Pompei. Aveva cercato di salvarsi dall’eruzione del Vesuvio nelle Terme Centrali. Invano. Dopo duemila anni trovato lo scheletro di un bambino, giovane vittima dell’eruzione. Ritrovamento straordinario per la fortuita e inaspettata scoperta, e per la collocazione inusuale del corpicino immerso nel flusso piroclastico anziché in lapilli e cenere
L’eruzione era cominciata. Il Vesuvio faceva paura. La grande nube nera minacciava Pompei, seguita da una pioggia mortale di lapilli e cenere. Col terrore negli occhi, il bimbo cercò un riparo sicuro nel grande complesso delle Terme Centrali, che avviate dopo il terremoto del 62 d.C. spianando un gruppo di edifici danneggiati tra via di Nola e via Stabiana, nel 79 d.C. era ancora un cantiere aperto. I soffitti resistettero alla pressione di lapilli e ceneri, ma le massicce strutture delle terme non riuscirono a fermare i gas venefici e per il bambino non ci furono speranze, rimanendo sepolto da un sottile strato di materiale magmatico portato dalla nube del Vesuvio. Fino a qualche giorno fa quando il suo scheletro è stato ritrovato dagli archeologi nel corso di un intervento di consolidamento e restauro del complesso termale. Si tratta di ambienti già scavati tra il 1877 e il 1878. In quell’occasione lo scheletro doveva essere già stato intercettato, ma inspiegabilmente non scavato, forse perché lo strato vulcanico non permetteva la realizzazione di un calco.
Lo scheletro di un bambino di 7-8 anni è l’ultimo rinvenimento di una giovane vittima dell’eruzione, individuata in un ambiente del grande complesso delle Terme Centrali. Il ritrovamento è straordinario sia per la fortuita e inaspettata scoperta, sia per la collocazione inusuale del corpicino rispetto alla stratigrafia vulcanica del 79 d.C. 2La peculiarità del ritrovamento”, spiegano gli archeologi del Parco archeologico di Pompei, “è che lo scheletro è immerso nel flusso piroclastico (mix di gas e materiale vulcanico). Normalmente nella stratigrafia dell’eruzione del 79 d.C. è presente nel livello più basso il lapillo e poi la cenere che sigilla tutto. In questo caso si doveva trattare di un ambiente chiuso dove il lapillo non è riuscito ad entrare né a provocare il crollo dei tetti, mentre è penetrato direttamente il flusso piroclastico dalle finestre, nella fase finale dell’eruzione”.
L’intero complesso delle Terme Centrali è oggetto di interventi di consolidamento (trattamento delle lacune, consolidamenti, sarcitura delle lesioni, ripristino delle sommità murarie; ripristino dei livelli dei davanzali e delle soglie; sostituzione di architravi) e di restauro (revisione e restauro dei paramenti murari e degli intonaci; pulitura e restauro dell’impluvio, delle vasche e della scala; restauro dei tubuli nel calidarium) avviati a gennaio scorso. “L’asse economico-sociale di Pompei”, sottolineano gli archeologi, “si sposta verso via di Stabia: ecco dunque in quest’area il progetto di un nuovo complesso termale, che sostituiva un intero isolato della IX Regio e che, iniziato dopo il 62 d.C., non fu mai completato. Da notare che non sono previste sezioni separate per gli uomini e per le donne. Un efficace sistema assicurava il riscaldamento degli ambienti: ma al momento dell’eruzione mancavano ancora le fornaci, e non erano stati organizzati il giardino con porticato a pilastri, la palestra, la piscina. Ai lati dell’entrata principale, su via di Nola, due piccoli ambienti dovevano fungere da biglietteria e da deposito degli oggetti di valore”.
Lo scheletro è emerso durante la pulizia di un ambiente di ingresso. Al di sotto di uno strato di circa 10 centimetri è affiorato prima il piccolo cranio e in un secondo momento le ossa, disposte in maniera raccolta, che hanno permesso di formulare le prime ipotesi circa l’età del fanciullo che, in fuga dall’ eruzione, aveva trovato ricovero nelle Terme Centrali. Grazie alle indagini antropologiche, che vengono condotte in maniera sistematica fin dal ritrovamento dei reperti, sarà possibile determinare eventuali patologie. Allo scopo lo scheletro è stato rimosso e trasferito al Laboratorio di Ricerche applicate del parco archeologico di Pompei.
“Pompei è a una svolta per la ricerca archeologica”, dichiara Massimo Osanna, direttore del parco Archeologico di Pompei – non solo per le scoperte eccezionali che regalano forti emozioni come nel caso di questo ritrovamento. Ma anche perché si è consolidato un nuovo modello di approccio scientifico che affronta in maniera interdisciplinare le indagini di scavo. Un team di professionisti specializzati quali archeologi, architetti, restauratori ma anche ingegneri, geotecnici, archeobotanici, antropologi, vulcanologi lavora stabilmente, fianco a fianco e con il supporto di risorse tecnologiche all’avanguardia, per non lasciare al caso nessun elemento scientifico, e dunque ricostruire nella maniera più accurata possibile un nuovo pezzo di storia che, attraverso gli scavi, ci viene restituito”.
Speciale innamorati a Pompei: aperta eccezionalmente per San Valentino la domus dei Casti Amanti, un’esperienza unica e irripetibile. Dopo il 14 febbraio sarà chiusa per restauri fino al 2020

Apre per San valentino la preziosa domus dei Casti Amanti, un cantiere aperto tra impalcature e passerelle metalliche
A San Valentino? Alla Casa dei Casti Amanti a Pompei. Un’esperienza unica e irripetibile: la domus romana è infatti oggi un cantiere aperto off limits, che rimarrà inaccessibile al pubblico per i prossimi tre anni. Ma per gli innamorati e i turisti che nella settimana di San Valentino, dall’11 al 14 febbraio 2017, hanno in programma una visita agli Scavi di Pompei, la soprintendenza speciale ha pensato di fare un regalo… speciale: aprire eccezionalmente al Casa dei Casti Amanti, un gioiello del sito archeologico ai piedi del Vesuvio. E per gli appassionati dei social saranno pubblicati i selfie e le foto degli innamorati postati su Instagram.

L’affresco con il bacio che ha dato il nome alla domus dei Casti Amanti di Pompei aperta per San Valentino
Il nome della domus nasce dal bacio “casto” che due amanti si scambiano in uno dei quadretti di banchetto che decorano il triclinio della casa, con annesso panificio. Si trattava infatti dell’abitazione di un ricco panettiere e all’interno della domus sono visibili oltre al forno del panificio, splendidamente conservato, con le annesse macine anche le due stalle con i resti di sette animali. Ancora non integralmente esplorata, Vittorio Spinazzola nel 1912 aveva iniziato l’indagine della facciata con il balcone con colonnato, poi danneggiato nel bombardamento del 1943. Lo scavo è proseguito, a più riprese, dal 1982 fino al 2004, con un ampio progetto di restauro e valorizzazione. Poco prima dell’evento drammatico del 79 d.C., erano in corso la risistemazione della rete idraulica e, nella Casa dei Pittori al lavoro, il rifacimento della decorazione parietale nel grande oecus (stanza di ricevimento): l’interruzione improvvisa lasciò incompleti i quadretti dei quali era già eseguita la sinopia. Indizio dell’abbandono repentino dei lavori sono le numerose coppette ancora piene di pigmenti che l’artista stava adoperando. Aperta al pubblico per la prima volta nel 2010 e poi richiusa, la domus dei Casti Amanti viene ora in via straordinaria proposta alla visita del pubblico prima dell’avvio del grande cantiere che ne consentirà il restauro globale e la valorizzazione, oltre che riconfigurare le scarpate dell’area.

La selva di tubi e impalcature che oggi imbraga il complesso della Casa dei Casti Amanti e quella dei Pittori al Lavoro
La casa fa parte di un’unica grande Insula che comprende anche la Domus dei Pittori al Lavoro e alcune botteghe. La visita alla Casa dei Casti Amanti ovviamente richiede alcune accortezze: l’area di 2600 metri quadri infatti, ingabbiata da una fitta rete di tubolari, è interessata da lavori di scavo, messa in sicurezza e restauro che mettono in luce tutta la delicatezza dello status della domus. Per questo l’accesso sarà consentito a gruppi di venti persone (non è richiesta la prenotazione), per disciplinare il percorso dei turisti in questo gigantesco cantiere che consiste in aree ricche di reperti archeologici al piano terra e camminamenti su pedane in ferro grigliate ai piani alti dai quali si può ammirare la pianta di due importanti domus pompeiane: la Casa dei Casti Amanti, ovviamente, e la vicina Casa dei Pittori al lavoro. La prima “attenzione” per i visitatori è già subito all’ingresso: due gradini che separano di soli quaranta centimetri un muro antico e dallo scheletro intero e suggestivo di un grosso mulo, emerso dagli scavi insieme ad altri animali che si trovavano nella stalla al momento della esplosione del Vesuvio e che giacciono al suo fianco. L’intero flusso dei visitatori che arriverà a Pompei nei quattro giorni di apertura straordinaria della Casa dei Casti Amanti dovrà infilarsi in questo passaggio.
Il progetto di restauro e messa in sicurezza dell’area prevede la rimozione dell’attuale ingabbiatura di tubolari, inoltre, lo scavo della restante parte delle due domus confinanti, la messa in sicurezza dei muri pericolanti e l’installazione di una moderna copertura in alluminio con lucernari, e una passerella in acciaio sospesa. Il tutto poggerà su 12 pilastri esterni alle mura. “Chi entra oggi nella Casa dei Casti Amanti”, assicurano gli archeologi della soprintendenza, “non può fare a meno di abbassare il tono della voce. I visitatori provano soggezione e una forma di spavento davanti allo spettacolo della bellezza, della distruzione e della morte che si presenta allo sguardo. L’impatto con gli scheletri di cinque muli ridotti in mummie e in parte pietrificati espone il visitatore a un duro confronto con la sofferenza degli animali utilizzati per la macina dell’annesso panificio e abbandonati alla loro sorte al momento dell’esplosione del Vesuvio nel 79 d.C. Poi i muri con file di colonne, in parte in piedi e in parte abbattuti e trascinati dal peso della lava. Le anfore implose. E, infine, i danni del bombardamento durante la Seconda guerra mondiale rappresentano tutti insieme l’insulto della storia e degli elementi alla vita quotidiana della bella città vesuviana”. Per terminare i lavori, che saranno appaltati entro la fine del 2017, saranno utilizzati 10 milioni di euro del Grande progetto Pompei. Quando l’opera sarà ultimata, una parte della villa oggi inesplorata sarà visitabile, insieme alla Casa dei Pittori al Lavoro, che si presenta sontuosa con le stanze affrescate e un giardino nell’impluvium ricostruito con il cannucciato, proprio come si presentava nel 79 d.C, prima dell’eruzione del Vesuvio. Chi ha dunque la fortuna di entrare in quest’area della Regio IX nel weekend lungo, dedicato a San Valentino, ammirerà non solo la Casa dei Casti Amanti ma anche l’annessa domus dei Pittori al Lavoro. E potrà dirsi privilegiato. Perché, dopo il 14, il cantiere chiuderà per i prossimi 3 anni e sarà riaperto al pubblico solo nel 2020.
La giornata dell’amore sarà celebrata anche attraverso Instagram. Infatti la soprintendenza speciale di Pompei ha organizzato con la comunità Igers Campania uno speciale percorso dedicato all’amore: 15 fotografi molto seguiti sul popolare social network visiteranno il sito archeologico e la Casa dei Casti Amanti e pubblicheranno il giorno di San Valentino le loro foto usando gli hashtag #ILovePompeii, #DiscoverPompeii e #CastiAmanti.
Scavi di Pompei. Per Natale i visitatori hanno trovato tre “doni”: restituiti il piccolo Lupanare, la casa di Obellio Firmo e la casa di Marco Lucrezio Frontone grazie agli interventi programmati dal Grande Progetto Pompei

Il grande atrio della casa di M. Obellio Firmo restituita per le festività natalizie ai visitatori degli scavi di Pompei
Erotismo e lusso a Pompei nel 79 d.C nei 50mila mq restituiti ai turisti: il piccolo Lupanare, la casa di Obellio Firmo, la casa di Marco Lucrezio Frontone e, in più, lo scavo inedito di un ambiente totalmente occultato dal terreno sono i “doni” di Natale degli Scavi di Pompei ai visitatori del sito archeologico. Sessanta milioni di euro spesi, altri 40 milioni da impiegare. I fondi europei per i restauri del Grande progetto Pompei sono ancora in gran parte non spesi, ma il volto della città antica è già completamente cambiato come hanno sottolineato il direttore della soprintendenza speciale di Pompei, Massimo Osanna, e il direttore generale del Grande Progetto Pompei, gen. Luigi Curatoli, nel presentare la vastissima area di 50mila metri quadrati liberata da ponteggi, puntellamenti, vecchi residui di materiali inidonei che rendevano non percorribile le Regio V e IX. È terminato, infatti, il lavoro di messa in sicurezza della Regio V e IX previsti dal Grande Progetto Pompei. Un’imponente opera di restauro che ha interessato le murature (integrazione di lacune e mancanze, stilatura dei giunti, revisione delle creste murarie, manutenzione o sostituzione di piattabande), gli apparati decorativi (pulizia, consolidamento, piccole integrazioni, sostituzione di materiali non idonei di vecchi restauri), oltre a prevedere interventi su strade e marciapiedi, cancelli e coperture, consentendo anche di conoscere e documentare dettagli finora ignoti delle aree interessate. Gli interventi strutturali sulle murature più compromesse hanno finalmente resi accessibili gli edifici del piccolo lupanare (Regio IX, insula 5, civico16), custode di un’altra serie di affreschi erotici in uno degli ambienti, la maestosa Casa di Obellio Firmo ( Regio IX insula 14 civico 4) aperta sul decumano di via di Nola e la casa di Marco Lucrezio Frontone (Regio V) completata con il restauro dell’ambiente triclinare, con lo splendido affresco che raffigura l’uccisione di Neottolemo da parte di Oreste.

Il gigantesco forziere in bronzo e ferro che M. Obellio Firmo teneva nell’atrio di ingresso della sua domus
Un gigantesco forziere in bronzo e ferro, sfondato dai lapilli dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. accoglie i visitatori all’ingresso della casa di Obellio Firmo, aperta nel sito archeologico di Pompei al termine del restauro. Cinque persone, delle quali sono stati trovati gli scheletri, tentarono di ripararsi all’ingresso del secondo atrio di questa Domus abitata da una famiglia aristocratica che mostrava la propria potenza economica esponendo all’ingresso una imponente cassaforte tra quattro colonne visibili dalla strada. La domus di M. Obellio Firmo è tra le più grandi e articolate di Pompei: il nome del proprietario, al momento dell’eruzione del Vesuvio, appunto Obellio Firmo, era scritto nell’angolo Nord Ovest del peristilio. La casa aveva due ingressi: il più importante, chiuso da un portone, era quello sul civico 4 di via di Nola, con un monumentale atrio a quattro colonne in tufo di più di 7 metri di altezza. Qui, visibile anche dalla strada, a ribadire lo status sociale della famiglia, c’era un cartibulum (tavolo) in marmo a sostenere una statuetta. Un atrio secondario era destinato all’accoglienza dei clientes con sedili in muratura. È qui che sono stati trovati gli scheletri di cinque persone in cerca di un riparo durante l’eruzione. Su questo atrio gravitavano anche gli ambienti privati della casa, con la cucina e il quartiere termale tra i più antichi di Pompei.
Con le festività natalizie è stata aperta anche un’altra sontuosa dimora: la casa di Marco Lucrezio Frontone, identificata grazie alle iscrizioni elettorali rinvenute durante gli scavi. Lucrezio Frontone aveva infatti intrapreso una brillante carriera politica, candidandosi alle principali cariche pubbliche della città. In uno dei tre soggiorni di questa domus furono trovati i resti di cinque adulti e tre bambini morti in seguito dell’eruzione del Vesuvio. All’interno di questa casa, un gioiello per le decorazioni di notevole qualità nonostante le limitate dimensioni (460 mq), si può ammirare l’elegante parete a fondo nero e quadretti del tablino raffiguranti immaginarie ville marittime che affiancano i quadri principali: quello con il trionfo di Bacco e Arianna, e quello con gli amori di Venere e Marte. E poi, in un piccolo cubicolo, amorini in volo su un fondo giallo ocra e contorni di scene moraleggianti in cui si riconoscono Narciso e Perona, rappresentata mentre allatta il vecchio padre Micone per salvarlo dalla morte a cui era stato condannato. Triste pudore fuso con pietà è la traduzione del distico dipinto nell’angolo superiore della composizione per celebrare l’amore filiale proposto dal mito. I padroni di casa hanno ritratto i volti dei propri figli ai lati dell’ingresso di questo interessante cubicolo che probabilmente era la stanza dei ragazzi. Forse sono i volti di quei bambini trovati morti. La stanza della padrona di casa (domina) è decorata dall’affresco di Arianna che porge il filo a Teseo in una scena della toilette di Venere. Sulle pareti del giardino è ancora visibile l’affresco con scene di caccia (leoni, pantere e orsi, tori, buoi e cavalli). Al termine dei lavori di messa in sicurezza è stato restituito alla vista dei turisti il grande triclinio in cui campeggia il quadro in cui Neottolemo viene ucciso da Oreste davanti al tempio di Apollo a Delfi. La parte posteriore della casa è occupata dagli ambienti di servizio, con cucina e latrina, dal viridario e da un portico con tre colonne su cui si affacciano diversi ambienti di soggiorno. È qui che sono stati trovati gli scheletri di cinque adulti e tre bambini schiacciati dal crollo del tetto durante l’eruzione del 79 d.C.
La terza novità delle festività natalizie per i visitatori è il Piccolo Lupanare (“Lupanariello”) restaurato all’interno di una struttura che era, probabilmente, un luogo di ristorazione in cui veniva esercitata la prostituzione. Quattro affreschi erotici rivelano la natura degli incontri che si tenevano in quel locale, del quale era stata murata la finestra per garantire la privacy ai clienti. Inedito, infine, lo scavo emerso dalla pulizia effettuata dagli archeologi nella Regio IX, insula 3, utilizzata già dai pompeiani come una sorta di “discarica” di materiali di costruzione. Così la trovò Giuseppe Fiorelli e la lasciò durante i suoi scavi a metà del 1800. Oggi, grazie ai restauri del Grande Progetto Pompei, è riportato alla luce il pavimento in signinum di una dimora probabilmente abbandonata a seguito del terremoto del 62 d.C. Nei pressi, è stato portato alla luce un antico panificio (pistrinum) con una parte della macina, edificio poi trasformato in una tintoria (fullonica), con vasca e annesso lavatoio. Una bomba nel 1943 semidistrusse il pavimento in basoli della strada. Gli archeologi del Grande Progetto Pompei hanno risistemato la pavimentazione originaria di questa parte del sito.
Pompei. Ancora scoperte a Porta Ercolano: all’interno di due botteghe artigiane gli scheletri di cinque pompeiani – tra cui un bambino – in fuga dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Hanno trovato la morte dove speravano di salvarsi

Scavo a Porta Ercolano di Pompei: Il ritrovamento di cinque giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio
Stavano scappando dall’inferno del Vesuvio del 79 d.C., si erano riparati all’interno di una bottega artigiana, una scelta per loro fatale: quello che doveva essere il loro rifugio sicuro è diventata la loro tomba. Duemila anni dopo Pompei ci restituisce un altro tassello di storia quotidiana, di momenti di vita e di morte. Gli archeologi nel corso di una campagna di scavo nell’area di Porta Ercolano hanno riportato alla luce cinque scheletri di giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio: lì vicino resti di oggetti in oro, vasellame e un urceus (contenitore) del prezioso garum, quella che oggi chiamiamo “colatura di alici”; e poi zappe, forse usate dai giovani per scavarsi un cunicolo tra la cenere e i lapilli oppure lasciate lì, secoli dopo, dai saccheggiatori di tombe. Siamo dunque ancora a Porta Ercolano di Pompei, una zona che si sta rivelando particolarmente ricca, tra necropoli e area produttiva. Un anno fa, lo ricordiamo, qui era stata trovata la tomba di una donna sannitica, quindi del periodo in cui il nucleo abitato di Pompei non era ancora stato romanizzato. E poche settimane fa l’annuncio della scoperta dei resti di un giovane sepolto in una tomba, con tanto di corredo funerario, risalente a quasi 400 anni prima della devastante eruzione che cancellò le antiche Pompei, Ercolano e Stabiae (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/07/06/pompei-stupisce-ancora-nella-necropoli-di-porta-ercolano-scoperta-tomba-a-cassa-del-iv-secolo-a-c-con-corredo-funerario-completo-un-anno-fa-la-stessa-area-restitui-una-tomba-sannitica-che-fa-luce/).

Il soprintendente Massimo Osanna in sopralluogo alla tomba sannitica della necropoli di Porta Ercolano a Pompei

Lo scavo della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs
Sono queste le ultime scoperte della campagna di ricerca a Porta Ercolano della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs. I ritrovamenti particolarmente interessanti di sepolture e botteghe crea non poche problematiche. Gli archeologi dovranno infatti rispondere a ulteriori interrogativi sulla organizzazione, gestione e trasformazione, di questo intreccio tra spazio funerario e commerciale nell’area suburbana di Porta Ercolano. “Queste ultime scoperte”, sottolinea il soprintendente Massimo Osanna, “confermano come Pompei riservi continue sorprese. Sapevamo che in questa zona esisteva una prolifera attività produttiva. E qui abbiamo trovato le botteghe dei vasai, fuori le mura, perché questa produzione implicava rumore, fumi, scarti di lavorazione. Credevamo che queste attività fossero state altamente indagate, poiché la zona fu oggetto di scavo già nell’800 con l’archeologo Giuseppe Fiorelli. Invece, qui, abbiamo trovato ancora tracce delle attività che si svolgevano e, con la fortuna che deve sempre assistere l’archeologo, abbiamo trovato anche tombe dell’epoca sannitica, risalenti alla fine del V, e inizio del IV secolo. Le indagini che seguiranno ci daranno informazioni su come in quell’epoca cambia il popolamento di Pompei”.
I cinque scheletri, tra cui quello di bambino, sono stati trovati nel cantiere di scavo di due botteghe artigiane. Secondo Claude Pouzadoux, direttrice del Centre Jean Bérard, questi cinque pompeiani erano probabilmente in fuga dall’eruzione del 79 d.C. e avevano cercato rifugio in uno di questi locali, dove invece sono rimasti intrappolati e sono morti. “Purtroppo”, continua, “questo luogo è stato devastato dai tombaroli tra la fine ‘700 e gli inizi ‘800, scavatori clandestini alla ricerca di oggetti preziosi e metalli. Il loro passaggio ha scomposto le ossa delle cinque vittime, che ora ci apprestiamo a ricomporre e a studiare. Ai saccheggiatori dell’epoca sfuggirono tre monete d’oro (tre aurei datati 74 e 77/78 d.C.) e un fiore in foglia d’oro, probabilmente un pendente di collana. E poi ci sono vasi di diverse forme, alcuni anneriti dalla cottura. E c’è anche un’anfora dal collo allungato, un urceus, tipico contenitore per il garum, l’apprezzata ‘colatura di alici’ che ancora oggi viene prodotta dai pescatori della costiera amalfitana, come saporita salsa di pesce, un gustoso condimento della cucina meridionale”.
23-25 ottobre 79 d.C.: gli ultimi tre giorni di Pompei raccontati ora per ora da Alberto Angela, ospite a Rovereto, e con un film di Massimo My
“Il 24 ottobre del 79 d.C. sembra un venerdì qualsiasi a Pompei, una città abitata da circa dodicimila persone che, come innumerevoli altre nell’Impero, lavorano, vanno alle terme, fanno l’amore. Ma alle 13 dal vicino Vesuvius si sprigiona una quantità di energia pari a cinquantamila bombe atomiche e, in meno di venti ore, sotto un diluvio ustionante di ceneri e gas, Pompei è soffocata da sei metri di pomici, mentre la vicina Ercolano viene sepolta sotto venti metri di fanghi compatti. Migliaia di uomini e donne cercano di scappare, invocano gli dèi, ma trovano una morte orribile. E solo in epoca moderna saranno scoperti alcuni dei loro corpi, contorti nella disperazione della fuga”. Dopo molti anni passati a studiare la zona vesuviana, con il supporto di archeologi e vulcanologi Alberto Angela ricostruisce come in presa diretta i giorni che ne segnarono il tragico destino nel libro “I tre giorni di Pompei” (Rizzoli, 2014).

Con il supporto di archeologi e vulcanologi Alberto Angela ricostruisce come in presa diretta gli ultimi giorni di Pompei
Venerdì 16 gennaio, alle 21, Alberto Angela sarà al cinema teatro Rosmini di via Paganini a Rovereto proprio per presentare i dettagli de “I tre giorni di Pompei” (Rizzoli, 2014). Naturalista e paleontologo, scrittore e giornalista, ricercatore rigoroso e divulgatore eccelso, Alberto Angela è infatti l’ospite d’onore del calendario di eventi promossi nel mese di gennaio dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto. “La presenza a Rovereto di Angela, che nel corso della serata dialogherà con il direttore artistico della Rassegna Internazionale del Cinema archeologico Dario Di Blasi”, ricordano i promotori, “è maturata nell’ambito dei rapporti di collaborazione stretti negli anni con la Fondazione di Borgo Santa Caterina: Angela era stato fra gli ospiti della Rassegna nell’ottobre del 2013”.
Alberto Angela nel suo libro individua alcuni personaggi storicamente esistiti – la ricca matrona Rectina, un cinico banchiere, un politico ambizioso – e li segue passo dopo passo, in un percorso che si può fare ancora oggi, per strade, campagne, case o locali pubblici. In questo modo, non solo ci fa scorrere davanti agli occhi la vita quotidiana (prima) e la morte (poi) come in un film mozzafiato, ma dà anche nuove, illuminanti risposte a intriganti interrogativi: perché nessuno si era accorto di vivere alle pendici di un vulcano-killer? Come mai alcune eleganti domus erano diventate laboratori artigiani? E che cosa legava Plinio il Vecchio, naturalista e ammiraglio scomparso nella tragedia, all’affascinante Rectina? Dettagliatissimo e aggiornato con gli studi più recenti, è un viaggio emozionante nel mondo antico, lo sconvolgente reportage di una tragedia, un libro unico che si legge come un romanzo e ha la profondità di un grande saggio. “È il 79 d.C., benvenuti a Pompei”.
http://www.sperimentarea.tv/ondemand/trailer-rassegna-2012-pompei
L’incontro di venerdì 16 sarà preceduto, alle 20.30, dalla proiezione del film-documentario “Pompei” di Massimo My (2011) proveniente dall’archivio cinematografico del Museo: scritto e diretto da Massimo My per la Mymax Edutainment, e Giorgio Iovino art director, Giorgio Capaci 3D supervisor, Luigi Vetrani, Giuseppe Giannattasio, Mattia Fabrizi, Lorenzo Raffi 3D modelling, lo straordinario filmato su Pompei è impreziosito da splendide ricostruzioni virtuali.














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