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Fotografia in lutto. Si è spento a 91 anni Mimmo Jodice, un gigante della fotografia, voce poetica di Napoli. Cordoglio di tutta la città. Il ricordo commosso di enti culturali, istituzioni, ex allievi. Il ministro Giuli: “ha saputo raccontare con la luce l’anima nascosta delle città, dei volti, delle rovine, della memoria”

Fotografie di Mimmo Jodice con i Corridori dalla Villa dei Papiri sulle pareti della stazione Museo della Metro di Napoli (foto anm na)

Quegli sguardi fissi, quegli occhi, quei movimenti che vengono dal passato e ti accompagnano verso l’uscita della stazione Museo della metropolitana di Napoli e ti preparano alle emozioni che ti aspettano, in superficie, al museo Archeologico nazionale di Napoli. Quelle immagini che fanno “parlare” l’Antico sono scatti memorabili del fotografo Mimmo Jodice: un patrimonio universale le sue foto, oggi ancora più prezioso. Domenico Mimmo Jodice si è spento a 91 anni il 28 ottobre 2025 a Napoli, nella sua Napoli dove erano nato, nel rione Sanità, il 29 marzo 1934. Lascia la moglie Angela, e i figli Barbara e Francesco. Napoli piange il suo figlio che ha fatto conoscere la città fuori dagli stereotipi. Grande il cordoglio di enti culturali, istituzioni, ex allievi, comuni cittadini. Per tutti il sindaco Gaetano Manfredi e tutta l’amministrazione comunale di Napoli esprimono “profondo cordoglio per la scomparsa di Mimmo Jodice, maestro della fotografia e voce poetica della città. Con la sua arte, Jodice ha saputo raccontare Napoli al di là dei cliché, restituendone l’anima più autentica”.  Giovedì 30 ottobre 2025, dalle 12 alle 16.30, per volontà del sindaco e della famiglia, la camera ardente sarà allestita al Maschio Angioino, luogo simbolico e caro all’artista, che ha ospitato la sua ultima grande mostra “Napoli Metafisica”.

L’annuncio della morte di Mimmo Jodice da parte di RaiNews

Mimmo Jodice è stato uno dei più grandi fotografi di sempre. Autodidatta, si avvicina alla fotografia negli anni ’50. Negli anni ’60 Jodice ha collaborato con artisti come Andy Warhol, Joseph Beuys, Sol LeWitt, Michelangelo Pistoletto e Alberto Burri. Dal 1970 al 1994 ha insegnato fotografia all’Accademia di Belle arti di Napoli. Nel 1970 la sua prima mostra nazionale Nudi dentro cartelle ermetiche alla galleria il Diaframma di Milano, con presentazione di Cesare Zavattini. Negli anni successivi si susseguono le mostre personali nei musei di tutto il mondo: Philadelphia Museum of Art 1995; Maison Européenne de la Photographie 1998; museo di Capodimonte 1998; Galleria nazionale d’Arte moderna e contemporanea 2000; Massachusetts College of Art and Design 2001; Moscow House of Photography 2004; Museu de Arte de Sao Paulo 2004; MART 2004; Bassano Fotografia 2013. Nel 2001 la Galleria d’Arte moderna di Torino gli ha dedicato un’esauriente Retrospettiva 1965/2000. Nel 2002 vince il Premio Flauto d’Argento. Nel 2003 è il primo fotografo a ricevere il Premio “Antonio Feltrinelli” dell’Accademia nazionale dei Lincei. Nel 2006 l’università Federico II gli conferisce la Laurea Honoris Causa in Architettura. Nel 2007 espone alla Fondazione Forma di Milano l’importante retrospettiva “Perdersi a guardare – Trenta anni di fotografia in Italia” che verrà poi esposta l’anno successivo ad Arles e di cui l’Editore Contrasto pubblica il libro omonimo in italiano, inglese e francese. Il museo d’Arte contemporanea di Napoli (MADRE) nel 2016 decide di dedicare una grande retrospettiva sul lavoro del fotografo. Tra i lavori che restano nella storia della fotografia le Vedute di Napoli e la serie Anamnesi, le foto ai capolavori del museo Archeologico nazionale di Napoli. “Con Mimmo Jodice scompare un maestro indiscusso della fotografia italiana e internazionale”, dichiara il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, “un uomo di rara sensibilità che ha saputo raccontare con la luce l’anima nascosta delle città, dei volti, delle rovine, della memoria. Il suo sguardo era insieme antico e radicalmente moderno, capace di rendere visibile l’invisibile. La nostra amicizia, maturata durante la mia presidenza al Maxxi, era nutrita dalla comune convinzione che le arti riescano a trovare un senso compiuto quando vengono poste al servizio della società. È esattamente l’ideale che il maestro Jodice perseguì lungo l’intero arco della sua inarrivabile carriera. A sua moglie Angela e alla sua famiglia va il mio caloroso abbraccio”.

Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, con il fotografo Mimmo Jodice (foto da profilo FB de luca)

Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania: “Addio a Mimmo Jodice, uno dei grandi maestri della fotografia italiana del secondo Novecento e dell’età contemporanea. Legato intimamente a Napoli, in particolare al Rione Sanità, dov’era nato e cresciuto, ne ha rappresentato le problematiche e le contraddizioni sociali. È stato un grande innovatore delle tecniche e delle forme espressive. La macchina fotografica per Mimmo Jodice era un mezzo per raccontare la natura umana andando oltre il tempo e lo spazio. È stato un artista a tutto tondo, un grande intellettuale che ha dato lustro a Napoli e alla Campania a livello mondiale. Nel 2016, la Regione Campania, prodotta dal Museo Madre, gli aveva dedicato la prima monografia retrospettiva, come tributo ad una lunghissima carriera artistica. È una grave perdita per la nostra comunità. Facciamo le nostre condoglianze ai suoi familiari. Lo ricorderemo sempre con grande gratitudine ed affetto”.

Atleti dalla Villa dei Papiri, 1986: foto di Mimmo Jodice dei capolavori conservati al Mann

Museo Archeologico nazionale di Napoli. “Da ragazzo vivevo nella Sanità e lavoravo in una libreria a Port’Alba (…). Quando la libreria chiudeva per la pausa, mangiando il mio panino, mi fiondavo al Museo Archeologico. Lì trascorrevo la mia ora di pausa, conversando con la -mia- scultura. Ogni giorno sceglievo con chi parlare, un dialogo muto, intenso con uno degli Atleti, oppure con la Venere in Bikini o ancora con le Danzatrici. A seconda delle mie infelicità, paure o difficoltà, sceglievo colui o colei per confidare la mia vita difficile” (Mimmo Jodice per il libro “MANN che Storia”, “La Repubblica Napoli”, marzo 2022). Grazie a Mimmo Jodice, fotografo di fama internazionale che ha sempre conservato semplicità e coerenza, pur avendo segnato pagine indimenticabili della storia dell’arte. Il direttore generale del Mann, Francesco Sirano, lo ricorda così: “Mimmo Jodice ha dedicato al nostro Museo delle fotografie indimenticabili: tra queste, i celebri scatti dei capolavori della Villa dei Papiri sono la rappresentazione tangibile del valore universale dell’arte. Il perdersi a guardare di Mimmo Jodice rappresenta l’esito di un percorso rigoroso di studio attraverso uno sguardo onesto e acutissimo, appassionato di Napoli”.

Foto di Mimmo Jodice sulla copertina del libro “MANN che Storia” (“La Repubblica Napoli”, marzo 2022)

Paolo Giulierini, già direttore del Mann: “Addio Maestro, addio Mimmo. Scegliemmo uno dei tuoi capolavori per raccontare otto anni di riscatto. Non poteva essere altrimenti. E su quella scala del Museo, quel giorno che mi avevano estromesso, tu c’eri a metterci la faccia”.

Fotografie di Mimmo Jodice con le Danzatrici dalla Villa dei Papiri sulle pareti della stazione Museo della Metro di Napoli (foto anm na)

Anm Napoli. Con le immagini tratte dalla collezione delle Stazioni dell’Arte di Metro Linea 1, Museo e Municipio, rendiamo omaggio a Mimmo Jodice, grande maestro della fotografia italiana, scomparso il 28 ottobre 2025. Le accompagniamo con le sue stesse parole, tratte da una toccante intervista del 2015 in cui raccontava il suo profondo dialogo con la statuaria antica: “Ho dialogato con loro, ho cercato innanzitutto di rendere queste espressioni, queste facce, non come pezzi di marmo o di bronzo […] Prima di scattare una foto aspetto un tempo lungo, per cercare di capire che cosa stanno guardando questi occhi. La cosa che mi interessa di più è riuscire a cogliere i sentimenti. Tutto cambierà, ma queste immagini sono l’eternità, un modo di essere, come siamo stati e come saremo”.

Il fotografo napoletano Domenico Mimmo Jodice (foto paerco)

Il parco archeologico di Ercolano esprime profondo cordoglio per la scomparsa di Mimmo Jodice, maestro della fotografia contemporanea e testimone sensibile della bellezza e della memoria del nostro patrimonio. Con il suo sguardo unico, Jodice ha saputo restituire attraverso l’obiettivo l’anima senza tempo dei siti e reperti archeologici, tra cui spiccano quelli ercolanesi, intrecciando presente e passato in immagini che sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo. La sua arte, capace di cogliere silenzi, dettagli e prospettive, ha dato nuova voce ai luoghi della cultura, contribuendo a rafforzare il legame tra la comunità e le sue radici. Il Parco di Ercolano si unisce al dolore della famiglia, del mondo della fotografia e di quanti hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di apprezzare la sua opera. Le sue immagini restano testimonianza viva e continueranno a ispirare le generazioni future.

La Piscina Mirabilis di Pozzuoli vista da Mimmo Jodice (pafleg)

Parco archeologico dei Campi Flegrei. Se n’è andato Mimmo Jodice, maestro della fotografia. Il suo sguardo innovativo, che si è posato anche sui monumenti dei Campi Flegrei, ha contribuito a rivoluzionare il mondo della fotografia. Il parco archeologico dei Campi Flegrei si stringe al cordoglio.

Mimmo Jodice col direttore Eike Schmidt al museo di Capodimonte (foto museo capodimonte)

Museo e real bosco di Capodimonte. Il direttore Eike Schmidt, i dipendenti e tutti i collaboratori del museo e real bosco di Capodimonte salutano il maestro Mimmo Jodice, immensa figura di artista e grande napoletano. “Nel porgere il nostro più profondo cordoglio alla famiglia e alla comunità artistica”, dichiara il direttore Schmidt, “non possiamo che rinnovare la nostra riconoscenza per il legame speciale che l’indimenticabile Maestro ha avuto con Capodimonte, testimoniato da importanti donazioni tra le quali la sua amata camera oscura. Caro Maestro, il Centro che porterà il suo nome sarà come voleva dedicato alla formazione dei giovani. Un impegno sacro preso con Lei e con la Sua famiglia che onoreremo con orgoglio”.

“Attesa” di Mimmo Jodice nella mostra opsitata al museo MADRE di Napoli

La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee e il museo Madre ricordano Mimmo Jodice. “In anni in cui il la fotografia era prevalentemente strumento per indagini documentaristiche”, scrive la storica dell’arte Olga Scotto di Vettimo, “Mimmo Jodice (Napoli, 1934) sperimenta le potenzialità stesse del mezzo fotografico, conducendo la sua ricerca all’interno di un ambito di ascendenza concettuale. Il nudo, il ritratto e l’oggetto banale diventano il pretesto per interrogare la tecnica e il linguaggio fotografico, mettendo in secondo piano ogni dato emozionale e interpretativo. In tal modo, Jodice sperimenta e decostruisce, combina elementi astratto-cubisti con quelli figurativi, interviene sulla carta attraverso il collage e lo strappo e, ancor prima, nella camera oscura, imponendo movimento e potenzialità a soggetti statici”. Il museo MADRE di Napoli ha conferito a Mimmo Jodice il suo primo “Matronato alla carriera” nel 2014, in riconoscimento della sua eccellente carriera artistica. Inoltre, nel 2016, il museo ha ospitato la più grande retrospettiva a lui dedicata, intitolata “Attesa, 1960-2016”, che presentava più di cento opere.

Festa Teatrale per il giorno onomastico del Teatro di San Carlo: scenoigrafia di Carosi su foto di Jodice (foto teatro san carlo)

Il Teatro di San Carlo di Napoli si unisce al cordoglio per la scomparsa di Mimmo Jodice. Con la sua opera ha saputo raccontare Napoli, la sua luce e la sua memoria, restituendo alla fotografia una profonda dimensione poetica e civile. La sua ricerca artistica, segnata da sensibilità e visione, ha contribuito in modo indelebile alla cultura del nostro tempo. Il Teatro di San Carlo ricorda con riconoscenza un Maestro che ha onorato la nostra città con la sua arte e il suo sguardo unico sul mondo. Il 4 novembre 1987, la scenografia di Mauro Carosi fu basata su un celebre scatto di Mimmo Jodice in occasione dello spettacolo firmato da Roberto De Simone per il 250° anniversario del Teatro.

SCABEC. Ci lascia Mimmo Jodice, maestro che con il suo sguardo ha saputo trasformare l’antico in visione contemporanea. Grazie Maestro.

Villa Jovis a Capri: Opera 43, 1984, di Mimmo Jodice (musei di capri)

Musei di Capri. Con profonda tristezza apprendiamo la scomparsa di Mimmo Jodice, maestro della fotografia italiana contemporanea. Nel 2010 la Certosa di San Giacomo ha accolto la sua mostra “Figure del mare”. La visione del mare come luogo del vuoto, il silenzio, la sospensione del tempo, la persistenza del passato nel presente, frammenti di corpi e di volti di sculture della classicità restituiti dal mare.

Mostra “Le fiabe sono vere… Storia popolare italiana” al museo delle Civiltà (foto muciv)

Il MUCIV-Museo delle Civiltà si stringe alla famiglia di Mimmo Jodice nel ricordo di un grande artista della fotografia. Attorno a colui che ha ispirato coloro che hanno deciso di fotografare il mondo grazie ai suoi generosi insegnamenti, alla sua visione tanto estetica quanto etica. Dalla Napoli antropologica e popolare a quella surreale e metafisica, dalle immagini in cui ridà vita a architetture, sculture e paesaggi dell’archeologia alle immagini dei vuoti delle megalopoli contemporanee. Jodice celebra un umanesimo paziente e sapiente, riuscendo a dare rappresentazione al tempo oltre che allo spazio, in un’”attesa” che non ha fine. Nel suo mare Mediterraneo continueremo a ricordarlo tra gli echi e le memorie della mostra “Le fiabe sono vere… Storia popolare italiana”. Grazie, Mimmo.

Mimmo Jodice al Mart di Rovereto in occasione della presentazione della mostra: Mimmo Jodice. Dalla collezione “i Cotroneo” (foto Mart, Jacopo Salvi, 2016)

MART di Rovereto. Ci uniamo al cordoglio del mondo dell’arte per la scomparsa di Mimmo Jodice, artista a cui siamo molto legati e di cui conserviamo splendide opere. Fanno parte del patrimonio del Mart le fotografie del celebre ciclo “Mediterraneo”, alcune delle quali inserite nella mostra “Sport. Le sfide del corpo”, e sei opere appartenenti alla serie “Isolario Mediterraneo” che Jodice stesso decise di donarci. La nostra vicinanza va oggi ai familiari di Mimmo Jodice e in particolare al figlio Francesco a cui mandiamo un caloroso abbraccio.

Omaggio di Udine Musei al maestro Mimmo Jodice (foto da FB)

Udine Musei. Siamo vicini alla famiglia di Mimmo Jodice. Ci stringiamo attorno ad Angela, Barbara e Francesco. Oggi accendiamo con riconoscenza le luci sulla sua opera, le sue visioni e i suoi valori.

Occhi dalla collezione Mediterraneo di Mimmo Jodice (dal profil FB di laura noviello)

L’archeologa Laura Noviello: “Il “genio” di saper “scrivere con la luce”, il fotografare di Mimmo Jodice: di restituire al passato una contemporaneità viva di carne ferita e sangue. E al nostro quotidiano vivere un passato che è puro, eterno presente. Mimmo, un meraviglioso napoletano. Ci pensavo attraversando la metro, che i corridori ercolanensi mi guardavano accanto alle Danaidi nei tunnel cingolati di ferro, in mezzo alla folla. “Eccolo il genio”, e mentre tornavo in superficie davanti all’apparizione dell’Antro cumano con i suoi tagli straordinari di luce. Ai miei occhi ho sempre avuto peplophorai e amazzoni da lui ritratte, tanto che sabato davanti a quella ercolanense, ancora una volta, ho rivisto il suo occhio e il volto ferito. Non ho talento negli elogi pubblici, ma rivedo anche la mia prima, piccola agenda, costellata di sue foto vesuviane e in me è tutta la gratitudine immensa davanti alla costruzione di un universo complesso e stratificato di senso e significati. Se viviamo in questo tempo che è tutti i tempi insieme, danzando con le Danaidi e tra i corridori al Museo come in metro e ovunque a Napoli, è anche grazie a chi, come Mimmo, ha saputo cogliere e rendere tangibile questo straordinario miracolo che ci è dato. Ha lasciato un segno, uno sguardo, un modo di raccontare la terra campana: flegrea e vesuviana come nessun altro. D’altronde parlando di Napoli diceva e non a torto: “Se fossi nato a Milano o a Zurigo non avrei fatto il fotografo”. Inutile anche argomentarne il perché. A lui tutta la nostra viva e meravigliata gratitudine. Grazie Maestro”.

Il fotografo Mimmo Jodice con l’archeologo Giuliano Volpe (foto da FB)

L’archeologo Giuliano Volpe: “Un grande dispiacere per la perdita di Mimmo Jodice, grande fotografo con una sensibilità particolare per l’archeologia, il patrimonio culturale ma soprattutto per le persone. La sua celebre fotografia con la testa di Demetra tenuta con la sua stessa mano mentre la fotografava, è la copertina di un mio libro: Mimmo me la donò gratuitamente e generosamente, l’ho mostrata migliaia di volte in tante occasioni perché per me ha sempre rappresentato l’essenza del nostro patrimonio, bello, ricco, danneggiato e soprattutto bisognoso di una iniziativa dal basso, come quella mano. Una foto diventata anche simbolo del Rione Sanità, dove era nato e al quale è restato sempre legato, come presidente onorario della Fondazione San Gennaro e grande sostenitore del progetto di Antonio Loffredo. Grazie caro Mimmo, persona generosa, disponibile, colta, sensibile, le tue splendide foto resteranno immortali”.

Demetra, Opera III, Ercolano: foto di Mimmo Jodice (da profilo FB di caterina greco)

L’archeologa Caterina Greco: “Nessuno come lui ha saputo rendere contemporanea l’arte antica”.

Mimmo Jodice in Calabria (foto da profilo FB di Mirella Stampa Barracco)

Fondazione Napoli Novantanove. “Ci piace ricordare il nostro caro amico Mimmo Jodice”, scrive Mirella Stampa Barracco, “a cui ci legava affetto, stima e una profonda riconoscenza per quanto aveva fatto per la nostra Fondazione: dalla foto dell’Arco di Trionfo violato nel 1989 al magnifico album di 40 foto in Calabria rappresentazione in chiave moderna di un percorso del Grand Tour. Ci mancherà molto non solo a noi ma a tutti quelli come lui che hanno visto, sognato un mondo migliore. Grazie Mimmo”.

Gibellina in uno scatto di Mimmo Jodice (da profilo FB orestiadi)

La 𝗙𝗼𝗻𝗱𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗢𝗿𝗲𝘀𝘁𝗶𝗮𝗱𝗶 di Gibellina (Tp) ricorda con profonda gratitudine Mimmo Jodice, fotografo e testimone poetico del Novecento, la cui ricerca ha saputo trasformare lo sguardo in pensiero, la realtà in memoria. Con il suo lavoro ha raccontato l’Italia, Napoli, il Mediterraneo, il tempo e le sue assenze, rendendo la fotografia un linguaggio di conoscenza e coscienza civile. Alla fine degli anni Settanta Jodice arrivò a Gibellina, nella valle del Belìce, “𝑡𝑒𝑟𝑟𝑎 𝑎𝑑𝑑𝑜𝑙𝑜𝑟𝑎𝑡𝑎” segnata dal sisma del 1968. Di quell’esperienza scrisse: “Ho cercato in quella terra addolorata gli spazi deserti, le architetture ancora in costruzione, la fantasmaticità dei luoghi, la ferita del paesaggio ancora aperta”. Da quell’incontro nacquero immagini potenti, tra memoria e rinascita, e un legame profondo con la visione di Ludovico Corrao, fondatore di Gibellina nuova e della Fondazione Orestiadi. Nel 1981 accompagnò Joseph Beuys a Gibellina, documentando quella visita in una serie di scatti raccolti nel volume “Joseph Beuys. Natale a Gibellina” immagini che ancora oggi raccontano la potenza del dialogo tra arte e ferita, distruzione e speranza. Oggi la Fondazione Orestiadi rende omaggio a un artista che ha saputo leggere l’anima dei luoghi e restituirla in luce.

Volti dall’antico di Mimmo Jodice (foto da profilo FB di Koch)

Roberto Koch, presidente della Fondazione Forma per la Fotografia: “Se ne è andato Mimmo Jodice il grande e insostituibile Mimmo e lascia la sua adorata Angela e i figli Barbara e Francesco con tutti i nipoti. Lascia a tutti noi e al mondo le sue meravigliose foto come questa di Anamnesi che ho amato montare a Torino e a Udine. Lo piange tutta Napoli e tutto il mondo della fotografia. Lo abbiamo amato e continueremo ad amarlo con le sue foto ma con una grande tristezza”.

Lucia Valenzi con Mimmo Jodice (da FB)

Lucia Valenzi dell’omonima fondazione di Napoli: “Ci uniamo al cordoglio per la morte del grande maestro Mimmo Jodice. La sua preziosa opera ha percorso e sperimentato le espressioni più alte della fotografia dalla indagine sociale degli anni 60 e 70 alle città “metafisiche” di tutto il mondo, senza mai staccarsi dalla realtà di Napoli. Un pensiero particolarmente dolente va alla amatissima Angela, mentre ricordiamo la sua generosità arrivata anche a me e alla Fondazione Valenzi con le foto della mostra “La Napoli di Maurizio” e la testimonianza nel film “La Giunta”.

“Carta d’Identità” di Mimmo Jodice (foto da profilo FB mazzolini)

Monica Mazzolini dell’accademia d’arte Vittorio Marusso in omaggio e ricordo di Mimmo Jodice propone un testo del 2022 in cui analizzava tre fotografie scelte tra quello che è il suo vasto ed importante archivio. Fotografia 1. Appassionatosi alla fotografia nei primi anni ‘60 dimostra fin da subito attenzione alla sperimentazione ed alle possibilità espressive del linguaggio fotografico. Napoli è una città in cui gli artisti s’incontrano e Mimmo Jodice è attento osservatore oltre che attivo partecipante agli eventi (tra gli altri frequenta Andy Warhol, Vito Acconci, Joseph Beuys). È in questo clima dinamico che si pone il quesito sul senso della fotografia, sul significato della relazione che intercorre tra realtà e rappresentazione. Una delle fotografie che gli permettono di provare a rispondere a queste domande è: “Carta d’identità” (1978). Mimmo Jodice dopo aver fotografato e stampato il suo documento d’identità applica una sua fotografia sulla fotografia. Se la vedessimo dal vero osserveremmo un’immagine identica, che copre quella sottostante, proprio in corrispondenza dello spazio per la fototessera. Un passaggio che dona tridimensionalità all’oggetto – elemento mancante nella riproduzione non cartacea – aggiungendo un ulteriore livello concettuale. Immaginando di osservare dal vero “Carta d’identità” sorgono spontanee alcune domande. Partendo dall’assunto che nulla più di ogni altra è in grado di rappresentare l’identità di una persona se non il documento che dal punto di vista legale ne è la prova, quanto è reale questa fotografia, quanto è reale quest’autoritratto, quanto la fotografia è ingannevole?

Dal reportage “Gli Esclusi” di Mimmo Jodice (foto da profilo FB di mazzolini)

Fotografia 2. Mimmo Jodice negli anni ‘70 si occupa di un progetto, per quegli anni molto attuale, riguardante la documentazione fotografica all’interno degli ospedali psichiatrici. In effetti molti sono stati i reportage (tra questi “Morire di Classe” e “Gli esclusi”) che hanno messo in luce le problematiche e hanno dato un contributo fondamentale alla nascita del movimento d’opinione pubblica con la conseguente approvazione della legge 180/1978 fortemente voluta da Franco Basaglia. Mimmo Jodice fotograferà l’ospedale psichiatrico di Napoli che come tutte queste strutture è un non-lieux, un nonluogo citando Marc Augé. La sua è stata un’indagine antropologica e poetica allo stesso tempo. Osservando la fotografia qui di seguito si ritrovano molti degli elementi sopra descritti: lo sguardo fisso in avanti e l’attenzione all’inquadratura, alla geometria, alla composizione, ai vuoti e pieni. La grata – elemento parte dell’architettura di contenimento che separa il mondo dei sani da quello dei malati, il mondo libero da quello dei reclusi, il fuori dal dentro, l’essere umano e la disumanizzazione – divide l’immagine, volutamente asimmetrica per creare dinamismo, in sei spazi all’interno dei quali sono collocate parti del corpo, frammenti, che in questo modo vengono messi in evidenza. Ed il gomito, fuoriuscendo, crea un effetto trompe-l’œil che permette una maggiore tridimensionalità all’immagine ed accentua il desiderio di evasione. Vengono sottolineati in questo modo la postura, gli occhi e la condizione psicologica di quest’uomo che silenziosamente attende e chiede. Cosa aspetta? Cosa chiede? Cosa o chi guarda? Vuoto, silenzio, attesa, frammento, enigma, saranno concetti ripresi in seguito da Mimmo Jodice che, dopo una fase dedicata alla sperimentazione concettuale ed al reportage, enfatizza la cifra stilistica in cui: “le mie immagini sono i miei pensieri”.

“Alba Fucens” di Mimmo Jodice (dal profilo FB di mazzolini)

Fotografia 3. La scultura è stata una tra i primi soggetti della fotografia quale rappresentazione neutra ed oggettiva delle forme plastiche. Tuttavia è anche espressione autonoma, con un ruolo interpretativo, come accade per le fotografie di Mimmo Jodice dedicate alla statuaria. Simulacri delle radici culturali del Mediterraneo diventano immagini che trasfigurano il reale ed inducono a guardare con occhi diversi evidenziando la capacità di sopravvivenza rispetto al tempo dei classici che risultano sempre attuali. Jodice nella fase di stampa enfatizza gli elementi che durante lo scatto sono stati catturati, sottolinea i dettagli, accentua il contrasto dei toni. I suoi progetti sono caratterizzati da almeno tre passaggi: prima pensati poi iniziati in fase di ripresa e portati a termine in camera oscura. Attraverso fotografie come Alba fucens (2008) egli descrive la cultura Mediterranea ed il mondo antico. Ma la sua è un’interpretazione che si serve della relazione tra luce e ombra e del concetto di frammento. La parte per il tutto. Un’immagine parziale in grado di restituire la “pienezza di un tutto”. Parziale perché una parte della testa è mancante, rovinata dal tempo. Un’estetica del frammento che non patisce l’assenza di altri elementi corporei, il loro equilibrio, l’armonia, la proporzione. Parte di corpo che sottolinea la dicotomia tra perfezione e imperfezione mostrando segni che assomigliano a cicatrici, fratture. Sono corpi mutilati che mostrano la fragilità e la caducità di eroi e divinità ma anche la precarietà dell’uomo che li ha creati. Fotografie che cuciono il passato e la memoria con il presente facendoli coesistere ed allontanandoci dal concetto di tempo. La fotografia in bianco e nero, fortemente espressiva, diventa uno strumento che trasforma, carica di emozione ogni singola immagine e supera il reale. Lo sfondo scuro e la luce, sapientemente dosata, il mosso – una vibrazione ottenuta in camera oscura con il movimento della testa dell’ingranditore – evidenziano la forma ed esaltano quell’inquietudine tipica. È questo un messaggio che si può trasporre anche al nostro tempo così incerto? Io ho la mia opinione, lascio a voi la domanda aperta. Un viaggio nel tempo che partendo da lontano conduce lo spettatore in un mondo in cui convivono elementi profondamente umani: vita e morte, ieri e oggi, luce e buio, equilibrio tra bellezza e fragilità. Grazie Maestro!

Mario Beltrambini con Mimmo Jodice al SI FEST 2007 (foto Mario Beltrambini)

Mario Beltrambini, vice presidente Associazione Savignano Immagini APS: “Ci ha lasciato un altro grande, Mimmo Jodice. È difficile accettare che, uno dopo l’altro, stiano andando via coloro che hanno costruito le fondamenta della nostra idea di fotografia, della nostra sensibilità, del nostro sguardo sul mondo. Quanta verità nelle sue parole, che oggi risuonano ancora più forti: “Tutto il mio lavoro poggia su un inoppugnabile principio: la fotografia è una forma d’arte”. Grazie per la bellezza e per la luce che ci hai insegnato a vedere. Riposa in pace, Maestro”.

L’artista Costabile Giariglia Senseria: “Un pensiero per Mimmo Jodice, la cui fotografia ha segnato la mia vita a Napoli durante gli anni di studio all’Accademia di Belle Arti. Ci lascia Mimmo Jodice, artista che per interi decenni ha segnato la fotografia italiana e influenzato lo sguardo internazionale sul nostro Paese. Con le sue immagini ha costruito un lessico visivo capace di raccontare Napoli non come semplice sfondo, ma come organismo vivo: una città bella e ferita, luminosa e popolare, attraversata da tensioni sociali e da una stratificazione culturale unica. Le opere di Jodice non si limitano a descrivere: istituiscono un contesto. Le sue fotografie non mostrano Napoli com’è, ma ciò che Napoli fa vedere quando la si guarda con un pensiero. Architetture sospese, archeologia del presente, corpi e volti, mare e pietra: tutto, nelle sue immagini in bianco e nero, appare come luogo di un dialogo tra classico e contemporaneo, tra storia e mito, che tende sempre verso un’infinita bellezza stilistica e compositiva”.

Bimbo con la cascettella di Mimmo Jodice (dal profilo FB di parlato)

Accorata la testimonianza della giornalista Lucilla Parlato: “Nel 1969 iniziò infatti la lunga e proficua collaborazione con il gallerista napoletano e con altri galleristi napoletani, come Lia Rumma. Jodice si ritrovò a confrontarsi con le avanguardie di allora che attraversavano Partenope con disinvoltura: da Andy Warhol a Robert Rauschenberg, da Joseph Beuys, a Gino De Dominicis. E ancora Giulio Paolini, Josef Kosuth, Vito Acconci, Mario Merz, Jannis Kounellis, Sol LeWitt, Hermann Nitsch… a stretto contatto con questo mondo stimolante, Jodice si scoprì particolarmente sensibile alle emergenze scaturite in quegli anni. Altrettanto naturale fu dunque la ricerca sulle radici e la collaborazione con Roberto De Simone. Forse è quello il momento in cui il giovane Mimmo diventa Mimmo Jodice. Il momento in cui Napoli diventa definitivamente centrale ma mai scontata, mai banale. Anche quando fotografa altro e altrove. Anche quando fotografa ora e qui: una città mai oleografica, sospesa, sorpresa, inattesa. La sua Napoli metafisica. Lucente come una statua greca. Spesso vuota e silente. È questo, sopra tutti gli altri, il motivo per cui lo amavo. Per quella sua capacità di trasformare il brutto in bello, l’indicibile in visibile, le lamiere e i tubi innocenti che picchettavano i ruderi post terremoto in bellezza. Quasi una magia. Nella città di oggi, degli Jago, degli Jorit, ho sempre scritto che era l’unica J che contava. L’unica che rimarrà solida nel tempo. Fu bello qualche anno fa ritrovarcelo fuori al Mann, dove si lottava per difendere il ruolo benefico per il museo e per la città dell’allora direttore Paolo Giulierini. Perché poi Jodice, a differenza di tanti fotografi tronfi e dimenticabili, è sempre stato anche un militante: col sorriso, la presenza discreta e il dito sul click. Mai invasivo, sempre incisivo, esempio di classe innata e senso della bellezza, anche nel brutto. Esempio di come si sta al mondo. È doveroso per me ricordare che Andrea Maresca ed io gli dobbiamo l’ispirazione finale per le cascettelle: è anche grazie alla sua foto che nacque il disegno che ha impreziosito il libro che recupera e racconta questa vecchia e dimenticata tradizione dei bambini di Napoli prima che Halloween si mangiasse la nostra identità. Quel bimbo con la cascettella di cartone che poi siamo stati un po’ tutti noi, bambini di Napoli, in giro per le strade. Grazie di tutto grande Mimmo. Non potremo mai dimenticarti. Anche perché le tue foto, il tuo sguardo, sono ormai ancorati per sempre alle nostre anime, assetate di bellezza e di occhi migliori dei nostri, capaci di offrire visioni altre e alte di questa città che amiamo e che ce fa suffrì. Sei luce che ci ha lasciato luce. Grazie davvero”.

Mirella Armiero con Mimmo Jodice (da FB)

La giornalista Mirella Armiero: “Aveva un modo tutto suo di dire agli amici: ti voglio bene. Mimmo Jodice era un uomo speciale, partecipe e generoso. Napoli gli deve molto, anche perché l’ha liberata dalla rappresentazione folklorica e l’ha resa metafisica”.

La giornalista Stella Cervasio: “Se fossi stata ancora in servizio, pur in un’epoca di giornalismo scadente e che pare senza prospettive, avrei ricordato Mimmo Jodice, che mi ha sempre accolto – lui e la sua bella famiglia – nella sua casa e nel suo studio con la cordialità e l’affetto di chi sa che un giornalista è un osservatore e un critico ma anche un vecchio amico. Mimmo Jodice era una persona che sapeva stare nel cuore delle persone, con le sue maniere di grande gentiluomo e con le sue immagini indimenticabili. Ad Angela, Barbara, Francesco un grande abbraccio da chi ha avuto la fortuna di incontrarli nella sua vita lavorativa e affettiva”.

Pasquale Raicardo con MImmo Jodice (foto FB)

Il giornalista Pasquale Raicaldo: “Che grande privilegio è stato conoscere Mimmo Jodice, vivere per qualche tempo dilatato i suoi spazi, leggere il mondo attraverso i suoi occhi. A Procida 2022 – Capitale italiana della Cultura una sua mostra straordinaria – “Abitare metafisico” – e poi le tante interviste con il privilegio di un racconto sempre intenso, mai banale, accompagnati da Angela, la compagna di una vita: nei loro sguardi il senso di un amore che è stato e sarà piena sintonia. L’ultima intervista qualche giorno fa, ancora non uscita. La terra gli sia lieve”.

Patrizio Paoletti, ex allievo: “Ho appreso con profonda commozione della scomparsa di Mimmo Jodice. Sono stato suo studente tra il 1978 e il 1983: insieme abbiamo fotografato i vicoli di Napoli, le luci e le ombre che li abitano. Da lui ho imparato a vedere l’invisibile — a passare dalla scena del teatro alla scena della vita, e a riconoscere come questa si formi prima di tutto nella nostra mente. È così che possiamo trasformare la realtà intorno a noi. Ricordo con nitidezza le ore passate in camera oscura: il silenzio, l’attesa, e poi la magia dell’immagine che prendeva vita sulla carta. In quell’attimo sospeso, come lui amava dire, il tempo si fermava. Era il tempo della verità, della visione, della nascita di un mondo possibile. Grazie Mimmo, maestro di sguardo e di luce. Hai insegnato a generazioni di uomini e donne che la fotografia non è un atto tecnico, ma un atto di coscienza. Il tuo “tempo sospeso” continuerà a parlarci, come una finestra aperta sull’eterno”.

Roma. Al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia la curatrice Alessandra Tiddia presenta la mostra “Etruschi del Novecento” in corso al Mart di Rovereto, con visita guidata all’Apollo di Veio

roma_villa-giulia_conferenza-etruschi-del-novecento_tiddia_locandinaLa grande mostra al museo Mart di Rovereto “Etruschi del Novecento” raggiunge Roma e il museo nazionale Etrusco di Villa Giulia per una delle sue presentazioni fuori sede insieme alla curatrice Alessandra Tiddia. Appuntamento giovedì 6 febbraio 2025, alle 16.30, in Sala della Fortuna, al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia. Introduce Maria Paola Guidobaldi, conservatrice collezioni museo ETRU. Conferenza a cura di Alessandra Tiddia, curatrice della mostra e curatrice Mart. Al termine della conferenza, visita guidata all’Apollo di Veio a cura di Antonietta Simonelli, responsabile archivio fotografico museo ETRU. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti. Prenotazione all’indirizzo mail mn-etru.comunicazione@cultura.gov.it

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La mostra “Etruschi del Novecento” al Mart di Rovereto (foto mart)

La mostra racconta l’influenza della civiltà etrusca sulla cultura visiva del secolo scorso, dai ritrovamenti archeologici tra il XIX e XX secolo fino alla “Chimera” di Mario Schifano. Gli Etruschi diventano fonte di ispirazione per quegli artisti che prediligono una posizione artistica “anti-classica”, alla ricerca di un linguaggio espressivo differente e originale, come Massimo Campigli, Marino Marini, Arturo Martini, Alberto e Diego Giacometti, Pablo Picasso, Michelangelo Pistoletto, Gio Ponti, Mario Schifano e Gino Severini. Scoperte come l’Apollo di Veio, scultura in terracotta dipinta alta quasi due metri, rinvenuta nel 1916 e oggi conservata al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, hanno stimolato studi e pubblicazioni, riattivando stili, forme, temi e materiali.

 

Fondazione museo civico di Rovereto: in #apertipercultura dedicati a Paolo Orsi un documentario di Osvaldo Maffei (“Paolo Orsi e Margherita Sarfatti tra classicismo e modernità”) e una pillola di scienza di Barbara Maurina (“Paolo Orsi, le lettere”)

La Fondazione Museo Civico di Rovereto, in questo lungo periodo di lockdown, si è aperta virtualmente, ponendosi al servizio della comunità, anche a distanza, per continuare a offrire appuntamenti scientifici e culturali. Sul sito del museo è stato attivato un piccolo portale #apertipercultura, simboleggiato proprio da una porta di casa che si apre sul mondo della scienza, sulle sezioni, sui reperti, sui siti, sulla storia, sul territorio, su temi interessanti, che si approfondiscono anche a distanza attraverso la voce di esperti, scienziati, ricercatori “amici” del Museo, con pillole di scienza, conferenze, video, articoli, a portata di clic e adatti davvero a tutti. Cinque le sezioni previste: “Succede al Civico – Talk”, “Pillole di scienza”, “Conferenze”, “Documentari”, “Approfondimenti”. Sul grande archeologo roveretano Paolo Orsi la Fondazione Museo Civico di Rovereto in #apertipercultura ha dedicato un documentario (“Paolo Orsi e Margherita Sarfatti tra classicismo e modernità”) e una pillola di scienza (“Paolo Orsi, le lettere”).

Nel documentario “Paolo Orsi e Margherita Sarfatti tra classicismo e modernità” l’artista Osvaldo Maffei racconta la genesi della sua installazione di arte contemporanea realizzata nell’ottobre 2018 in occasione della XXIX Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto al teatro Zandonai di Rovereto e della mostra “Margherita Sarfatti. Il Novecento italiano nel mondo” al Mart di Rovereto. L’installazione di Maffei raccorda i due personaggi, l’archeologo roveretano Paolo Orsi (1859-1935) e la scrittrice e critica d’arte veneziana Margherita Sarfatti (1880-1961), e i due eventi culturali roveretani, la Rassegna internazionale del cinema archeologico e la mostra sulla Sarfatti al Mart. Il documentario è realizzato con il contributo di Franco Nicolis, direttore ufficio Beni archeologici della Provincia autonoma di Trento; Barbara Maurina, responsabile della sezione Archeologia della Fondazione Museo Civico di Rovereto; Patrizia Regorda, Archivi Storici del Mart. “Paolo Orsi – racconta Maffei – nel 1930 dona a questa gentildonna di grande potere un piccolo omaggio che ha una grandissima valenza culturale e rimanda a un vissuto di tipo arcaico”. Si tratta di una serie di 70 calchi in gesso di monete antiche siracusane, oggi in un cofanetto conservato nel fondo archivistico “Margherita Sarfatti” al Mart-Archivio del Novecento, dove è arrivato nel 2009. Come rappresentare in forma artistica il dono? “È la domanda che mi sono fatto”, continua Maffei. “E ho pensato subito a che cosa significa, per esempio, portare delle rose a una signora o magari dei dolcetti, dei cioccolatini. La prima cosa che si fa, si cerca di infiocchettarli, di renderli più attraenti, più piacevoli, con delle carte, delle veline, dei fiocchi. L’idea di scambiare, di giocare sull’equivoco, di scambiare questi piccoli calchi in gesso con delle mentine, con dei piccoli dolcetti di pan di zucchero mi è sembrata un’idea molto divertente, ed è stato l’unico approccio che mi permettesse di lavorare senza entrare in concorrenza, senza diventare un piccolo scienziato inadeguato, ma lavorare per solleticare l’intelligenza e la curiosità degli spettatori del festival e della mostra della Sarfatti che si teneva al Mart in quel periodo”.

“Paolo Orsi. Le lettere”. In questa “pillola di scienza” Barbara Maurina, conservatrice e responsabile della Sezione Archeologia della Fondazione Museo Civico, racconta dell’archeologo Paolo Orsi e delle straordinarie lettere arrivate fino a noi da una soffitta di un palazzo di Ala. “Da alcuni anni – spiega Maurina – stiamo conducendo uno studio sistematico su una serie di documenti di archivio di grande importanza conservati dalla Fondazione del museo civico di Rovereto. Ma il museo civico di Rovereto fin dalla sua nascita alla metà dell’Ottocento si è sempre occupato di raccogliere e studiare non soltanto reperti ma anche dati archeologici e naturalistici”. Tra i padri fondatori del museo c’è anche Paolo Orsi, che entrò nell’istituzione a 16 anni nel 1875. E alla sua morte nel 1935 lasciò al museo la sua preziosa collezione, un importantissimo patrimonio archeologico e archivistico. “Dal 2010 – continua – è partito un progetto per riordinare, studiare e poi pubblicare sull’archivio on line del museo gli archivi sui grandi protagonisti dell’archeologia a cavallo del Novecento, tra cui i due roveretani Federico Halbherr e Paolo Orsi. Seguo questo lavoro con il collega Maurizio Battisti. I dati raccolti vengono inseriti su un sito on line che viene continuamente implementato”. Dal 2013 nel progetto si è inserito un tassello molto importante: un archivio di 8mila lettere scoperto in una soffitta di un palazzo di Ala in provincia di Trento di proprietà degli eredi di Paolo Orsi. L’archivio era stato suddiviso in 57 faldoni dallo stesso Orsi che definiva questo documenti, come ha scritto lui stesso, “dal naufragio della mia corrispondenza”: lettere sopravvissute alla dispersione. “In realtà questo enorme patrimonio epistolare lo credevamo ormai perduto. Grande è stata quindi la sorpresa al suo ritrovamento. La Fondazione Museo Civico di Rovereto già nel 2013 ha acquisito questo archivio e ha deciso di renderlo subito pubblico con un lavoro di studio, analisi, acquisizione digitale, catalogazione, schedatura e inventariazione. Questo lavoro viene progressivamente pubblicato on line e divulgato attraverso conferenze, convegni, articoli scientifici. Contiamo di portarlo a termine per la primavera del 2021”.

Archeologia e film: sullo schermo della 25. Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto (7-11 ottobre) dalla musica etrusca alla Grande Guerra

Alla Rassegna di Rovereto i segreti della città di Angkor, uno dei siti archeologici più importanti della Cambogia

Alla Rassegna del cinema archeologico di Rovereto i segreti della città di Angkor, uno dei siti archeologici più importanti della Cambogia

La musica etrusca, percepita dagli affreschi tarquiniesi, è riproposta alla Rassegna

La musica etrusca, percepita dagli affreschi tarquiniesi, è riproposta alla Rassegna

L’archeologia intrecciata con la storia, l’arte e la scienza sarà il tema conduttore della 25. Rassegna internazionale del cinema archeologico, in programma dal 7 all’11 ottobre 2014 a Rovereto e a Trento. Verranno presentate prove sperimentali di musica etrusca, realizzate in seguito al ritrovamento di un relitto con strumenti musicali dell’epoca. Ci saranno poi proiezioni che riportano sullo schermo i tesori dell’oceano indiano, i segreti della città di Angkor, uno dei siti archeologici più importanti della Cambogia. La rassegna offre anche l’occasione per una riflessione sulla storia del popolo ebraico, con due film e una conversazione con Paul Salmona, direttore del museo d’arte e storia del Giudaismo di Parigi. La prima guerra mondiale sarà protagonista con un taglio originale sul grande schermo grazie alle riprese dei reperti emersi dal ghiacciaio dei Forni nel gruppo Ortles-Cevedale, editate e documentate dal film “Punta Linke – La Memoria”. Si passerà poi dai conflitti del passato a quelli del presente con le riprese girate in Siria, Medio Oriente e Pakistan.

Il manifesto della 25.ma Rassegna di Rovereto

Il manifesto della 25.ma Rassegna di Rovereto

La rassegna, promossa dalla Fondazione Museo civico di Rovereto in collaborazione con la rivista Archeologia Viva di Firenze, si svolgerà all’auditorium Melotti, al Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto (Mart), al Museo civico a Rovereto e al Museo della scienza di Trento (Muse). Ospiti d’eccezione saranno il Museo del Louvre con la società francese di produzione di film scientifici Gedeon Programmes e l’Istituto francese per l’archeologia preventiva (Inrap).

 

Venticinque anni di cinema archeologico. Il direttore Dario Diblasi anticipa contenuti temi e obiettivi della 25. Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto

Il manifesto della 25.ma Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto

Il manifesto della 25.ma Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto

Venticinque anni, e non li dimostra. Anzi, la 25. Rassegna internazionale del cinema archeologico, in programma a Rovereto dal 7 all’11 ottobre, non solo mostra tutta la vivacità e l’entusiasmo del giovane ma anche la qualità e la maturità di una manifestazione adulta che negli anni ha intrecciato rapporti culturali con musei, università, soprintendenze di mezzo mondo, ha dialogato con enti pubblici e privati, si è guadagnata la stima di registi e centri di produzione di molti Paesi, ha permesso di realizzare al museo civico di Rovereto una delle più prestigiose cineteche a soggetto archeologico nel mondo, promuovendo a sua volta la cultura della divulgazione scientifica attraverso il linguaggio cinematografico con il premio internazionale biennale “Paolo Orsi”. E i numeri anche quest’anno sono lì a dimostrarlo: oltre centoventi film in cartellone in rappresentanza di più di venti Paesi (tutto il programma dettagliato al link http://www.museocivico.rovereto.tn.it/UploadDocs/6121_libretto_2014.pdf). Anima e artefice indiscusso della Rassegna roveretana è il direttore Dario Diblasi che ci ha rilasciato qualche riflessione.

Dottor Diblasi, di festival sul cinema archeologico ne vengono organizzati diversi, perché la Rassegna di Rovereto è così importante?

Dario Diblasi direttore della Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto

Dario Diblasi direttore della Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto

“Esistono più di una decina di festival cinematografici al mondo, la maggior parte in Europa, i quali mettono in competizione opere cinematografiche che si occupano di archeologia, della storia dell’uomo, del patrimonio culturale. La particolarità della Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto e nello specifico della sua XXV edizione è la ricchezza e la complessità del suo programma che presenta filmati e testimonianze provenienti da tutto il mondo; anche dalle aree ora soggette a terribili conflitti”.

Dunque l’offerta cinematografica non teme confronti?

“Non vi è paragone con nessun altro catalogo di titoli cinematografici e presenze di protagonisti della ricerca archeologica. Il ruolo di diffondere conoscenza e cultura viene ormai universalmente riconosciuto alla Rassegna di Rovereto tant’è che in questa edizione saranno presenti il Museo del Louvre e alcune importanti Istituzioni cinematografiche e di ricerca internazionali accanto a una delle maggiori società di produzione cinematografica dedicata alla scienza, Gedeon Programmes. E Rovereto, con la sua Fondazione Museo Civico ha il piacere e la fortuna di ospitare da 25 anni questa manifestazione. I luoghi per le proiezioni sono prestigiosi: l’auditorium del Polo culturale e museale della città, il Mart, il Muse e lo stesso museo Civico. Inoltre da oltre vent’anni si affianca alla Rassegna con la sua stretta collaborazione la rivista Archeologia Viva di Firenze”.

Direttore, ci vuole dare qualche dettaglio del programma?

La musica etrusca, percepita dagli affreschi tarquiniesi, è riproposta alla Rassegna

La musica etrusca, percepita dagli affreschi tarquiniesi, è riproposta alla Rassegna di Rovereto

“Il programma è talmente ricco che riesce difficile evidenziarne tutte le peculiarità. Mi permetto di evidenziarne solo alcune per stuzzicare molteplici curiosità. Un approccio musicale è possibile attraverso le prove di musica etrusca, risultato di una lunga ricerca dell’archeologa Simona Rafanelli e del sassofonista e musicista jazz Stefano “Cocco” Cantini di scena nella serata di sabato 11 ottobre ma anche in diversi film: Suoni della preistoria, il Suono perduto, Homo sapiens, l’artista, infine La danza del dio del mais arricchito della leggerezza della danza. L’avventura è assicurata nella ricerca di un favoloso tesoro nei pressi di uno scoglio perduto nell’oceano indiano in Il segreto del tesoro a Bassas de India e nei meandri della gigantesca città di Angkor invasa dalla foresta tropicale, ne La riscoperta di Angkor, oppure ancora ne Il viaggio alla miniera di smeraldi di Cleopatra”.

E cosa ci dice della sezione “archeologia e arte”?

“Un intero percorso per proiezioni dedicate all’archeologia e all’arte è in programma nella sala convegni del Mart con nuovissimi film e opere di repertorio dell’archivio cinematografico della Rassegna. Alcuni titoli preziosi: Il genio magdaleniano, L’ultimo sguardo, Lo scriba che dipinge, Il tappeto di Cracovia, La ceramica medievale invetriata di Cipro e ancora La danza del dio del mais”.

Quanto scienza e tecnologia diventano protagonisti nella divulgazione archeologica?

In Rassegna un film sulla nave fenicia Mazaron 2

In Rassegna un film sulla nave fenicia Mazaron 2

“La ricerca archeologica si avvale sempre più intensamente di competenze scientifiche e delle tecniche più diverse, come pure indaga sulle conoscenze scientifiche del Mondo Antico. C’è solo difficoltà di scelta in un intero percorso dedicato alla scienza e all’archeologia al Muse di Trento e al museo Civico di Rovereto ed una presenza più che numerosa di opere che raccontano ricostruzioni tridimensionali di oggetti, ambienti, intere città, La città invisibile-frammenti di Trieste romana, Siracusa 3D reborn, Pavlopetri un tuffo nel passato, L’imbarcazione fenicia Mazaron 2, La casa del Delfino, La macchina del tempo, Una follia di Nerone, Il tempio dei giganti, Costruzione del carro dei faraoni. Un’intera serie presenta competenze antiche: Homo sapiens: l’artista, All’epoca dei Franchi: il contadino, Al tempo dei Galli: i fabbri, Il popolo dei laghi. Le palafitte del Garda, Una piroga medioevale in Piccardia, Il computer antico di 2000 anni, Il vino delle terre Lionesi”.

Naturalmente dal cartellone della Rassegna non può mancare l’Antico Egitto…

Per gli appassionati dell'Antico Egitto il film Costruzione del carro dei faraoni

Per gli appassionati dell’Antico Egitto il film Costruzione del carro dei faraoni

“Sono sempre esistiti gli appassionati dell’antico Egitto tanto che si è arrivati anche a coniare il termine di egittomania. Anche in quest’occasione non verranno delusi con il film già citato Costruzione del carro dei Faraoni, con il racconto di Corinna Rossi sulla missione di scavo di Umm al- Dabadib, con il film L’Ultimo sguardo dedicato ai ritratti del Fayum, Lo scriba che dipinge, Khemet, Il viaggio alla miniera di smeraldi di Cleopatra dei fratelli Castiglioni”.

Secondo lei, con la qualità dei film è cresciuta anche la formazione degli spettatori?

"Stori Tumbuna" per chi cerca i documentari di qualità

“Stori Tumbuna” per chi cerca i documentari di qualità

“Anni e anni di documentari a carattere naturalistico ed etnografico proposti dalle reti televisive nazionali e internazionali hanno formato milioni di spettatori che non sopportano più il banale e futile di tanti programmi del cosiddetto intrattenimento. Anche in questo potranno trovare soddisfazione con numerosi film tra i quali Stori Tumbuna, L’agave è vita, Acqua sotto la terra, l’Isola delle torri in cui vedremo la Sardegna con altri occhi, Guam, l’Oasi dell’oceano, Mastodonte, l’enigma dei Titani dell’era glaciale, Nuovi orizzonti-Myanmar e in molti altri ancora”.

Scorrendo il programma si nota che c’è spazio anche per il mondo ebraico.

“Abbiamo cercato d’indirizzare la curiosità anche verso la storia del popolo ebraico, principalmente attraverso la ricerca archeologica con un film di repertorio, che non molti hanno avuto la fortuna di vedere, quale L’esilio degli ebrei-tra mito e storia e con l’incontro conversazione di giovedì 9 ottobre con Paul Salmona, direttore del Museo d’arte e storia del giudaismo di Parigi. Abbiamo lasciato spazio inoltre ad un’idea piuttosto ideologica che ci propone il film L’invenzione dell’occidente – la Bibbia di Alessandria”.

E poi c’è la Cina, un mondo tutto da esplorare anche archeologicamente…

I guerrieri di Xiang: la Cina ha un posto particolare nella Rassegna di Rovereto

I guerrieri di Xiang: la Cina ha un posto particolare nella Rassegna di Rovereto

“Non si tratta di una telenovela ma dalla storia più antica della Cina in tre film: La dinastia scomparsa, Grandezza e decadenza degli Shang, Il primo imperatore. Gedeon programmes ci propone infatti, come sempre, di esplorare mondi e culture a cui abbiamo dedicato fino ad ora poca attenzione o che ci sono in parte sfuggite. I misteri veri o presunti, in qualche caso semplicemente evocati per attirare desiderio di sapere, nella cinematografia archeologica non mancano. Non si tratta della pessima suggestione creata da alcune discutibili trasmissioni televisive ma di semplici strumenti per attirare l’attenzione così come si può vedere nei titoli e nelle descrizioni di ottimi film quali La verità sui templari, Tredici meraviglie della Macedonia, I dominatori delle gelide steppe, La città degli dei sommersi, Il Perù millenario: una storia inesplorata e ancora La riscoperta di Angkor”.

Il mondo antico non è solo arte, ma anche persone e personaggi (come ricorda il nostro blog). Nella Rassegna 2014 si parla di qualcuno in particolare?

Il ritratto di Alessandro Magno conservato al museo del Louvre di Parigi

Il ritratto di Alessandro Magno conservato al museo del Louvre di Parigi

“Non occorre affollare le poltrone di qualche sala cinematografica dei film della finzione per conoscere la vita e le avventure di qualche grande personaggio storico: vi proponiamo Alessandro il Grande, il macedone che arriva direttamente dalla videoteca del Museo del Louvre. Vi offriamo altresì alcune piccole gemme preziose come Lapis specularis, la luminosa trasparenza del gesso, “Genesi” la dea di Morgantina, nonché Storie della sabbia. La Libia di Antonino di Vita (pochi minuti dedicati ad uno dei più grandi archeologi italiani) o Una follia di Nerone ed in prima assoluta un paio di video di una serie di nove dedicati al Museo di Villa Giulia, Santuari e Da non perdere, infine un film su uno dei più grandi templi oggi esistenti, Il tempio dei giganti, l’Olympieion di Akragas”.

Direttore, ma cosa c’entra la Rassegna del cinema archeologico con la Grande Guerra?

“Sono passati 100 anni da quando l’Italia si è tuffata nel turbine mostruoso della Prima guerra mondiale, e ancora quelle drammatiche testimonianze emergono da uno dei più estesi ghiacciai d’Europa, il ghiacciaio dei Forni nel gruppo Ortles –Cevedale. Qui vengono documentate dal film Punta Linke-La Memoria nel pomeriggio del giorno di sabato 11 ottobre. La Grande guerra tuttavia non ha sconvolto il mondo solo dal 1914 al 1918; ha indotto bensì grandi sconvolgimenti con la caduta degli imperi centrali quali quello ottomano e ha prodotto altre guerre che hanno reso drammatica la vita di altri uomini come viene documentato nel film che probabilmente riusciremo a proiettare in palazzo Alberti in concomitanza con mostre ed eventi che ricordano il periodo della Grande Guerra: Letters never received –Lettere mai ricevute”.

E allora, visto che ha introdotto il tema-problema della caduta degli imperi e degli sconvolgimenti politico-geografici, si parlerà di archeologia e Paesi in guerra e delle drammatiche conseguenze non solo per le popolazioni ma anche per il patrimonio culturale?

La ricerca archeologica e la salvaguardia del patrimonio culturale deve fare i conti con le guerre: qui siamo in Siria

La ricerca archeologica e la salvaguardia del patrimonio culturale deve fare i conti con le guerre: qui siamo in Siria

“Ancora adesso le artificiali divisioni geografiche in Medio Oriente rinfocolano terribili conflitti nell’area dove si sono evolute le prime e più grandi civiltà come quella sumera, assira e babilonese. Abbiamo coinvolto un’intera famiglia di archeologi dell’Università di Los Angeles e di Francoforte sul Meno che da molti anni scavano in Siria e Medio Oriente per farci raccontare con un titolo sintomatico il dramma della ricerca in quei luoghi: L’archeologia nell’occhio del ciclone. Alla riscoperta di valori antichi nel mezzo di un conflitto moderno, martedì 7 ottobre alle 17.45, nel primo giorno della Rassegna, con i professori Giorgio Buccellati, Marylin Kelly –Buccellati e Federico Buccellati”.

Purtroppo in Italia in questi tempi da “spending review” anche l’archeologia deve fare i conti con tagli ai già pochi finanziamenti pubblici. Cosa ne pensa?

Massimo Bray durante la visita ufficiale a Bam in Iran quando era ministro

Massimo Bray durante la visita ufficiale a Bam in Iran quando era ministro

“Noi pensiamo, lo abbiamo sempre pensato e più volte scritto, che l’Italia investe e ha investito pochissime risorse nel patrimonio culturale, archeologico e ambientale, tanto più in ragione del suo essere immensa ricchezza peculiare del nostro paese. In Rassegna, nel giorno finale di sabato ne vogliamo parlare con chi è stato recentemente ministro dei Beni culturali, Massimo Bray, e con l’archeologo e già presidente del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, Giuliano Volpe. Tema dell’incontro: Archeologia, paesaggi, società: le sfide dell’innovazione. Patrimoni archeologici tra conservazione e innovazione. Il nostro continuo viaggio nel mondo dell’archeologia non ci fa comunque preoccupare solo del patrimonio italiano ma anche di quello di tutto il nostro pianeta e in particolare di quello sempre a rischio per estremismi e guerre e vorremmo coinvolgere, se ci riusciamo, Massimo Vidale per raccontare il Pakistan attraverso la ricerca archeologica”.

Qual è il ruolo del Louvre alla Rassegna?

Un prezioso mosaico salvato da Zeugma e oggi al museo di Gaziantep

Un prezioso mosaico salvato da Zeugma e oggi al museo di Gaziantep in Turchia

“Come in parte già detto, il Museo del Louvre e altri prestigiosi enti culturali come l’Istituto per l’archeologia preventiva (INRAP) hanno cosparso tutto il programma di proiezioni con i propri più recenti film e saranno presenti con propri rappresentanti e responsabili nei giorni conclusivi della manifestazione. Inoltre, la Rassegna vuole anche mostrare nel pomeriggio della domenica 12 ottobre nella sala convegni della Fondazione Museo Civico di Rovereto alcuni film del proprio archivio che in precedenti edizioni hanno vinto prestigiosi premi attribuiti da giurie internazionali o dal voto del pubblico. Questi film ora si trovano nella videoteca del Louvre alla voce Civilisation et Archéologie: Gli uomini dimenticati della Valle dei Re, Gli ultimi giorni di Zeugma, C’era una volta la Mesopotamia”.

Direttore Di Blasi, siamo riusciti a dire tutto?

mart_rovereto“Penso di essere riuscito a fornire solo alcuni spunti del nutrito e complesso programma della 25. edizione della Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto. Non sono comunque sufficienti, sarà utile sfogliare di persona il programma utilizzando le sinossi dei filmati e i titoli assegnati alle conversazioni-intervista dei protagonisti dell’avventura dell’archeologia. Il programma viene distribuito in questi giorni come libretto tascabile, quartino editoriale all’interno della rivista Archeologia Viva di settembre/ottobre, nel sito della Fondazione Museo Civico www.fondazionemcr.it e in molte altre pubblicazioni. Per chi inoltre voglia vedere anticipatamente alcuni ritagli cinematografici dei film in programma suggerisco la nostra web tv dedicata all’archeologia www.archeologiaviva.tv all’interno del palinsesto più generale di www.sperimentarea.tv”.

A questo punto non ci resta che andare a Rovereto e goderci la 25. Rassegna internazionale del cinema archeologica. Buona visione a tutti.

L’Auriga di Mozia e la Phiale di Caltavuturo tornano in Sicilia con altri 63 capolavori: “Mai più fuori dall’isola”. Politica di rilancio dei musei siciliani valorizzando le opere “blindate”

L'Auriga di Mozia dopo un anno e mezzo è tornato al museo Whitaker

L’Auriga di Mozia dopo un anno e mezzo è tornato al museo Whitaker

La vacanza-assenza da casa è finita. Tornano in Sicilia l’Auriga di Mozia e la Phiale aurea di Caltavuturo, e con questi due capolavori assoluti dell’arte antica un’altra sessantina di tesori archeologici, dopo aver fatto il giro tra i più importanti musei del mondo, rientrano nelle loro sedi originarie: e da lì non si muoveranno mai più. Sono beni di valore inestimabile che la Regione Sicilia ha deciso di blindare per creare un circuito isolano di eccellenze da ammirare solo se si viene in Sicilia. “Dopo aver fatto bella mostra di sé al Paul Getty Museum di Los Angeles e al Cleveland Museum of Art nel 2013”, annuncia l’assessore regionale ai Beni Culturali Maria Rita Sgarlata, “ed essere state in giro con la mostra ‘Sicily: Art and Invention between Greece and Rome’ (oltre mille visitatori al giorno) tornano i ‘gioielli di famiglia’ per essere opportunamente valorizzati nella loro terra di appartenenza”. E se l’Auriga di Mozia e la Phiale aurea di Caltavuturo custodita nel parco di Himera sono i pezzi più famosi, il tesoro che rientra in Sicilia è ricchissimo: da un cratere attico a maschere teatrali (Vaso del Pittore di Boston) ai rilievi votivi con Demetra e Kore. E ancora medaglioni a rilievo, arule, coppe con emblema, statuette fittili, pissidi e antefisse, brocchette e bronzi.

Maria Rita Sgarlata, assessore ai Beni Culturali della Regione Sicilia

Maria Rita Sgarlata, assessore ai Beni Culturali della Regione Sicilia

I reperti, infatti, torneranno nei vari siti museali di provenienza: il museo archeologico di Agrigento, di Aidone, di Cefalù, il parco archeologico di Himera, il museo archeologico di Gela, Lipari, Palermo, Siracusa, Trapani e Catania. “Perchè è là che questi reperti devono stare”, stigmatizza l’assessore Sgarlata, “e non nei ‘mostrifici’ sganciati da contesti di effettiva qualità in giro per il mondo. Questo non vuole dire chiusura nei confronti degli scambi culturali, piuttosto è una sorta di “fermo biologico” in previsione di riequilibrio del rapporto con i musei stranieri”.A giovarsi degli scambi culturali e di beni d’arte “non devono essere solo gli altri”, aggiunge, “ma anche e soprattutto la Sicilia che troppe volte ha avuto come tornaconto solo un ritorno di immagine. Non si tratta di una pratica oscurantista o protezionista ma di buon senso il cui fine è solo quello di valorizzare, come meritano, i nostri beni. Questi sono i principi della nuova stagione di reciprocità”. Il che vuol dire ora sono i grandi musei del mondo a prestare alla Sicilia i loro capolavori.

Il canale che porta nello Stagnone di Marsala e all'isola di Mozia

Il canale che porta nello Stagnone di Marsala e all’isola di Mozia

IL RITORNO A MOZIA L’Auriga di Mozia ritorna in Sicilia dopo un lungo periodo di assenza, iniziato con la prima tappa a Londra in occasione delle Olimpiadi 2012. Il peregrinare del famoso giovinetto ha portato la statua marmorea anche oltre oceano prima per una mostra al Paul Getty Museum di Los Angeles poi al Cleveland Museum of Art. L’esposizione al Getty ha perlomeno consentito la realizzazione di una sofisticata base antisismica, la cui costruzione è stata inserita nell’accordo siglato nel 2010, destinata ovviamente a preservare la statua nel luogo in cui tornerà ad essere esposta, il museo Whitaker a Mozia. Il lungo viaggio di ritorno dell’Auriga con il resto del tesoro siciliano dagli Stati Uniti all’Italia è stato coperto per nave fino al porto di Genova. Dopo una sosta in un caveau a Milano, il carico col “tesoro” è arrivato nei giorni scorsi a Palermo dove è stato custodito in un magazzino di sicurezza. E quindi smistato nelle singole destinazioni. Il pezzo più pregiato, l’Auriga, con una chiatta è arrivato finalmente a Mozia dove sarà sistemato nel delizioso museo della fondazione Whitaker.

L'Auriga di Mozia scoperto il 26 ottobre 1979, nella zona “K” accanto al santuario di Cappiddazzu

L’Auriga di Mozia scoperto nel 1979 nella zona “K” accanto al santuario di Cappiddazzu

DALLA SCOPERTA AL MUSEO Il Giovinetto di Mozia, una statua in marmo del V sec. a.C., èsenza dubbio la principale attrazione dell’isola nello Stagnone di Marsala. La statua fu rinvenuta, quasi per caso, il 26 ottobre 1979, nella zona “K” accanto al santuario di Cappiddazzu, proprio durante l’ultimo giorno di quella campagna di scavi, quando il piccone di un operaio colpì qualcosa di diverso. Gli scavi furono così prolungati di una decina di giorni, il tempo di riportare alla luce questo splendido capolavoro dell’arte greca. La statua raffigura una figura maschile panneggiata, forse un auriga, e fu probabilmente portata nell’isola di Mozia dai Cartaginesi dopo che ebbero saccheggiato Selinunte nel 409 a.C. Molti studiosi pensano potesse raffigurare un giovane alla guida di un cocchio, un auriga, cioè un atleta vincitore nella corsa con il carro, o comunque un atleta vittorioso. Altre ipotesi comunque sono state avanzate: la particolare veste secondo alcuni ricondurrebbe ad un sufeta, magistrato punico, per altri sarebbe invece il dio punico Melqart, corrispondente all’Eracle dei Greci. L’Auriga è stata definita come la statua dei misteri, perché è un reperto greco rinvenuto in una provincia punica (spiegabile, abbiamo visto, come bottino del sacco di Selinunte) e poi perché la sua origine, la sua rappresentazione simbolica, lo stile artistico e il secolo in cui si possa collocare sono avvolti dal mistero. E di ogni ipotesi formulata non c’è stato un riscontro certo anche perché la statua è unica nel suo genere. La provenienza è di certo orientale, ipotesi avvalorata dall’analisi geochimica del materiale che ha rilevato che il marmo contiene dello stronzio, elemento presente esclusivamente nelle cave di Efeso e della Tessaglia, richiesto in gran quantità dalla Magna Grecia che non disponeva di marmo. Secondo la maggior parte degli studiosi, la statua risale al V sec. a.C., più precisamente al periodo compreso tra il 475 e il 450 a.C., ed è realistico ritenere che questo capolavoro fu realizzato in una città greca della Sicilia, Selinunte o Agrigento.

Il piccolo ma prezioso museo Whitaker a Mozia

Il piccolo ma prezioso museo Whitaker a Mozia

INCIDENTE DIPLOMATICO Il Giovinetto di Mozia ha rischiato di diventare il vessillo di una guerra di campanile. Da una parte, Marsala e il museo Baglio Anselmi dove sono custoditi i resti di una preziosa nave punica. Dall’altra, la Fondazione Whitaker composta da quanti preservano l’eredità del colto collezionista, amante dell’archeologia, al quale si devono tante magnifiche strutture, da Villa Malfitano alla sede della prefettura di Palermo. A Marsala che dista appena cinque chilometri dall’isola avevano tutto pronto per l’esposizione, con soddisfazione di Antonella Milazzo, la deputata regionale del Pd pronta a ringraziare con comunicati ufficiali la scorsa settimana l’assessore Sgarlata per il via libera. Entrambe ignare del putiferio scatenato da Renato Albiero e Fabio Virdi, un cardiochirurgo e un avvocato che, in sintonia con la segretaria generale della Fondazione, Enza Carollo, hanno convocato un minaccioso consiglio di amministrazione. Quanto è bastato per determinare la retromarcia, spiegata dall’assessore Sgarlata: “Non se ne farà niente. Il giovinetto torna a Mozia. Ma non sarebbe stato un dramma se fosse rimasto per qualche settimana, in periodo invernale, in un museo sulla terra ferma…”. Ma a Mozia lo avrebbero considerato un ulteriore “scippo”, come ripetono Albiero e Virdi davanti ai conteggi di Enza Carollo: “Abbiamo perduto 200mila euro all’anno. Chi arriva davanti alle barche per venire a vedere il giovinetto, si informa e non parte per l’isola. La Regione pensava di mandare in giro per il mondo questo gioiello per accendere interesse e fare approdare turisti da Londra o dagli Stati Uniti. La verità è che non ne è arrivato nemmeno uno”. Un dato che ha già portato il governatore Rosario Crocetta a decidere che le opere d’arte dal territorio regionale non dovranno più spostarsi: “Debbono diventare elemento di attrazione perché i turisti vengano ad ammirarle in Sicilia. Meglio fermare tante inutili costose e non produttive trasferte”.

Jerry Podany conservatore del Paul Getty Museum

Jerry Podany conservatore del Paul Getty Museum

AL WHITAKER NUOVO ALLESTIMENTO Basteranno due mesi per allestire al museo Whitaker un nuovo spazio espositivo, finanziato con un contributo della Banca Nuova e fondamentale per valorizzare uno dei pezzi più importanti rinvenuti in Sicilia. È Jerry Podany, Senior Conservator of Antiquities del J. Paul Getty Museum, a illustrare anche il progetto per la nuova base antisismica dell’Auriga di Mozia. “L’attuale configurazione di supporto della scultura – spiega – non è sufficiente a proteggerla dai danni in caso di terremoto di medio livello. Il supporto attuale collegato alla testa non impedirebbe, infatti, il movimento della scultura verso l’alto né sarebbe sufficiente a frenare lo spostamento in direzione laterale”. Per Podany “il fissaggio della scultura ad un piedistallo espositivo sarebbe una soluzione più fattibile e più sicura. Il supporto attuale della base (composto da numerosi pezzi) dovrebbe essere sostituito con un unico blocco di supporto in acciaio”. Alla complessa opera di montaggio della base si assoceranno interventi del Servizio Museografico del Dipartimento Beni Culturali mirati ad assicurare all’Auriga il migliore stato di conservazione, in rapporto al microclima dell’isola. «Accoglieremo l’Auriga più degnamente”, ribadisce dice l’assessore ai Beni culturali Mariarita Sgarlata, “e lo restituiremo alla fruizione dei visitatori a breve in un cornice più adatta e consona al suo immenso valore”.

Antonello Da Messina in mostra al Mart di Rovereto

Antonello Da Messina in mostra al Mart di Rovereto

OPERA BLINDATA, ACCORDI CULTURALI Ma oltre alla nuova veste espositiva c’è anche la volontà di farla restare in Sicilia nei prossimi anni. Dopo il “gran rifiuto” alla richiesta di prestito da parte del British Museum di Londra, l’Auriga sarà blindata. “L’opera è da troppo tempo fuori e la prima tappa fu proprio Londra in occasione delle Olimpiadi del 2012, quindi per adesso stop ai prestiti”. Anche perché rientra nella black list delle 23 beni culturali più preziose. “Le nuove trattative hanno consentito di ottenere due mostre di assoluto rilievo per la nostra isola, totalmente a carico del museo di Cleveland e Mart di Rovereto, che hanno chiesto i prestiti: una su Caravaggio e i caravaggeschi; l’altra su Antonello da Messina”, ribadisce l’assessore ai Beni culturali.

La Phiale di Caltavuturo, capolavoro dell'oreficeria antica (fine IV-inizio III sec. a.C.)

La Phiale di Caltavuturo, capolavoro dell’oreficeria antica (fine IV-inizio III sec. a.C.)

LA PHIALE DI CALTAVUTURO “È considerata un capolavoro dell’oreficeria antica , tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C., pregevole per i motivi decorativi e per la tecnica di lavorazione a sbalzo che utilizza la punzonatura, la cesellatura e l’ incisione”, spiegano Alessandra Merra e Valeria Sola, che hanno curato le schede regionali. “La forma della phiale mesomphalos (dal greco antico “coppa, patera umbilicata”) era molto frequente sia nella ceramica che nella oreficeria della Grecia antica. Destinata per lo più alle libagioni e alle offerte per le divinità durante i riti religiosi, talvolta se realizzata in metallo prezioso, confluiva nei tesori dei santuari”. La storia del recupero della phiale è complessa ed affascinante ed emblematica, risultato di laboriose indagini della Magistratura italiana e del Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico. La prima segnalazione della coppa aurea nel 1989 in casa di un collezionista siciliano. Cinque anni dopo fu avviata dalla Procura di Termini Imerese un’indagine su alcune opere d’arte trafugate dal museo della stessa città. “Si appurò che nel 1980 in seguito ad alcuni lavori per la messa in opera di un pilone della rete elettrica era stata rinvenuta una phiale, che clandestinamente fu venduta prima ad un collezionista di Catania e successivamente ad un collezionista di Enna”. Nel 1991 la phiale viene esportata clandestinamente in Svizzera e qui venduta da un antiquario al miliardario statunitense Michel Steinhardt per 1 milione 200mila dollari, che la trasferì a New York. Nel 1995 la procura di Termini Imerese avanzò una richiesta di rogatoria internazionale alla competente autorità giudiziaria di New York, chiedendo la restituzione dell’opera. Venne accertata l’autenticità della phiale sulla base di una perizia archeologica e di analisi di laboratorio. Nel 1999 la coppa fu sequestrata dall’autorità giudiziaria americana e riconsegnata allo Stato italiano.

Il Satiro Danzante, al museo di Marsala, è tra le opere inamovibili

Il Satiro Danzante, al museo di Mazara del Vallo, è tra le opere inamovibili

NUOVA POLITICA CULTURALE: RILANCIO DEI MUSEI Esaurita la stagione dei viaggi all’ estero dei gioielli di famiglia, l’ assessorato ai Beni culturali inaugura una nuova era che prevede la fine dei prestiti delle opere d’ arte e il rilancio dei musei. È questo l’ indotto su cui la Regione punta: creare attorno a una lista di 26 opere “inamovibili” – tra cui le più importanti sono il Giovinetto di Mozia appena riconquistato, la Metope di Selinunte, l’ Ariete in bronzo del Salinas di Palermo, l’ Annunziata di Antonello da Messina, la Phiale aurea di Caltavuturo, la Dea di Morgantina di Aidone, il Satiro Danzante di Mazara del Vallo e il Trionfo della morte di palazzo Abatellis – un circuito museale superqualificato. Il progetto è ambizioso e può contare su un finanziamento di 55 milioni di euro, col programma operativo interregionale 2007-2013. I lavori per rimettere in sesto gli spazi espositivi prevedono illuminazione giorno e notte, percorsi pedonali e sentieri, segnaletica adeguata, aree per la sosta, diffusione sonora, climatizzazione, sistemi di allarme. Insomma, servizi che funzionino a puntino, per attrarre visitatori da un capo all’ altro dell’ Isola i musei all’ altezza. L’accordo è stato firmato nel giugno scorso a Roma dal presidente Rosario Crocetta e il ministro per la Coesione territoriale Carlo Trigilia. E l’assessorato ai Beni culturali, sotto la regia dell’ assessore Mariarita Sglarlata, ha redatto il programma di interventi, finalizzati al lancio dei nuovi “Poli Museali di Eccellenza” (a Palermo, Siracusa, Ragusa e Trapani) e dei siti di maggiore attrazione culturale (musei e aree archeologiche). A Palermo, ad esempio, il polo museale che nascerà mette in rete Palazzo Abatellis, Oratorio dei Bianchi, Museo di Palazzo Riso, palazzo Mirto e palazzo Steri. E ci sono anche 658mila euro per gli itinerari subacquei. Il sogno della Regione è che per l’ Expo 2015 i musei siciliani funzionino da calamita. E che nell’ Isola dove si contano più custodi di musei che visitatori, con una spesa di circa 600 milioni a fronte di incassi che superano di poco i 100 milioni, si possa invertire la tendenza. Il primo piano di interventi conta 18 opere per un valore di 21 milioni. I lavori sono tutti in fase di aggiudicazione e si concluderanno entro il 2015. La seconda fase, che utilizzerà le risorse del Pac (piano di azione e coesione) si concentra sui poli museali di Siracusa, Ragusa e Trapani e prevede 11 interventi per un valore di 33 milioni, con fine dei lavori entro il 2017. Tra i maggiori interventi: l’ area archeologica della Neapolis (9 milioni di euro), Segesta (1 milioni e 600 mila euro), Cava d’ Ispica e Parco della Forza (8 milioni di euro) oltre a interventi nei musei Paolo Orsi e Galleria di Palazzo Bellomo di Siracusa, museo Agostino Pepoli e Baglio Anselmi a Trapani. Ma c’ è, infine, un piano che punta sui piccoli musei per incrementare offerta e incassi. L’assessorato lavora al circuito dei siti minori, da affidare in gestione, attraverso i Comuni, ad associazioni no profit: “Dai Comuni abbiamo ricevuto moltissime richieste. Ci apriremo al volontariato. Abbiamo siglato già le prime convenzioni. Vogliamo riportare alla luce siti del tutto chiusi, come la penisola di Thapsos a Siracusa, o finora aperti in modo discontinuo”.