale senza la coscienza di possedere una storia”, denuncia il regista. “L’Archeologia con le sue capacità a volte inesauribili di scoprire e ricostruire il passato può fornire un prezioso contributo per la sua rinascita”.

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Un rilievo dell’arte di Gandhara esposto nella mostra “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”

Il programma intende ricordare le principali figure di studiosi che nel corso del ‘900 e di questo inizio secolo si sono dedicati a ricostruire le vicende artistiche più lontane dell’Afghanistan facendo conoscere al mondo soprattutto l’arte del Gandhara che si caratterizza per la compresenza di elementi indiani, ellenistici ed iranici. Si tratta, nella fase iniziale, di archeologi francesi ma anche di ricercatori italiani tra i quali spicca la figura di Giuseppe Tucci.

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L’archeologa Anna Filigenzi in Afghanistan dove dirige la missione archeologica italiana dal 2004 (foto ismeo)

Per accompagnare il pubblico in questo viaggio, il regista veneziano si è avvalso della collaborazione di prestigiose istituzioni culturali, dal Museo Guimet di Parigi al Museo delle Civiltà di Roma, dal Museo Archeologico di Kabul all’ISMEO di Roma. E soprattutto ha trovato dei “compagni di viaggio” preziosi che ora costituiscono il comitato scientifico del film. “A partire dal coinvolgimento di Anna Filigenzi, direttrice della missione archeologica italiana in Afghanistan”, ricorda Castellani. “È stata la sua una presenza discreta, concretizzatesi in un incontro avvenuto a Firenze e proseguito poi con una serie di contatti telefonici e di suggerimenti per individuare alcune figure chiave di consulenti”. Si tratta di Massimo Vidale (università di Padova), di Luca Maria Olivieri (università Ca’ Foscari Venezia), di Ciro Lo Muzio (università La Sapienza di Roma), di Laura Giuliano e di Michael Jung (museo delle Civiltà di Roma). Particolarmente significativo il carattere scientifico del contributo ma anche il valore simbolico della partecipazione, il coinvolgimento di Mohammed Fahim Rahmi, Direttore Museo di Kabul, che in qualche modo, è proprio il caso di dirlo, è riuscito a far giungere nel mio computer delle preziose immagini a testimonianza della situazione del Museo più importante dell’Afghanistan”.

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Il regista Alberto Castellani al Museo Guimet di Parigi per le riprese del film “Afghanistan” (foto media venice)

Sono stati soprattutto due i Musei cui Castellani si è rivolto per la sua documentazione. Innanzitutto il parigino museo nazionale delle Arti Asiatiche, più noto come Museo Guimet, una esposizione permanente dedicata all’arte asiatica, in grado di documentare, tutte le campagne di scavo, tenutesi in territorio afghano, tra gli anni Venti e gli anni Quaranta del secolo scorso grazie ad accordi intercorsi tra Francia ed Afghanistan. Quanto esposto al Guimet ha consentito a Castellani di far emergere alcune figure base della archeologia afghana. Si tratta di Alfred Foucher, giustamente considerato l’iniziatore di una campagna di indagini sul territorio che porterà alla individuazione di alcuni fondamentali siti come Hadda e Balkh. Si tratta di Joseph Hackin e di sua moglie Marie legati alla scoperta del Tesoro di Begram, di Jean Carl ed alle sue indagini sul monastero di Fundukistan, di Daniel Schlumberger che tanto operò sul sito di Ai Khanun.

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Il prof. Massimo Vidale, dell’università di Padova, tra i consulenti scientifici del film di Alberto Castellani (foto castellani)

Senza contare l’impegno italiano che ha preso avvio sin dal lontano 1957 con indagini su siti pre-islamici e islamici, Ghazni soprattutto, ponendo in luce aspetti inediti della storia culturale dell’Afghanistan e la sua centralità nella creazione e diffusione pan-asiatica di modelli artistici originali. Un impegno complessivo che ha fatto conoscere all’opinione pubblica internazionale quella che viene conosciuta come l’arte del Gandhara e attraverso essa lo sviluppo di una rivoluzione formale, di un nuovo modo di concepire le forme, il corpo umano, la narrazione, fattori questi che non esistevano nel mondo indiano. “Prima ci si esprimeva più attraverso delle icone statiche, dense di significato, immagini codificate”, sostiene il prof. Vidale in un suo contributo che appare nel film. “L’ellenismo portò veramente la capacità di rappresentare la vita dell’uomo in tutte le sue forme: la sensualità, i movimenti delle donne, i bambini, gli asceti i boschi, gli animali. Tutte cose che prima non c’erano. Ma questi codici formali non furono utilizzati per parlare dell’Occidente e dei valori del mondo greco, furono utilizzati per raccontare il mondo indiano. Ed è stata questa sintesi che ha avuto l’effetto così rivoluzionario che ancora oggi ci ammalia per la sua ambiguità e per la sua vitalità”.

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Shiva e Parvati: il prezioso rilievo fa parte delle collezioni del museo di Arte orientale “Giuseppe Tucci” al Muciv di Roma

Una seconda tappa fondamentale è costituita dal materiale esposto al Museo romano delle Civiltà e la riscoperta di una figura forse un po’ dimenticata in questi ultimi anni. Si tratta di Giuseppe Tucci. In anni in cui il Nepal era ancora un paese misterioso, il Tibet un paese proibito e favolistico, l’India una realtà poco conosciuta, Tucci fu uno dei primi occidentali a visitare quei paesi. Per decenni ne ha percorso le mulattiere, gli altopiani e le vette innevate. Lo ha fatto servendosi di asini o cavalli, unendosi a carovane di passaggio, spesso muovendo da solo a piedi, trascorrendo le notti in ricoveri di fortuna. Per avvicinare e comprendere civiltà allora in gran parte ignote, ha usato la sua conoscenza, eccezionale per quegli anni, del sanscrito, del tibetano, del cinese, e di molte altre lingue orientali come l’ebraico, l’hindi, l’urdu, l’iranico, il pashtu, il mongolo. “I temi sono tanti, forse troppi per un film, me ne sto rendendo conto di giorno in giorno”, conclude Castellani. “Forse sessanta minuti alla fine saranno pochi per celebrare un Paese come l’Afghanistan. Perché questa terra, come ha sostenuto il prof. Olivieri davanti alla mia camera, è certamente un ammasso di orografie confuse e difficili da comprendere. Ma questo ammasso dice due cose. Innanzitutto come sia difficile affrontare la complessità di questo territorio, come sia difficile prenderlo, conquistarlo, mantenerlo sotto un controllo. Ma anche come dietro quel mucchio di pietre ci siano altri mucchi di pietre: mucchi di pietre che sono quelle lasciate dall’uomo. E la straordinaria ricchezza dell’Afghanistan, dal punto di vista archeologico, non ha probabilmente pari in tutta l’Eurasia”.

Giornate europee dell’Archeologia. Al museo delle Civiltà a Roma-Eur si presenta live il numero 100 del BPI – Bullettino di Paletnologia Italiana in tre tomi con gli Atti del Convegno di Studi dedicato al bicentenario della nascita di Gaetano Chierici tenutosi a Reggio Emilia (19-21 settembre 2019). E sui canali social interventi sull’archeologia in Iran, Siria, India, Yemen, Tajikistan

Le copertine dei tre tomi del numero 100 del Bullettino di Paletnologia con gli Atti del convegno per il bicentenario di Gaetano Chierici (foto muciv)
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La locandina che promuove le iniziative per il bicentenario della nascita di Gaetano Chierici

In occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia il museo delle Civiltà a Roma-Eur presenta al pubblico le attività del mondo archeologico delle diverse sezioni del MuCiv. Venerdì 18 giugno 2021, alle 11, viene presentato il numero 100 del BPI – Bullettino di Paletnologia Italiana, prestigiosa rivista dedicata agli studi di preistoria ed etnografia fondata nel 1875 da Gaetano Chierici, Luigi Pigorini e Pellegrino Strobel. Nei tre tomi, a cura di Mauro Cremaschi, Roberto Macellari e Giuseppe Adriano Rossi, sono raccolti gli Atti del Convegno di Studi dedicato al bicentenario della nascita di Gaetano Chierici tenutosi a Reggio Emilia (19-21 settembre 2019). Numerosi studiosi hanno contribuito ad approfondire la complessa figura di Gaetano Chierici (1819-1886), “scienziato” che ha tracciato il solco per la successiva ricerca preistorica in Italia, inserito a pieno titolo nel dibattito culturale del suo tempo. Studioso dalla mente aperta, convinto della correttezza di un approccio multidisciplinare, Gaetano Chierici può e deve ancora ispirarci; i suoi studi non lo separarono mai dall’impegno civile e politico, era insegnante, sacerdote e convinto sostenitore della nascita del nuovo stato. Evento in diretta sul canale YouTube https://youtu.be/Y9u-QEbJVzE. Interverranno: Maria Antonietta Fugazzola Delpino (già direttrice del Bullettino di Paletnologia Italiana), Roberto Macellari (coordinatore del Comitato Scientifico del Convegno), Giuseppe Adriano Rossi (coordinatore del Comitato Promotore delle Celebrazioni, presidente della Deputazione Reggiana), Monica Miari (presidente dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria), Paolo Boccuccia (coordinatore della redazione tecnico-scientifica della rivista).

Vaso in terracotta dipinto: esempio di arte iranica dell’Età del Bronzo (foto muciv)

‍Social e web. Sul canale YouTube del Muciv, disponibili dalle 9 del 18 giugno 2021: Paola D’Amore su “Scavi italiani a Tell Afis/Hazrek (Siria settentrionale)” (https://youtu.be/QGEyd-x8Ix4); Michael Jung su “L’architettura islamica dello Yemen: gli studi della Missione Archeologica Italiana 1983-1989 e il nuovo progetto di ricerca” (https://youtu.be/UcLSST1_MMU); Paola Piacentini su “Arte iranica dall’Età del Bronzo ai Sasanidi” (https://youtu.be/zxSBve7NnRU).

Architettura rupestre brahmanica dell’India occidentale (foto muciv)

Nella sezione “Ultime dal Muvic” (https://museocivilta.beniculturali.it/category/ultime-dal-muciv/) disponibili dalle 9 del 18 giugno 2021: “Pitture murali della grotta 17 di Ajanta” di Laura Giuliano; “Architettura rupestre brahmanica dell’India occidentale” di Laura Giuliano; “Il progetto di ricerca archeologica in Tajikistan” di Giovanni Lombardo; “Shahr-i Sokhta, la città bruciata” di Giovanna Lombardo.

Roma. Seconda tappa verso la nuova sede del museo nazionale di Arte Orientale. All’Eur, il Muciv apre due mostre: una con i reperti delle missioni archeologiche italiane dell’Ismeo in Libia, l’altra con i reperti dagli scavi in Pakistan, Iran e Afghanistan

Il museo Pigorini si affaccia su piazza Marconi all’Eur ospita la prima selezione di oggetti delle collezioni del Mnao

A dicembre 2017 più di 650 preziosi reperti provenienti dalla Spagna moresca alla Birmania, dall’Iran all’area himalayana, dall’India alla Corea, esposti in oltre 60 vetrine allestite al museo nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” all’Eur di Roma. Ora due nuove importanti mostre temporanee: “Impressioni d’Africa” e “Città, palazzi e monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”: il work in progress “Aperti per lavori” procede come da programma che, per la fine del 2019, vedrà l’apertura del museo nazionale di Arte Orientale “Giuseppe Tucci” nella nuova sede in piazza Marconi all’Eur, con oltre 10mila mq di nuovi percorsi espositivi e spazi per servizi aggiuntivi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/12/20/roma-a-50-giorni-dalla-chiusura-di-palazzo-brancaccio-al-pigorini-delleur-apre-la-mostra-aperti-per-lavori-con-la-prima-selezione-di-650-oggetti-delle-collezioni-del-museo/). L’appuntamento venerdì 2 febbraio 2018 alle 16.30 al museo delle Civiltà, negli spazi del museo delle Arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria” all’Eur, per l’inaugurazione di due importanti mostre temporanee: “Impressioni d’Africa” e “Città, palazzi e monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”, a coronamento dell’allestimento provvisorio delle collezioni d’arte orientale, trasportate dalla precedente sede di Palazzo Brancaccio in via Merulana. Le mostre sono state realizzate nel quadro delle molteplici attività di valorizzazione e promozione del prestigioso patrimonio acquisito dal Museo delle Civiltà che ha accorpato in sé, in base alla Riforma Franceschini, quattro importanti musei romani: museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, del museo delle arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”, del museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”, del museo dell’arte orientale “Giuseppe Tucci”.

L’arco dell’imperatore Marco Aurelio a Tripoli in un’immagine dei primi del Novecento

La mostra “Impressioni d’Africa” è aperta al museo delle Arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria” all’Eur

La prima mostra, allestita in sala Loria, “Impressioni d’Africa”, a cura di Egidio Cossa, Mariastella Margozzi e Margherita Bedello, ci porta alle collezioni di quello che fu il museo Italo-africano di Roma: racconta, attraverso dipinti, sculture e oggetti d’artigianato, le peculiarità di una collezione ricca e particolare, sulla quale le vicende storiche e culturali seguite alla seconda guerra mondiale e alla fine del colonialismo, hanno calato un progressivo e prudente sipario. Si tratta di un numero assai elevato di oggetti, tra cui diverse migliaia di carattere etnografico e centinaia di carattere militare ed economico, testimonianze della storia italiana in Africa, delle conquiste, dei rapporti con le popolazioni locali, delle produzioni agricole e artigianali preesistenti alle conquiste coloniali e poi inglobate nell’economia nazionale. I materiali scelti per la mostra vengono presentati per la prima volta al pubblico dopo l’acquisizione dal museo delle Civiltà della collezione che fino a qualche anno fa apparteneva all’IsMEO – Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente. Il contesto e l’allestimento in cui oggi essa viene proposta al pubblico è certo quello più adatto a farne scoprire e comprendere pienamente l’interesse artistico e tutta la valenza storica e antropologica. In Africa settentrionale, infatti, sono state portate avanti importanti campagne di scavo archeologico italiane: non è un caso che parte cospicua della mostra sia dedicata alla documentazione delle rovine di Leptis Magna, presentate attraverso il prezioso plastico realizzato all’inizio degli anni Trenta direttamente sul sito archeologico libico e accompagnate da fotografie d’epoca, incisioni e dipinti che raccontano le vicende relative allo scavo e la grande suggestione che scaturì dalla scoperta dell’antica città romana. Ognuna delle opere esposte costituisce una documentazione insostituibile di un’epoca e di un pensiero sull’Africa che, nonostante il tempo trascorso, riesce a restituire il fascino di un’esperienza condivisa da moltissimi artisti tra ‘800 e ‘900, dagli ottocentisti orientalisti come Pompeo Mariani, Augusto Valli, Giorgio Oprandi, Giuseppe Valeri ai più realistici pittori di Colonia, animati dal desiderio di raccontare il quotidiano di quelle terre e di quei popoli senza il velo poetico dei primi, come Eduardo Ximenes, Teodoro Wolf Ferrari, Mario Ridola, Giuseppe Rondini, Milo Corso Malverna.

Un rilievo dell’arte di Gandhara esposto nella mostra “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”

La seconda mostra, in sala Dossier, “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”, a cura di Gabriella Di Flumeri, Laura Giuliano, Michael Jung e Giovanna Lombardo, ci fa rivivere le missioni in Pakistan nella Valle dello Swat, in Afghanistan nella regione di Ghaznì e in Iran, nella regione orientale del Sistan. Le ricerche archeologiche furono condotte dall’IsMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente) fondato nel 1933 da Giovanni Gentile e dall’insigne tibetologo Giuseppe Tucci, che già a partire dal 1929 aveva intrapreso una serie di viaggi di studio e di scoperte nella regione himalayana e che nel 1947 assunse la carica di presidente dell’Istituto, dando nuovo impulso alle ricerche archeologiche in Asia. Tra il 1950 e il 1955 vengono condotte diverse spedizioni in Nepal, in particolare nell’area del Karakorum, e della seconda metà degli anni cinquanta solo le felici campagne archeologiche in Pakistan, Afghanistan e in Iran. L’attività della Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO/IsIAO in Pakistan, iniziata nel 1956 è proseguita fino a oggi. I primi scavi sistematici vennero condotti nell’abitato di epoca storica di Udegram e nell’area sacra buddhistica di Butkara I, ove furono rinvenuti numerosissimi rilievi in scisto appartenenti all’Arte del Gandhara aventi come soggetto la vita del Buddha storico.

Il primo scavo sistematico di Shahr-e Sokhta fu diretto da Maurizio Tosi (Ismeo) dal 1967

Il sito Shahr-e Sokhta la “città bruciata”, in Iran, è fondamentale per lo studio dello sviluppo culturale nell’Altopiano iranico; la città, infatti, fu importante per la lavorazione e il commercio a lunga distanza delle pietre semipreziose. I materiali di questo sito, ceramiche, ami, punte di lancia, sigilli, documentano lo sviluppo di un centro urbano proprio nel momento della nascita e della diffusione dell’urbanizzazione nel Vicino Oriente. Infine, sono esposti i reperti provenienti da Ghazni, in Afghanistan, tra questi meritano particolare attenzione soprattutto i marmi dal palazzo, scavato dalla Missione Archeologica Italiana tra il 1958 e il 1966 e datato all’XI secolo; oltre ad essere una rara testimonianza dell’architettura palaziale medioevale, il palazzo costituisce, con la sua lunga iscrizione in versi persiani, un esempio di come l’eredità iranica pre-islamica sia stata recuperata all’interno della comunità musulmana.

L’Italia torna protagonista in Iran: restaureremo la cittadella di Bam e la tomba di Ciro a Pasargade

Il ministro Massimo Bray fotografa le rovine della cittadella di Bam in Iran

Il ministro Massimo Bray fotografa le rovine della cittadella di Bam in Iran

L’Italia delle eccellenze culturali torna protagonista in Iran: a Bam, la cittadella di mattoni crudi e fango sulla Via della Seta, e a Pasargade la capitale achemenide sotto Ciro il Grande. È il risultato più eclatante della quattro giorni nella Repubblica Islamica dell’Iran del ministro dei Beni culturali Massimo Bray, durante i quali sono state affrontate strategie comuni anche nel settore turistico. Il ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT), attraverso l’Istituto Superiore per la Conservazione e il restauro, torna così alla cooperazione archeologica in due siti dove mancava ormai da alcuni anni. L’intesa riguarda il “contributo” italiano alle missioni di archeologia, ha detto il ministro a Teheran. In Iran ci sono già “sei missioni che lavorano bene” ma è stato “deciso di provare a definire quelli che saranno gli accordi per far ripartire il nostro contributo su Bam”, ha aggiunto il ministro. Il riferimento, implicito, è alla cittadella sulla Via della Seta che prima del terremoto da oltre 26mila morti del dicembre 2003 era la più grande costruzione in mattoni al mondo. “Da una parte”, ha detto Bray, “attueremo iniziative per poter valutare quello che è il rischio sismico in alcune zone che sono state molto danneggiate” e in altre in cui, pur essendo state “oggetto di restauro, è bene controllare continuamente” la situazione.

Gli effetti devastanti del terremoto del 2003 a Bam in Iran

Gli effetti devastanti del terremoto del 2003 a Bam in Iran

Arg-e Bam, ai limiti meridionali del grande deserto del Kavir-e Lut. Nella cittadella di Bam la cooperazione italiana arrivò praticamente già all’indomani del terribile terremoto del 26 dicembre 2003, di grado 6,5 (Scala Richter) che devastò una grande area della provincia di Kerman con gravissime perdite di vite umane. L’epicentro fu localizzato a circa 10 km a S-O di Bam, lungo la faglia omonima che taglia in direzione E-O tutta la Regione. Metà della popolazione di Bam scomparve, la città nuova fu completamente distrutta e Arg-e Bam (la città antica) ridotta in macerie. “La comunità internazionale”, ricordano al nostro ministero, “rispose prontamente in soccorso di questa pesante tragedia umana e per il recupero e la salvaguardia dell’eccezionale patrimonio culturale di Arg-e Bam. Infatti la cittadella oltre a essere sempre stata un’importante metà turistica, risorsa vitale per la Regione, costituiva testimonianza storica e vanto dell’identità culturale dell’intero Paese come simbolo di un glorioso passato”.  Il fascino della cittadella merlata non era sfuggito neppure al grande schermo: Bam ha fatto da sfondo per il film “Il deserto dei Tartari” tratto dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati e ad alcune scene del “Fiore delle Mille e una notte” di Pier Paolo Pasolini. Organizzazioni come Unesco, Icomos e Iccrom pianificarono, insieme con l’Ichto (Organizzazione iraniana del patrimonio culturale) il programma di recupero del patrimonio culturale duramente colpito dal sisma. Nel 2004 Bam e la sua Regione sono entrati a far parte del Patrimonio dell’Umanità (Unesco). “Il Governo Italiano è stato coinvolto nel Progetto di Recupero sin dall’inizio”, continuano al Mibac. “In seguito a numerose ricognizioni il ministero per i Beni e le Attività Culturali aveva optato per il restauro e messa in sicurezza della torre n°1 sulla cinta muraria sud-occidentale”.

La cittadella merlata di Arg-e Bam in Iran prima del terremoto del 2003

La cittadella merlata di Arg-e Bam in Iran prima del terremoto del 2003

La città carovaniera di Arg-e Bam – ricordiamolo – nasce e si sviluppa lungo l’antichissima via che collega l’Iran centrale con le province orientali e con l’Afghanistan e il Pakistan. La fortuna di questa splendida cittadella fortificata si deve proprio alla sua posizione strategica e alle sue preziose risorse idriche, sapientemente governate con ingegnosi sistemi di canali sotterranei (qanat) che danno vita alla straordinaria oasi. Gli inizi dell’insediamento risalgono molto indietro nel tempo (proprio gli scavi archeologici post terremoto hanno riportato alla luce tracce del primo insediamento achemenide), ma la città visse il suo periodo d’oro nel medioevo (fino al XIII secolo). Allora ospitava una numerosa e ricca comunità che doveva la sua fortuna proprio al commercio carovaniero e alla importante produzione e lavorazione della seta, del cotone e della lana. La manifattura tessile di Bam era famosa in tutto il mondo islamico. La crisi politica, economica e sociale, conseguente le invasioni di nuove etnie, i turchi oghuz, mongoli e timuridi, segnarono la crisi e una lenta, irreversibile, decadenza economica e sociale dell’intera Regione. La cittadella di Bam, grazie alla sua posizione strategica, divenne però la fortificazione più poderosa dell’Iran orientale e continuò ad avere un rilevante interesse militare di confine specialmente durante le persistenti guerre tra le popolazioni iraniane, afgane e beluche. Nel XVIII secolo la cittadella antica (Arg-e Bam) fu abbandonata per la realizzazione della nuova Bam nelle immediate vicinanze.

Il gruppo della missione irano-italiana al bastione di Bam

Il gruppo della missione irano-italiana al bastione di Bam

“Le strutture e le fortificazioni di Arg-e Bam”, spiegano Michael Jung, Vincenzo Torrieri, Narges Ahmadi che hanno seguito il primo progetto italiano di consolidamento e restauro del torrione n° 1 delle mura di Bam, “sono costruite con la tradizionale tecnica della terra cruda e in genere con mattoni quadrati, di grandezza variabile, essiccati al sole (adobe), con strati di terra pestata (chineh) e coperture protettive realizzate con un impasto di paglia e terra (khagel). Il Patrimonio Culturale di Bam rappresenta uno degli esempi più importanti di città islamica antica con un ensemble pressoché completo di tutti quegli elementi urbani generatori e caratteristici come palazzi, case, moschee, caravanserragli, hammam, bazar, officine e fortificazioni. Inoltre costituisce un magnifico esempio di città interamente costruita in terra cruda con una stratificazione, ancora perfettamente leggibile, che documenta la sua storia millenaria”.

Il torrione nelle mura di Bam affidato all'Italia

Il torrione nelle mura di Bam affidato all’Italia

La torre n°1 della cinta muraria più esterna, nel corso della ricerca – spiegano i nostri archeologi -, si è rivelata come un organismo pluri-stratificato con corpi murari aggiunti in appoggio dall’esterno (la cosiddetta “crescita a cipolla”). La configurazione attuale risulta infatti come la sommatoria di diverse fasi costruttive e ricostruttive (cinque le maggiori) nonché di rifacimenti, restauri ed interventi di manutenzione ordinaria che progressivamente hanno accresciuto il nucleo della linea difensiva originaria.

La croce nestoriana trovata incisa sulle mura di Bam: prova la presenza dei cristiani

La croce nestoriana trovata incisa sulle mura di Bam: prova la presenza dei cristiani

La croce nestoiana. Gli accertamenti archeologici hanno riportato alla luce, tra l’altro, un silos a pianta oblunga realizzato contro terra con rivestimento in mattoni crudi. Potrebbe trattarsi di un ripostiglio, scavato nel pavimento, per la conservazione di derrate alimentari. I reperti rivenuti nel all’interno (per lo più frammenti ceramici) vengono studiati nel centro operativo di Bam. Ma tra i ritrovamenti più sorprendenti e importanti va sicuramente annoverato il motivo della croce impressa sull’intonaco esterno della Mura occidentali, non lontano dalla torre. “Si tratta di una croce greca, probabilmente nestoriana, con quattro bracci di eguale lunghezza (24 cm), realizzata attraverso impressione di una matrice in legno (meno probabile di metallo) sull’intonaco ancora fresco”, continuano Michael Jung, Vincenzo Torrieri, Narges Ahmadi. “La porzione dell’intonaco interessato è stata distaccata per ragioni di salvaguardia e collocata nei laboratori di restauro del centro operativo in attesa di essere esposta nel futuro museo di Bam. Il simbolo della croce nestoriana è stato identificato anche su due frammenti ceramici rinvenuti nelle prossimità della cittadella e rappresenta, allo stato attuale delle conoscenze, la prima testimonianza archeologica della presenza cristiana a Bam, come nell’intera Regione”.

Alcune ceramiche trovate durante lo scavo delle mura a Bam

Alcune ceramiche trovate durante lo scavo delle mura a Bam

Tra i reperti rinvenuti durante le ricerche si segnalano punte di freccia di ferro, frammenti di ceramica acroma, invetriata e non, collocabili in un ampio contesto cronologico a partire (molto probabilmente) dal tardo periodo achemenide fino ai giorni nostri. Tra i materiali antropici si segnalano ossa animali (avanzi di pasto e non), lacerti di tessuti e frammenti di vetro colorato. Sono stati rinvenuti vinaccioli di “vitis vinifera” domestica, tralci di vite, melograno, palma, cocco. “I risultati della ricerca e delle analisi dei materiali”, concludono gli archeologi, “saranno essenziali per la definizione di una cronologia assoluta di riferimento sul diagramma della successione stratigrafica accertata. I risultati potranno fornire un primo inquadramento cronologico, delle diverse fasi costruttive documentate, di ausilio alla storia di questa straordinaria e monumentale fortificazione, ai limiti del grande deserto del Kavir-e Lut”.

Il ministro Massimo Bray durante la visita ufficiale a Bam in Iran

Il ministro Bray durante la visita ufficiale a Bam in Iran

Un rendering del complesso del caravanserraglio d Bam

Un rendering del complesso del caravanserraglio d Bam

Con queste premesse si torna a Bam. Come si diceva Italia e Iran hanno firmato a Teheran un accordo per la collaborazione alla conservazione e al restauro dei siti di Bam e di Pasargade. A firmare il “memorandum of understanding” tra il ministero italiano dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e l’Iranian Cultural Heritage, Handcrafts and Tourism Organization sono stati il ministro Massimo Bray e il delegato del governo per questo patrimonio, Mehdi Hojjat. Nello specifico i due governi si sono impegnati a cooperare nella conservazione e restauro della tomba di Ciro a Pasargade e nel Bastione ovest delle mura di Bam. I risultati delle ricerche saranno pubblicati sia in Italia che in Iran. Ma non è tutto. C’è anche una novità, proprio su Bam. In particolare, ha annunciato il ministro riferendosi evidentemente ad attività di restauro, “faremo un progetto di fattibilità sul Caravanserraglio, che è una delle architetture molto danneggiate della cittadella ma di grandissimo valore, e proveremo quindi a definire quelli che sono gli accordi puntuali per la definizione di queste attività”. Fornendo indicazioni su un organismo annunciato durante la quattro giorni iraniana, Bray ha riferito che “si è deciso di dar vita a un gruppo di lavoro misto” per “monitorare” sia “l’avanzamento di questi lavori” sia “altre iniziative che non rientrano negli accordi” che sono stati “definiti finora dai due governi o che si vogliono rinnovare”.

La monumentale tomba di Ciro domina il paesaggio di Pasargade

La monumentale tomba di Ciro domina il paesaggio di Pasargade in Iran

La tomba di Ciro. Nel 2010, dopo la conclusione della prima parte dei progetti di restauro e conservazione nella Cittadella di Bam, nei colloqui Iran-Italia si era cominciato a discutere dei nuovi cantieri da affidare ai tecnici italiani. “L’opera dei restauratori italiani – ricordano le cronache dell’epoca – che ha portato al recupero della torre n. 1 Sud Ovest, la prima che si incontra provenendo dalla città nuova, e di parte della cinta muraria, è stata particolarmente apprezzata”. Così le autorità iraniane avevano approvato un secondo progetto che avrebbe coinvolto i tecnici italiani: il restauro del Caravanserraglio, edificio all’interno dell’antica cittadella anch’esso gravemente danneggiato. Progetto che è tornato in discussione durante la visita ufficiale di Bray. E sempre nel 2010 prese il via il restauro da parte italiana della Tomba di Ciro il Grande a Pasargade, il più importante monumento dell’Iran e simbolo stesso dell’identità nazionale. E ora l’Italia torna a Pasargade, sito archeologico inserito nel 2004 nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’Unesco.

La tomba di Ciro a Pasargade con le impalcature per i restauri

La tomba di Ciro a Pasargade con le impalcature per i restauri

Le sue rovine si trovano a quasi 90 chilometri a nordest di Persepoli, nell’Iran meridionale, e il suo monumento più famoso è la tomba attribuita all’imperatore persiano Ciro il Grande, costruita su sei alti gradini che conducono alla sepoltura vera e propria, che ha un’entrata bassa e stretta. “Benché non ci siano prove certe per l’identificazione della tomba con quella di Ciro”, spiegano gli archeologi, “gli antichi storici greci riportarono che questa era la convinzione di Alessandro Magno, il quale rese omaggio al mausoleo dopo il saccheggio e la distruzione di Persepoli”. Durante la conquista araba della Persia, quando l’esercito arabo si trovò di fronte alla tomba decise di distruggerla, poiché essa era considerata in contrasto con i principi dell’Islam. L’edificio si salvò grazie a uno stratagemma usato spesso dai persiani in molte aree del Paese: i guardiani del monumento riuscirono a convincere il comandante dell’esercito che la tomba non era stata costruita in onore di Ciro il Grande, bensì della madre del re Salomone. E infatti ancora oggi è molto diffuso l’uso di chiamare la tomba di Ciro come Qabr-e Madar-e Sulaiman”, cioè la tomba della madre di Salomone.