All’XI Rassegna del documentario e della comunicazione archeologica di Licodia Eubea l’archeologo subacqueo Salvatore Agizza presenta il nuovo brand editoriale iMediterranei: un magazine, una trasmissione televisiva in onda su Canale 21, un sito web sempre aggiornato e tre canali social per la condivisione dei contenuti multimediali. E alla XXIII Borsa di Paestum iMediterranei protagonisti alla conferenza sul Turismo subacqueo

Nasce iMediterranei, perché il Mare Nostrum è uno e molte cose allo stesso tempo: scoperte, viaggi, storia, letteratura, geografia, religione, archeologia, scienza, ricerca, clima, natura, cosmopolitismo. All’XI Rassegna del documentario e della comunicazione archeologica di Licodia Eubea (Ct) il nuovo brand editoriale iMediterranei è stato presentato dal suo ideatore e promotore, l’archeologo subacqueo Salvatore Agizza, amministratore di Teichos Servizi e Tecnologie per l’Archeologia. Il progetto prevede un magazine diretto dalla giornalista Matilde Andolfo e distribuito da Guida Editori, una trasmissione televisiva in onda su Canale 21, un sito web (www.imediterranei.it) sempre aggiornato e tre canali social per la condivisione dei contenuti multimediali. “Il nostro sarà un viaggio nell’archeologia tra scoperte, mostre, eventi, lavoro, manager e comunità legate al mare. Di sotto e di sopra. Il Mediterraneo, testimone del nostro passato, può rappresentare oggi il motore per lo sviluppo dell’economia dei nostri territori”, scrive nell’editoriale all’interno del primo numero della rivista Salvatore Agizza. Esposizioni museali, forum, la tv e la Rete, con il magazine trimestrale saranno occasione per attivare interessi economici e culturali, partendo da Napoli, capitale del Mediterraneo.
“Il Mediterraneo è un crocevia antichissimo”, scrive Agizza. “Da millenni tutto vi confluisce, complicandone ed arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere. E anche le piante. Un crocevia, un mondo. Geografia umana, storia, antropologia. Con una Terra di sotto, il mare. E una Terra di sopra, le coste, le città, gli uomini. Ecco, noi vogliamo raccontare la Terra del mare e la Terra degli uomini. Nasce un brand editoriale, magazine, web, tv. Il nostro sarà un viaggio del mondo sotterraneo, tra città sommerse, reperti archeologici, antiche civiltà, affascinanti silenzi. E un viaggio al centro di un mondo esterno, fatto di comunità, lavoratori, offerte culturali, musei, competenze, futuro. Nasce iMediterranei, il racconto di mari, popoli, comunità. Nasce nella notte del mondo alle prese con la drammatica Pandemia. Nasce per esorcizzare angosce ed esaltare speranze. Nasce perché recuperare la memoria storica, proprio laggiù nel cuore del Mediterraneo sommerso, con la stratificazione di epoche, guerre, commerci, tragedie, vittorie, misteri, uomini e donne, dominatori e dominati, forse, può aiutarci a costruire un futuro diverso”.

“Parlano tutti, oggi, di un Mediterraneo di sangue con i migranti nuove vittime”, continua Agizza. “Ma il Mediterraneo, attraversato, sfruttato, raccontato, non è solo teatro di eventi negativi. È un mare che ha unito, è la grande autostrada dell’antichità, è il mare di Napoli, Istanbul, Alessandria d’Egitto, il Cairo, Gerusalemme, Tunisi, Barcellona, Atene, Venezia, Genova. Insomma, il mare che ha unito grandi città e grandi popoli. È il mare di ebrei, cristiani e mussulmani, caleidoscopio delle diversità che riesce a diventare unità originale. IMediterranei sarà tutto questo ed altro. Racconteremo il mare fra le Terre ma anche gli uomini che in quelle terre lavorano e si confrontano guardando al futuro. Daremo voce ad istituzioni, network culturali, associazioni, territori, competenze, ed innanzitutto giovani”.
È ufficiale: iMediterranei saranno media partner della I Conferenza mediterranea sul Turismo Archeologico Subacqueo in programma venerdì 26 novembre 2021 dalle 14 alle 18 a Paestum (Salerno), al Tabacchificio Cafasso, nell’ambito della XXIII BMTA, Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico ideata e diretta da Ugo Picarelli e promossa insieme a Regione Campania, Città di Capaccio Paestum e al Parco Archeologico di Paestum & Velia. E in quell’occasione sarà presentato il secondo numero della rivista iMediterranei.
Il giorno dopo, nella giornata di sabato 27 novembre 2021, dalle 10 alle 12, si terrà anche la cerimonia di consegna dei riconoscimenti della prima edizione del Premio Internazionale di Archeologia Subacquea “Sebastiano Tusa”, a cui sarà presente l’editore Salvatore Agizza con un estratto del documentario “Thalassa, il racconto”, nato dall’omonima esposizione sul Mediterraneo tenutasi al Mann (museo Archeologico nazionale di Napoli) tra il 2019 e il 2020. In quella stessa occasione sarà anche assegnata la targa in memoria di Claudio Mocchegiani Carpano alla migliore tesi di laurea sull’archeologia subacquea.
Jesolo (Ve). Alla mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” viaggio nello spazio e nel tempo dalla laguna veneta alla scoperta della grande civiltà del Nilo. Attraversando il Mediterraneo si incrociano le rotte dei popoli che per millenni tennero rapporti non solo commerciali con l’Egitto

Il profilo di una piramide accoglie i visitatori all’ingresso della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” a Jesolo
C’è una nave pronta a salpare alla scoperta dell’antico Egitto. È ormeggiata allo Spazio Aquileia di Jesolo, alla mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini”: un viaggio nello spazio e nel tempo che ti porta a tu per tu con la grande civiltà del Nilo. Aperta fino al 15 settembre 2018, la mostra è curata da Emanuele Ciampini e Alessandro Roccati, con Donatella Avanzo curatrice esecutiva, prodotta da Cultour Active e Venice Exhibition e promossa dalla Città di Jesolo con Culture Active e Venice Exhibition. La prua è sempre pronta a sollevare i primi flutti sotto i colpi cadenzati dei remi: partendo dal mare Adriatico il visitatore-navigante arriva nel Mediterraneo, entrando in contatto con le civiltà che fiorirono sulle sue sponde, per risalire infine il fiume Nilo, e arriva a far conoscenza con le dinastie dei faraoni, le divinità egizie, le pratiche legate al mondo dell’oltretomba, ma anche l’arte, la scrittura, i riti e le usanze. Faremo questo viaggio spazio-temporale accompagnati dagli egittologi curatori della mostra jesolana alla scoperta dell’antico Egitto, “un dono del Nilo”, come scrisse Erodoto nel V sec. a.C. Per tutto l’anno – lo sappiamo – gli antichi egizi si abbeveravano al fiume, e vivevano nell’attesa dell’inondazione periodica: durante ogni estate la portata d’acqua del Nilo aumentava gradualmente, al punto che i villaggi emergevano appena come tanti isolotti di un immenso arcipelago non tanto diverso dalla laguna veneta. “Per gli egizi il mondo era essenzialmente avvolto nell’acqua”, esordisce Alessandro Roccati. “Sbagliato poi pensare che gli egizi fossero incapaci di uscire dal deserto e solcare i mari. In realtà i primi contatti con Biblo, sulla costa libanese, risalgono al IV millennio a.C. – assicura – , e le fonti egizie attestano contatti con molti popoli, inoltre l’Egitto non fu popolato solo dagli egizi! La sua posizione centrale tra Europa, Asia e Africa, ne fece addirittura un luogo di incontro tra popoli. È certo che lì si sviluppò uno dei momenti fondamentali della civiltà umana e che da lì tale civiltà si irradiò in buona parte del mar Mediterraneo”.
Il Delta padano e il Mediterraneo Il viaggio di avvicinamento all’Egitto, illustrato nella prima sala della mostra, ci permette di incontrare, e quindi conoscere, i molti popoli che abitavano le diverse sponde del Mediterraneo, che possiamo considerare quasi un bacino, visto la relativa facilità e frequenza con cui fu solcato fin dai tempi più antichi. Il viaggio ha inizio. I riflessi del mare in un cielo scuro accolgono i visitatori appena saliti a bordo. La nave è salpata da poco dalla laguna veneta e già incrociamo molte altre imbarcazioni. “Le relazioni tra Mediterraneo miceneo e area padana raggiungono la massima intensità tra il 1200 e il 1050 a.C., subito dopo cioè il collasso delle strutture dei palazzi della Grecia continentale”. Le sponde alto-adriatriche sono un approdo facile per quei popoli che, a ondate successive, sono migrati dall’Egeo e dal Mediterraneo orientale in cerca di terre dove vivere. Già per tutta l’età del Bronzo (XIII-X sec. a.C.) i contatti sono frequenti tra i villaggi terramaricoli padani e il mondo egeo-miceneo. E si arriva all’VIII-VI sec. a.C. con la fondazione di empori e colonie greche, la più famosa è di certo Adria. La presenza dei micenei ci è ricordata da una bella anfora a staffa micenea (1200-1180 a.C.) proveniente dal museo civico di Storia e arte di Trieste.

Nella prima sala della mostra si attraversa il Mediterraneo per raggiungere l’Egitto (foto Graziano Tavan)
Il mondo egeo e l’Egitto L’orizzonte si allarga: siamo finalmente nel Mediterraneo dove incrociamo le rotte tra l’Egeo e le terre del Nilo. Se è vero che fin dalla scoperta della civiltà minoica a Creta ad opera di sir Arthur Evans i legami del mondo egeo con l’Egitto erano apparsi subito significativi, oggi si è certi si sia trattato di un rapporto di lungo periodo. “Per le civiltà egee”, spiegano gli archeologi, “la spinta verso contatti e scambi esterni nasce dalla necessità di materie prime, in particolare i metalli di cui tutta l’area non è particolarmente ricca. Alla ricerca di mercati di materie prime si aggiunge una circolazione di beni di lusso legata alla domanda di oggetti di prestigio, spesso esotici, fatta dalle nuove élite emergenti, che iniziano a distinguersi all’interno delle comunità cercando elementi che diventassero uno status symbol”. Significativo il boccaletto egizio imitato dagli artisti ciprioti del XIII sec. a.C. in terracotta rivestita di faience turchese: produzione rara e pregiata che dimostra la fitta rete di scambi commerciali e culturali da parte dei mercanti ciprioti.

Figurine femminili in alabastro (una in piedi e l’altra distesa) provenienti dall’area mesopotamica (foto Graziano Tavan)
Ebla, il Vicino Oriente e l’Egitto I due grandi poli culturali nella storia del Vicino Oriente sono stati per lungo tempo la Mesopotamia e l’Egitto. Soprattutto in Siria, dove fino alla prima metà del Novecento, gli scavi si erano concentrati sulle città costiere (Biblo, Ugarit, Tiro e Sidone), dagli anni ’70 si sono incrementate le ricerche grazie a numerose missioni straniere, tra cui l’Italia cui è legata la scoperta di Ebla a Tell Mardikh. E proprio gli eccezionali ritrovamenti degli archivi delle città di Ebla, Tell Beydar e Mari hanno illuminato sui contatti esistenti tra la Siria e gli altri Paesi nel III millennio a.C. Soprattutto Ebla aveva molti contatti con l’Egitto cui inviava beni preziosi quali argento, lapislazzuli e stagno, in cambio di tessuti di lino, zanne di elefante, denti di coccodrillo e vasi di alabastro. E la città di Biblo, sulla costa mediterranea, fu spesso usata per il collegamento marittimo con l’Egitto. Alabastro dunque come preziosa merce di scambio. Lo confermano le due statuine in alabastro del museo di Scultura antica “Giovanni Barracco” di Roma esposte in questa prima sala: provenienti dall’area mesopotamica, raffigurano immagini femminili stanti e distese, che rappresenterebbero l’associazione cultuale tra la dea greca Afrodite e la dea persiana Anahita. Ma se le popolazioni che si affacciavano sul Mediterraneo orientale intessero intensi rapporti con quanti abitavano lungo le sponde del Nilo, quell’interesse non fu univoco. Le prime relazioni tra Egitto e Vicino Oriente è attestato in età predinastica, ma è nel Medio Regno che si intensificano e sono meglio documentate, soprattutto con Siria e Palestina, principali fornitori di legname e testa di ponte strategiche per la penetrazione nel Levante. La presenza egizia fu particolarmente forte in Palestina con il Nuovo Regno, soprattutto in età ramesside, con la costruzione di diverse fortezze, abitazioni e sepolture di chiara influenza egizia.
Il cono della collezione Sinopoli Prima di lasciare il Mediterraneo (sala I) e raggiungere finalmente il Nilo, vale la pena soffermarsi su un pezzo eccezionale della collezione privata della famiglia Sinopoli. Si tratta di un chiodo di fondazione, perfettamente conservato, databile all’epoca accadica (2350 -2200 ca a.C.), che proviene dalla città di Adab, nel sud dell’Iraq, centro molto importante – come ricordano gli archivi di Ebla – già in età presargonica, e poi, sotto l’impero di Accad, la città più importante dopo Kis e Accad. Il chiodo di fondazione, con il nome del sovrano e del dio, erano posti nelle fondazioni dei templi costruiti o restaurati. “Il chiodo di fondazione della collezione vicino-orientale della famiglia Sinopoli”, sottolineano gli assiriologi, “è un pezzo di eccezionale valore storico perché cita il nome di un sovrano di Adab che finora ci era sconosciuto”.
(1 – continua)
Il British Museum apre la nuova galleria sull’Antico Egitto con una mostra permanente degli scheletri di Jebel Sahaba, vittime (13mila anni fa) del primo conflitto razziale armato

Gli scheletri da Jebel Sahaba sono la prova del primo conflitto razziale documentato dagli archeologi
In mostra a Londra le vittime di quello che 13mila anni fa potrebbe essere il primo conflitto razziale armato documentato dall’archeologia, dove le vittime sarebbero venute dall’Africa centrale mentre i “carnefici” dal Mediterraneo. Si trattava di cacciatori-raccoglitori che molti millenni prima della civiltà egizia si erano sfidati e massacrati vicino al Nilo in un ambiente che durante l’ultima glaciazione era diventato molto inospitale. Il British Museum ha aggiornato e rinnovato la sezione dedicata all’Antico Egitto aprendo pochi giorni fa una nuova galleria dove hanno trovato posto – come mostra permanente – parte degli scheletri di un gruppo di 26, tra cui uomini, donne e bambini, che vennero uccisi fra Egitto e Sudan intorno a 13mila anni fa e sono stati recuperati dal sito di Jebel Sahaba, sulla riva orientale del Nilo, nel Sudan settentrionale, noto agli studiosi come “cimitero 117”. Già negli anni Sessanta del secolo scorso questo sepolcreto aveva restituito molte punte di freccia e ossa con i segni inequivocabili di un impatto violento. I resti erano stati trovati nel 1964 dall’archeologo americano Fred Wendorf durante gli scavi finanziati dall’Unesco per analizzare i siti archeologici che stavano per essere sommersi dalla diga di Assuan. Ma, fino alle attuali indagini in corso, non erano mai stati esaminati con la moderna tecnologia che oggi ha permesso agli scienziati appunto di identificare quella che potrebbe essere la più antica guerra razziale, combattuta 13mila anni fa ai margini del Sahara. Infatti tutto il materiale di Jebel Sahaba era stato portato da Fred Wendorf nel suo laboratorio in Texas, e solo 30 anni dopo è stato trasferito alla cura del British Museum, che ora sta lavorando con altri scienziati per effettuare una nuova importante analisi su questi resti. “Il materiale scheletrico è di grande importanza – non solo a causa delle prove di conflitto, ma anche perché il cimitero di Jebel Sahaba è il più antico scoperto nella Valle del Nilo finora”, spiega Daniel Antoine, tra i curatori del British Museum.

Archeologi al lavoro nel sito di Jebel Sahaba sulla riva orientale del Nilo nel Sudan settentrionale
Intanto scienziati francesi in collaborazione con il British Museum hanno esaminato decine di scheletri, la maggioranza dei quali sembrano essere stati uccisi da arcieri con frecce con punta di selce. Negli ultimi due anni poi gli antropologi della Bordeaux University hanno scoperto dozzine di segni di impatto di freccia non rilevati in precedenza e frammenti di punte di freccia in selce sia sulle ossa delle vittime che intorno ai loro resti. Questa scoperta suggerisce che la maggior parte degli individui scoperti a Jebel Sahaba – uomini, donne e bambini -, siano stati uccisi da arcieri nemici, e poi sepolti dalla loro stessa gente. Le nuove ricerche dimostrano che gli attacchi (ma sarebbe meglio parlare di una guerra prolungata di basso livello) hanno avuto luogo nel corso di molti mesi se non di anni.
Ma chi erano queste popolazioni in lotta tra loro? A questa domanda sta cercando di dare una risposta una ricerca parallela curata dalla Liverpool John Moores University, dalla University of Alaska e dalla New Orleans Tulane University. Dai primi risultati si può dire che gli aggrediti facevano parte della popolazione sub-sahariana originaria – gli antenati dei moderni africani neri. L’identità dei loro assassini è comunque meno facile da determinare. “Ma è plausibile – spiegano gli antropologi – fossero persone di un gruppo razziale ed etnico totalmente diverso – parte di una popolazione nordafricano / levantina / europea che viveva in gran parte del bacino del Mediterraneo. I due gruppi – anche se entrambi parte della nostra specie, Homo sapiens – sarebbero sembrati molto diversi tra di loro ed erano anche quasi certamente diversi culturalmente e linguisticamente”. Il gruppo di origine sub-sahariana presenta arti lunghi, torsi relativamente corti e mascelle superiore e inferiore prominenti con fronti arrotondate e ampi nasi, mentre il gruppo nord africano/levantino/europeo originari del Nord Africa aveva gli arti corti, torsi lunghi e facce piatte. Entrambi i gruppi erano molto muscolosi e strutturalmente forti. “Certamente la zona settentrionale del Sudan in questo periodo vedeva la presenza dei due gruppi etnici, dal momento che tracce del gruppo nord africano/levantino/europeo originario del Nord Africa sono state trovate anche 200 miglia a sud di Jebel Sahaba, suggerendo così che le vittime furono uccise in una zona dove operavano entrambe le popolazioni”.

I primi scheletri a Jebel Sahaba sono stati scoperti nel 1964 dall’archeologo americano Fred Wendorf
Non è un caso che le due tribù o i due clan rivali siano venuti in conflitto proprio 13mila anni fa, periodo di enorme concorrenza per le risorse a causa di una grave crisi climatica che, soprattutto nel periodo estivo, prosciugava molte sorgenti d’acqua. La crisi climatica – conosciuto come il periodo Younger Dryas – era stato preceduto da uno molto più lussureggiante, con condizioni più umide e più calde che avevano consentito alle popolazioni di espandersi. Ma quando le condizioni climatiche peggiorarono durante il Younger Dryas, le pozze d’acqua si prosciugarono, la vegetazione appassì e gli animali morirono o si spostarono verso l’unica fonte di acqua ancora disponibile per tutto l’anno: il Nilo. Gli esseri umani di tutti i gruppi etnici della zona sono stati costretti a seguire l’esempio – e migrarono verso le sponde del grande fiume (in particolare la sponda orientale). A causa della competizione per le limitate risorse, i gruppi umani si sarebbero inevitabilmente scontrati – e la ricerca in corso sta dimostrando la scala di questo primo notevole conflitto umano.
Cerveteri: una delle principali città del Mediterraneo antico. Mostra al Louvre Lens
Sarà il pezzo forte della mostra “Les Etrusques et la Mediterranée: la cité de Cerveteri” che apre oggi, 5 dicembre, al Louvre di Lens , in un padiglione in acciaio e vetro adibito progettato a questo scopo dall’agenzia di architettura giapponese Sanaa: è il Sarcofago degli Sposi conservato al Louvre di Parigi. Non è bello e raffinato come quello di Roma, spiegano gli esperti: meno enigmatici gli sguardi, meno elegante la realizzazione. Ma il suo fascino è innegabile, ora che è stato restaurato – come è successo in tempi recenti, per il più famoso sarcofago degli Sposi di Villa Giulia a Roma.Dal 30 settembre l’urna funeraria etrusca in terracotta dipinta, proveniente dalla necropoli della Banditaccia a Cerveteri, è stata infatti interessata da lavori di pulitura e restauro. E ora il Sarcofago fa bella mostra nell’esposizione di Lens la prima a tema archeologico e in partneriato della nuova succursale, inaugurata nel 2012, che vede la partecipazione di Louvre, Palazzo delle Esposizioni di Roma e ministero per i Beni e le attività culturali. “Les Etrusques et la Mediterranée: la cité de Cerveteri” permetterà così al pubblico francese di conoscere e apprezzare una della città etrusche più potenti del Mediterraneo: Cerveteri, l’antica Caere.
Cerveteri era la Kaisra degli Etruschi, l’Agylla Caere di Greci e Romani, uno dei centri più importanti in Italia e nel Mediterraneo per tutto il primo millennio a.C. La storia di Cerveteri e dei suoi abitanti, i ceretani, è conosciuta non solo dai testi antichi, ma è emersa poco a poco dal terreno negli ultimi due secoli. Grandi scavi in particolare nel XIX secolo hanno rivelato monumenti e oggetti che hanno stupito i contemporanei e che oggi possiamo ammirare nei più grandi musei, da Villa Giulia ai Vaticani al Louvre. La mostra – assicurano gli organizzatori – propone un raffronto tra i ritrovamenti più antichi e i risultati degli scavi sistematici più recenti condotti nel cuore della città antica ma anche nelle necropoli e nell’intero territorio della città. Il risultato è un confronto senza precedenti in grado di sviluppare per la prima volta il ritratto di Cerveteri, una città che, come Atene Cartagine e Roma, fu una delle grandi città del Mediterraneo antico.
Non c’è solo il sarcofago fittile “degli sposi” ma anche le lastre dipinte di Parigi, Villa Giulia e Cerveteri, le terrecotte votive del Vaticano e quelle decorative di Berlino e Copenhagen tra le 400 opere selezionate per la mostra, con ceramiche, oggetti in metallo, vetro, sculture in pietra e terracotta, elementi architettonici in pietra, oreficerie, terrecotte dipinte, monete e utensili da lavoro, che provengono dai musei di tutto il mondo. Il progetto espositivo, che per la prima volta consente di tracciare un profilo generale della grande città etrusca, è frutto della condivisione di interessi e risorse con varie istituzioni. “Il Louvre vanta una delle più ricche collezioni di antichità etrusche provenienti da Cerveteri, in origine appartenute al marchese Campana”, ricorda Paola Santoro, direttore dell’Istituto di studi sul Mediterraneo antico del Consiglio nazionale delle ricerche che ha collaborato alla realizzazione dell’evento. L’Isma-Cnr conduce infatti scavi regolari nell’area urbana di Cerveteri sin dai primi anni ’80 del secolo scorso. “La parte centrale del percorso espositivo è dedicata proprio all’età dell’oro dell’antica città etrusca, l’epoca arcaica, dove spiccano le scoperte effettuate dal Cnr, che ha indagato tutti i siti collegati a santuari illustrati in mostra e contribuito, con le sue ricerche, alla ricostruzione dei vari aspetti della vita urbana: artigianato, urbanistica, culti, viabilità. All’Isma si deve anche la ricostruzione del quadro topografico generale del territorio ceretano”.
“Attraverso il ‘racconto’ della mostra – conclude Santoro – il visitatore potrà ricostruire un intero capitolo della storia del Mediterraneo, dall’angolo di osservazione di una delle sue metropoli”. La mostra rimarrà aperta fino al 10 marzo 2014. Dopo la tappa francese, la mostra approderà in aprile a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, dove è in calendario fino al 20 luglio 2014.
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