Ischia (Na). Non solo greci, ma anche fenici e italici popolavano Pithekoussai. Un nuovo studio condotto dal dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, coordinato da Melania Gigante, pubblicato sulla rivista iScience, ha rivelato la natura cosmopolita della comunità di Pithekoussai nell’VIII secolo a.C., a fornendo (grazie allo studio degli isotopi sui resti umani) nuove informazioni sulla mobilità nel Mediterraneo occidentale durante l’Età del Ferro

La prof- Melania Gigante. del dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, coordinatrice dello studio “Where Typhoeus lived: 87Sr/86Sr analysis of human remains in the first Greek site in the Western Mediterranean, Pithekoussai, Italy” (foto dbc-pd)
Non solo greci, ma anche fenici e italici popolavano Pithekoussai, l’odierna Ischia, affacciata sul golfo di Napoli. Un nuovo studio condotto dal dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, pubblicato sulla rivista iScience di marzo 2025 (Where Typhoeus lived: 87Sr/86Sr analysis of human remains in the first Greek site in the Western Mediterranean, Pithekoussai, Italy: vedi https://www.sciencedirect.com/…/pii/S2589004225001877…), ha rivelato la natura cosmopolita della comunità di Pithekoussai, sull’isola di Ischia, nell’VIII secolo a.C. L’analisi isotopica dello stronzio su ossa e denti di oltre 50 individui sepolti nella necropoli di San Montano a Lacco Ameno ha dimostrato che la popolazione era composta da immigrati provenienti da diverse aree del Mediterraneo, tra cui greci, fenici e italici. Non si trattava quindi di una colonia esclusivamente greca, come spesso semplificato nei manuali, ma di un vero emporio multiculturale, caratterizzato da interazioni complesse tra le comunità locali e i nuovi arrivati. Lo studio, coordinato da Melania Gigante del dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova (col contributo di Carmen Esposito, Federico Lugli, Alessandra Sperduti, Teresa Elena Cinquantaquattro, Bruno d’Agostino, Alessia Nava, Wolfgang Müller, Luca Bondioli), ha permesso di ricostruire con un livello di dettaglio mai raggiunto prima le dinamiche della mobilità e le interazioni sociali agli albori della Magna Grecia. Oltre a fornire nuove informazioni sulla mobilità nel Mediterraneo occidentale durante l’Età del Ferro, la ricerca ha testato con successo l’uso dell’analisi isotopica su resti umani rinvenuti in ambienti vulcanici, spesso ostili alla conservazione. Questo approccio interdisciplinare, che combina archeologia, antropologia e scienze biogeochimiche, apre la strada a nuove indagini sulle migrazioni antiche e sull’integrazione culturale nelle prime fasi della storia coloniale mediterranea.

Grafico dello studio degli isotopi dello stronzio sui resti umani della necropoli di Pithecussai pubblicato in “Where Typhoeus lived: 87Sr/86Sr analysis of human remains in the first Greek site in the Western Mediterranean, Pithekoussai, Italy” (foto dbc-pd)
“Il patrimonio archeologico di Pithekoussai – spiegano i ricercatori – offre una visione unica delle dinamiche della mobilità umana e delle interazioni bio-culturali all’alba della Magna Grecia durante il Mediterraneo dell’Età del Ferro. Pithekoussai fu fondata dai Greci sull’isola vulcanica di Ischia nell’Italia meridionale a metà dell’VIII secolo a.C., segnando il primo insediamento greco nel Mediterraneo occidentale. Le prove archeologiche suggeriscono che Pithekoussai fosse un emporio in cui comunità locali, Greci, Fenici e persone della terraferma vivevano insieme e interagivano. Nonostante le sfide poste dall’ambiente di sepoltura vulcanica attiva, che ha influenzato la conservazione dei resti umani, questo studio ha applicato con successo l’analisi degli isotopi di stronzio (87Sr/86Sr) a n = 71 individui inumati e cremati. Integrando biogeochimica e (bio)archeologia, questa ricerca arricchisce la narrazione della mobilità umana fornendo una ricostruzione sfumata delle storie di vita degli individui che hanno partecipato a un momento cruciale nella storia del Mediterraneo che ha plasmato le società all’emergere della Magna Grecia”.

Corredo della tomba 545 dalla necropoli di Pithekoussai al museo Archeologico di Pithecusae: presenti un unguentario fenicio e una coppetta tripode di produzione locale (foto museo lacco ameno)
“La storia dei popoli del Mediterraneo – ricordano nell’Introduzione i ricercatori coordinati da Melania Gigante – è una storia di mobilità e migrazione, di interazioni etniche e interculturali e di interconnessioni e reti marittime. Il commercio marittimo a lunga distanza e lo scambio di materie prime e beni hanno avuto luogo nel mar Mediterraneo fin dalla preistoria. Durante l’Età del Bronzo, la documentazione archeologica dimostra l’esistenza di significativi contatti marittimi tra il mondo egeo e miceneo e l’Occidente. Queste prime spedizioni furono seguite da una mobilità più intensa delle persone durante la prima Età del Ferro fino all’età arcaica. Dal IX al VI secolo a.C., numerosi insediamenti permanenti ed empori (cioè insediamenti commerciali) furono stabiliti lungo le coste della Spagna, dell’Italia e della Sicilia, del Nord Africa, dell’Asia Minore e del Mar Nero. Questi insediamenti facevano parte dei “movimenti di colonizzazione” istigati da coloni greci, fenici e levantini. In particolare, gli oikistes greci (cioè “fondatori di una colonia”) svolsero un ruolo significativo nel sofisticato ed elaborato processo di trasferimento di persone e costumi dalle loro poleis (cioè la città-stato greca) a nuove “colonie” d’oltremare. Queste ultime erano chiamate apoikiai (cioè “un insediamento lontano da casa”) nella storiografia greca antica. L’insediamento di apoikiai greci nelle aree indigene dell’Italia meridionale e della Sicilia portò all’emergere di comunità eterogenee con abitanti nativi, che culminarono nell’intricato fenomeno culturale e storico tradizionalmente denominato Magna Grecia”.
“L’antico sito di Pithekoussai, situato sull’isola di Ischia nel golfo di Napoli – continuano -, rappresenta il caso di studio ideale per una comprensione più approfondita dei primi movimenti greci nell’Età del Ferro nel Mediterraneo occidentale. Sebbene i loro resoconti siano retrospettivi, gli storici antichi Strabone (Geographia, V.4.9, I secolo d.C.) e Livio (Ab Urbe Condita, VIII.22, I secolo d.C.) rimangono le fonti più significative per comprendere l’insediamento greco di Ischia. Pithekoussai fu fondata da greci provenienti da Eubea, un’isola situata a est della penisola attica. Le prove archeologiche, ad esempio la presenza di iscrizioni fenicie e greche, oggetti esotici mescolati a corredi funerari indigeni e diverse usanze funerarie nella necropoli di Pithekoussai, supportano l’idea che Pithekoussai fosse una comunità in cui erano integrati individui con diverse identità culturali ed etniche e diversa provenienza geografica. Secondo gli studiosi, questo sito funzionava come un emporio, catalizzando i contatti tra Greci, Fenici e indigeni delle regioni tirreniche e adriatiche della Penisola, contribuendo alla diffusione della scrittura alfabetica in Occidente, alla conoscenza della poesia omerica e allo scambio di beni di lusso, costumi e pratiche sociali dal Vicino Oriente”.

Corredo della Tomba 944 rinvenuto nella necropoli di S. Montano a Lacco Ameno: disegno pubblicato da Giorgio Buchner, nel 1983 (foto progetto kepos)
Conclusioni. “L’antico sito di Pithekoussai ha svolto un ruolo chiave nella cosiddetta colonizzazione greca dell’VIII secolo del Mediterraneo occidentale. La ricca documentazione archeologica ha rivelato le caratteristiche di una comunità aperta, in cui la cultura materiale e i rituali funerari suggeriscono una società eterogenea caratterizzata dalla coesistenza di individui indigeni, commercianti fenici e popoli italici insieme ai coloni greci. Questo lavoro ha ulteriormente contribuito alla comprensione dell’interconnessione delle società mediterranee durante l’Età del Ferro, fornendo una visione più profonda e sfumata di queste interazioni bio-culturali a Pithekoussai. Nonostante le sfide poste dall’ambiente vulcanico della sepoltura, la combinazione di archeologia, osteologia umana e dati isotopici ha gettato nuova luce sul modello di mobilità umana nel sito nel tempo e in relazione a diverse pratiche funerarie e beni funerari. Infine, questa ricerca ha evidenziato le sfide e i limiti dell’applicazione dell’analisi degli isotopi stabili ai campioni archeologici, incoraggiando al contempo l’impiego dell’analisi degli isotopi 87Sr/86Sr su campioni mineralizzati umani per la provenienza, anche in caso di alterazione tafonomica dei resti umani”.
“Tutte le strade portano a Roma. Il Dna delle ossa svela migrazioni e diversità nell’antica Roma”: lo studio pubblicato su Science. Le ricerche del Dna antico, su 127 individui da 29 siti archeologici, descrivono l’origine, i flussi migratori e i cambiamenti nel corso degli ultimi 12mila anni sino all’epoca moderna

Su Science pubblicato lo studio del Dna antico che ricostruisce 12mila anni di migrazioni verso Roma (foto Muciv)
Duemila anni fa, le strade di Roma brulicavano di persone provenienti da tutto il mondo antico. Le rotte commerciali dell’impero si estendevano dal Nord Africa all’Asia e nuovi immigrati si riversavano ogni giorno, sia per scelta che per forza. Ora, un antico studio sul DNA ha mostrato che connessioni lontane sono state scritte nei genomi dei romani. Inizia così l’articolo di Lizzie Wade pubblicato sul numero di Science “Tutte le strade portano a Roma. Il Dna delle ossa svela migrazioni e diversità nell’antica Roma” del 7 novembre 2019 sulla ricostruzione genetico-storica, cui hanno partecipato anche i ricercatori del Servizio di Bioarcheologia del museo delle Civiltà di Roma-Eur, come spiega la Newsletter del Muciv: migrazioni, diversità e inclusività hanno infatti caratterizzato la millenaria storia di Roma e del suo territorio circostante. Lo studio è stato condotto da un team internazionale composto da genetisti, bioinformatici, antropologi, archeologi e storici, coordinato da ricercatori dell’università di Stanford, dell’università di Vienna e della Sapienza Università di Roma. I dati del Dna antico, su 127 individui da 29 siti archeologici, hanno permesso di descrivere l’origine, i flussi migratori e i cambiamenti – degli antichi Romani e degli abitanti delle regioni italiane limitrofe – nel corso degli ultimi 12mila anni sino all’epoca moderna. Si è ottenuto un quadro che racconta il divenire della Città Eterna da una nuova prospettiva, confermando ma soprattutto arricchendo quanto avevamo appreso dalle fonti, dagli archivi e dalle ricerche archeologiche.
I risultati dall’analisi dei campioni più antichi concordano con quanto già osservato in molte altre regioni europee: circa 8000 anni fa l’area, già popolata da cacciatori-raccoglitori, si arricchisce della presenza di agricoltori di origine mediorientale; successivamente, tra 5mila e 3mila anni fa, vede l’arrivo di popolazioni dalla steppa ucraina. Con la nascita di Roma e il costituirsi dell’Impero Romano, la variabilità genetica cambia e incrementa ulteriormente. Per questo momento, il Dna “legge” arrivi dai diversi territori dell’impero, con una predominanza dalle aree mediterranee e soprattutto dal Vicino Oriente. Gli eventi storici segnati dalla scissione dell’Impero prima e dalla nascita del Sacro Romano Impero comportano un afflusso di ascendenza dall’Europa centrale e settentrionale.
“L’analisi del Dna ha rivelato che, mentre l’Impero Romano si espandeva nel mar Mediterraneo, immigranti dal Vicino Oriente, Europa e Nord Africa si sono stabiliti a Roma, cambiando sensibilmente il volto di una delle prime grandi città del mondo antico”, riporta Pritchard, membro di Stanford Bio-X. “Non ci aspettavamo di trovare una così ampia diversità genetica già al tempo delle origini di Roma, con individui aventi antenati provenienti dal Nord Africa, dal Vicino Oriente e dalle regioni del Mediterraneo europeo”, aggiunge Ron Pinhasi, professore di Antropologia Evolutiva all’università di Vienna e uno dei senior authors insieme a Jonathan Pritchard, professore di Genetica e Biologia all’università di Stanford e ad Alfredo Coppa, professore di Antropologia Fisica della Sapienza Università di Roma. “Per la prima volta uno studio di così grande portata è applicato alla capitale di uno dei i più grandi imperi dell’antichità, Roma, svelando aspetti sconosciuti di una grande civiltà classica”, dichiara Alfredo Coppa. “Assistiamo al coronamento di 30 anni di ricerche del museo sull’Antropologia dei Romani e un nuovo tassello si è aggiunto alla comprensione di quella società così complessa ma per molti versi ancora così misteriosa” aggiungono Alessandra Sperduti e Luca Bondioli del museo delle Civiltà di Roma.
Lo studio su Roma è stato affrontato con le più moderne tecnologie per il Dna antico che questo gruppo di ricerca utilizza da oltre un decennio, allo scopo di chiarire dettagli non leggibili nel record storico, ha affermato Pritchard. “I documenti storici e archeologici ci raccontano molto sulla storia politica e sui contatti di vario genere con luoghi diversi – ad esempio commercio e schiavitù – ma quei documenti forniscono informazioni limitate sulla composizione genetica della popolazione”. “I dati sul DNA antico costituiscono una nuova fonte di informazioni che rispecchia molto bene la storia sociale di individui di Roma nel tempo”, afferma Ron Pinhasi. “Nel nostro studio ci siamo avvalsi della collaborazione e del supporto di un gran numero di archeologi e antropologi che, aprendo per noi i loro archivi, ci hanno permesso di inquadrare e interpretare meglio i risultati “, aggiunge Alfredo Coppa. “Ora è il tempo di affrontare nuovi studi che guardino entro l’Impero Romano all’interazione di gruppi di diversa estrazione sociale, includendo non solo i movimenti di specifici popolazioni da regioni diverse ma anche la mobilità sociale sia nelle provincie sia al centro”, dice Ron Pinhasi. “E, inoltre, a meglio comprendere le relazioni con i popoli pre-romani dell’Italia”, conclude Coppa.









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