A Gerusalemme al Museo dei Rotoli esposta la più antica copia dei Dieci Comandamenti e la Nano Bibbia, la più piccola in ebraico al mondo

Il minuscolo manoscritto dai Rotoli di Qumran con la più antica copia dei 10 Comandamenti in mostra a Gerusalemme
Il più antico e completo documento con una versione integrale dei Dieci comandamenti è eccezionalmente esposto a Gerusalemme nell’ambito della mostra “Una breve storia dell’umanità” che si tiene da maggio 2015 a gennaio 2016 nel museo d’Israele di Gerusalemme per festeggiare insieme con altre mostre il cinquantenario del Museo. Durante l’esposizione, il minuscolo manoscritto di 45,7×7,6 centimetri, che ha oltre duemila anni ed è la più antica copia che sia mai stata ritrovata, scritta in ebraico, del Decalogo contenuto nel libro biblico del Deuteronomio, parte dei famosi Rotoli del Mar Morto (scoperti casualmente, in fasi successive, tra il 1947 ed 1956, vicino alle rovine dell’antico insediamento di Qumran), viene protetto da una teca climatizzata: normalmente il documento è custodito presso le strutture dell’Antiquities Authority israeliana, in condizioni di conservazione particolarmente attente. E qui tornerà entro giugno: la miniatura, dopo neppure un mese di esposizione, verrà infatti sostituita da “un originale su copia” realizzato dalle stesse autorità israeliane che l’hanno in custodia. “Sono più di 20 anni”, spiega Tania Coen Uzielli curatrice dell’evento, “che la copia non viene mostrata in pubblico a causa della sua delicatezza. Ma è conservata benissimo ed è perfettamente leggibile. Direi in maniera stupefacente: come se dovesse giungere per forza fino a noi. In quel manoscritto sono contenute le regole della nostra civiltà, non solo religiose ma morali”.
Della mostra “Breve storia dell’umanita”, ispirata al bestseller di Yuval Noah Harari, fanno parte tutta una serie di oggetti (15) che rappresentano altrettante tappe storiche della civiltà: dai primi segni dell’uso del fuoco circa 800mila anni fa ai primi utensili fatti dall’uomo (tra questi alcuni per la caccia all’elefante), passando attraverso i vari progressi in agricoltura, l’invenzione della scrittura (con tavolette mesopotamiche risalenti a 5mila anni fa), le prime monete fino ai manoscritti di Einstein sulla Relatività.

La Nano Bibbia, che sta sulla punta di un dito, è esposta alla mostra “Breve storia dell’umanità” a Gerusalemme
In concomitanza con le celebrazioni per i 50 anni del Museo – che prevede altre mostre oltre a “Breve storia dell’umanità” – vi sono due speciali esposizioni nello “Shrine of the Book” dove sono appunto conservati i Rotoli del Mar Morto, aperto al pubblico nel mese di aprile 1965, come preludio all’inaugurazione dell’intero campus del Museo. In mostra è un display dedicato che esamina la storia del Santuario stesso. Come contrappunto contemporaneo alla storia antica dei Rotoli del Mar Morto sarà esposto per la prima volta il più piccolo esempio al mondo di Bibbia ebraica, la Nano Bibbia creata dal Russell Berrie Nanotechnology Institute dell’Istituto Technion-Israel of Technology.
“Per la redenzione di Sion, anno quattro” della rivolta antiromana: scoperto in Israele, vicino Gerusalemme, un tesoretto di monete coniate dai ribelli ebrei contro Roma poco prima della distruzione del tempio da parte di Tito

I simboli sacri degli ebrei portati nel trionfo di Tito (rilievo sull’omonimo arco sul Palatino a Roma)
La Palestina fu per molto tempo una spina nel fianco per i romani. Gli ebrei opposero una strenua resistenza alle legioni romane anche con atti di eroismo patriottico, come il sacrificio di Masada, col suicidio collettivo nel 73 d.C. dell’ultima comunità di zeloti che preferirono la morte alla sottomissione alle aquile di Roma, ponendo fine alla prima guerra giudaica. Basta leggere le memorabili pagine che ci ha lasciato lo storico romano di origine ebrea Flavio Giuseppe nel “De bello iudaico” (pubblicata nel 75 d.C.) per capire le problematiche affrontate dai romani in terra di Israele fino alla conquista di Gerusalemme nel 70 d.C. da parte di Tito (allora generale e futuro imperatore) con la distruzione del secondo tempio, e la deportazione a Roma dei due capi della rivolta, Simone e Giovanni, insieme ad altri 700, scelti per statura e prestanza fisica, per essere trascinati in catene nel trionfo insieme ai simboli sacri degli ebrei portati dal generale vittorioso, davanti al padre – l’imperatore Vespasiano – e al fratello Domiziano, come ben descritto nei rilievi dell’arco di Tito, nel frattempo (79 d.C.) divenuto imperatore, innalzato dal Senato alla sua morte (81 d.C.) sulle pendici settentrionali del Palatino nella parte occidentale del Foro di Roma.

L’archeologo Pablo Betzer mostra una delle monete dei ribelli ebrei trovata in un tesoretto all’interno di una giara ad Abu Ghosh vicino Gerusalemme
Ma proprio alla vigilia della presa di Gerusalemme il movimento antiromano era ancora molto attivo tanto da permettersi una propria zecca per finanziare la resistenza bellica. Ne è la prova un piccolo tesoro di monete dei ribelli ebrei contro l’impero romano, coniate pochi mesi prima della caduta di Gerusalemme nel 70 d.C., scoperto durante i lavori per l’ampliamento dell’autostrada che collega Gerusalemme a Tel Aviv. Il team di archeologi della Israel Antiquities Authority, guidati da Pablo Betzer, ha esplorato i resti di un piccolo villaggio ebraico di epoca romana vicino alla moderna città di Abu Ghosh e fra le rovine ha trovato una piccola giara rotta contenente 114 monete di bronzo coperte di verderame. Le monete, scrive Israele.net, sono tutte della stessa grandezza ed età, probabilmente provenienti dalla stessa zecca. Sono tutte contrassegnate con la dicitura “Per la redenzione di Sion” e “Anno quattro”, il che indica che sono state forgiate durante il quarto anno della rivolta contro l’impero romano, ossia tra la primavera del 69 e la primavera del 70 d.C. Sono decorate con le quattro specie bibliche – palma, mirto, cedro e salice – e con un vaso che può simboleggiare i recipienti usati nel Tempio. Le monete saranno ora ripulite e studiate dagli specialisti della Israel Antiquities Authority.
È la prima volta che viene rinvenuta una collezione così grande di monete dei ribelli ebrei, spiega Betzer, sottolineando che la loro identica datazione è assai insolita. “Ci dice che la persona che teneva questo tesoro l’aveva ricevuto in un unico lotto. L’avrà ricevuto dalla dirigenza dei ribelli. Probabilmente lui stesso faceva parte della dirigenza. Forse – ipotizza l’archeologo – erano fondi destinati all’acquisto di armi e provviste per i combattenti ebrei contro le legioni romane. Si tratta di monete coniate pochi mesi prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme”. Infatti alla fine i ribelli non riuscirono a resistere e nell’estate del 70 a.C. i romani schiacciarono la ribellione distruggendo il Tempio di Gerusalemme e massacrando gli abitanti della città. Come molte città e villaggi che non si erano sottomessi all’autorità romana durante e dopo la rivolta, anche il piccolo villaggio di Hirbet Mazruk venne distrutto: il livello della distruzione è riconoscibile nel sito appena sopra quello dove sono state trovate le monete. La Israel Antiquities Authority continuerà a studiare il sito per saperne di più sui villaggi agricoli ebrei al tempo della rivolta antiromana.
Pellegrini “Sulle vie della fede”: in occasione del viaggio-pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa su Tv 2000 il documentario di Alberto Castellani tra storia, tradizione, archeologia e spiritualità
Pellegrini “Sulle vie della fede”. Oggi come ieri. Così nel giorno che Papa Francesco inizia il suo “storico” viaggio in Terra Santa tra Giordania Palestina e Israele, il canale satellitare TV 2000 propone questa sera (sabato 24) e domani sera (domenica 25) alle 21 la serie di documentari “Sulla via della fede”, appunto, prodotta dal regista veneziano Alberto Castellani, attivo nel settore della comunicazione audiovisiva, con particolari interessi su tematiche storiche, archeologiche e multiconfessionali. “Sta scritto – spiega il regista – che ci sono gesti dell’uomo che, in un variare di forme, si ripetono. Testimoniano qualche cosa che perdura, che segna indelebilmente l’ambiente: qualcosa di affermato, sostenuto e trasmesso di generazione in generazione come patrimonio irrinunciabile. Ad essi l’uomo non rinuncia. Perché in essi l’uomo riesce a comprendere sé stesso e vede svelato e realizzato il significato della sua esistenza. Tra questi “gesti” vi è il pellegrinaggio. Che è un viaggio, ma non un viaggio qualunque”. E proprio il viaggio di Papa Francesco ne è una prova tangibile.
“Sulle vie della fede” recupera la dimensione umana e religiosa del pellegrino di ieri e di oggi. È un viaggio percorso ai nostri giorni, per ritrovare lo spirito di ieri: un progetto di vita che attraversa la storia dell’uomo. L’occasione per riscoprire tracce di lontani itinerari, quel che resta di abbazie nascoste, di modesti luoghi di ristoro, di antichi ospedali, di semplici cappelle votive. Per prendere coscienza e idealmente condividere una quotidianità che il pellegrino di un tempo decideva di affrontare con un briciolo di follia. Un cammino quasi sempre ostile per ambienti avversi, variare di stagioni, esplodere di guerre e di epidemie, presenze di briganti o di feudatari dispotici. Vicende in cui possono convivere, come per ogni storia dell’uomo, gioie e dolori, disagi e gratificazioni, coraggio e debolezze, fede e credenze.
“Sulle vie della fede” diventa così un lungo racconto alla scoperta di un fenomeno che affonda le sue radici in quelle della storia più lontana a contatto con i pellegrinaggi dell’Egitto faraonico, della cultura mesopotamica, del popolo di Israele, dei misteri di Atene ed Eleusi, del mondo islamico e dell’estremo oriente, fino alle cronache dei primi pellegrini cristiani che cominciarono a frequentare, già nel terzo secolo, la terra di Palestina dove Gesù visse e svolse il suo ministero di predicazione e di amore. “Ho voluto comprendere – spiega Castellani – il desiderio di conoscenza che spinse la pellegrina Elena, madre dell’imperatore Costantino, a riscoprire i luoghi santi cristiani. Il perché, ad esempio, di quella sete di esperienza che indusse un’altra viaggiatrice, Egeria, ad attraversare le terre del Medio Oriente dal Sinai a Costantinopoli, a Gerusalemme”. Un “andare” destinato a diventare non più episodico ma fenomeno di massa vissuto dal pellegrino medievale.

Il regista Alberto Castellani con il film “Sulle vie della fede” ha ripercorso gli itinerari dei pellegrini
Castellani, per il suo programma, ha coinvolto un pool di esperti. Danilo Mazzoleni, decano del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana in Roma, come consulente soprattutto del pellegrinaggio che ha come itinerario finale Roma. Marina Montesano, docente di Istituzioni medievali e Storia medievale alle università di Genova e S. Raffaele di Milano ha suggerito alla regia itinerari e luoghi che avevano come destinazione Gerusalemme e Santiago di Compostela. Don Gianmatteo Caputo, architetto e consulente per la Cei dell’Ufficio Nazionale dei Beni Culturali nonché direttore Museo Diocesano d’Arte Sacra di Venezia, ha fornito il suo contributo soprattutto per quanto concerne il ruolo di Venezia, scalo fondamentale del pellegrinaggio medioevale. A questi consulenti si sono aggiunti poi i contributi di don Giorgio Maschio, della Facoltà Teologica del Triveneto, e di Maurizio del Maschio, studioso del dialogo interreligioso e conoscitore delle località della Terra Santa, anche quelle meno frequentate, che saranno visitate dalla troupe e di altri esperti appartenenti al mondo ebraico, islamico e dell’estremo oriente. “Roma, Venezia, Gerusalemme e più tardi Santiago di Compostela divengono così tappe codificate per il Cristiano itinerante”, conclude Castellani. “Un’esperienza mantenutasi nei secoli, testimoniata oggi da schiere di fedeli che con altri mezzi ma con simile spirito percorrono le stesse vie: le “vie della fede”, come suggerisce il titolo del programma.
Cosa mangiarono Gesù e gli apostoli nell’Ultima Cena? Una missione italiana di archeologi del cibo in Israele alla ricerca del menù della Pasqua
Cosa mangiarono Gesù e gli apostoli nell’Ultima Cena? L’unica fonte disponibile, i Vangeli, dicono poco o nulla e sono pure in contraddizione. A cercare di scoprirlo sarà una spedizione italiana di “archeologi del cibo” con un’indagine sulle abitudini alimentari che li porterà da Tel Aviv a Gerusalemme nel mese di aprile. Gli studiosi, che lavorano in importanti musei di Torino, sono diventati divulgatori di “Archeoricette” e da due mesi stanno studiano al caso del menu del Cenacolo, incrociando le informazioni delle diverse branche dell’archeologia e tentando di approfondire le conoscenze sull’arte culinaria del tempo di Gesù. “Benché non ci siano testi che lo documentino”, spiegano gli archeologi Generoso Urcioli e Marta Berogno, “l’arte della cucina esisteva ben prima del Medioevo. Ogni civiltà ne ha avuta una”.
Secondo quanto dicono i vangeli sinottici, il giovedì mattina i discepoli si presentarono a Gesù e gli chiesero in quale luogo egli volesse celebrare la Pasqua ebraica. Gesù mandò due discepoli (Luca specifica Pietro e Giovanni) in città dicendo loro che avrebbero incontrato lungo la via un uomo con una brocca d’acqua, diretto verso la casa del suo padrone. I due avrebbero dovuto seguirlo e chiedere al padrone di casa se era possibile per Gesù celebrare la Pasqua nella sua dimora. Il Cenacolo, secondo le ultime ipotesi, andrebbe individuato nella casa del padre, o comunque di qualche parente, di Marco, il futuro evangelista (ritenuto da alcuni come il giovinetto fuggito nudo durante l’arresto di Gesù). Sulla cena, l’Ultima Cena, solo qualche cenno: l’uso di intingere il pane nelle erbe amare (gesto col quale Gesù svelò il traditore Giuda). Poi, mentre la cena andava avanti, senza che gli evangelisti diano particolari indicazioni in merito, Gesù compì un atto alquanto insolito nel rito pasquale. Prese del pane e dopo aver pronunziato la preghiera di benedizione, lo spezzò e dandolo ai discepoli disse: “Prendete e mangiate. Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Poco dopo prese un calice colmo di vino e dopo averlo benedetto allo stesso modo disse: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati”. Così Gesù istituisce il sacramento dell’Eucarestia. In tutti i vangeli canonici, la passione di Gesù avviene in occasione della festa della Pasqua ebraica, la Pesach. Questa festa, che ricordava l’uscita degli Ebrei dall’Egitto narrata nel libro dell’Esodo, prevedeva un giorno di preparazione alla festa, la cena della Pasqua e il giorno di Pasqua. Nel giorno di preparazione della Pasqua, gli Ebrei portavano un agnello al Tempio (o più frequentemente lo acquistavano lì) per farlo sacrificare, poi tornavano a casa e preparavano una cena particolare carica di simboli collegati all’esodo (carne di agnello, erbe amare per ricordare la schiavitù in Egitto, pane azzimo per ricordare la fretta nell’uscita dall’Egitto, e diverse coppe di vino rituali). Giunto il tramonto, che secondo la tradizione in vigore presso gli Ebrei indicava l’inizio del giorno di Pasqua, si consumava il pasto pasquale. In Marco si dice chiaramente che le preparazioni per l’ultima cena avvennero il giorno prima di Pesach, e che si trattava della cena di Pesach, che viene consumata alla sera, quando è iniziato il giorno della Pesach. In Giovanni si dice esplicitamente che il pasto consumato è quello prima della festa di Pesach e che il pasto di Pesach deve essere ancora consumato; inoltre si narra che coloro che arrestarono Gesù non vollero entrare nel pretorio di Pilato per non diventare ritualmente impuri e poter quindi mangiare il pasto di Pesach, e poi si dice esplicitamente che il giorno della morte di Gesù “era la Preparazione della Pasqua”.
Come si vede, gli elementi forniti dalle fonti – i Vangeli – sono alquanto modesti e generici. Per questo l’indagine sui cibi portati in tavola all’Ultima Cena portata avanti dai nostri “archeologi del cibo” non potrà che iniziare da piatti palestinesi dei nostri giorni, come Sabich, Chamin, Shakshouka o Rugelach per cercare di scoprire gli omologhi antichi. Nello studio degli archeologi del cibo ci sono comunque alcune certezze: una – spiegano – è che “Gesù e i suoi erano Ebrei e seguivano la tradizione”, l’altra che “il Cristianesimo è l’unica religione monoteista che non ha divieti alimentari”. Ma sono tanti i misteri culinari irrisolti: “Potrebbero avere compiuto – sottolineano i ricercatori torinesi – un atto rivoluzionario abbattendo le prescrizioni che il popolo eletto di Israele aveva introdotto per distinguersi dagli altri popoli del Vicino Oriente”. Per rispondere a questi dubbi Urcioli e Berogno hanno programmato una missione in Israele e Palestina, proprio nel periodo pasquale, accompagnati da una giornalista e fotografa, Sarah Scaparone. Per sostenere la ricerca che, al momento, non ha finanziamenti di alcun tipo, hanno aperto una pagina per il crowdfunding (www.ndiegogo.com/projects/ultima-cena).
Scoperto a Gerusalemme edificio del periodo degli Asmonei (II-I sec. a.C.): è il primo
Prende forma la Gerusalemme del periodo asmoneo, quella che finora si conosceva solo attraverso le opere dello storico Giuseppe Flavio. Gli archeologi israeliani, della Israel Antiquities Authority, durante i lavori al parcheggio Giv‘ati, nella “Città di David”, non lontano dalla Città Vecchia di Gerusalemme, hanno riportato alla luce i resti di un antico edificio risalente al periodo asmoneo (II e I secolo a.C.). A Gerusalemme è la prima testimonianza di architetture degli Asmonei, la dinastia fondata da Simone Maccabeo che segnò l’inizio del regno di Giudea a partire dal 140 a.C., e mantenne il potere civile e religioso fino alla conquista romana, nel 37 a.C. quando alla guida del governo della regione fu posto Erode il Grande. I Maccabei, che essendo una famiglia di sacerdoti non discendevano idealmente dalla casa di David, non avevano potuto vantare un effettivo diritto al potere regale e per questo il loro regno venne messo in pericolo dall’opposizione dei Farisei, e il Talmud – testo sacro dell’Ebraismo – li ricorda appena. Per avere notizie della loro ascesa bisogna affidarsi alle informazioni riportate dalla Bibbia (libri I e II dei Maccabei) dove i sovrani asmonei, che ressero il Regno di Giudea fino alla metà del I sec. a.C., sono ricordati soprattutto per aver restaurato le istituzioni politiche e religiose dell’antico Israele.
“L’importanza di questa scoperta”, confermano Doron Ben Ami e Yana Tchekhanovets, direttori degli scavi per conto della Israel Antiquities Authority, “è innanzitutto dovuta alla scarsità di costruzioni della Gerusalemme asmonea finora emersa nelle ricerche archeologiche, malgrado tutti gli scavi condotti. A parte alcuni resti di fortificazioni cittadine scoperti in varie parti di Gerusalemme, il vasellame e altri piccoli oggetti, finora non era mai stato trovato nessuno edificio che caratterizzava la Gerusalemme asmonea: questa scoperta colma una sorta di lacuna nella sequenza della storia dell’abitato di Gerusalemme. Così la città asmonea, che ci era già ben nota dalle descrizioni storiche che appaiono nelle opere di Giuseppe Flavio, ha improvvisamente assunto un’espressione tangibile”.
Non è la prima volta che gli scritti di Giuseppe Flavio, scrittore storico politico e militare romano di origine ebraica, trovano riscontri archeologici. E che proprio Giuseppe Flavio avesse parlato degli edifici asmonei non stupisce, lui nato nel primo anno del regno di Caligola (37-38 d.C.) da una famiglia della nobiltà sacerdotale imparentata proprio con la dinastia degli Asmonei. Il suo nome ebraico era Giuseppe figlio di Mattia mentre il nome romano Flavio fu assunto in seguito, al momento dell’affrancamento e conferimento della cittadinanza da parte dell’imperatore Tito Flavio Vespasiano.
L’edificio asmoneo scoperto dagli archeologi si estende su circa 64 mq, per un’altezza fino a 4-5 metri. Si tratta forse dei resti di un forte, che ha restituito vasellame e monete. Le larghe mura della costruzione (spesse più di un metro) sono costituite da blocchi di calcare grossolanamente sbozzati, sistemati fra loro secondo un metodo caratteristico del periodo asmoneo. Benché all’interno della costruzione siano stati rinvenuti parecchi vasi di terracotta, ciò che più ha sorpreso i ricercatori sono state le antiche monete risalenti all’epoca di Antioco III e IV, alcune con il nome di Alessandro Ianneo scritto in greco antico. Ciò conferma che la struttura venne eretta all’inizio del II secolo ed è poi continuata nel periodo asmoneo, durante il quale vennero apportati vari cambiamenti.
Pellegrinaggio di pace in Iraq: viaggio di fede tra archeologia e religione
Sarà un pellegrinaggio di pace nel cuore antico dell’Iraq. Lì dove ancora si spara e si muore l’Opera Romana Pellegrinaggi con il suo vicepresidente e amministratore delegato mons. Liberio Andreatta a guidare una delegazione di sacerdoti, giornalisti, archeologi (tra cui Massimo Vidale che in Iraq – in particolare a Ur – ha condotto più di una campagna di scavo) e personale dell’Orp da oggi, giovedì 12 dicembre, al 19 porta in Iraq un “gesto profetico”, tradizionale iniziativa proprio dell’Opera Pellegrinaggi Romana iniziata nel 1991 e da allora sempre benedetta dal Santo Padre. “Il gesto profetico è un gesto simbolico. Si chiama “profetico” perché richiama i segni biblici, i segni che Dio ha compiuto per la salvezza dell’uomo e li ripropone nel tempo” spiega monsignor Andreatta che ha portato a Papa Francesco gli oggetti che materialmente verranno portati in Iraq come dono agli “uomini di buona volontà” di quella terra dilaniata da così tanti anni di guerra, di sofferenza e di dolore. “Il Gesto profetico in Iraq, il primo dopo un’interruzione di alcuni anni”, continua mons. Andreatta, “nasce nel segno del beato pontefice polacco: una reliquia di Giovanni Paolo II, un frammento della veste, intrisa di sangue, che indossava il giorno dell’attentato del 13 maggio 1981, verrà portata in pellegrinaggio in quella terra che Papa Wojtyła volle così intensamente visitare ma che non poté raggiungere per le note vicende belliche”.
La delegazione, guidata da monsignor Andreatta, durante il suo pellegrinaggio raggiungerà l’area di Thi Qar a Nassiriya. Ad Ur raggiungerà i luoghi di Abramo, e visiterà la sua abitazione. Visiterà poi la Ziggurat, un monumento religioso, la cui edificazione risale a più di 4000 anni fa, e contemporaneamente anche osservatorio astronomico. Tra gli altri monumenti dell’antica città di Ur ricordiamo il tempio di Dub-Lal-Makh, la “Casa delle tavolette”, il cui arco di ingresso viene da molti ritenuto come il più antico esemplare della storia umana e il palazzo del Re Shulki, centro amministrativo dell’intero nucleo urbano. I pellegrini attraverseranno la zona delle paludi, la zona delle “Marshland”, un ambiente naturale di meravigliosa bellezza la cui superficie tocca tre regioni del sud dell’Iraq: Thi-Qar , Missan e Bassora.
Gli abitanti delle paludi dell’Iraq meridionale rappresentano i discendenti diretti dell’antico popolo sumero e vivono in piccoli centri abitativi costituiti principalmente da particolarissime case galleggianti spesso raggiungibili esclusivamente in barca. Verrà raggiunto il Gennat Adan, il Giardino dell’Eden, luogo citato nel testo biblico e presente anche nella mitologia sumera. Nell’area di Babilonia verrà visitato il Santuario del profeta Ezechiele, citato nel testo coranico col nome di Zulkifli, luogo sacro sia per la comunità musulmana sia per quella ebraica e la stessa città di Babilonia, fondata sulle sponde del fiume Eufrate. Visiteranno la Moschea dell’Imām Alī nella città di Najaf, considerata dall’intera comunità sciita come il terzo luogo santo dell’Islam. Nella città di Karbala, a circa 100 km a sud-ovest di Baghdad, si trova uno dei grandi santuari sciiti: è quello dell’Imam Hussain, terzo Imam della Comunità Sciita. Infine a Baghdad avverrà l’incontro con le Comunità Cristiane.
L’Opera Romana Pellegrinaggi sta portando con sé dei doni che sono stati benedetti da Papa Francesco prima dell’Udienza generale del 4 dicembre scorso quando il Santo Padre ha voluto incontrare e salutare tutti i membri della delegazione. I doni sono: una statua di Giovanni Paolo II che verrà lasciata alla Cattedrale Caldea; il Reliquiario con la reliquia di Giovanni Paolo II per la Cattedrale Siro-Cattolica; l’Icona Processionale che verrà donata alla Cattedrale Armena e infine una Lampada della pace che verrà lasciata alla Cattedrale Latina. La statua del beato, realizzata da Demetz Art Studio Val Gardena, è in vetroresina bronzata ed è alta circa un metro e mezzo: la medesima statua è stata inaugurata e benedetta nella città di Santa Clara a Cuba dal Cardinal Tarcisio Bertone in occasione del decimo anniversario del viaggio apostolico del Santo Padre nella nazione latino americana.
Il reliquiario di ottone dorato, che contiene una piccola porzione della veste, intrisa di sangue, che Giovanni Paolo II portava il giorno dell’attentato in Piazza S. Pietro il 13 maggio 1981, ha pareti esterne di colore rosso su cui sono posti gli stemmi di Giovanni Paolo II e di Papa Francesco ed è rivestito all’interno con stoffa in raso di colore bianco. La lampada della pace, scultura alta oltre mezzo metro, è opera dello scultore Andrea Trisciuzzi realizzata in bronzo, argento e con base in legno di olivo. L’opera è stata realizzata in quattro esemplari di cui i primi tre sono stati collocati a Gerusalemme, nella Basilica del Santo Sepolcro, a Nazareth nella Basilica dell’Annunciazione, a Betlemme, nella Basilica della Natività. “La lampada della Pace” portata in Iraq è il quarto esemplare che è stato custodito a Roma nella Chiesa di S. Giovanni della Pigna in attesa di essere portata a Bagdad. La lampada della Pace è stata benedetta da Giovanni Paolo II l’11 febbraio del 2001 in occasione della Giornata dell’ammalato in Basilica di S. Pietro.
L’icona Processionale, realizzata da Maria Teresita Ferrari Donadei, rappresenta da un lato il Cristo Pantocratore ed è tela su tavola rotonda: “Ecco viene sulle nubi e ognuno lo vedrà” (Apocalisse 1,17). Il dipinto rappresenta il Pantokrator nella gloria angelica. La gerarchia degli angeli è suddivisa in tre triadi a loro volta suddivise in tre cori, complessivamente in nove cori. Nell’Icona Madonna della Passione, Maria guarda il figlio con mestizia profetica mentre gli angeli mostrano gli strumenti della passione. Il Figlio, con moto improvviso e spaventato, perde il sandalo e rivolge alla madre uno sguardo interrogativo sfiorandola quasi a consolarla per il grande dolore che proverà. La foggia è medievale: si tratta di una tempera all’uovo su tavola di tiglio, senza giunture, preparata con imprimitura ed eseguita secondo le antiche tecniche tradizionali del due – trecento toscano. La doratura è in oro zecchino brunito, il manto del Cristo è stato dipinto col blu di lapislazzuli.
Monsignor Andreatta guiderà il pellegrinaggio nella Terra di Abramo in sintonia con le parole che Papa Francesco ha pronunciato al termine dell’Udienza Generale del 30 ottobre 2013: “Vi invito a pregare per la cara nazione irachena purtroppo colpita quotidianamente da tragici episodi di violenza perché trovi la strada della riconciliazione, della pace, dell’unità e della stabilità”.
Gerusalemme, scoperta ciotola con iscrizione
Citato un personaggio di 2700 anni fa
Quando quella semplice ciotola in argilla fu realizzata dal maestro vasaio a Gerusalemme il Tempio di re Salomone o Primo Tempio non era ancora stato distrutto per mano di Nabucodonosor II: sarebbe successo almeno un secolo dopo, nel 586 a.C. Ne sono convinti gli archeologi Joe Uziel e Nahshon Zanton della Israel Antiquities Authority nell’area della sorgente Gihon, che ha condotto scavi archeologici, all’interno del Parco Nazionale delle Mura che circonda la vecchia Gerusalemme, portando alla luce uno strato di preziosi reperti che comprendono migliaia di frammenti di vasellame, lampade d’argilla e figurine, tra cui una ciotola in creta con un’iscrizione in ebraico antico, di almeno 2700 anni fa, parzialmente conservata. Ne dà notizia il sito Israele.net.
È proprio l’iscrizione che ci permette di datare il prezioso reperto: vi si legge infatti il nome di un personaggio del VII secolo a.C. simile ad altri nomi noti dalle testimonianze bibliche ed archeologiche, offrendo un raro collegamento con la popolazione che viveva a Gerusalemme alla fine del periodo del Primo Tempio. Il nome più simile a quello dell’iscrizione è Zaccaria, figlio di Benaiah, padre del profeta Jahaziel. Il nome Zaccaria figlio di Benaiah appare nel libro biblico delle Cronache dove si dice che Jahaziel, figlio di Zaccaria, figlio di Benaiah, un levita dei figli di Asaf, profetizzava davanti al re Giosafat prima che la nazione entrasse in guerra con gli antichi regni di Ammon e Moab.
Le lettere inscritte sul frammento risalgono probabilmente ai secoli VIII-VII a.C., il che situerebbe la produzione della ciotola in un periodo tra il regno di Ezechia e la distruzione di Gerusalemme sotto il re Zedechia. Gli archeologi hanno spiegato inoltre che l’iscrizione era stata incisa sulla ciotola prima della
cottura, il che indica che l’iscrizione adornava il bordo della ciotola per intero, e che non è stata scritta su un frammento dopo la rottura della ciotola. Benché lo scopo dell’iscrizione sulla ciotola non sia chiaro, gli archeologi hanno ipotizzato che la ciotola possa aver contenuto un’offerta probabilmente fatta dall’individuo il cui nome è inciso, oppure a lui donata.
Commenti recenti