Roma. Quinto appuntamento con “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”: la giovane cantante romana Claire Audrin col singolo D-Dance un-plugged in una passeggiata lungo il sentiero meridionale del Palatino, un percorso verde e in piena fioritura primaverile, con l’archeologo Andrea Schiappelli e la speaker Carolina Di Domenico

Quinto appuntamento, come annunciato, di “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” con Claire Audrin, vincitrice di Lazio Sound 2020, iniziativa della Regione Lazio a supporto dei giovani talenti musicali, insieme alla speaker Carolina Di Domenico e all’archeologo del PArCo Andrea Schiappelli, lungo il sentiero meridionale del Palatino, un percorso verde e in piena fioritura primaverile. “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” è un progetto del Servizio Comunicazione del PArCo (responsabile Federica Rinaldi), ideato e curato da Andrea Schiappelli (PArCo), con Elisa Cella (PArCo), Andrea Lai e Roberto Testarmata; produzione audio e video Pop Up Live Session; social-media manager: Astrid D’Eredità con Francesca Quaratino (PArCo).
L’ospite di Star Walks, Claire Audrin, è una giovane cantante romana vincitrice assoluta di LAZIOSound Scouting 2020 con il singolo D-Dance, brano che viene eseguito in versione unplugged nella live session alle pendici nord-ovest del colle Palatino. Di qui, la passeggiata insieme alla speaker Carolina Di Domenico – che fa l’intervista – e all’archeologo Andrea Schiappelli – che illustra le bellezze toccate – prosegue lungo il sentiero meridionale alla base dell’altura, un percorso verde e in piena fioritura primaverile sotteso -in perfetta sequenza cronologica- tra le capanne delle origini alle arcate del III sec. d.C. “È un percorso di grande suggestione – spiega Schiappelli – perché è il percorso più verde del parco, immerso in una vegetazione ancora spontanea, che abbiamo rispettato. Questo percorso primaverile sembra ispirato dalla musica di Audrin, che abbiamo sentito e ci ha fatto dire secondo noi questo percorso verde è perfetto per Claire”. Il percorso raggiunge una radura, a pochi metri, più in basso, dalle prime capanne di Romolo, il primo villaggio dell’età del Ferro. “Dopo secoli, Augusto ha voluto costruire la sua casa di rappresentanza, anche con una parte privata. E l’ha voluta proprio costruire accanto alla capanna di Romolo che veniva conservata come monumento nazionale da molto tempo”. Si arriva poi davanti al Paedagogium, la scuola di alta formazione per la servitù dei palazzi imperiali. Praticamente una sorta di college in cui gli schiavi, già selezionati, venivano formati per lavorare nei palazzi che si trovano sopra il colle. Sugli intonaci che rivestivano le pareti delle stanze gli archeologi hanno trovato diverse scritte, diversi graffiti fatti dagli schiavi stessi. “Il più importante, il più famoso di tutti – ricorda Schiappelli – è quello riprodotto su un pannello all’esterno del monumento, mentre l’originale è conservato al museo Palatino. Si vede una persona in tunica, con la testa d’asino, crocifissa, e un altro personaggio in piedi e sempre in tunica che lo apostrofa. Probabilmente questo schiavo di un’altra religione, forse un pagano, sta beffeggiando Alexàmenos che adora il suo dio”. In questi bellissimi prati il PArCo organizza delle cacce al tesoro con i bambini, alla base dei palazzi imperiali che sono una delle grandi manifestazioni del genio dell’architettura romana. Alla fine del percorso alle pendici meridionali sono state piantate delle essenze che hanno dei poteri di assorbimento sia del particolato, dello smog, sia quando saranno più grandi anche acustico. “Quindi una barriera ecologica a protezione di questo versante del Parco”.
Roma. Prime tre dirette dal cantiere di restauro dell’Arco di Costantino con le archeologhe Francesca Rinaldi ed Elisa Cella del Parco archeologico del Colosseo: la topografia del monumento e l’apparato figurativo dall’attico ai tondi adrianei al fregio costantiniano

In occasione dei recenti lavori di manutenzione straordinaria in corso sul lato Nord dell’Arco di Costantino, il Parco archeologico del Colosseo riprende le dirette dal cantiere sulle proprie pagine Facebook. Dedicato dal Senato e dal popolo romano dopo la vittoriosa battaglia del Ponte Milvio sul rivale Massenzio e inaugurato nel 315 in occasione dei Decennalia dell’imperatore (dieci anni di regno), l’arco sarà nei prossimi mesi oggetto di un intervento di manutenzione che consiste nella verifica dello stato di conservazione, nella rimozione delle piante infestanti e nella pulitura delle superfici.
Prima parte: l’attico. Con le funzionarie archeologhe Federica Rinaldi ed Elisa Cella che introducono il ciclo di dirette dedicato a questo restauro si sale sui ponteggi del cantiere di restauro dell’Arco di Costantino a visitare l’attico: a quasi 20 metri di altezza ci troviamo accanto alle maestose statue dei Daci che decorano l’attico, 4 per ognuno dei due fronti. Tema di oggi è la topografia del monumento, l’apparato figurativo che si snoda per 21 metri di altezza: l’arco di Costantino è il più grande e imponente tra quelli che celebrano a Roma le gesta di imperatori vittoriosi. “Guardando la planimetria”, spiegano le due archeologhe, “vediamo che l’arco di Costantino veniva a collocarsi a uno dei quattro vertici della Roma quadrata nel punto di congiunzione tra la Regio II, la Regio III, la Regio IV e la Regio VII. L’arco – come sappiamo – fu dedicato dal Senato e dal Popolo romano in occasione della battaglia dell’imperatore Costantino a Ponte Milvio contro Massenzio, nel 315 in occasione dei Decennalia dell’imperatore Costantino. La grande iscrizione recita proprio la dedica del Senato e del Popolo romano all’imperatore Costantino. Ma c’è una particolarità che ha sempre interessato gli studiosi, ovvero questa ispirazione della divinità. Si legge bene INSTINCTV DIVINITATIS, “per impulso, sollecitazione divina”. Ma di quale divinità si parla? La domanda è lecita visto il contributo di Costantino alla possibilità di culto della religione cristiana. E quindi c’è chi ha voluto vedere in questa affermazione una velata anticipazione di quella che sarebbe stata una reale apertura a questa religione. In realtà va detto che non abbiamo elementi per corroborare questa visione. Al contrario, il programma figurativo ricorda spesso immagini di sacrificio a divinità pagane, come il Sole e la Luna nelle figure di Apollo e Diana, che si trovano sui lati Est e Ovest dell’arco, proprio nei medaglioni realizzati in età costantiniana. I fori che rimangono sul solco dell’iscrizione confermano l’alloggiamento delle lettere in bronzo che permettevano di leggere anche a 20 metri di distanza questa iscrizione monumentale. Tutto il programma figurativo dell’arco di Costantino nasce dal recupero di marmi e rilievi di epoca precedente e segue con molta attenzione la distribuzione di queste immagini a seconda che le scene siano in contesti di battaglia o di sottomissioni di barbari rispetto invece a contesti molto più adatti all’ambiente cittadino come le orationes, le scene di distribuzione di donativi. L’arco nasce come un recupero, un reimpiego di materiali, marmi e rilievi di epoche precedenti: Traiano (i Daci), Adriano (i tondi), Marco Aurelio (i rilievi ai lati della grande iscrizione) e Costantino (plinti delle colonne e grande fregio storico che abbraccia tutti e quattro i lati del monumento con il racconto della partenza da Milano, dell’assedio di Verona, della battaglia di Ponte Milvio, l’ingresso a Roma e la grande scena di oratione sulla piazza del Foro). Le grandi statue dei Daci sono poste in linea con le colonne che affiancano i fornici, creando un vero e proprio ritmo delle facciate quadripartite nel senso della lunghezza. La policromia era assicurata dal gran numero di marmi usati (giallo antico delle colonne, cipollino delle basi, pavonazzetto dei Daci, che però hanno testa e mani di materiali diversi). E c’è anche il porfido rosso. I rilievi di Marco Aurelio provengono da un edificio che lo celebrava come imperatore: hanno uno stile ben diverso da quello dell’epoca traianea. E a loro volta sono diversi dai successivi di età adrianea. Su questo arco abbiamo in qualche modo un’enciclopedia del rilievo storico romano muovendoci nei vari livelli del monumento”.
Seconda parte: i tondi adrianei. Prosegue la visita al cantiere dell’Arco di Costantino con le funzionarie archeologhe Federica Rinaldi ed Elisa Cella. Ci troviamo a circa 10 metri di altezza per guardare da molto vicino i celebri tondi dell’epoca di Adriano, modificati e riutilizzati nel nuovo monumento. In particolare, ci soffermiamo sui volti rimodellati a somiglianza di Costantino, con il nimbo a connotarne la maestà imperiale. “Ci siamo salutati poco fa parlando della policromia, del trionfo di marmi colorati di natura diversa che adornano o fanno parte costituente di questo arco”, riprendono il discorso le archeologhe del PArCo. “Due livelli più in basso dell’iscrizione monumentale e i Daci, si vedono le colonne rudentate in giallo numidico e, tra i due tondi, un frammento di porfido rosso che in origine andava a inquadrare e quindi a far meglio risaltare i due tondi di età adrianea ascrivibili a un monumento che non è ancora stato ben identificato. L’arco di Costantino non è solo un museo all’aperto per il rilievo storico, ma pone anche tantissime domande alle quali archeologi e restauratori cercano di dare risposta grazie agli interventi in atto. I tondi adrianei sono otto in tutto, quattro sul lato Sud e quattro sul lato Nord. Presentano due tipi di raffigurazioni: la scena di caccia e la scena di sacrificio. Da una parte l’imperatore nella sua condizione eroica raffigurato nel momento dell’uccisione del cinghiale o del leone, dall’altro l’imperatore che mostra la propria pietas nei confronti delle divinità, divinità ancora una volta campestri come Silvano o Diana, o divinità più urbane come è il caso di Apollo o Ercole. Sul lato Nord, la prima coppia di tondi ha da un lato la scena di caccia al cinghiale e dall’altro la scena di pietas nei confronti di Apollo. I volti sono rilavorati. In quello dell’imperatore Costantino o del collega di governo l’imperatore Licinio. Avvicinandosi ai personaggi si vede un’incisione, un’aureola, che conferma quella che era ormai un’acclarata divinizzazione dell’imperatore. Sono passati secoli rispetto al modo di rappresentare – appunto all’inizio dell’impero – il capo come primus inter pares. All’epoca di Costantino ormai è chiaro che c’è un aspetto divino che viene esaltato. Questa semplicissima incisione è il segno di un’ideologia ben chiara e condivisa. L’altra coppia di tondi, sempre sul lato Nord: in uno la scena di caccia con a terra il leone, che ha la testa schiacciata sotto i piedi; nell’altro la scena di pietas nei confronti di Ercole. Qui il porfido rosso si è conservato molto di più e l’effetto cromatico col marmo bianco è molto più evidente. Passando sul fianco Ovest, si apprezza quella che è la resa della plastica costantiniana. Qui c’è un tondo di età costantiniana che presenta Diana nelle vesti della Luna nell’atto di immergersi nell’Oceano, contrapposta ad Apollo-Sole che si vede sul fianco Est, e corrisponde nel livello sottostante all’ingresso di Costantino a Roma. Tra i tondi adrianei e questo costantiniano ci sono trecento anni, ma il programma figurativo dell’arco è riuscito ad armonizzarli”.
Terza parte: il fregio costantiniano. Ultima tappa (per oggi) della visita al cantiere di restauro dell’Arco di Costantino con le funzionarie archeologhe Federica Rinaldi ed Elisa Cella. Osserviamo da vicino i fregi di epoca costantiniana sui lati Nord e Ovest del monumento. Al primo livello del lato Nord c’è la conclusione vittoriosa dell’imperatore Costantino sul rivale Massenzio. “Questo monumento – riprendono Federica Rinaldi ed Elisa Cella – non celebra una vittoria contro un nemico barbaro ma contro un altro imperatore. E questo, anche dal punto di vista dell’ideologia, è un aspetto che non possiamo non considerare. Sul lato Nord c’è una scena di adlocutio, cioè di orazione dell’imperatore nei confronti dei propri sudditi. Si capisce dove è ambientata questa scena perché si possono riconoscere alcuni monumenti alle spalle dei personaggi: a sinistra le arcate della basilica Iulia, l’arco di Tiberio, le basi dei Decennalia e le tre arcate del grande arco di Settimio Severo, che è stato fonte di ispirazione per l’arco di Costantino. Quindi siamo sulla tribuna dei rostra nel Foro romano. Qui il rilievo storico è ormai fortemente tardoantico. Le figure sono statiche, fisse. Si è persa quell’armonia o accenno al movimento che è tipico del classicismo, che caratterizzava anche e soprattutto i rilievi di Marco Aurelio. La differenza è lampante. C’è però un altro elemento interessante che riguarda da una parte le dimensioni dei personaggi che sono raffigurati e dall’altra la prospettiva che di fatto viene a mancare. La rappresentazione è frontale. Addirittura l’imperatore al centro della rappresentazione ha ai lati, a destra e a sinistra, quei personaggi che nella realtà sono davanti a lui, di fronte alla tribuna dei rostra. Ne esce una rappresentazione quasi coloristica di quello che era il Foro all’epoca di Costantino. Nella seconda parte del fregio, al di là del fornice centrale, c’è la scena del Congiarium, quando cioè l’imperatore nella sua munificenza distribuisce donativi alla popolazione. In questo fregio sono state individuate ben cinque diverse dimensioni, cinque diverse altezze a seconda del rango e del ruolo che i personaggi raffigurati, dal popolo che riceve donativi all’imperatore stesso, rivestono. Ed è evidente che anche questa è una concezione all’opposto rispetto alla rappresentazione naturalistica. C’è un messaggio molto chiaro: una rappresentazione gerarchica dei personaggi che diventerà un leit motiv dell’arte tardoantica che ci accompagnerà poi nell’Alto Medioevo. Quelle del lato Nord sono le ultime due puntate del lungo racconto della guerra contro Massenzio. Il fregio inizia sul lato corto Ovest con la partenza di Costantino da Milano. Questo è il momento in cui inizia la riunificazione dell’impero, in cui Costantino determinato ma ancora inconsapevole di quelle che saranno le sue sorti comincia a confrontarsi con Massenzio”.
Passeggiata dantesca nel Parco archeologico del Colosseo: il pubblico è accompagnato on line per dodici puntate a riconoscere i luoghi del PArCo attraverso le parole del sommo poeta. Si inizia col Dantedì

In occasione del secondo Dantedì – giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri – il parco archeologico del Colosseo accoglie l’invito del ministero della Cultura e, nel 700.mo anniversario della morte del Sommo Poeta, propone una passeggiata che ripercorre la storia del PArCo attraverso le terzine dantesche che hanno narrato alcune delle vicende della storia di Roma, dalle origini alla fine dell’impero. Foro Romano, Palatino e Fori imperiali conservano oggi le testimonianze tangibili e monumentali dell’esistenza di personaggi storici a cui Dante ha dato voce nelle cantiche della Divina Commedia, assieme alle divinità pagane venerate nei templi dell’area archeologica centrale. Il pubblico verrà guidato a riscoprire, leggendo le terzine dantesche, le vicende di Enea e del Palladio, il pastore Caco, l’evoluzione del potere attraverso Cesare, il princeps Augusto e Giustiniano, l’umiltà di Traiano davanti a una vedova, fino ad arrivare all’essenza della fede e alla figura di San Pietro, e alle tante divinità tutelari che da sempre hanno popolato il Pantheon romano. Ad accompagnare il pubblico ci saranno le voci narranti di attori che hanno generosamente dato la loro disponibilità a prendere parte all’iniziativa, ideata e curata dalle funzionarie archeologhe Elisa Cella e Federica Rinaldi. Ad aprire il percorso sarà Massimo Ghini, seguito da Giandomenico Cupaiuolo, Giuseppe Cederna e Rosa Diletta Rossi. Le loro voci accompagneranno per dodici puntate il pubblico, portandolo a riconoscere i luoghi del PArCo attraverso le parole del sommo poeta di Firenze. Primo appuntamento (doppio) con le passeggiate dantesche giovedì 25 marzo 2021, alle 21.04, online sugli account social del PArCo: “Introduzione | Paradiso, Canto II, 1-9” con Massimo Ghini, e “Caco, il pastore | Inferno, Canto XXV, 16-33” e con Giuseppe Cederna; 1° aprile 2021, “Enea | Inferno, Canto II, 10-36” con Giandomenico Cupaiuolo; 8 aprile 2021, “Catone l’Uticense | Purgatorio, Canto I, 28-93” con Giuseppe Cederna; 15 aprile 2021, “Cesare | Paradiso, Canto VI, 34-72” con Giandomenico Cupaiuolo; 22 aprile 2021, “Virgilio | Inferno, Canto I, 61-75” con Giandomenico Cupaiuolo; 29 aprile 2021, “Orazio, Ovidio e Lucano | Inferno, Canto IV, 73-102” con Rosa Diletta Rossi; 6 maggio 2021, “Traiano | Purgatorio, Canto X, 70-93” con Giuseppe Cederna; 13 maggio 2021, “Giustiniano | Paradiso, Canto VI, 1-27” con Massimo Ghini; 20 maggio 2021, “Apollo | Paradiso, Canto I, 13-36” con Rosa Diletta Rossi; 27 maggio 2021, “Venere | Paradiso, Canto VIII, 1-39” con Rosa Diletta Rossi; 3 giugno 2021, “San Pietro | Paradiso, Canto XXIV, 52-75” con Massimo Ghini.
“Storie dal Colosseo. Lezioni di Epigrafia”. Nel secondo di quattro appuntamenti con l’epigrafista Silvia Orlandi scopriamo le iscrizioni che ci raccontano come era organizzata la disposizione del pubblico nella cavea e come passava il tempo tra uno spettacolo e l’altro

Sul lato orientale del Colosseo, negli anni Trenta del secolo scorso, fu ricostruita una porzione della cavea dell’Anfiteatro dove il pubblico sedeva per assistere alle lunghe giornate di spettacoli, tra cacce esotiche e combattimenti gladiatorii. La ricostruzione, anche se non del tutto conforme, evoca e suggerisce le modalità di occupazione dei posti a sedere, riproposti con gli originali frammenti di gradini in marmo rinvenuti negli scavi. L’ingresso al Colosseo era regolamentato da una tessera sulla quale erano riportati il numero di fornice di ingresso e gli estremi del percorso da seguire per raggiungere i posti (loca) destinati ad ogni gruppo famigliare. Nella seconda lezione di epigrafia proposta dal parco archeologico del Colosseo nelle “Storie dal Colosseo. Lezioni di epigrafia” ancora una volta guidati da Silvia Orlandi, docente di Epigrafia latina alla Sapienza Università di Roma, e accompagnati da Federica Rinaldi, responsabile del monumento, scopriamo i nomi di queste famiglie e addirittura le dimensioni dei posti a sedere, ma impariamo anche a conoscere come il pubblico passava il tempo seduto sulle gradinate, tra uno spettacolo e l’altro, utilizzando vere e proprie tavole da gioco (tabulae lusoriae) incise sul marmo.
“Ci troviamo in un posto assolutamente spettacolare”, esordisce Federica Rinaldi. “Come potete notare anche dalla nostra imbracatura siamo assicurate a una linea vita che ci consente di rimanere dove siamo assolutamente in sicurezza. Siamo in un punto della cavea dell’anfiteatro flavio che venne ricostruita negli anni Trenta del Novecento, dove ritroviamo dei frammenti di marmo, che sono stati riutilizzati, parlanti. Professoressa Silvia Orlandi, quali sono questi segni parlanti che ci raccontano come si sedeva il pubblico, se in base alla tessera con cui entrava nel Colosseo sapeva già dove doveva andare a sedersi e perché lo sapeva già”. “Lo sapeva”, risponde Orlandi, “perché nel Colosseo – come in tutti i luoghi di spettacolo dell’antichità – non si prendeva posto secondo l’ordine di arrivo oppure secondo il prezzo del biglietto, visto che tutti gli spettacoli erano gratuiti, ma secondo la categoria sociale a cui si apparteneva. Proprio Augusto aveva emanato una legge, la Lex Iulia Theatralis, che distribuiva il pubblico nei vari settori della cavea a seconda della categoria sociale di appartenenza. Quindi i senatori, che erano i più elevati in grado, diciamo, assistevano agli spettacoli più vicini all’arena, o al luogo in cui si svolgeva l’azione; poi venivano i cavalieri, e poi tutto il resto della popolazione, fino all’ultimo maeniamum, il maenianum summum in ligneis con i sedili non in marmo ma in legno, che era riservato al popolino più minuto e alle donne”.

Su un gradino si legge Gaditanorum, che cosa significa? “Ogni settore o cuneo della cavea”, spiega Orlandi, “sono incisi sull’alzata dei gradini i nomi dei gruppi di persone che avevano diritto a occupare quel settore della cavea. Quindi non soltanto gli equites, come ho detto prima a proposito dei cavalieri, ma anche per esempio i pratextati cioè i giovani di circa 17 anni, oppure i pueri quindi i più piccoli accompagnati dai loro pedagoghi, o come in questo caso i rappresentanti della città di Gades, l’attuale Cadice in Spagna, che evidentemente avevano qui a Roma un loro ufficio di rappresentanza e avevano un posto riservato al Colosseo”.

Ma ci sono anche delle altre lastre marmoree riutilizzate sulle quali oltre a nomi sono indicati lettere o segni: cosa sono questi segni? “Su queste iscrizioni”, risponde Orlandi, “oltre appunto al nome delle categorie sociali che avevano diritto a occupare i vari settori della cavea, era indicato in piedi, che era l’unità di misura romana, e in sottomultipli di piede, quindi i mezzi piede, semis, e unciae, cioè un dodicesimo di piede, l’ampiezza del settore di quel gradino che poteva essere occupato da quella determinata categoria sociale, perché su questo aspetto i rimani erano poco disposti a essere accondiscendenti”.

“Siccome noi sappiamo che i giochi duravano l’intera giornata oltre che per più giorni”, ricorda Rinaldi, “e quindi le ore da passare all’interno erano tante, dalla mattina alla sera, un’altra informazione che queste pietre ci restituiscono è quella del passatempo, cioè di come si ingannavano le ore di intervallo tra venationes e un combattimento gladiatorio. Ritroviamo infatti su queste lastre delle incisioni, dei segni, che ci sono anche familiari tutto sommato, perché, e vorrei chiederle di illustrarli, mi sembra di riconoscere l’odierno gioco delle biglie, ma anche la nostra dama e il nostro filetto. È vero che sono simili?”. Orlandi conferma l’osservazione della responsabile del Colosseo: “Un aspetto molto interessante delle iscrizioni del Colosseo è la frequente presenza di tabulae lusoriae, cioè di tavole da gioco, di scacchiere, o di giochi da tavolo – diciamo così – di varia natura tra cui si riconoscono il gioco delle fossette, quello dei cosiddetti duodecim scripta, oppure le scacchiere da filetto con cui si giocava con delle pedine, che pure sono state ritrovate, e che quindi ci fanno capire uno dei tanti modi in cui si passava il tempo tra uno spettacolo e l’altro”.
“Storie dal Colosseo. Lezioni di Epigrafia” in quattro appuntamenti con l’epigrafista Silvia Orlandi. La prima è l’Iscrizione di Lampadio: dal ricordo del restauro dopo il terremoto del 443 alla riscoperta dell’iscrizione dell’inaugurazione del Colosseo nell’80 d.C.

È davanti agli occhi di tutti, ma visibile a pochi: l’Iscrizione di Lampadio, oggi conservata al secondo ordine del Colosseo, è il primo dei quattro documenti epigrafici dell’anfiteatro flavio che saranno illustrati dall’epigrafista Silvia Orlandi per la nuova rubrica digitale “Storie dal Colosseo. Lezioni di Epigrafia”, proposta dal parco archeologico del Colosseo. Sono quattro lezioni su momenti della storia del Colosseo attraverso le iscrizioni. “Saranno raccontati particolari legati all’inaugurazione del Colosseo”, anticipa Federica Rinaldi, responsabile dell’anfiteatro flavio, “alla distribuzione del pubblico sulla cavea, ma anche a quella che è stata poi la fine del monumento, la sua decadenza a causa dei terremoti che lo hanno interessato: il pubblico viaggerà alla scoperta dei luoghi meno noti del Colosseo, dove la Storia si fa parola”. Con l’iscrizione di Lampadio si fa un salto di quattro secoli, accompagnati dalle funzionarie archeologhe Elisa Cella e Federica Rinaldi, lungo le linee di uno stesso architrave, passando dalla menzione del restauro curato dal praefectus urbis dopo il terremoto del 443 d.C. alla riscoperta dell’iscrizione inaugurale del Colosseo, datata all’80 d.C. Alla professoressa Silvia Orlandi, docente di Epigrafia latina di Sapienza Università di Roma, tocca guidare oltre le lettere incise nel travertino gli sguardi di chi segue da casa la lezione, indicando come interpretare i fori che, disposti secondo distanze e allineamenti ben calibrati, corrispondenti ai formulari delle commemorazioni pubbliche, erano un tempo gli alloggiamenti di lettere bronzee a rilievo destinate a conservare la memoria di un evento eccezionale.
La prima puntata è dedicata all’iscrizione inaugurale dell’anfiteatro flavio. E a parlarne è Silvia Orlandi, epigrafista che “si è dedicata in maniera approfondita con grande dedizione”, ricorda Elisa Cella, “alla lettura delle iscrizioni e delle epigrafi che sono state restituite in maniera generosa da questo anfiteatro. E in questa prima lezione la professoressa Orlandi approfondisce il vero e proprio evento fondante dell’anfiteatro del Colosseo: un evento che lega a doppio filo questo monumento con la città di Gerusalemme, con gli eventi storici ben noti: in parte nascosto, in realtà è sotto gli occhi di tutti. I rumori che si sentono in sottofondo chiariscono che ci troviamo all’aperto, nell’area dell’allestimento permanente del Colosseo. Ma quello che Silvia Orlandi ci indicherà è qualcosa che solo occhi molto attenti e molto dotti sono stati in grado di individuare”. L’iscrizione di Lampadio accoglie il pubblico all’inizio del percorso di visita del Colosseo. Ma non salta immediatamente agli occhi. “Quella che si vede subito – spiega Silvia Orlandi – è un’iscrizione incisa sulla superficie di un blocco marmoreo la quale parla di un restauro da parte del prefetto urbano Rufius Cecina Felix Lampadius durante il regno congiunto di Teodosio II e Valentiniano III. Ma aguzzando la vista si nota che questa iscrizione del V secolo è incisa su una superficie interessata da una serie di fori che altro non sono che quanto resta dei fori di fissaggio di un’iscrizione redatta con una tecnica diversa da questa, cioè con lettere metalliche affisse direttamente sulla superficie marmorea, che fu divelta dal blocco che la conteneva per poter incidere l’iscrizione di Lampadio. Isolando idealmente e graficamente i fori che sono quanto resta appunto di questa iscrizione, si nota che il testo originario era in tre righe, come si vede dall’andamento dei fori, in particolare da quelli dell’ultima riga: delle tre righe la seconda è centrata e più breve”.


Il pannello esposto al Colosseo con la grafica dell’iscrizione dell’inaugurazione dell’anfiteatro secondo l’ipotesi di Géza Alföldi (foto
“Grazie alla genialità di un lapicida del secolo scorso, Géza Alföldi – continua Orlandi -, è stato possibile ricostruire questo testo originariamente appunto di lettere metalliche, e proporre una ricostruzione di quella che doveva essere l’iscrizione di dedica dell’anfiteatro e che recitava: Imperator Titus Caesar Vespasianus Amphiteatrum [forse] Novum, ex manubiis fieri iussit (l’imperatore Tito Cesare Vespasiano ordinò che fosse realizzato l’Anfiteatro Nuovo dal bottino). Grazie a questo testo apprendiamo due cose fondamentali: innanzitutto il nome ufficiale di quello che oggi chiamiamo Colosseo, e cioè Anfiteatro, senza ulteriori aggettivi come Flavio o altri appellativi di questo genere; e soprattutto con quale fonte di finanziamento l’anfiteatro fu costruito, cioè con la vendita del bottino del tempio di Gerusalemme che Vespasiano e Tito avevano conquistato nel 70 d.C., ex manubiis appunto. Una caratteristica interessante di questo testo, e una difficoltà ulteriore per la sua ricostruzione, è la tecnica scrittoria con cui è stata eseguita, con lettere di metallo, probabilmente di bronzo, applicate nel marmo con dei perni di fissaggio senza l’ausilio di alveoli che avessero la stessa forma, e che quindi quando le lettere venivano rimosse di fatto conservavano la forma del testo, un po’ come avviene per l’arco di Costantino o quello di Settimio Severo, per esempio. In questo caso invece le lettere furono applicate direttamente sul marmo, e quindi quel che resta non è la forma delle lettere, ma solo le tracce dei chiodi. Il che rende particolarmente difficile la ricostruzione di questo testo, e particolarmente geniale la proposta di Géza Alföldi con naturalmente le ipotesi del caso”. L’iscrizione, fa presente Elisa Cella, non è conservata integralmente. Anzi sembra in frammenti ricomposti: “Tra tutti ce n’è uno che si distingue rispetto agli altri, e che ha sempre attratto la nostra curiosità”. “È leggermente diverso, è vero”, spiega Orlandi. “è innanzitutto un frammento di lastra e non di blocchi come gli altri due. Ed è quanto resta di un restauro di cui l’iscrizione, negli unici due frammenti originali, fu oggetto nel 1813, subito dopo la sua scoperta”.

“Quando l’iscrizione è stata trasferita nella sua attuale collocazione si è deciso di lasciare uno di questi frammenti come testimonianza di questo restauro storico, che ora naturalmente si farebbe con tecniche completamente diverse ma che all’epoca si utilizzavano normalmente. Ed è così che è stata anche raffigurata nella prima e più nota rappresentazione sul piano dell’Arena non scavato fatta da Christoffer Wilhelm Eckersberg a ridosso del momento della scoperta. In cui sono rappresentati non a caso soltanto i due frammenti originali. Nel disegno esposto al Colosseo è possibile vedere la ricostruzione grafica dell’iscrizione così come è stata proposta da Alföldi. In realtà noi vediamo la ricostruzione dell’ultima fase dell’iscrizione, che include anche il prenome Tito, che era caratteristica dell’onomastica dell’imperatore Tito, sotto il cui regno il Colosseo fu inaugurato. Secondo l’ipotesi di Alföldi, infatti, originariamente il testo comprendeva solo la dicitura Imperator Caesar Vespasianus Augustus, cioè la titolatura di Vespasiano. Ma essendo Vespasiano morto nel 79 d.C. quindi non in tempo per inaugurare l’Anfiteatro – conclude Orlandi -, la titolatura fu adattata con il nome del figlio, successore di Vespasiano, in modo che fosse aggiornato per l’evento epocale dell’inaugurazione dell’Anfiteatro”.
Il parco archeologico del Colosseo presenta alla Maker Faire Rome 2020 la prima guida tattile del PArCo: “Museo Palatino. Accarezzare la storia di Roma”

Alle 11.10 di sabato 12 dicembre 2020 la prima guida tattile del PArCo viene presentata in diretta sul canale Mainstreaming del portale https://makerfairerome.eu/it/. Il parco archeologico del Colosseo e Lazio Innova, nell’ambito di un protocollo di intesa in corso di stipula per la definizione di progetti condivisi in tema di accessibilità, presentano infatti alla Maker Faire Rome 2020 Digital Edition la prima guida tattile del PArCo, intitolata “Museo Palatino. Accarezzare la storia di Roma”. C’è tempo per esplorarla online fino a domani, domenica 13 Dicembre 2020, nella vetrina virtuale della MFR2020. Ecco il link per registrarsi gratuitamente in pochi istanti: https://digital.makerfairerome.eu/… La guida ideata, promossa e curata dal PArCo è stata realizzata da atipiche edizioni nel Fablab dello Spazio Attivo della Regione Lazio LOIC Zagarolo (POR FESR 2014-2020). “La collaborazione del PArCo con Lazio Innova ha l’obiettivo di indirizzare l’uso delle tecnologie e dell’innovazione per il fine ultimo dell’inclusione e della piena accessibilità del patrimonio”, commenta il direttore del parco archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo. “Non ci fermeremo alla guida tattile Museo Palatino. Accarezzare la Storia di Roma, oggi presentata in occasione della Maker Faire Rome 2020, ma proseguiremo su questa strada per ampliare la conoscenza del nostro patrimonio con prodotti accessibili a tutti e fortemente legati al tema del digital”.

La guida, ideata e curata per il PArCo da Giulia Giovanetti e Federica Rinaldi, con Donatella Garritano – che ha anche curato la traduzione inglese – e Silvia D’Offizi, è nata nell’ambito del corso di formazione realizzato dal PArCo con il Museo Tattile Statale Omero di Ancona e la Direzione Generale Educazione e Ricerca del MiBACT (2018-2019), e si inserisce nella serie di azioni coordinate che favoriscono l’autonomia di visita agli ipovedenti e ai non vedenti e che fanno parte del più ampio Progetto “Il PArCo tra le mani”.

Il prototipo realizzato da atipiche edizioni – Andrea Delluomo e Giulia Foscolo – si compone di una scatola di grande formato che, oltre a contenere il materiale tattile e testuale, una volta aperta diviene il piano di lettura della mappa dell’area archeologica. All’interno sono presenti due raccoglitori ad anelli, contenenti le 16 schede con le opere più rappresentative della collezione del Museo, descritte con testi scientifici ma ad alta leggibilità (in Italiano e Inglese con trascrizioni in braille) e illustrate con immagini tattili.


Tavola tattile con rappresentazione di Gorgone in opus sectile (foto PArCo)
Per lo sviluppo e la creazione del prototipo si è rivelato fondamentale il supporto delle tecnologie e delle risorse del Fablab di Zagarolo – Manlio Di Dio, Berenice Marisei, Giorgio Salvioni – che, dopo una specifica formazione, ha messo a disposizione dell’équipe di lavoro la tecnica della stampa digitale UV, mediante una Roland VersaUV Lef-12i, con la quale sono state realizzate particolari stampe a rilievo, illustrazioni e texture tattili, come per alcuni testi in braille. La caratteristica di questa stampante è proprio quella di utilizzare inchiostri foto-polimerizzanti, che vengono istantaneamente asciugati e solidificati grazie ad una sorgente luminosa ad ultra violetti. Ciò consente di poter stampare su qualunque supporto di base e di poter realizzare spessori diversificati, permettendo ad esempio la realizzazione di un testo braille sovrapposto ai normali testi stampati, per la contemporanea fruizione della guida tattile a persone con deficit visivo e non. Per la rappresentazione di alcune illustrazioni materiche è stata invece utilizzata la tagliatrice laser CO2 da 80W, che ha consentito il taglio di materiali accoppiati e, dove necessario, l’incisione.


Guida tattile: piano Interrato del Museo Palatino (foto PArCo)
Patrimonio culturale, patrimonio sensoriale. L’approccio alla realizzazione della guida tattile, a opera di atipiche edizioni, è un ibridazione tra artigianalità e utilizzo consapevole delle nuove tecnologie di prototipazione digitale, favorita dal processo di coprogettazione e collaborazione che ha coinvolto molteplici professionalità, competenze e sensibilità tra archeologi, storici dell’arte, artigiani, artisti, maker e persone con disabilità visiva. La guida tattile vuole dimostrare che l’innovazione tecnologica applicata ai beni culturali in relazione con la creatività intellettuale e il saper fare manuale, può essere in grado di generare buone pratiche, presentando al pubblico un nuovo modo di fruire del patrimonio culturale, maggiormente coinvolgente e multisensoriale. La collaborazione al progetto di due artisti ha permesso, attraverso la loro specifica sensibilità e un approccio materico, di arricchire l’efficacia della guida tattile come strumento di promozione del patrimonio culturale in senso inclusivo.

L’illustratrice e incisore Susanna Doccioli della Stamperia a Ripa ha contribuito alla tavola tattile ispirata alle grandi ali in marmo bianco greco, appartenute a una “Vittoria alata”. Si tratta di un reperto scultoreo con particolari incredibilmente realistici, che sono stati resi dall’artista grazie a un’incisione dettagliata e alla stampa di una piuma “in gaufrage” su carta Fabriano Rosaspina. Restituendo, per chi la accarezza, il dettaglio minuzioso e la delicatezza del soggetto. Dario Zeruto, alchimista della carta, ha contribuito a rendere unica l’ultima pagina della Guida Tattile, che affrontando il tema della scultura ideale rappresenta “l’eroe” e la “cosiddetta Danzatrice” resi tramite una contrapposizione di materiali, in particolare stoffe di differente fattura magistralmente lavorate in pieghe. E così, la resa visiva e tattile della veste della “cosiddetta Danzatrice” in un lungo chitone lavorato a fitte piegoline rimanda a una leggerezza della plissettatura che Zeruto rende con l’applicazione della tecnica della piega a V, applicata su matrici di carta e poi riversata su soffice seta.

Il passato come ponte per il futuro. Il ruolo dell’archeologia. La collezione di reperti conservata nel Museo Palatino consente la conoscenza della storia del Colle Palatino, dove la città di Roma vede i suoi primi sviluppi, in un percorso nel tempo, dalla preistoria all’età imperiale. L’idea che ha guidato il progetto è stata quindi la selezione dei reperti archeologici più rappresentativi in relazione alle tappe fondamentali della storia del Colle e dell’Urbs. Ogni scheda approfondisce la conoscenza degli oggetti con un testo accessibile che permette diversi livelli di lettura, collegando sempre il singolo oggetto a tematiche più ampie, relative alla storia della città, alla storia dell’arte e alle metodologie di studio del mondo antico. La selezione di opere vuole accompagnare tutti i visitatori alla riscoperta di questa Storia lunga più di dieci secoli attraverso i materiali, le tecniche edilizie, i reperti che lo scavo archeologico ha rinvenuto nel sottosuolo. Accanto al percorso di visita, la guida propone anche un approfondimento sul mestiere dell’archeologo, con focus sullo scavo stratigrafico, sulle tecniche edilizie, e ancora sul metodo di ricostruzione storica a partire dall’analisi dei reperti, fino ad arrivare alla ritrattistica, una delle massime e caratteristiche espressioni dell’arte romana. In questo percorso l’archeologia si fa strumento di racconto, consentendo di riconoscere con il tatto il tipo di materiali, i dettagli delle lavorazioni, i particolari delle acconciature e delle vesti o della muscolatura di eroi e divinità. Il disegno tattile assieme alla riproduzione in 3d di alcuni reperti si inseriscono appieno nella filiera della innovazione tecnologica al servizio dell’accessibilità per tutti. Completa la scatola un cassetto “immersivo” con le riproduzioni in 3d di reperti.
Roma. Presentata la nuova App Y&Co – You and Colosseo (gratuita da gennaio) per un’esperienza di visita del PArCo da vivere sul posto e da remoto, con audio-videoguide in 9 lingue
Y&Co – You and Colosseo si chiama la APP per Android e iOS, da gennaio disponibile gratuitamente negli store, curata e promossa dal PArCo (Giulia Giovanetti, Paola Quaranta, Federica Rinaldi e Andrea Schiappelli) con la realizzazione di Ruschena’s Project. Y&Co vuole essere più di una App: è un’esperienza di visita del PArCo da vivere sul posto e da remoto, con audio-videoguide in 9 lingue, audiodescrizioni per non vedenti in italiano e inglese, videoguide nella lingua dei segni italiana (LIS) e inglese (ASL) e contenuti speciali per bambini in italiano e inglese con animazioni a cura di Silvio Costa. La APP accompagna i visitatori in un viaggio nella conoscenza del patrimonio archeologico del PArCo, dal Foro Romano al Colosseo attraversando il Palatino e il Museo omonimo nel segno del Design for all. I contenuti saranno accessibili anche grazie ai Qr-code posizionati lungo i percorsi proposti.
Parco archeologico del Colosseo. Presentata la nuova guida tattile “Museo Palatino. Accarezzare la storia di Roma” nell’ambito del progetto “Il PArCo tra le mani”. Presto nuovi pannelli tattili, guide e la WebApp
“Museo Palatino. Accarezzare la storia di Roma” è la nuova guida tattile, ideata e curata da Federica Rinaldi e Giulia Giovanetti, con testi delle stesse assieme a Silvia D’Offizi e Donatella Garritano che ha curato le traduzioni in inglese, per la realizzazione di Atipiche edizioni con Spazio Attivo Zagarolo FabLab. È stata presentata on line dal parco archeologico del Colosseo giovedì 3 dicembre 2020 in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità. La guida, pensata per tutti, raccoglie 16 schede con le opere più rappresentative della collezione del Museo, descritte con testi ad alta leggibilità (in italiano e inglese con trascrizioni in braille) illustrate con immagini tattili e un cassetto “immersivo” contenente le riproduzioni in 3D dei reperti.

La guida tattile del museo Palatino è l’ultimo atto di un percorso iniziato qualche anno fa. Tra il 2018 e il 2019 e ancora nel 2020 l’attenzione del PArCo nei confronti della disabilità visiva si è declinata in una serie di azioni coordinate, originate da un principio imprescindibile, ossia favorire l’autonomia di visita agli ipo e non vedenti, senza rinunciare al valore del contatto fisico e all’esperienza della visita guidata. Per garantire un supporto adeguato alle necessità del pubblico non vedente, il PArCo ha organizzato in collaborazione con il museo statale Tattile Omero di Ancona e la Direzione Generale Educazione e Ricerca, il corso dal titolo “Metodi e strumenti per rendere accessibili musei e luoghi della cultura alle persone con disabilità visiva”. Nell’arco di un anno, il corso ha formato 25 dipendenti del MiBACT tra il personale del Parco e di altri istituti e luoghi della cultura di Roma e del Lazio. È stato così messo a punto il progetto “Il PArCo tra le mani”, per favorire un turismo di prossimità attraverso un percorso tattile multilingue (italiano, inglese e alfabeto braille) composto da 11 pannelli illustrativi distribuiti all’interno del parco. Il percorso consta di 11 postazioni accessibili a tutti: Colosseo (1 pannello), Foro Romano (3 pp.), Palatino (3 pp), Museo Palatino (4 pp.). Pannelli a cura di Paola Quaranta e Federica Rinaldi. In più, nel museo Palatino sono stati sistemati 4 pannelli dotati di riproduzioni in 3D in scala 1:1: un’antefissa arcaica, una porzione di lastra Campana, un mosaico e la testa ritratto marmorea di Nerone. A questi reperti si associano anche oggetti dell’industria litica quali selci e punte di freccia, oltre a vasellame arcaico e monete destinate ai laboratori tattili con bambini e adulti.

Il progetto va avanti. Sarà aumentato il numero dei pannelli tattili illustrativi di singoli monumenti (l’Arco di Augusto al Foro Romano) o di singoli tematismi (quali le superfici decorate marmoree della Domus Flavia e Augustana). Un nuovo pannello, posto all’ingresso presso l’Arco di Tito, aiuterà il visitatore a orientarsi all’interno del PArCo, segnalando la “salita” al Colle Palatino e la “discesa” verso la valle del Foro Romano. In più, ognuno dei pannelli esistenti sarà dotato di un QrCode che permetterà di accedere a un’App multisensoriale, dotata non solo di testi di approfondimento, per tutti, riguardanti i 25 monumenti selezionati, tradotti in 9 lingue straniere, ma anche di clip video, videoguide nella lingua dei segni e spazi di racconto dedicati solo ai bambini. Il progetto della WebApp è curato da Giulia Giovanetti, Paola Quaranta, Federica Rinaldi e Andrea Schiappelli e realizzato dallo Studio Ruschena Projects. Anche per l’area del Foro Romano sono in corso di realizzazione due guide tattili a stampa in nero, braille e con figure in rilievo, dedicate a percorsi tematici incentrati sulla Casa delle Vestali e sulla Basilica Giulia; le guide, stampate in più copie, potranno essere prese in prestito gratuitamente presso le biglietterie all’ingresso del PArCo. Un primo test dei percorsi si è avuto in occasione della Giornata delle Famiglie al Museo del 2019, grazie alla partecipazione dell’Unione italiana Ciechi e Ipovedenti di Roma con cui sono costanti e frequenti i contatti per l’organizzazione di visite speciali. Guide tattili del Foro a cura di Andrea Schiappelli, Francesca Boldrighini, Elena Ferrari, Francesca Ioppi e Sabrina Violante. Il principio fondante di questi percorsi si basa sulla convinzione che, affinché una visita tattile condotta in situ abbia davvero senso, non ci sia cosa migliore che toccare direttamente i manufatti antichi originali, utilizzando riproduzioni e modelli in scala solo a integrazione dell’esperienza.
“Notte dei Musei” virtuale. Federica Rinaldi ci racconta quasi duemila anni di storia del Colosseo, dall’inaugurazione sotto Tito alle trasformazioni medievali, dai terremoti all’abbandono alla spoliazione, tra leggende, superstizioni e riti tra sacro e profano, da luogo di culto a monumento-icona globale

È possibile raccontare i quasi duemila anni di storia del Colosseo in una notte? Una bella sfida lanciata dal Parco archeologico del Colosseo per un collegamento speciale sui canali social per una “Notte dei Musei” virtuale. Sfida raccolta e brillantemente superata da Federica Rinaldi, archeologa responsabile del Colosseo, che ci accompagna per un viaggio, nel tempo, nello spazio del monumento icona mondiale, dall’inaugurazione dell’imperatore Tito nell’80 d.C., alle trasformazioni medievali in fortezza, fino all’isolamento e all’abbandono rispetto al resto della città che hanno alimentato nei secoli bui del Medioevo storie, leggende e superstizioni, le cui tracce sono forse individuabili nei segni graffiti lasciati sui pilastri di travertino. E poi ancora, modello di “architettura” per i grandi Umanisti del Quattrocento, cava di materiali e ancora luogo di culto per volere della Chiesa.
“Viaggeremo attraverso una linea del tempo – spiega Rinaldi – che parte dalla valle, che era occupata dallo stagno di Nerone e dal Colosso dell’imperatore, poi trasformato nel dio ed entreremo dai fornici numerati da dove il popolo romano accedeva munito della propria tessera per raggiungere il posto assegnato sulla cavea rigorosamente in ordine gerarchico, dalla parte più bassa alla parte più alta destinata alle donne. Cammineremo negli ambulacri immaginando il vociare e il frastuono del pubblico assiepato. Ci infileremo negli ipogei dove la macchina dello spettacolo veniva allestita e dove schiavi, animali, condannati a morte, e soprattutto gladiatori, attendevano nel buio di apparire sull’arena. Saranno le iscrizioni, i reperti, le tracce lasciate sui muri a guidarci in questo viaggio, fino a quando crolli terremoti ed editti degli imperatori cristiani contro gli spettacoli faranno calare il silenzio sull’anfiteatro aprendo a nuovi usi e utilizzi dell’edificio da torre fortezza a spazio domestico con stalle e orti fino di nuovo al silenzio e all’abbandono che ne decretarono l’oblio e la dimenticanza sul ruolo avuto nell’antichità. Ed è in questo periodo, che segue a un altro devastante terremoto, quello del 1349, che il Colosseo, ormai noto solo con questo nome, diventa luogo in cui si gioca la mescolanza tra sacro e profano. Su questo periodo buio e così poco conosciuto ci soffermeremo in particolare perché, come vedremo dai segni lasciati sui muri uniti alle fonti scritte dell’epoca, è in questo periodo che il Colosseo diventa a sua insaputa l’icona mondiale che è oggi. Perché nel dialogo, mai monologo, tra spazio pagano spazio laico spazio cristiano si gioca la funzione simbolica e l’identità del monumento, punto di riferimento per tutti i pubblici del mondo”.

Il “viaggio” inizia dall’attuale piazza del Colosseo che fino al 70 d.C. circa era occupata dallo stagno della Domus Aurea dell’imperatore Nerone e quindi da una proprietà a uso esclusivo di una sola persona. “Gli imperatori flavi, Vespasiano Tito Domiziano, ognuno col proprio ruolo”, spiega Rinaldi, “realizzano un’operazione demagogica molto importante: quello di restituire alla collettività lo spazio che era stato sottratto dall’imperatore Nerone. L’iscrizione del prefetto dei pretori di Roma Lampadius riporta nella sua formula originaria il riferimento all’inaugurazione dell’anfiteatro “ex manubiis”, cioè con il bottino di guerra, composto dal candelabro a sette braccia, dalle trombe e da altri oggetti sacri raffigurati nel fornice interno dell’arco di Tito. I cento giorni di giochi e 5mila fiere uccise sul piano dell’arena, i quasi 70mila spettatori segnano nell’80 d.C. segnano l’inizio della storia del monumento più celebre in Italia e forse al mondo. L’imperatore sul palco imperiale sul lato Sud dell’edificio, e i senatori e i cavalieri intorno al podio nella parte più bassa della cavea, osservano il susseguirsi dello spettacolo, le cacce esotiche al mattino, le condanne a morte esibite come se fossero il supplizio di Prometeo nel primo pomeriggio, i combattimenti dei gladiatori la sera. Mentre nei livelli più alti la plebe e soprattutto le donne filano, ravvivano l’acconciatura o passano il tempo giocando a dadi come mostrano gli oggetti smarriti sugli spalti e poi finiti nelle fogne dell’anfiteatro ed esposti nelle vetrine del museo. Nelle giornate più calde e assolate o in caso di pioggia i marinai della flotta di Miseno calano il velarium, un tendaggio sorretto dalle mensole posizionate sull’attico, il punto più alto dell’edificio a quasi 50 metri di altezza”.

Nel 217 un terribile incendio devasta l’anfiteatro. “L’edificio rimane inagibile per almeno 5 anni durante i quali si lavora il più alacremente possibile per riaprirlo al pubblico usando materiale di risulta anche nei sotterranei dove l’abbondante presenza di legno e cordame aveva favorito l’espandersi del fuoco. Ed è qui sotto che ferve l’anima dell’anfiteatro. Le ricostruzioni esposte nelle vetrine del museo illustrano le prime tipologie di montacarichi e piattaforme della fase ancora flavia, azionate da ben 224 schiavi, poi sostituite da 60 ascensori azionati con un sistema di argani e contrappesi di piombo da funi che passavano su carrucole inserite nei pilastri verticali di travertino. Scenografie, animali, uomini apparivano così come epifanie dalle botole sistemate sul piano dell’arena. Il pubblico li acclamava, li incitava, gioiva alla vista del proprio beniamino, il gladiatore, di cui si scommetteva la vita o la morte. Questa tradizione prosegue almeno fino alla metà del V secolo d.C. Ma presto l’avversione degli imperatori cristiani verso i giochi cruenti, tra i quali lo stesso Costantino, il degrado dell’anfiteatro soggetto a smottamenti continui a causa dei terremoti contribuiscono al suo progressivo declino fino alla proibizione degli spettacoli e all’ultimo spettacolo di caccia che risale al 523 d.C.”.

Venerabile Beda
Da allora comincia una fase di abbandono e di decadenza nel corso della quale i sotterranei vengono progressivamente ricoperti di terra, parte del settore meridionale inizia a crollare determinando l’innalzamento dell’interro circostante. “Nell’VIII sec. d.C. Beda il Venerabile afferma: “Quamdiu stat Colysaeum stat et Roma, quando cadet Colysaeum cadet et Roma, quando cadet Roma cadet et mundus”. Roma è ormai mitizzata e il Colosseo con essa perché con la sua mole colossale riesce a rappresentare la globalità del mondo. Le più importanti famiglie di Roma se lo contendono, ovviamente assieme alla Chiesa. Tra l’XI e il XIV secolo i Frangipane in continuo conflitto con la famiglia degli Annibaldi occupano 13 arcate della porzione Sud-orientale dell’edificio. La vicina chiesa di Santa Maria Nova, proprietaria di una quota parte, affitta domus e cripte ricavate riutilizzando i fornici in rovina, dove vengono alloggiati travi sui muri per creare soppalchi e ricavare stalli per gli animali come documentano i numerosi attaccagli ancora visibili sui pilastri. È a partire da questo periodo che negli atti notarili inizia a comparire l’appellativo dell’edificio come Anphitheatrum Coliseum”.

Ma nel 1349 un nuovo devastante terremoto accresce il livello di rovina in cui si trova il Colosseo. Ne è testimone persino il Petrarca: “Ecce Roma ipsa insolito tremore concussa est tam graviter ut ab eadem urbe condita supra duo annorum milia tale nihil accident”. Inizia una fase che dura almeno tre secoli durante la quale il Colosseo viene ad assumere significati nettamente distinti che a volte convivono, a volte si scontrano e a volte si fondono. Cava di marmi e pietre per volere dei Papi riutilizzatori come fu Nicola V per la costruzione della nuova Roma “Gerusalemme celeste”, e in particolare per la fabbrica di San Pietro e di molti altri edifici della città: edificio dunque da restituire alla cristianità per sottrarlo al potere laico e pagano, luogo di studio e schema di riferimento per i grandi architetti umanisti, ma anche né anfiteatro né fortezza bensì tempio rotondo al cui centro campeggiano una colonna dedicata al dio sole o a Giove; tempio dei templi della Roma pagana: così descritto nelle guide e negli itinerari per i pellegrini”. Continua Rinaldi: “Durante i secoli bui del tardo Medioevo dell’originaria funzione del Colosseo si perde ogni traccia e questa situazione contribuisce ad ammantare il Colosseo di fantasie, leggende popolari e superstizione, tanto grande era questa visione che la parola stessa “colosseo” potrebbe derivare da “Colis eum” cioè “Lo adori?” con riferimento al maggiore degli dei presenti nel tempio, e la risposta non poteva che essere “colo colo” “lo adoro lo adoro”. Indizi di questa storia sono rintracciabili nei numerosi graffiti lasciati sui pilastri di travertino del primo ordine. Aguzzando la vista verso i punti più alti dei pilastri del primo ambulacro del primo ordine, subito dopo l’attuale ingresso dei visitatori dallo sperone cosiddetto Valadier, laddove si camminava quando il Colosseo appariva completamente interrato a seguito dei rovinosi crolli causati dai terremoti, spiccano i nomi di persone e lettere capitali: Nicolò fece, Ludovico, Romolo: sono forse i cavasassi che al servizio dei Papi lavorarono tra il 1400 e il 1600 all’interno del Colosseo per recuperare materiale per la costruzione della nuova Roma “Gerusalemme celeste”; o dietro questi nomi si nasconde anche un preciso riferimento al più attivo tra i riutilizzatori delle pietre del Colosseo, cioè proprio quel Papa Nicolo V già ricordato? Non lo sappiamo, ma in entrambi i casi la suggestione è molo forte”.

“Più precise e ben ricollegabili a fatti e avvenimenti storici sono invece le date di cui se ne conservano almeno tre: una sul fornice Nord e due sulla fronte Sud del Colosseo: 1534, 1538 e 1675. Rappresentano l’altra faccia della medaglia della voluta ambiguità, quella dei Papi interessanti ad avviare il processo di cristianizzazione del Colosseo. Quindi non abbattendolo ma convertendo a luogo di culto con l’istituzione delle sacre rappresentazioni della Passione di Cristo, l’ultima fu proprio quella del 1539, l’innalzamento di una grande croce di legno al centro dell’arena, la realizzazione dello splendido affresco con veduta di Gerusalemme tradizionalmente assegnato proprio all’anno del giubileo del 1675 sotto Papa Clemente X, fino ad arrivare alla consacrazione del sangue dei martiri versato sull’arena con il progetto di Papa Clemente XI e dell’architetto Carlo Fontana di innalzare una chiesa sul piano dell’arena, progetto mai realizzato. Alle date si aggiungono altri graffiti a supportare questa esigenza di consacrazione del Colosseo come luogo di culto. Sono le immagini di croci. Ne contiamo almeno 13 di 5 tipi diversi, che confermano la presenza anche di proprietà della Chiesa, come quella di Santa Maria Nova, già citata prima, ma anche della confraternita di San Salvatore al Sancta Sanctorum a cui fin dal XIV secolo era stata concessa una porzione del Colosseo per l’opera di bonifica condotta nella zona divenuta ormai sede di malviventi. Malviventi dunque pastori ma anche maghi e negromanti parrebbe come contemporaneamente ci informano le guide di Roma e gli itinerari per i pellegrini che insistono – lo ripetiamo – sul Colosseo-templum Solis o templum Iovis, ed ecco che un edificio di così grandi dimensioni non poteva che essere stato costruito con l’aiuto della magia, e se ne attribuisce la costruzione proprio a Virgilio Mago, architetto d’eccezione, che nel Colosseo pratica la negromanzia. Deluso dall’amore di una principessa e deciso a lasciare al buio la città, confina l’unica fonte di luce nel sesso di una donna. Il graffito inciso sul pilastro del fornice Ovest del Colosseo a forma di rombo vuole forse alludere a questa leggenda?”.

“Intanto nel Cinquecento – prosegue nel suo racconto Federica Rinaldi – Benvenuto Cellini vi invoca i demoni che in gran numero arrivano a terrorizzare il negromante e lo stesso scultore. Da Cellini sappiamo che un prete siciliano da lui incontrato lo conduce assieme a un fanciullo vergine a propiziarsi le divinità maligne nell’anfiteatro. Disegnato il cerchio magico, il prete invita il Cellini a entrarvi e a invocarvi i diavoli con l’aiuto di spargimento di profumi e accensione di fuochi. Parve che i demoni arrivassero a legioni e il fanciullo spaventato alzando gli occhi disse: “Tutto il Colosseo arde e il fuoco viene addosso a noi”. Su questo episodio un po’ irriverente, ma che dobbiamo leggere nel contesto di una Roma in cui il Colosseo è immerso nella campagna abitata solo da pastori e malviventi, fa riferimento anche la leggenda della Regina Rosana che, sterile, entra nel Colosseo per pregare il demone del Colosseo e ne esce gravida, dimostrando il potere del paganesimo sul cristianesimo. Ma fanno riferimento anche i simboli fallici che compaiono spesso accanto alle croci – che abbiamo visto poco fa – e che rappresentano falli di tutte le forme e dimensioni, allusione all’interpretazione di un Colosseo luogo di pratiche sessuali o piuttosto simboli apotropaici? I falli si trovano nei fornici rivolti verso l’esterno, verso l’asse stradale principale che alla fine del 1500 congiunge il Colosseo con il Laterano. Ci troviamo sul fronte del Colosseo che viene maggiormente preservato dal riuso di travertini ed è proprio da qui che dal 1600 inizia la sua conversione a tempio dei Martiri, con il progetto mai realizzato di Carlo Fontana – già ricordato – e l’istituzione della Via Crucis con Papa Benedetto XIV nel 1750”.

Lo sperone Valadier al Colosseo
Ma anche questa rinnovata dimensione del Colosseo non dura a lungo. “La trasformazione del Colosseo in deposito di letame per la fabbricazione del salnitro per volontà di Papa Clemente XI, proprio di qualche anno prima l’istituzione della Via Crucis, accelera il processo di calcinazione dei travertini già compromessi da incendi e altri malanni. Il degrado e l’ennesimo terremoto hanno ormai fortemente compromesso la stabilità del Colosseo. Di lì a breve saranno proprio i Papi ad avviare la macchina della tutela e della conservazione. Pio VII commissiona, tra gli altri, all’architetto Raffaele Stern la costruzione dello sperone che prende il suo nome, fissando anche lo stato di crollo della porzione terminale della facciata. Di lì a poco si interviene anche sul lato opposto, quello Ovest, con la costruzione di un altro sperone realizzato questa volta dal Valadier. Oggi i due principali accessi del Colosseo per il pubblico vengono proprio identificati con i nomi dei due architetti”.

Nel frattempo la tutela si estende anche al recupero archeologico. “Per tutto l’Ottocento inizia una stagione di sterri per liberare il monumento coperto fino all’imposta delle mensole delle arcate del primo ordine. Si rimuovono le edicole della Via Crucis, e si scava per far riemergere i livelli antichi dapprima attribuiti alla fase dei Frangipane e poi definitivamente a quella romana. È l’inizio di un’altra nuova fase che si avvicina ai tempi recenti che vede il Colosseo demolito e ricostruito per assecondare la propaganda fascista o l’idea di modernità urbanistica, come per la costruzione della linea B della metropolitana che tronca le fondazioni occidentali dell’anfiteatro compromettendo definitivamente il deflusso idrico dai sotterranei che, anche per questo motivo, sono spesso allagati. Da isola spartitraffico il Colosseo venne liberato negli anni Settanta del secolo scorso in concomitanza con una rinnovata stagione di ricerche, scavi e restauri condotta finalmente con rigoroso metodo scientifico e che ancora oggi resiste. E di queste ricerche che contribuiscono ad accrescere le nostre conoscenze sul Colosseo, non solo arena per spettacoli ma luogo che nei secoli ha mutato le sue funzioni all’interno di una città altrettanto in continua evoluzione, continueremo a darvi notizia”, conclude Rinaldi. “Lo faremo sempre dalle nostre pagine social, facendovi entrare nei cantieri, facendovi vedere da vicino i segni lasciati dalla storia, perché crediamo fermamente che solo comprendendo il passato ognuno di noi possa contribuire a costruire il futuro”.








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