Roma. A Villa Caffarelli (musei Capitolini) ultima settimana per visitare la mostra “Nuova Luce da Pompei a Roma”, un viaggio nelle atmosfere e nelle luci che illuminavano le notti dei Romani, per scoprire ciò che non è più visibile: la luce del passato, attraverso 150 reperti originali in bronzo dalle città vesuviane: lucerne ad olio, candelabri, porta-lucerne

Locandina della mostra “Nuova luce da Pompei a Roma” ai musei Capitolini-Villa Caffarelli dal 5 luglio all’8 agosto 2023
Ultima settimana per regalarsi un viaggio nelle atmosfere e nelle luci che illuminavano le notti dei Romani, per scoprire ciò che non è più visibile: la luce del passato. Termina infatti l’8 ottobre 2023, salvo proroghe, la mostra “Nuova Luce da Pompei a Roma”, nella sede espositiva dei Musei Capitolini – Villa Caffarelli, promossa da Roma Capitale, assessorato alla Cultura, sovrintendenza capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con l’università Ludwig-Maximilian di Monaco di Baviera, e curata da Ruth Bielfeldt e Johannes Eber, con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura. Per la prima volta una mostra affronta in maniera organica la tecnologia, la dimensione estetica e le atmosfere della luce artificiale nel mondo romano. Nessun’altra città dell’antichità ha restituito così tanti sistemi di illuminazione come Pompei.

Dettaglio della statuetta in bronzo di un Sileno da un portalucerna dalla Casa della Fontana Piccoli a Pompei, conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
La mostra porta a Roma 150 reperti originali in bronzo dalle città vesuviane: lucerne ad olio, candelabri, porta-lucerne nonché supporti per lucerne figurative e torce, opere custodite nel museo Archeologico nazionale di Napoli e al parco archeologico di Pompei. Oltre a celebri statue e sculture di lucerne, l’allestimento presenta anche reperti appartenenti al Mann non esposti in pubblico, molti dei quali restaurati appositamente per l’occasione e, in questa sede romana, anche da circa 30 opere pertinenti alle collezioni dei Musei Capitolini, Antiquarium. L’esposizione è ideata dalla prof. Ruth Bielfeldt, docente di Archeologia classica dell’università Ludwig-Maximilian di Monaco, nell’ambito di un progetto di ricerca che ha affrontato questi materiali e tematiche in maniera sistematica, entro una cornice scientifica interdisciplinare.
La luce artificiale romana, che la mostra invita a riscoprire, è arte della luce. Con le loro forme plastiche e le superfici elaborate, lucerne e candelabri di bronzo creano una spettacolare scenografia di luce e ombra. L’esposizione è arricchita da riproduzioni fedeli prodotte in cooperazione con la Fonderia d’Arte San Gallo AG, nonché da simulazioni digitali su modelli tridimensionali. Il tema dell’illuminazione offre una nuova prospettiva per la comprensione delle diverse sfere di vita nell’antica Roma: festa e religione, magia ed erotismo, sogno e notte. L’illuminazione è un prodotto tecnico-culturale che permette, in primo luogo, di creare uno spazio umano di condivisione. Questa prospettiva antropologica sulla luce, intesa come mediatrice sociale fondamentale, serve come linea guida del percorso narrativo. Per mettere in relazione passato e presente sono state inserite all’interno del progetto espositivo le lampade realizzate dal light designer Ingo Maurer (1932–2019). Le sue creazioni poetiche, ludiche, bizzarre, sovversive, testimoniano la vitalità di un rapporto creativo con la luce che prosegue da duemila anni.

La lucerna col sileno e , sopra l’ingresso. la scultura blu “Remember Yves” di Ingo Maurer (foto roma capitale)
Il percorso espositivo, articolato in 9 sale, ripercorre il ruolo della luce nella vita quotidiana e sociale, in un dialogo degli stessi oggetti archeologici con fonti letterarie. Ad accogliere i visitatori un’installazione che contrappone il Sileno, una lucerna antica, all’opera moderna “Remember Yves” di Maurer, una scultura blu di forte impatto estetico che rimanda al salto nel vuoto di Yves Klein (1960) interpretato come incarnazione di luce in movimento.
Nella prima sala un video introduttivo didattico spiega il progetto scientifico “Nuova Luce da Pompei” e segue il percorso della lucerna sontuosa con pipistrello dalla Villa di Arianna di Stabia dalla scoperta nel 1761 alla riproduzione e all’uso sperimentale nel 2022.

Il modello della Casa del Poeta Tragico a Pompei (foto roma capitale)
Il modello della Casa del Poeta Tragico, presentato nella terza sala, offre un’idea delle condizioni di luce della domus romana, luogo caratterizzato dalla semioscurità. A tal proposito, ricerche condotte da Danilo Marco Campanaro (università di Lund) rivelano la scarsa quantità di luce disponibile, così come la ritmizzazione della giornata attraverso la luce solare.

Riflettore di una lucerna a due becchi a forma di pipistrello stagnato, riproduzione di una lucerna da Stabiae, realizzata da Ludwig-Maximilians-Universität München (foto Johannes Eber, Nuova Luce da Pompei)
La “fonderia” della quarta sala mette a fuoco gli aspetti tecnici e estetici del bronzo – materia che modula la luce con i suoi variegati colori e superfici. Un candelabro tardo ellenistico, realizzato in bronzo policromo (aes corinthium) testimonia il particolare apprezzamento per questo materiale nel periodo tardo repubblicano. Qui i visitatori sono invitati a toccare una replica della grande lampada con pipistrello, oggetto iconico della mostra.

La Sala della Notte nella mostra “Nuova luce da Pompei a Roma” ai musei Capitolini-Villa Caffarelli (foto roma capitale)
Nella Sala della Notte è presentato l’originale della lucerna con pipistrello dall’antica Stabia accanto ad altre lampade nonché un prezioso porta-lucerne a forma di quercia che faceva parte di un’installazione di paesaggio sacro notturno.

Esperimento con una lucerna ardente, riproduzione di una lucerna da Pompei, realizzata da Ludwig-Maximilians-Universität München (foto Johannes Eber, Nuova Luce da Pompei)

Lucerna a tre becchi con statuetta di un danzatore da Pompei conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Johannes Eber, Nuova Luce da Pompei)
Nelle due sale successive, la quinta e la sesta, viene poi proposto un approfondimento della luce legata al riposo e al consumo di cibo che, attraverso lucerne teatrali e giocose, stufe e scaldavivande, offre una ricostruzione della complessa coreografia della luce legata alla convivialità e la sua funzione di “regolatore sociale”. Diverse opere antropomorfe – come la complessa trilichne con figurina di danzatore – mostrano quanto la luce scenica del convivium si concentrasse proprio sui gruppi sociali marginalizzati, responsabili dell’intrattenimento.

Dettaglio della la statua lampadoforo, il cosiddetto “Apollo della Casa di Giulio Polibio”, conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto roma capitale)
Il rapporto tra luce artificiale e servitù è espresso attraverso la statua lampadoforo, il cosiddetto “Apollo della Casa di Giulio Polibio”, una scultura di alta qualità della prima età imperiale in stile arcaico, che assume la funzione di porta-vassoio. L’estetica, la funzione e la storia del ritrovamento di questa figura e degli altri reperti trovati a Pompei sono spiegati in una postazione multimediale con contenuti digitali interattivi.

Visore 3D per apprezzare il Triclino Virtuale (foto roma capitale)
Il Triclinio Virtuale riemerge, tramite occhiali 3D, nella luce notturna del 79 d.C. La simulazione virtuale della luce è basata su un’esatta ricostruzione degli affreschi murali e su calcoli dell’intensità luminosa delle fiamme e delle proprietà riflessive dei materiali. I visitatori con una “torcia virtuale” possono accendere delle lucerne esercitando il controllo sulla luce e quindi sulla propria percezione.

Lucerna a forma di piede dal larario della Casa della Fortuna a Pompei, conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Johannes Eber, Nuova Luce da Pompei)
Nella sala delle atmosfere (la settima) si apre un ampio spettro di atmosfere diverse. L’aura religiosa viene evocata attraverso gli arredi del larario della Casa della Fortuna di Pompei: il corredo di statuette bronzee e un’elegante lampada a forma di piede umano, esposto per la prima volta nella sua integrità. Le lucerne falliche, appartenenti a tintinnabula provenienti da tabernae e botteghe, ne testimoniano gli aspetti magici. Lucerne dionisiache ed erotiche evocano la sensualità della luce antica. Oltre al noto Efebo della Casa dell’Efebo da Pompei, viene presentata una statuina porta-fiaccola di un fanciullo orientale nudo, un’opera inedita e sconosciuta, scoperta nel 1818 nella clinica del chirurgo Pumponius Magonianus non lontana dal Foro di Pompei. La sezione sull’estetica della luce presenta la complessa scenografia multiombre delle lucerne romane che si comprende meglio se messa in relazione con le antiche teorie dell’ombra in Platone o Plinio.
L’ottava sala è dedicata alla riscoperta di utensili in bronzo pompeiani nel XVIII e XIX secolo. In quell’epoca le suppellettili romane esercitavano il fascino dell’immediatezza della vita quotidiana antica. La sala offre sorprendenti risultati e spunti di riflessione sulla pratica del restauro creativo da parte della Fonderia Borbonica prima della musealizzazione dei reperti archeologici fra 1750 e 1820. È presentato qui un insieme di elementi ricomposto arbitrariamente descritto da Winckelmann nel 1761 e restaurato nel 2021.

Candelabri romani nella mostra “Nuova luce da Pompei a Roma” ai Musei Capitolini – Villa Caffarelli (foto roma capitale)
La mostra sulle città vesuviane si chiude con l’eruzione del Vesuvio. Non sono i calchi umani, ma gli oggetti in bronzo a raccontare il momento della paura e della fuga dall’antichità ai giorni nostri. Una piccola lucerna a forma di testa di africano (dal Mann) accompagnava due pompeiani durante la fuga. Ma a sopravvivere è stata solo la lucerna. Infine, nell’ultima sala, dedicata ai reperti di Roma viene proposta l’altra faccia del rapporto tra uomo e luce nell’antichità romana. Luce, calore e fuoco possono generare eventi drammatici, che travalicano la sfera privata e investono la vita della città tutta. Sono così ripercorse le vicende della città in relazione con gli incendi e con le modalità di organizzazione messe in atto per fronteggiare questo fenomeno. Particolare rilievo viene dato alla Caserma (Excubitorium) dei Vigili della VII Coorte in Trastevere, da cui proviene una fiaccola, raro reperto legato verosimilmente all’illuminazione pubblica. Alcuni oggetti in bronzo, lucerne, candelabri, una statuetta, suggeriscono poi quali potevano essere le suppellettili che adornavano le case patrizie della Roma imperiale.
Castellammare (Na). A Villa San Marco dell’antica Stabiae i nuovi scavi portano alla luce la parte terminale del portico superiore con pitture e frammenti di pareti e soffitto che “raccontano” le dinamiche dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Antica Stabiae (Castellammare), Villa San Marco: frammenti della decorazione del peristilio (portico colonnato) superiore (foto parco archeologico pompei)

Antica Stabiae (Castellammare), Villa San Marco: peristilio (portico colonnato) superiore (foto parco archeologico pompei)
A Villa San Marco dell’antica Stabiae, oggi Castellammare di Stabia, è emersa la parte terminale del portico superiore, parzialmente scavato e oggetto di ulteriore indagine di questo cantiere, con pitture ancora in situ e ampi stralci di sezioni crollate dalle pareti o dal soffitto. Sono i risultati della più recente campagna di scavo, avviata a marzo 2023 e tuttora in corso. Si tratta di parti preziose che contribuiscono ad indagare nel dettaglio e ad acquisire nuovi elementi circa le dinamiche della distruzione del complesso con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Lo scavo è condotto sul campo nella forma del cantiere didattico, con il coinvolgimento di docenti, giovani ricercatori e dottorandi in collaborazione tra il parco archeologico di Pompei, la Scuola superiore Meridionale, l’università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’ e la Scuola IMT Alti Studi di Lucca, sotto la direzione della professoressa Maria Luisa Catoni, del professor Carlo Rescigno e del direttore del parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel.

Antica Stabiae (Castellammare), Villa San Marco: frammenti della decorazione del peristilio (portico colonnato) superiore (foto parco archeologico pompei)

Antica Stabiae (Castellammare), Villa San Marco: frammenti architettonici (foto parco archeologico pompei)
“Questa campagna di scavi nell’antica Stabia”, ha commentato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, “propone scoperte di grande pregio archeologico e si aggiunge a tutte le altre attività messe in campo dal ministero della Cultura in questi mesi per la salvaguardia e lo sviluppo di tutta l’area. Il contesto che si snoda tra Stabia, Oplonti, Ercolano e Pompei è tra i più rilevanti al mondo e ha ancora tanto da rivelare”. E il direttore, Gabriel Zuchtriegel: “Grazie alla collaborazione con le università e alla professionalità del team del Parco Stabia si conferma come un centro per la ricerca archeologica di risonanza internazionale. Questo è un’ottima premessa per portare avanti i nostri ambiziosi progetti di valorizzazione: ampliamento del Museo “Libero d’Orsi” e creazione di un centro di formazione alla Reggia di Quisisana, valorizzazione delle ville S. Marco e Arianna con la creazione di servizi di accoglienza e didattica, studio e messa in sicurezza di Grotta San Biagio per progettare una sua futura fruizione”.

Veduta satellitare di Villa San Marco dell’antica Stabia sul pianoro di Varano (foto parco archeologico pompei)
Stabia, l’antica città vicino a Pompei, era divenuta alla fine del I secolo a.C. un luogo di villeggiatura dell’élite romana. Qui, ancora oggi, sono presenti preziose testimonianze di architetture e pitture di straordinaria qualità, tra cui Villa San Marco. Si tratta di un grande complesso esteso per più di 11mila metri quadri che occupa parte del ciglio del pianoro di Varano, cuore del vecchio centro urbano. Negli ultimi anni, la Villa è stata interessata da diverse campagne di scavo volte ad indagare fasi edilizie precedenti del complesso e a comprendere l’estensione dell’intera struttura. La Villa San Marco era stata scavata per cunicoli e a cielo aperto nella prima epoca borbonica, quindi risepolta e nuovamente scavata restaurata e integrata da Libero D’Orsi negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Inoltre, la dimora è stata nuovamente restaurata a seguito dei danni subiti dal terremoto del 1980.

Villa San Marco è una delle perle del territorio stabiese (foto parco archeologico pompei)

Planimetria dell’area di villa San Marco a Stabia interessata dai nuovi scavi archeologici (foto paco archeologico pompei)
Il complesso si articola in un quartiere con doppio atrio e impianto termale, un giardino colonnato inferiore con una grande piscina coronata a est e a ovest da raffinati ambienti di soggiorno e rappresentanza (il Grande Salone a Ovest e le due diaetae a Est). La struttura si conclude con un portico superiore monumentale a tre bracci aperto verso il mare. Di quest’ ultimo era noto l’avvio, e solo in anni recenti ne è stata individuata la fine, a circa cento metri di distanza dall’angolo oggi conservato. Una ampia parte di tale articolazione è quindi ancora da portare alla luce. Nel 2020 era iniziato un primo cantiere, parte di un più ampio programma di ricerca centrato sullo scavo del portico attivo anche in questi mesi.

Antica Stabiae (Castellammare), Villa San Marco: lo scavo riporta alla luce poco a poco frammenti della decorazione del peristilio (portico colonnato) superiore (foto parco archeologico pompei)

Antica Stabiae (Castellammare), Villa San Marco: frammenti del tetto crollato del peristilio (portico colonnato) superiore (foto parco archeologico pompei)
La struttura emerge dai lapilli nel suo assetto originario con la ricca decorazione pittorica in IV stile alle pareti e molto ben conservata. E con il monumentale soffitto figurato in crollo sull’alto strato di lapillo grigio e le architetture poderose concluse con una fuga di colonne tortili. Seguendo il racconto fornito dalle stratigrafie di lapilli e di crolli e dalla sequenza dei flussi piroclastici che hanno invaso atri, giardini e sommerso i tetti provocandone in tempi diversi i crolli, è inoltre possibile ricostruire le ultime ore di vita della villa.

Antica Stabiae (Castellammare), Villa San Marco: frammenti della decorazione del peristilio (portico colonnato) superiore (foto parco archeologico pompei)
A conclusione della pioggia dei lapilli, o quando questa sembrò indebolirsi, un gruppo di abitanti, per ragioni a noi ancora sconosciute, tornò sul luogo o emerse da nascondigli di fortuna, ma fu sorpreso dall’ultimo parossismo eruttivo. Correnti piroclastiche, venti densi, caldi, generati dal crollo al suolo della colonna eruttiva sommersero tutto. Decretando la fine dell’insediamento e lasciando sopravvivere solo alcune parti di quella che fu la lussuosa villa di San Marco.

Antica Stabiae (Castellammare), Villa San Marco: frammento di affresco con figura seduta sulle architetture (foto parco archeologico pompei)

Antica Stabiae (Castellammare), Villa San Marco: frammento di affresco con amorini (foto parco archeologico pompei)
Nonostante la distruzione drammatica, la vita e il lusso della villa riaffiorano nelle gamme cromatiche delle pitture su pareti e soffitti, negli stucchi, nei capitelli, nei preziosi rivestimenti e coronamenti di colonne e coperture. Le pitture riproducono tappeti, candelabri e scene fantastiche, finte architetture con profondi scorci prospettici spesso realizzate in diversi toni di azzurro. Le pareti sono popolate da figure sedute sulle architetture, attori o figure mitiche, o disposte a riempire il centro dei tappeti, spesso in volo. Nelle finte architetture troviamo statue dorate, quadretti con rappresentazioni di genere, nature morte, paesaggi marini e architettonici, naumachie.
Pompei. Emergono due nuove vittime dallo scavo dei Casti Amanti: due scheletri schiacciati sotto un crollo di muro. Zuchtriegel: “Non fu solo l’eruzione a causare la morte degli abitanti dell’area ma anche un terremoto concomitante”. La cronaca dell’eruzione che in due giorni distrusse la città

Uno dei due scheletri scoperti nell’insula dei Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)

Uno dei due scheletri scoperti nell’insula dei Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)
Morti schiacciati dal crollo del muro della casa, mentre al di fuori si stava scatenando l’inferno. Gli scheletri di due vittime di Pompei sono emersi dallo scavo nell’insula dei Casti Amanti. È questa l’ultima importante scoperta nell’antica città romana alle falde del Vesuvio che corregge un po’ la prospettiva sulla fine dei suoi abitanti: non fu solo l’eruzione a causare la morte di quanto vivevano nell’area, ma anche un terremoto concomitante. Gli scheletri sono stati ritrovati nel corso del cantiere di messa in sicurezza, rifacimento delle coperture e riprofilatura dei fronti di scavo dell’Insula dei Casti Amanti, che sta prevedendo anche degli interventi di scavo in alcuni ambienti. Giacevano riversi su un lato, in un ambiente di servizio, al tempo in dismissione per probabili interventi di riparazioni o ristrutturazione in corso nella casa, nel quale si erano rifugiati in cerca di protezione.
“Il ritrovamento dei resti di due pompeiani avvenuto nel contesto del cantiere in opera nell’Insula dei Casti Amanti”, dichiara il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, “dimostra quanto ancora vi sia da scoprire riguardo la terribile eruzione del 79 d.C. e conferma l’opportunità di proseguire nelle attività scientifiche di indagine e di scavo. Pompei è un immenso laboratorio archeologico che negli ultimi anni ha ripreso vigore, stupendo il mondo con le continue scoperte portate alla luce e manifestando l’eccellenza italiana in questo settore”. I dettagli scientifici dello scavo possono essere approfonditi attraverso gli articoli pubblicati sull’E-Journal di Pompei – scaricabile dal sito ufficiale del Parco www.pompeiisites.org – nuova piattaforma digitale rivolta alla comunità scientifica e al pubblico e finalizzata a fornire notizie e relazioni preliminari riguardanti progetti di scavo, di ricerca e di restauro nelle sedi del Parco.
“Le tecniche dello scavo moderno ci aiutano a comprendere sempre meglio l’inferno che in due giorni distrusse interamente la città di Pompei, uccidendone molti abitanti: bambini, donne e uomini. Con le analisi e le metodologie riusciamo ad avvicinarci agli ultimi istanti di chi ha perso la vita”, evidenzia il direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel. “In una delle discussioni di cantiere, durante il recupero dei due scheletri, uno degli archeologi indicando le vittime che stavamo scavando, ha detto una frase che mi è rimasta impressa e che sintetizza forse la storia di Pompei, quando, ha dichiarato: ‘questo siamo noi’. A Pompei, infatti, l’avanzamento delle tecniche non ci fa mai dimenticare la dimensione umana della tragedia, piuttosto ce la fa vedere con più chiarezza”.

L’ambiente nell’insula dei Casti Amanti a Pompei dove sono stati scoperti due scheletri schiacciati da crollo del muro (foto parco archeologico pompei)
Subbuglio, confusione, tentativi di fuga e nel mentre terremoto, lapilli, correnti turbolente di cenere vulcanica e gas caldi. Fu l’inferno dell’eruzione del 79 d.C. Quello in cui si trovarono gli abitanti dell’antica città di Pompei, tra cui le ultime due vittime, di cui sono stati rinvenuti gli scheletri durante uno scavo nell’Insula dei Casti Amanti. Vittime di un terremoto che ha accompagnato l’eruzione, ritrovate sotto il crollo di un muro avvenuto tra la fase finale di sedimentazione dei lapilli e prima dell’arrivo delle correnti piroclastiche che hanno definitivamente sepolto Pompei costituiscono la testimonianza sempre più chiara che, durante l’eruzione, non furono solo i crolli associati all’accumulo dei lapilli o l’impatto delle correnti piroclastiche gli unici pericoli per la vita degli abitanti dell’antica Pompei, come gli scavi degli ultimi decenni stanno sempre più investigando. L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., inizia nella mattinata di un giorno autunnale, ma solo intorno alle 13 comincia la cosiddetta fase “Pliniana” durante la quale si forma una colonna eruttiva, alte decine di chilometri, dalla quale cadono pomici. Questa fase è seguita da una serie di correnti piroclastiche che sedimentano depositi di cenere e lapilli. I fenomeni vulcanici uccisero chiunque si fosse ancora rifugiato nell’antica città di Pompei, a sud dell’odierna Napoli, togliendo la vita ad almeno il 15-20% della popolazione, secondo le stime degli archeologi. Tra le cause di morte anche il crollo degli edifici, in alcuni casi dovuto a terremoti che accompagnarono l’eruzione, si rivelò una minaccia letale.
“L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. dura più di 20 ore. Ci sono più pericoli per le persone nella città. Negli ultimi due secoli e mezzo”, ricorda Zuchtriehgel, “più di 1300 vittime sono state trovate, ma solo oggi abbiamo la possibilità di indagare con una micro-stratigrafia veramente la dinamica esatta in cui è avvenuta la morte. Come in questo caso, non è l’ultima fase dell’eruzione, l’arrivo dei flussi piroclastici dunque la cenere estremamente calda, ma sono dei crolli. Vediamo qui pezzi del muro sulle vittime con diverse fratture che sono il risultato sia del peso dei lapilli sui tetti e sui solai, sia anche dei terremoti che accompagnano l’eruzione. Negli ultimi anni abbiamo visto la forza di questi eventi sismici contestuali all’eruzione del Vesuvio. Qui siamo in un isolato già scavato alcuni decenni fa che adesso è nuovamente oggetto di grandi lavori di restauro e di accessibilità, ma anche di indagini stratigrafiche nelle zone ancora non completamente scavate che abbiamo visto causare una serie di criticità per lo stato degli edifici e dei reperti. Dunque lo scavo va completato e questa è un’occasione anche importante per ricavare nuovi dati. In questo caso sull’ultima fase dell’eruzione con questo fatto del crollo di cui vediamo diverse tracce, possibilmente causato da un sisma. Però vediamo anche ovviamente un ambiente non particolarmente lussuoso, più un ambiente di lavoro con tanti oggetti – anfore, vasi da fuoco, da cucina, dove erano dei lavori in corso con la calce e anfore per l’acqua per ri-intonacare le pareti. Dunque – conclude Zuchtriegel – viviamo una città, a Pompei in generale qui in particolare, in questo momento in trasformazione, che stava cercando di riprendersi. Ma poi interviene l’eruzione e viene tutto stroncato in solo due giorni di inferno”.

Dettaglio di uno dei due scheletri ritrovati nell’insula del Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)
I dati delle prime analisi antropologiche sul campo – pubblicati nell’E-journal degli scavi di Pompei – indicano che entrambi gli individui sono morti verosimilmente a causa di traumi multipli causati dal crollo di parti dell’edificio. Si trattava probabilmente di due individui di sesso maschile di almeno 55 anni. Durante la rimozione delle vertebre cervicali e del cranio di uno dei due scheletri, sono emerse tracce di materiale organico, verosimilmente un involto di stoffa. All’interno sono state trovate, oltre a cinque elementi in pasta vitrea identificabili come vaghi di collana, sei monete. Due denari in argento: un denario repubblicano, databile alla metà del II sec. a.C., e un altro denario, più recente, da riferire alle produzioni di Vespasiano. Le restanti monete in bronzo (due sesterzi, un asse e un quadrante), erano anch’esse coniate durante il principato di Vespasiano e pertanto di recente conio.
Nella stanza in cui giacevano i corpi sono emersi anche alcuni oggetti, quali un’anfora verticale appoggiata alla parete nell’angolo vicino a uno dei corpi e una collezione di vasi, ciotole e brocche accatastata contro la parete di fondo. La cosa più impressionante è l’evidenza dei danni subiti da due pareti, probabilmente, a causa dei terremoti che hanno accompagnato l’eruzione. Parte della parete Sud della stanza è crollata colpendo uno degli uomini, il cui braccio alzato rimanda forse alla tragica immagine di un vano tentativo di proteggersi dalla caduta della muratura. Le condizioni della parete Ovest, invece, dimostrano la forza drammatica dei terremoti contestuali all’eruzione: l’intera sezione superiore si è staccata ed è caduta nella stanza, travolgendo e seppellendo l’altro individuo.

Alcuni oggetti ritrovati vicino ai due scheletri nell’insula dei Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)
L’ambiente adiacente ospita un bancone da cucina in muratura, temporaneamente fuori uso nel 79 d.C.: sulla sua superficie si trova infatti un mucchio di calce in polvere in attesa di essere impiegata in attività edilizie, il che suggerisce che al momento dell’eruzione si stavano effettuando delle riparazioni nelle vicinanze. Lungo la parete della cucina si trova una serie di anfore cretesi, originariamente utilizzate per il trasporto del vino. Sopra il bancone della cucina, le tracce di un santuario domestico sotto forma di un affresco che sembra raffigurare i lares della casa e un vaso di ceramica parzialmente incassato nel muro che potrebbe essere stato utilizzato come ricettacolo di offerte religiose. Accanto alla cucina, inoltre, una stanza lunga e stretta con una latrina, il cui contenuto sarebbe defluito in un canale di scolo sotto la strada.

“L’eruzione del Vesuvio” di Pierre Jacques Volaire conservato al museo e real bosco di Capodimonte (foto museo capodimonte)
Cronologia dell’eruzione. La cronologia degli eventi succedutisi a Pompei durante l’eruzione del 79 d.C. è stata ricostruita coniugando la stratigrafia dei depositi e il resoconto dell’evento fatto da Plinio il Giovane in due lettere inviate a Tacito. Precursori dell’eruzione. Fenomeni sismici precursori si verificano negli anni e nei giorni che precedono l’eruzione. In particolare, Plinio il Giovane riporta l’accadimento di terremoti per diversi giorni prima dell’inizio dell’eruzione. L’eruzione. L’eruzione può essere divisa in tre fasi principali: una fase di apertura di breve durata, una seconda fase caratterizzata dalla formazione di una alta colonna eruttiva, dalla quale cadono lapilli e una fase finale caratterizzata dal succedersi di diverse correnti piroclastiche. Queste ultime sono misture di gas e particelle solide ad alta temperatura che scorrono al suolo per effetto della gravità e sono tra i fenomeni vulcanici più distruttivi.

“L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.” dipinto di Pierre-Henri de Valenciennes (1813) conservato al musée des Augustins di Tolosa
Giorno 1. Durante la mattinata del primo giorno, un’esplosione nel cratere genera una nube di cenere che si espande a est del vulcano ma non raggiunge Pompei. Questa fase rappresenta l’apertura dell’eruzione. Ore 13: una colonna eruttiva comincia ad innalzarsi sul cratere raggiungendo decine di chilometri di altezza. Questa fase dura in totale circa 18-19 ore. Le eruzioni caratterizzate da questo tipo di fenomeni sono definite “Pliniane” a seguito della perfetta descrizione della forma della colonna eruttiva fatta da Plinio il Giovane. Egli la descrive come un albero di pino il cui tronco si espande nella parte alta in più rami. Ed in effetti le colonne eruttive sono formate da un “tronco”, che si innalza verticalmente in atmosfera, la cui parte sommitale si espande lateralmente in direzione del vento. Poco dopo l’inizio di questa fase e fino alle 20:00, pomici bianche cadono a Pompei accumulandosi sui tetti delle case e nelle strade. In questa fase la colonna eruttiva raggiunge un’altezza massima di 26 km. A partire dalle 20 e fino alle prime ore del mattino del secondo giorno, a causa di una variazione della composizione chimica del magma eruttato, il colore delle pomici varia dal bianco al grigio. In questa fase la colonna eruttiva si innalza ulteriormente raggiungendo un’altezza massima di 32 km. In totale, alla fine della fase Pliniana, lo spessore del deposito di pomici è 2,8 m anche se spessori maggiori (fino a 5 m) posso verificarsi nei vicoli, a causa dello scivolamento dei lapilli lungo le tettoie spioventi, o per il drenaggio delle pomici attraverso i compluvia e successivo accumulo negli impluvia all’interno delle case. L’accumulo di lapilli provoca il seppellimento del piano terra degli edifici e il crollo dei tetti uccidendo i Pompeiani che non avevano tentato la fuga e avevano cercato riparo nelle case. Collassi parziali della colonna eruttiva generano delle correnti piroclastiche, nella notte tra il primo e il secondo giorno dell’eruzione, che però non raggiungono Pompei.

I calchi delle vittime trovate nella Casa de Bracciale d’Oro a Pompei (foto parco archeologico pompei)
Giorno 2. Ore 7.30: Una prima corrente piroclastica penetra dentro Pompei sedimentando pochi centimetri di cenere immediatamente sopra le pomici grigie. Questa corrente non crea grandi danni. Tra le 7.30 e le 8 una nuova breve fase da caduta sedimenta un sottile deposito formato principalmente da frammenti di lava e pomici. Ore 8: Una seconda corrente piroclastica arriva in città. A differenza della precedente, questa corrente è estremamente energetica e violenta, interagisce con la struttura urbana, e segna la definitiva distruzione di Pompei. La parte bassa di questa corrente, ad alta concentrazione, viene incanalata e deflessa dai vicoli mentre la parte alta, più diluita e turbolenta, non risente degli ostacoli e scavalca gli edifici. La violenza dell’impatto di tale corrente piroclastica è testimoniata dagli ingenti danni che provoca. Essa è capace di abbattere pareti perpendicolari alla direzione di scorrimento, lasciando profonde e ampie brecce nei muri, talvolta danneggiando più pareti in sequenza. Questa corrente, inoltre, lascia dietro di sé una scia di morte uccidendo gli abitanti sopravvissuti alla fase di caduta dei lapilli. In alcuni casi, l’ultimo istante di vita delle vittime di questa corrente piroclastica, congelato dalla cenere, è arrivato fino a noi grazie alla tecnica dei calchi ideata da Giuseppe Fiorelli. Altre correnti piroclastiche si succedono nel corso del secondo giorno dell’eruzione. Esse contribuiscono a seppellire definitivamente una Pompei ormai già completamente distrutta.
Napoli. A Comicon 2023 presentato il nuovo edu-gioco di società “Vesuvius 79 d.C. – Fuga da Pompei” che ricostruisce in maniera scientifica e storica, la distruzione di Pompei a seguito dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. In vendita da novembre. I giocatori si immedesimano in reali cittadini della città antica
È possibile sfuggire all’eruzione del vulcano del 79 d.C. fino a portarsi in salvo, abbandonando la città di Pompei prossima alla totale distruzione? Possibile, almeno in gioco! È questo infatti lo scopo dei giocatori di “Vesuvius 79 d.C. – Fuga da Pompei”, l’innovativo edu-boardgame (gioco di società), che ricostruisce in maniera scientifica e storica, la distruzione di Pompei a seguito dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
Presentazione a Napoli Comicon 2023 dell’edu-gioco “Vesuvius 79 d.C. – Fuga da Pompei” (foto parco archeologico pompei)
Il nuovo edu-gioco di società è stato presentato venerdì 28 aprile 2023 in anteprima a Napoli-Comicon 2023 alla mostra d’Oltremare. Sono intervenuti: per il parco archeologico di Pompei, Silvia Bertesago, funzionario archeologo del parco archeologico di Pompei e responsabile per il Parco del progetto “Vesuvius”; per il Progetto Annales Experience / Stupor Mundi Trans: Ciro Sapone / autore “Vesuvius Boardgame, Enzo Troiano / magister artistico Accademia del Fantastico, Venere Federico / direttore di rete ed editore Gruppo Telecapri. Moderatore Mauro Monti / curatore Area Gioco – COMICON. “Il gioco si inserisce tra le attività e iniziative educative del Parco”, dichiara il direttore Gabriel Zuchtriegel, “come strumento innovativo che in maniera semplice, attraverso il gioco appunto, contribuisce all’educazione al patrimonio culturale che è tra le mission del nostro Istituto”.
Edu-gioco di società “Vesuvius 79 d.C. – Fuga da Pompei”: la Casa del Fauno a Pompei (foto parco archeologico pompei)
Il progetto è realizzato da Stupor Mundi Trans-Media, azienda napoletana di Cross-Gamification e Accademia del Fantastico, nell’ambito del progetto di Edutainment Crossmediale: Progetto Annales Experience / Stupor Mundi Transmedia, in collaborazione con il parco archeologico di Pompei (PAP) che ha messo a disposizione la propria competenza per fornire il background scientifico, storico ed iconografico, sia all’autore, che agli illustratori, game designer, fumettisti, modellisti e programmatori dell’Accademia del Fantastico. Il gioco sarà realizzato in 9 lingue, avrà distribuzione italiana ed internazionale, e sarà in vendita nelle librerie, fumetterie, negozi di giochi-gadgets e giocattoli e grande distribuzione online presso l’e-commerce del produttore e le maggiori piattaforme internazionali. L’uscita del gioco è prevista in una prima tiratura per novembre/dicembre 2023; produzione in serie da febbraio 2024.
GIOCA con i personaggi e fuggi dalla città in rovina. SCOPRI i segreti delle eruzioni vulcaniche. IMPARA la storia della più grande catastrofe dell’antichità. Così il video promozionale presentato a Comicon. I personaggi assegnati ai giocatori sono reali cittadini che abitarono la città di Pompei, di cui sono arrivati fino a noi: nomi, mestieri ed in alcuni casi ritratti, che poi, fumettisti e disegnatori hanno trasformato nei protagonisti del gioco. Le dinamiche dell’eruzione ricalcano le fasi dell’evento catastrofico che nel giro di ventiquattrore seppellì la città, ricostruite dagli studiosi e narrate dalle fonti.
Edu-gioco di società “Vesuvius 79 d.C. – Fuga da Pompei”: il Termopolio della Regio V a Pompei (foto parco archeologico pompei)
Durante la fuga dalla città i personaggi attraverseranno alcuni dei luoghi e degli edifici più importanti della città, fra cui la casa dei Vettii; il Termopolio della Regio V; il Panificio di Modesto; la Palestra Grande; la Via dell’Abbondanza. Infine una App in realtà aumentata, multilingue, scaricabile gratuitamente dagli store online android e ios permetterà ai giocatori, inquadrando con i loro smartphone e tablet, le miniature dei personaggi del gioco o le illustrazioni dei luoghi, di accedere ad informazioni storiche, scientifiche, modelli tridimensionali e di collegarsi al sito web ufficiale ed ai social media del parco archeologico di Pompei.
Pompei. Rinvenuti in una bottega di via dell’Abbondanza i resti di una tartaruga di terra di 2000 anni fa con il suo fragile uovo custodito nel carapace. Zuchtriegel: “L’eccezionale scoperta all’interno di una domus e il suo abbandono per far posto alle Terme Stabiane testimoni delle grandi trasformazioni dopo il terremoto del 62 d.C.”

I resti della tartaruga di terra di 2000 anni fa rinvenuti nella campagna di scavo alle Terme Stabiane di Pompei (foto parco archeologico di pompei)

La bottega di via dell’Abbondanza a Pompei dove sono stati ritrovati i resti della tartaruga di terra (foto parco archeologico di pompei)
In una bottega di via dell’Abbondanza, la via dello struscio della Pompei romana, ambiente poi inglobato nelle Terme Stabiane, sono stati rinvenuti i resti di una tartaruga di terra, una testuggine, con il suo fragile uovo custodito nel carapace: è l’ultima, eccezionale scoperta dal sito archeologico, testimonianza del vasto ecosistema di Pompei, composto di tracce naturali e non solo antropiche e prezioso indizio archeologico dell’ultima fase di vita della città, dopo un violento terremoto nel 62 d.C. e prima della fatidica eruzione del 79 d.C. “La campagna di scavo in corso a Pompei”, dichiara il ministro della Cultura, Dario Franceschini, “continua a riservare importanti ritrovamenti e nuove scoperte, confermando la straordinaria ricchezza di questo autentico scrigno di storia e memoria che affascina il mondo intero”.
“Sia la presenza della testuggine in città sia l’abbandono della sontuosa domus che cede il posto a un nuovo settore delle Terme Stabiane illustrano la portata delle trasformazioni dopo il terremoto del 62 d.C.”, dichiara il direttore generale Gabriel Zuchtriegel. “Evidentemente non tutte le case furono ricostruite e zone, anche centrali, della città erano poco frequentate tanto da diventare l’habitat di animali selvatici; al tempo stesso l’ampliamento delle terme è una testimonianza della grande fiducia con cui Pompei ripartiva dopo il terremoto, per poi essere stroncata in un solo giorno nel 79 d.C. La testuggine aggiunge un tassello a questo mosaico di relazioni tra cultura e natura, comunità e ambiente che rappresentano la storia dell’antica Pompei. Nei prossimi anni, lo studio dei reperti organici e le ricerche su agricoltura, economia e demografia a Pompei e nel suo territorio saranno una priorità nella nostra strategia di ricerca, tutela e valorizzazione, anche per dare più visibilità a siti e monumenti al di fuori del centro urbano, come la villa rustica di Boscoreale e le ville di Torre Annunziata e Castellammare di Stabia”.

La mappa degli interventi di scavo nelle Terme Stabiane di Pompei: in blu le botteghe scavate (foto parco archeologico di pompei)
L’inusuale ritrovamento ha avuto luogo, nell’ambito di una campagna di scavo e ricerca sulle Terme Stabiane, condotta dalla Freie Universität Berlin e dall’Università di Napoli L’Orientale, con l’University of Oxford in collaborazione con il parco archeologico di Pompei, volta a indagare lo sviluppo urbano del quartiere abitativo prima dell’impianto delle terme. In particolare, quest’anno nelle botteghe aperte sul lato sud-orientale delle terme lungo via dell’Abbondanza e vicolo del Lupanare sono emersi i resti di una sontuosa domus con raffinati mosaici e pitture parietali, risalente al I sec. a.C. e rasa al suolo dopo il terremoto che devastò Pompei e ampie parti della Campania nel 62 d.C. Successivamente, l’area venne destinata all’ampliamento del complesso termale sull’incrocio tra via dell’Abbondanza e via Stabiana.

Il direttore Gabriel Zuchtriegel ascolta gli archeologi che illustrano l’eccezionale scoperta della tartaruga di terra (foto parco archeologico di pompei)
Lo scavo ha visto la scoperta inaspettata di un piccolo rettile: gli strati archeologici in cui è stato rinvenuto erano accumuli di detrito, formatisi a seguito della dismissione della bottega in questione, in vista di una sua rifunzionalizzazione. Nella fase di ricostruzione e ristrutturazione tra terremoto e eruzione, il rettile aveva avuto modo di entrare negli spazi dismessi e scavare, indisturbata, un rifugio. Non è il primo ritrovamento di testuggini a Pompei, ma solitamente esse sono state rinvenute all’interno di giardini o aree interne a ricche domus, come ad esempio la casa di Giulio Polibio.

Una fase del delicato scavo della tartaruga di terra rinvenuta in una bottega di via dell’Abbondanza (foto parco archeologico di pompei)

L’uovo ritrovato all’interno del carapace della tartaruga allo studio nei Laboratori di Pompei (foto parco archeologico di pompei)
La testuggine è stata documentata e rimossa in tre fasi successive: documentazione del carapace (14 cm circa, mentre un esemplare pienamente matura misura di norma 20-24 cm), dello scheletro interno dell’animale e del piastrone (cioè la parte ventrale del guscio). Il reperto è stato trasferito al Laboratorio di Ricerche Applicate del Parco dove sarà studiato e analizzato dall’archeozoologa del Parco. L’esemplare di Testudo hermanni, una specie locale, femmina, si era probabilmente rifugiata nello spazio dismesso per trovare un luogo adatto alla deposizione del suo unico uovo (solitamente vengono deposte da 1 a 5 uova). Le testuggini hanno una particolarità, la distocia, ovvero qualora non trovino un luogo idoneo, possono trattenere le uova andando incontro a problematiche spesso fatali. Preferiscono dunque morire, piuttosto che deporre le uova laddove l’ambiente non sia congeniale. L’intrusione dell’animale non fu notata da chi si occupò della rifunzionalizzazione della bottega, e i suoi resti vennero ricoperti senza essere visti.
Arriva (con un anno di ritardo causa Covid-19) in anteprima esclusiva al cinema “Pompei. Eros e Mito” di Pappi Corsicato, un viaggio indietro nel tempo di duemila anni tra miti e personaggi che hanno reso immortale questo sito archeologico unico al mondo


Affresco pompeiano con “Leda e il Cigno” conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Mann)

Il regista Pappi Corsicato
Con un anno di ritardo causa Covid-19, arriva in anteprima esclusiva al cinema “Pompei. Eros e Mito” di Pappi Corsicato, solo il 29, il 30 novembre e il 1° dicembre 2021, distribuito da Nexo Digital. Era stato infatti programmato per il 9, 10, 11 novembre 2020, ma in quei giorni era già scattato il lockdown con chiusura dei cinema. Nexo Digital ci riprova confidando che i contagi non aumentino oltre i limiti di sicurezza. Il film “Pompei. Eros e Mito” è diretto dal poliedrico Pappi Corsicato. Prodotto da Sky, Ballandi e Nexo Digital, in collaborazione e con il contributo scientifico del parco archeologico di Pompei e con la partecipazione del museo Archeologico nazionale di Napoli, “Pompei. Eros e Mito” è un viaggio che ci guida indietro nel tempo di duemila anni. Vengono messi a nudo i miti e i personaggi che hanno contribuito a rendere immortale questo sito archeologico unico al mondo che l’Unesco ha inserito nella lista dei siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Dalla storia d’amore tra Bacco e Arianna nella celebre Villa dei Misteri al rapporto ambiguo tra Leda e il Cigno, dalle lotte gladiatorie sino alla disperata ricerca dell’immortalità di Poppea Sabina (seconda moglie dell’imperatore Nerone), il docu-film metterà in scena e analizzerà anche i lati meno noti e più segreti della città. Gli stessi che nel XVIII secolo portarono la Chiesa Cattolica a nascondere alcuni dei reperti più scandalosi e scabrosi recuperati duranti gli scavi.

Gladiatori a Pompei nel film “Pompei. Eros e mito” di Pappi Corsicato (foto di Federica Belli)
A condurci attraverso le strade di Pompei sarà una narratrice d’eccezione: la pluripremiata Isabella Rossellini. La sua presenza e la sua voce accompagneranno gli spettatori in un percorso elegante e serrato che mostrerà come i miti e le opere ritrovate abbiano ammaliato e influenzato artisti come Pablo Picasso e Wolfgang Amadeus Mozart. Arricchiscono il percorso tra storia e arte anche le rievocazioni dei miti in chiave contemporanea ideate da Pappi Corsicato: Bacco, Arianna, Teseo, Leda, solo per citarne alcuni, indossano abiti moderni e sono sospesi in un tempo che appartiene sia al passato che al presente, per mostrare quanto l’eredità di Pompei sia ancor oggi una continua fonte di ispirazione artistica.


Massimo Osanna, già direttore generale del parco archeologico di Pompei (foto Still)
La colonna sonora originale del docu-film, in uscita per Nexo Digital/Sony Masterworks è firmata dal compositore e pianista Remo Anzovino, che ormai da anni si cimenta raccontando in musica l’arte mondiale, tanto da essere stato premiato ai Nastro d’Argento 2019 con una Menzione Speciale per le colonne sonore originali dei film. Tra gli interventi del film quelli di Massimo Osanna, all’epoca direttore generale del parco archeologico di Pompei; Andrew Wallace-Hadrill, professore emerito di Studi classici, università di Cambridge; Catharine Edwards, professore di Studi classici e Storia antica – Birkbeck, università di Londra; Darius Arya, direttore American Institute for Roman Culture; Ellen O’Gorman, professore associato di Studi classici, università di Bristol.


Carlo di Borbone: promosse gli scavi di Ercolano e Pompei
Era il 1748 quando re Carlo III di Borbone promosse i primi scavi ufficiali a Pompei a seguito dei primi ritrovamenti della vicina Ercolano. Fu da quel momento che cominciarono a riemergere con sempre maggior chiarezza i dettagli della catastrofe del 79 d.C., anno in cui il Vesuvio seppellì intere città, tra cui Pompei ed Ercolano, e tutto il territorio circostante. Nel corso degli scavi di Pompei sono stati rinvenuti tesori, statue, affreschi, mosaici, reperti di vita quotidiana, ma anche ville e abitazioni private che ancor oggi ci raccontano la vita di una città vivace, con giardini, fontane e imponenti apparati decorativi. Sarà lungo queste antiche vie e grazie alle opere conservate al Mann – museo Archeologico nazionale di Napoli, che si avrà modo di conoscere la vita degli abitanti di Pompei prima dell’eruzione. Attenzione particolare sarà dedicata al Gabinetto Segreto del Mann, istituito dai Borbone per custodire i reperti più “scandalosi” ed esplicitamente erotici.

Le storie esplorate sono quelle di uomini e donne di cui ci restano tracce concrete perché quando il flusso piroclastico ad altissima temperatura che investì Pompei ne provocò la morte istantanea per shock termico, i corpi delle vittime rimasero nella posizione in cui si trovavano lasciando la propria impronta dopo la decomposizione. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, poco più di un centinaio di calchi sono stati realizzati da queste impronte, ispirando poeti e artisti, tra cui lo stesso Roberto Rossellini, che dedicò alla scoperta di alcuni calchi una celebre scena del “Viaggio in Italia”.
Pompei. Vediamo da vicino il Termopolio della Regio V alla fine di un restauro a tempi di record, la Casa di Orione e la Casa del Giardino i cui cantieri di scavo non si sono ancora conclusi: dal 12 agosto sono aperti al pubblico con visite straordinarie. Zuchtriegel: “Si tratta di un approccio integrato tra conservazione, ricerca e fruizione”


Il termopolio della Regio V a Pompei apre al pubblico dopo un restauro a tempo di record (foto parco archeologico di pompei)
Apre al pubblico dal 12 agosto 2021 il Termopolio della Regio V, l’antica tavola calda di Pompei, portata in luce durante gli ultimi scavi in un’area della città antica mai prima indagata, con visite straordinarie al cantiere della Casa di Orione e della Casa del Giardino. L’annuncio una settimana fa da Gabriel Zuchtriegel, direttore del parco archeologico di Pompei, e Massimo Osanna, già direttore del Parco oggi direttore generale dei Musei (vedi Pompei. Dal 12 agosto apre al pubblico il termopolio della Regio V, l’antica tavola calda di Pompei, tra le scoperte degli ultimi scavi. E contestualmente visite guidate al cantiere della Casa di Orione e della Casa del Giardino | archeologiavocidalpassato). Le visite del termopolio saranno possibili tutti i giorni dalle 12 alle 19 (ultimo ingresso alle 18.30), con accesso da via di Nola e uscita dal vicolo delle Nozze d’argento. Non è necessaria la prenotazione. Contestualmente alla visita del Termopolio saranno previste visite straordinarie anche al cantiere della casa di Orione e del Giardino – con accessi contingentati e percorsi differenziati per una visita accompagnata in sicurezza – dove sono in corso i lavori di sistemazione in vista degli interventi definitivi di restauro e coperture propedeutici all’apertura permanente dell’intera area. Entrambe le dimore, dalle straordinarie decorazioni, sono emerse e sono state messe in sicurezza nel corso degli scavi della Regio V, connessi al più ampio intervento di messa in sicurezza dei fronti di scavo previsto dal Grande progetto Pompei. Le visite saranno possibili tutti i giorni dalle 16 alle 19 (ultimo ingresso alle 18.30). L’accesso è previsto ogni 20 minuti, per gruppi di massimo 5 persone per volta accompagnati da personale del Parco. Ingresso da via di Nola e uscita dal vicolo delle Nozze d’argento. L’accesso gratuito è fino ad esaurimento disponibilità; è consigliata la prenotazione sul sito www.ticketone.it (costo prenotazione on-line 1,50 euro).

“Sono molto lieto di vedere aperto al pubblico il termopolio al termine di tempestivi lavori di restauro dell’edificio rinvenuto nei nuovi scavi della Regio V”, dichiara Massimo Osanna. “Per consentirne la pubblica fruizione è stato necessario procedere alla messa in sicurezza delle strutture, al restauro dei delicati affreschi e garantire la protezione di tutto l’ambiente con adeguate coperture. Ai visitatori che stanno tornando ad affollare le strade dell’antica città si restituisce una nuova esperienza di visita in un’area del tutto inedita. La scoperta, avvenuta nell’ambito di un sistematico intervento di messa in sicurezza dei fronti di scavo, al fine di prevenire la minaccia del dissesto idrogeologico sulle strutture già in luce, ha costituito una occasione unica di ricerca interdisciplinare che ha portato a nuove acquisizioni sulla dieta e sulla vita quotidiana dei pompeiani. Un ringraziamento a tutto il team che ha contribuito alla straordinaria scoperta, alle successive ricerche e al bel progetto di fruizione”.

“L’apertura del thermopolium si pone in piena continuità con l’approccio adottato dal Grande Progetto Pompei sotto la direzione di Massimo Osanna, che ringrazio insieme a tutta la squadra per il lavoro eccezionale che è stato svolto”, aggiunge Gabriel Zuchtriegel. “Si tratta di un approccio integrato tra conservazione, ricerca e fruizione, che con l’apertura al pubblico giunge al suo compimento, mentre stiamo lavorando sulla progettazione del restauro della casa di Orione e della casa del Giardino. Il progetto di scavo e restauro del thermopolium, che è partito da esigenze di tutela e di messa in sicurezza dei fronti di scavo, ha portato a scoperte straordinarie che ci aiutano a comprendere meglio anche i circa ottanta thermopolia già noti a Pompei. Con le visite accompagnate alle case ancora da restaurare vogliamo sensibilizzare il pubblico per il fatto che Pompei è un grande cantiere dove ricerca, conservazione e restauro continuano sulla base dell’innovazione e della collaborazione con importanti enti di ricerca nazionali e internazionali”.
I termopoli, dove si servivano bevande e cibi caldi, come indica il nome di origine greca, conservati in grandi dolia (giare) incassati nel bancone in muratura, erano molto diffusi nel mondo romano, dove era abitudine per il ceto medio e basso consumare il prandium (il pasto) fuori casa. Sebbene nella sola Pompei se ne contino almeno una ottantina, il termopolio della Regio V si distingue per l’eccezionale decorazione del bancone dipinto, con le immagini della Nereide a cavallo di un ippocampo e di animali probabilmente preparati e venduti proprio nel locale. L’impianto commerciale era emerso in due momenti diversi. Era stato indagato solo in parte nel 2019, durante gli interventi del Grande Progetto Pompei per la messa in sicurezza e consolidamento dei fronti di scavo storici. Considerate l’eccezionalità delle decorazioni e al fine di restituire la completa configurazione del locale – ubicato nello slargo all’ incrocio tra il vicolo delle Nozze d’argento e il vicolo dei Balconi- nel 2020 si è deciso di predisporre un ulteriore intervento finalizzato al completamento dello scavo, al restauro degli ambienti e degli apparati decorativi presenti. Al contempo è stata realizzata una nuova copertura lignea a protezione del bancone dipinto, e si è proceduto al rifacimento dell’antico meniano (balcone) a sbalzo, su cui è stata collocata parte dell’originaria pavimentazione in cocciopesto rinvenuta nel corso dello scavo.

La Casa di Orione prende nome dal mosaico pavimentale presente in un ambiente della domus, e raffigurante una tra le più raffinate e inedite iconografie rinvenute a Pompei, quella del mito di Orione. La scena rappresenta il catasterismo dell’eroe Orione, ovvero la sua trasformazione in costellazione, ed è probabilmente connessa a quella di un secondo mosaico della casa. Entrambi i mosaici, denotano un notevole livello culturale e probabili rapporti del proprietario con il mondo mediterraneo orientale, da cui potrebbero provenire.

La dimora, era stata già intercettata nel corso degli scavi ottocenteschi, tra il 1891 e il 1893 e nel 2017 è stata interamente portata in luce. Presenta una struttura con atrio centrale, circondata da stanze decorate con pregiate pitture di I stile e mosaici pavimentali. E’ molto probabile che la casa abbia volutamente mantenuto, negli spazi di rappresentanza, questa più antica decorazione in I stile che, in altre dimore pompeiane, era stata frequentemente sostituita da decorazioni più moderne. Al momento dell’eruzione del 79 d.C. l’abitazione era in corso di ristrutturazione. Gli scavi attuali hanno consentito di individuare diversi cunicoli, praticati in passato prima degli scavi ufficiali, allo scopo di recuperare oggetti preziosi, che hanno purtroppo compromesso in più punti la struttura della casa.


L’iscrizione scoperta nella V Regio di Pompei che avvalorerebbe la datazione dell’eruzione a ottobre del 79 d.C. (foto parco archeologico Pompei)
La Casa del Giardino, cosiddetta per la presenza di un giardino con portico affrescato, è nota per il rinvenimento dell’iscrizione a carboncino che cambia la data dell’eruzione. Sul portico affaccia la bella sala delle megalografie, raffiguranti in un riquadro Venere con una figura maschile (Paride o forse Adone) e Eros, e in un altro Venere in atto di pescare, assieme a Eros. Sempre nello stesso ambiente è presente un raffinatissimo ritratto femminile, probabilmente la domina. Sull’atrio si affaccia la stanza degli scheletri, dove sono stati ritrovati i resti di una decina di individui che qui si rifugiarono nel vano tentativo di salvarsi, e i cui resti sono oggetto di studio e analisi del DNA. In alcuni ambienti di servizio, invece, è stata ritrovata una cassetta in legno contenente monili femminili e amuleti contro la malasorte, probabilmente appartenenti ad una delle vittime rinvenute nella casa e oggi esposti nell’Antiquarium di Pompei.
San Francisco. Al Legion of Honor Museum aperta la mostra “Last Supper in Pompeii: From the Table to the Grave” con molti reperti provenienti dal museo Archeologico di Napoli


La grande statua di Bacco che accoglie i visitatori della mostra “Last supper in Pompeii” al museo di San Francisco (foto mann)
“Che grande emozione nel vedere gli scatti della mostra “The last supper in Pompeii” al museo Legion of Honor di San Francisco”, postano sui social del museo Archeologico nazionale di Napoli. “Tantissimi capolavori del Mann rappresentano il cuore di un allestimento straordinario, che travalica i confini per catturarci con le sue suggestioni!”. “Last Supper in Pompeii: From the Table to the Grave” è il titolo dell’eccezionale mostra aperta al Legion of Honor Museum di San Francisco, dove sarà allestita sino al 29 agosto 2021, con il supporto del Consolato Generale d’Italia e dell’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco. La mostra riporta al mondo di Pompei fissato come un’istantanea dall’eruzione del 79 d.C., concentrandosi sulla vita di tutti i giorni e soprattutto sul cibo e sulle bevande consumati dagli abitanti di Pompei. Insieme a pentole, padelle e altri accessori per la distribuzione, la preparazione e il servizio del cibo, la mostra include preziose opere d’arte che rivelano lo splendore e il lusso amati dai ricchi romani di Pompei.

La mostra, originariamente organizzata da Paul Roberts dell’Ashmolean Museum of Art and Archaeology, University of Oxford, porta a San Francisco magnifiche sculture romane, mosaici e affreschi, nonché tazze, utensili e servizi di ristorazione in argento per banchetti per rivelare come gli antichi amassero mangiare e bere. L’esposizione offre anche uno spaccato di come il cibo e il vino venissero prodotti e distribuiti prima di essere portati nelle cucine e infine sui tavoli da pranzo. La mostra guarda alle diverse aree della casa in cui cibo e bevande ebbero un ruolo importante, a partire dall’ingresso di casa, con l’atrio ed il suo santuario nel giardino al centro dell’abitazione, ricco di alberi da frutto e piante officinali. Un’intera parete affrescata, proveniente da una sala da pranzo estiva, parzialmente all’aperto, è giunta da Pompei a San Francisco per questa mostra.

Gli scavi condotti nel 1984 alla Villa B a Oplontis (Torre Annunziata), vicino a Pompei, hanno portato alla luce un magazzino a volta dove più di 60 persone rimasero uccise nell’eruzione. Gli archeologi hanno realizzato i calchi di alcune delle vittime versando del gesso negli spazi lasciati vuoti dai gas sotto la cenere. Uno di questi è stato fuso in cera e poi in resina e mostra incredibilmente le ossa, il cranio e persino i denti di una donna, così come i beni che portava, dai gioielli d’oro a un filo di perline di poco valore. La “Signora di Oplontis“, come è stata chiamata, è più resistente degli altri calchi in gesso e quindi si è potuto trasportarla a San Francisco come testimone dei terribili eventi di quel 79 d.C.


Una brocca in bronzo da Pompei (foto mann)
“Last Supper in Pompeii” mette in luce anche le bevande e i cibi consumati dai romani, sulla base di un attento esame di minuscoli resti ritrovati su piatti e vasi. Sebbene alcuni alimenti fossero importati dall’estero, la maggior parte delle provviste veniva prodotta localmente. Pompei ha avuto la fortuna di godere di un clima mite ed era circondata dalle pendici del Vesuvio ricoperte di vigneti. I cereali, la verdura e la frutta, comprese le olive e l’uva, usata soprattutto per il vino, venivano prodotti e lavorati localmente e greggi e mandrie venivano ingrassati nelle vicinanze; il pesce veniva pescato sulla costa. Uno degli oggetti più interessanti della mostra che potrebbe sorprendere i visitatori è un contenitore che serviva per contenere e ingrassare i ghiri, una delle prelibatezze della tavola romana.


Affresco con Iside Fortuna, Arpocrate e Amorino da Pompei in mostra a San Francisco (foto mann)
Gli dei e la superstizione erano presenti in ogni ambito della vita pompeiana e la mostra include immagini di molte di queste divinità. Bacco, il dio della vite, è ben rappresentato. I suoi seguaci, inclusi satiri e menadi con i loro lussuriosi rituali, costituiscono una parte speciale della mostra. Provenienti principalmente dal “Gabinetto Segreto” del museo Archeologico nazionale di Napoli, alcune di queste scene vivaci e lascive raccontano l’importanza della fertilità nel culto di questo dio. La maggior parte delle opere di questa affascinante mostra non ha mai lasciato l’Italia.
Roma. Per il ciclo “Dialoghi in Curia” del parco archeologico del Colosseo, presentazione on line del libro di Massimo Osanna “Pompei. Il tempo ritrovato. Le nuove scoperte“ con i professori Fabrizio Pesando e Carlo Rescigno

Per il secondo appuntamento del ciclo “Dialoghi in Curia”, ciclo promosso dal parco archeologico del Colosseo e dedicato alla presentazione di libri che spaziano dall’archeologia, alle figure femminili che hanno fatto la storia dell’Impero, alle nuove frontiere della comunicazione digitale dopo la pandemia, giovedì 25 marzo 2021 alla Curia Iulia è la volta di “Pompei. Il tempo ritrovato. Le nuove scoperte“ (Rizzoli, 2019), il volume di Massimo Osanna, direttore generale uscente del parco archeologico di Pompei e oggi direttore generale dei Musei italiani. Appuntamento on line alle 11.30 sui canali social del PArCo. Ne parlano Fabrizio Pesando (università “L’Orientale” di Napoli) e Carlo Rescigno (università della Campania “Luigi Vanvitelli).

La copertina di Massimo Osanna libro “Pompei. Il tempo ritrovato. Le nuove scoperte” (ed. Rizzoli)
Il volume, attraverso le parole di Osanna, illustra “vita, misteri e segreti raccontati in venti nuove scoperte” esito delle recenti campagne di scavo che hanno accompagnato negli ultimi anni la rinascita del sito grazie ai restauri e all’apertura al pubblico di nuove aree. Affreschi, come la celebre immagine di Leda e il cigno rinvenuta nel 2018; splendidi mosaici come nella Casa di Orione, ricchissime domus rimaste sepolte fino a oggi, e ancora pitture, graffiti, architetture che vengono qui presentati per la prima volta in forma estesa al grande pubblico. Al contempo, Osanna ci restituisce “il presente di duemila anni fa”, illustrando con registro divulgativo ma approccio scientifico dove e come vivevano gli uomini e le donne travolti dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., cittadini di una città che non è mai morta davvero. Una biografia dei pompeiani che passa anche per gli oggetti (monete, gioielli, vasi, amuleti) e per le abitudini (dai ludus con i gladiatori e le bestie alla dieta), fino al momento fatale in cui il vulcano irrompe e immobilizza il fluire della vita. Un libro non solo per specialisti, corredato da immagini inedite, capace di farci “ritrovare” il tempo di Pompei, un eterno quotidiano – per molti versi così simile al nostro – conservato nei secoli sotto una spessa coltre di ceneri e lapilli.
Giornata nazionale del Paesaggio. Il Parco archeologico di Pompei propone on line una passeggiata alla scoperta dai paesaggi modellati dal Vesuvio, al verde recuperato nelle domus o fuori le mura, ai giardini ricreati negli affreschi, al paesaggio protostorico di Longola

Il paesaggio pompeiano, dalle rappresentazioni nella pittura parietale, al racconto dell’eruzione e delle conseguenti trasformazioni, fino alla complessa manutenzione degli attuali spazi verdi, protagonista domenica 14 marzo 2021 della Giornata nazionale del Paesaggio istituita dal ministero della Cultura allo scopo di promuovere le risorse paesaggistiche attraverso attività di sensibilizzazione, educazione e conoscenza del paesaggio, quest’anno necessariamente on-line. Per l’occasione il Parco Archeologico di Pompei propone, attraverso alcuni video sui canali social e web istituzionali, un racconto del paesaggio pompeiano, dalle trasformazioni subite a seguito dell’eruzione, alle complesse esigenze di manutenzione delle attuali grandi aree verdi incluse nell’area archeologica, fino ai progetti di riqualificazione, ricostruzione e valorizzazione dei giardini storici, che costituivano un elemento centrale della domus romana. Accompagnati da un foto racconto delle più belle scene di paesaggio che caratterizzano le pitture di molte case.

Dall’insula dei Casti Amanti, dove è attualmente in corso un cantiere di messa in sicurezza dei fronti di scavo e rifacimento delle coperture, il vulcanologo Domenico Sparice e il geologo Vincenzo Amato del Parco illustrano la stratigrafia dell’eruzione del 79 d. C. emersa con particolare evidenza nel corso del cantiere, in una sezione a ridosso di uno degli ambienti su cui si sta intervenendo, allo scopo di raccontare le fasi e le dinamiche del tragico evento che seppellì Pompei e le conseguenti mutazioni paesaggistiche e geologiche. Inoltre per la prima volta vengono mostrati e narrati gli strati che costituiscono il sottosuolo della città: strati che raccontano una lunga storia di frequentazioni preistoriche, eruzioni vulcaniche, risorse naturali e cambiamenti del paesaggio.
“Ci troviamo oggi in uno dei vicoli dell’insula dei Casti Amanti nella Regio IX del sito archeologico di Pompei dove si può vedere la sequenza stratigrafica tipica dei depositi dell’eruzione del 79 d.C. nel parco archeologico di Pompei”, spiega Domenico Sparice. “L’eruzione del 79 d.C. è stata una delle maggiori e più violente nella storia del Vesuvio. Nel giro di circa 30 ore furono eruttati circa 4 Km cubici di materiali vulcanici, esattamente ceneri e lapilli. La stratigrafia tipica dell’eruzione è formata essenzialmente da due unità principali. Una è formata dalle famose pomici di Pompei, lapilli che sono caduti dalla colonna eruttiva che hanno una peculiarità, e cioè hanno una variazione verticale di colore, dal bianco alla base al grigio nella parte alta, e questa variazione di colore è dovuta a una variazione della composizione chimica del magma durante l’eruzione. Questi lapilli sono il frutto della prima fase dell’eruzione, ovvero quando sul cratere del vulcano si è formata una colonna eruttiva alta, molto probabilmente, fino a 30 km dalla quale sono caduti i lapilli in atmosfera, sedimentando principalmente nel settore sud-orientale del vulcano, e quindi seppellendo Pompei sotto una coltre di quasi tre metri di pomice. La parte alta della sequenza è invece formata da ceneri, ceneri stratificate con meccanismo deposizionale da correnti piroclastiche. Le correnti piroclastiche sono misture di gas, cenere e lapilli a alta temperatura che scorrono sui fianchi del vulcano per effetto della gravità sostenuta dal gas. La parte alta della sequenza è la parte di cenere stratificata che rappresenta i depositi sedimentati da più correnti piroclastiche che hanno invaso l’area di Pompei durante la seconda fase dell’eruzione. Una di queste correnti piroclastiche, la seconda in particolare arrivata a Pompei, è stata particolarmente violenta, particolarmente energetica. Era diluita, turbolenta, molto molto forte – continua il vulcanologo -, talmente energetica che è stata capace di abbattere pareti trasversali alla direzione di scorrimento della corrente. Questa corrente è stata talmente violenta che ha sepolto quasi completamente gli edifici di Pompei. Ha generato molte vittime, e di alcune di queste vittime è stato possibile fare calchi, proprio perché i corpi si sono decomposti all’interno della cenere ed è rimasto quindi il vuoto in negativo che ha conservato la forma del corpo. Dopo questa corrente piroclastica molto molto violenta, Pompei era semplicemente una landa desolata: la corrente piroclastica aveva seminato morte e distruzione. E le successive correnti piroclastiche che si sono susseguite nel secondo giorno dell’eruzione hanno semplicemente contribuito a smantellare la città di Pompei già quasi completamente sepolta con un’ulteriore coltre di cenere che ha definitivamente sepolto Pompei sotto almeno sette metri di cenere e lapilli”.
“Siamo nel vicolo Ovest dell’insula dei Casti Amanti dove, caso raro a Pompei, si è deciso di indagare il sottosuolo che sta più in basso delle strutture abitative note a Pompei, sepolte dall’eruzione distruttiva del 79 d.C. In questo cantiere si sono aperti ben 12 saggi, 6 nel vicolo Ovest e 6 nel vicolo Est, che hanno permesso di indagare tutta la storia stratigrafica del sito di Pompei fino al raggiungimento del banco lavico che costituiva in antico l’edificio vulcanico di Pompei: la prima forma di paesaggio distinguibile ancora oggi nonostante il ricoprimento avuto ad opera dei prodotti delle eruzioni più recenti che hanno determinato la scomparsa di Pompei. Alcune forme del paesaggio sono ancora ricostruibili, e soprattutto la forma del cratere più grande di Pompei che ha dato vita a queste manifestazioni laviche che in questi saggi di scavo sono stati raggiunti e per la prima volta indagati in dettaglio. Ma non solo questo. Il sottosuolo di Pompei ci racconta una lunga storia di eventi vulcanici, anche se di entità minore rispetto a quella che ha modificato per sempre la storia e il paesaggio pompeiano. Alcuni livelli vulcanici si vedono nelle successioni di scavo. Quelli più chiari, di colore grigiastro, sono delle eruzioni sempre del Vesuvio avvenute durante il periodo protostorico, altre durante il periodo preistorico, e sono stati di aiuto anche nell’inquadrare cronologicamente alcuni livelli archeologici presenti all’interno dei suoli. Per esempio alcune unità stratigrafiche, interpretate come paleo-suoli, hanno rivelato che questa era un’area boschiva, quindi un paesaggio completamente differente rispetto a quello urbano di Pompei. Le stesse stratigrafie hanno restituito anche materiali ceramici di età preistorica che ci fanno capire che nonostante l’area fosse fittamente boschiva era comunque frequentata da popolazioni preistoriche. Fino ad arrivare ad altre eruzioni che con il vulcanologo Sparice stiamo ancora cercando di determinare, che sono decisamente molto più antiche, quindi precedono di millenni la frequentazione preistorica di questo sito. Potrebbero anche venire da altri apparati vulcanici, come per esempio quello dei Campi Flegrei, o eruzioni di un Vesuvio primordiale che dobbiamo ancora riuscire bene a capire. Quindi la possibilità di accedere a queste informazioni stratigrafiche fino al sottosuolo profondo di Pompei ci fa capire che quest’area, nonostante gli eventi più significativi che hanno potuto determinare il cambiamento del paesaggio, è dovuta prevalentemente a eruzioni vulcaniche, che si susseguono nel corso dei secoli e dei millenni prima della fondazione di Pompei. Troviamo sempre gli stessi strati, cioè suoli ed eruzioni vulcaniche, il paesaggio muta di poco fino a quando si decide di costruire la città in questo punto. Infatti la parte alta delle stratigrafie che vediamo al di sotto della strada che doveva essere presente, mostra tutta una serie di tagli, buche, fosse, o la preparazione vera e propria del manto stradale. Quindi il cambiamento del paesaggio a partire dall’epoca storica viene determinato più dalle attività antropiche che si compiono nell’intera area di Pompei fino all’eruzione del 79 d.C. che determina la scomparsa e il cambiamento radicale di ogni forma del paesaggio”.

A partire dal giardino della Casa dell’Ancora e dalla Via dei Sepolcri viene, invece, il funzionario architetto Paolo Mighetto racconta il complesso lavoro multidisciplinare che sta alla base della gestione, conservazione e rinnovo del vasto patrimonio agronomico e paesaggistico del Parco Archeologico di Pompei.
Nella casa dell’Ancora c’è uno dei giardini di ultima generazione che si sta recuperando con la manutenzione. “Secondo me questo giardino illustra bene la multidisciplinarietà che sempre si è cercato di tenere nella gestione del verde di Pompei”, racconta Paolo Mighetto, “che è una gestione molto difficile. Pompei è un parco di quasi 100 ettari che spesso i turisti non colgono, perché conoscono i giardini delle domus che sono i più celebrati, ma il parco in realtà ha tutta una fascia extramoenia, quindi al di fuori delle mura, che comprende proprio delle aree estremamente interessanti anche aree agricole. Il giardino della domus dell’Ancora, nella Regio VI, nasce dal dato storico, archeologico e anche archeobotanico. Infatti anche la gestione del giardino, la messa a dimora di queste piante di edera e il trattamento delle piante nasce proprio da un’interpretazione delle pitture parietali, di come gli antichi potevano gestire questi giardini oltre che dai dati archeobotanici dei pollini. È un giardino concluso che impone anche svariati problemi di manutenzione. Ora stiamo proprio intervenendo anche sul tappeto erboso oltre che sulla potatura delle piante, sfruttando questo periodo di pandemia in cui il sito non è visitato dai turisti proprio per andare a fare degli interventi di rigenerazione del prato. Il grande discorso che stiamo portando avanti è anche sulla passeggiata fuori le mura. Negli anni ’80 già era stata fatta una grande bonifica in tutta l’area esterna di Pompei, quindi esterna al circolo delle mura per andare a eliminare tutte le infestanti, soprattutto la colonizzazione degli ailanti, questo albero infestante che distrugge il patrimonio. La città antica ha un’estensione di quasi 60 ettari. Ebbene tutto il parco archeologico di Pompei, un parco naturale, ha un’estensione di 100 ettari. Quindi l’area esterna alle mura con la passeggiata ha un’enorme estensione che costituisce una grande sfida per la manutenzione, per la gestione e anche una sfida per la progettualità della gestione del verde. Perché molte di queste aree, procedendo in questi anni anche i grandi cantieri di messa in sicurezza del sito, hanno avuto alcuni problemi di manutenzione legati anche al passaggio di mezzi di cantiere. Adesso è proprio il periodo in cui si stanno recuperando, perché diventerà una nuova area messa a disposizione dei visitatori e di un turismo che non solo ammirerà il sito archeologico, ma potrà godere anche di una visita naturalistica, di una visita paesaggistica straordinaria unica al mondo perché si collega con il territorio del parco del Vesuvio. Abbiamo avuto grossi problemi con gli alberi ad alto fusto soprattutto con i pini, perché sono colpiti da parassiti che ne determinano la rapida senescenza e quindi la necessità di abbattimento, e allora la sfida grande sarà quella di andare a ricostituire rapidamente questo patrimonio con un nuovo patrimonio arboreo. E quindi i programmi che si stanno portando avanti per l’imboschimento del parco archeologico prevedono anche la sostituzione di piante ormai morte ma che magari appartengono a specie non consone alla ricerca filologica che è stata fatta negli anni anche dal punto di vista botanico e archeobotanico, quindi non perfettamente coerenti con quello che il patrimonio della cosiddetta flora pompeiana. Perciò si sostituirà questo patrimonio perduto con nuovi alberi più coerenti con le scelte filologiche botaniche”.

E ancora una carrellata di immagini mette in evidenza alcune scene di paesaggio nella pittura pompeiana: a partire dalla Casa dei Ceii di recente restauro, con un confronto con le pitture della Casa del Menandro e dell’Efebo. Le scene di paesaggio nella pittura pompeiana, fra città e templi, campagne e boschi, grotte e marine, creano l’illusione che le dimensioni degli spazi siano diversi da quelli reali architettonici, come in una sorta di trompe-l’oeil, sviluppando l’idea di altre scenografie, non dissimili da quelle utilizzate nel teatro per la messa in scena di commedie o tragedie. Il paesaggio dipinto fa da sfondo alle rappresentazioni di figure mitiche o di attività umane che si muovono sulle pareti come in un’animazione teatrale. La prospettiva è ad imitazione del “reale”, così avviene ad esempio nel grande affresco che adorna il giardino della Casa dei Ceii, appena restaurato, dove troviamo una raffigurazione di sapore esotico molto apprezzata, con una scena di caccia condotta da animali selvatici disposti su più livelli, vista dall’alto in prospettiva, oggi diremmo “a volo di uccello”. Ai lati spaziano assolati paesaggi nilotici di origine alessandrina animati dagli scuri Pigmei, figurine esotiche e divertenti per i romani, considerati originari della parte più remota dell’Egitto, vicina all’Oceano, donde nasceva il Nilo.

Se ci spostiamo, rimanendo sullo stesso vicolo, nella prospiciente e lussuosa Casa del Menandro, anche il triclinio invernale è ravvivato al centro del pavimento con un raffinato emblema di paesaggio nilotico con gita di Pigmei, scena che poco dopo verrà addirittura replicata dallo stesso atelier nella Casa di Paquio Proculo. Graziosi paesaggi nilotici si ritrovano ancora nei quadretti che decorano i banchi del triclinio all’aperto della Casa dell’Efebo, con vivaci episodi ambientati nell’Egitto greco-romano.

Infine il Parco, per la giornata del Paesaggio, ripropone le immagini video del sito protostorico in località Longola di Poggiomarino, nell’alta valle del Sarno, a circa 10 chilometri a Est di Pompei. Il sito, di competenza del Parco Archeologico di Pompei, fa parte del Parco archeologico naturalistico di Longola, gestito dal Comune di Poggiomarino. Si trattava di un insediamento perifluviale in ambiente umido, frequentato dalla media Età del Bronzo fino al VI sec. a.C. L’elemento acquatico ha caratterizzato la vita del villaggio in tutte le sue fasi di vita e ha consentito anche la conservazione di numerosi materiali deperibili che costituiscono un eccezionale dossier archeologico e contribuiscono a fare di Poggiomarino un sito unico nel suo genere in Italia meridionale: esso colma un’importante lacuna sul popolamento della valle del Sarno, finora documentata soprattutto da contesti funerari, contribuendo in modo significativo alla ricostruzione delle dinamiche insediative nelle fasi che hanno preceduto la nascita di Pompei.
“All’interno del parco archeologico naturalistico di Longola”, spiega Antonino Russo, funzionario archeologo del parco archeologico di Pompei e responsabile del sito di Longola, “sono state ricostruite le capanne in maniera filologica e quanto più fedelmente possibile all’originale. All’interno delle capanne si svolgeva la vita dei gruppi familiari che abitavano il sito. La pianta delle capanne è di tipo rettangolare o absidata con una fila di pali centrale a sostenere il tetto a spiovente e pareti di rami intrecciati. All’interno delle capanne c’era generalmente un transetto che separava la zona abitativa da quella destinata a dispensa, quindi a contenere le derrate alimentari. Generalmente c’era poi un focolare dove venivano cotti i cibi. Il problema principale della vita degli abitanti di Longola, essendo un sito perifluviale, era l’acqua e comunque l’umidità per cui i piani delle capanne venivano continuamente bonificati con pietre pomici e rami intrecciati per alzare i piani e quindi tenersi all’asciutto dall’acqua. All’interno del villaggio queste capanne erano utilizzate sia ovviamente per uso abitativo ma anche per le varie attività di sussistenza che venivano svolte all’interno del villaggio, in particolar modo si lavorava il metallo, si lavorava l’osso, si lavorava il corno, le ambre. C’era chiaramente l’attività della lavorazione del legno, della produzione di ornamenti. Quindi la vita che si svolgeva all’interno delle capanne riguardava un po’ tutti gli aspetti della vita quotidiana degli abitanti del sito di Longola”.
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