Archivio tag | centro studi etnografici “Vittorino Vicentini”

Dall’oppio usato già nel Neolitico alle ricette di Paracelso alla moderna cosmesi: al museo Atestino di Este apre la mostra “Veleni e magiche pozioni. Grandi storie di cure e delitti”, percorso multidisciplinare, articolato fra archeologia, scienza e curiosità

La locandina della mostra “Veleni e magiche pozioni. Grandi storie di cure e delitti” al museo Atestino di Este dal 19 ottobre 2019 al 2 febbraio 2020

Veleni, pozioni, medicamenti – indagati lungo il loro più volte millenario stratificarsi – sono i protagonisti della mostra “Veleni e magiche pozioni. Grandi storie di cure e delitti”, proposta dal Polo museale del Veneto, dall’università di Ferrara e dalla Città di Este, al museo nazionale Atestino di Este (Pd) dal 19 ottobre 2019 al 2 febbraio 2020. La mostra, curata da Federica Gonzato, direttore del museo nazionale Atestino, e da Chiara Beatrice Vicentini, docente di Storia della farmacia e del farmaco all’università di Ferrara, nasce con l’intento di proporre al pubblico un percorso multidisciplinare, articolato fra archeologia, scienza e curiosità, alla scoperta del mondo delle pozioni, che dall’antichità ad oggi hanno accompagnato l’uomo nel suo percorso: rimedi che possono guarire o, talvolta nelle mani sbagliate, portare ad un esito letale.

Il museo nazionale Atestino di Este

Il percorso espositivo, allestito nel suggestivo spazio di Sala Colonne di Palazzo Mocenigo, sede prestigiosa dell’Atestino, racconta la storia di veleni e medicamenti dall’antichità ad oggi, attraverso prospettive diverse: dalle testimonianze archeologiche, all’analisi delle fonti storiche e delle testimonianze iconografiche lungo i secoli e nelle varie arti fino alla moderna ricerca medica. “Veleni e magiche pozioni. Grandi storie di cure e delitti” con il Patrocinio della Regione Veneto, si avvale della collaborazione di: Fondazione Cariparo, Accademia dei Concordi, Accademia italiana di Storia della Farmacia, biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, Centro studi etnografici “Vittorino Vicentini”, collezione Cerato, Comune di Este, Fondazione CariVerona, galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro – Venezia, dipartimento di Scienze della vita e biotecnologie – master in Scienza e Tecnologia cosmetiche università di Ferrara, museo Archeologico di Venezia, museo Archeologico nazionale di Adria, museo nazionale della Collezione Salce Treviso, museo Orientale di Venezia, musei civici di Verona – museo di Storia naturale e Castelvecchio, musei civici di Trieste – museo della Antichità Winckelman, sistema bibliotecario di Ateneo dell’università di Ferrara, sistema museale di Ateneo dell’università di Ferrara, soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona Rovigo Vicenza, soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Venezia e le Province di Belluno Padova e Treviso.

Federica Gonzato

Chiara Beatrice Vicentini

Una archeologa dunque e una esperta di storia della Farmacia insieme per andare alla radice di leggende, storie, tradizioni. Per dare un preciso senso a ciò che sembra favola, riconducendo alla scienza ciò che si ritiene puro frutto della fantasia popolare. Per scoprire che se veramente la Principessa avesse baciato il rospo, il bufonide le sarebbe effettivamente apparso come un aitante, giovane cavaliere. I visitatori che ad Este raggiungeranno il museo nazionale Atestino, scopriranno così che già nel Paleolitico, migliaia di anni fa, gli uomini sapevano cercare sostanze utili alla migliore sopravvivenza. Vengono sperimentate e tramandate sostanze che fanno bene e altre che fanno male. Dobbiamo giungere a Paracelso, quindi al primo ‘500, per definire il concetto del dosaggio, elemento che può fare di un farmaco un veleno o viceversa. E non è un caso se ancora oggi il simbolo dei farmacisti sia il caduceo, bastone alato con due serpenti che rappresentano l’uno la dose terapeutica, il secondo quella tossica, il veleno.

Brocchette porta oppio (bil bil) da Cipro, Tardo bronzo, XV-XI sec. a.C.

“Medea ringiovanisce Esone”, olio su tela di Pietro Bellotti consevato alla Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo

“Nostro obiettivo”, sottolinea Federica Gonzato, “è proporre al pubblico prospettive ed approcci diversi all’affascinante mondo dei veleni e della storia della farmacopea, in riferimento alle varie epoche storiche, dall’antichità, lungo il medioevo e il rinascimento fino all’età odierna, ricostruendo il percorso di questo fondamentale aspetto della vita sociale attraverso le fonti scritte, la arti visive, fonti classiche e letteratura moderna, proponendo in mostra oggetti e riferimenti demo-etnoantropologici che si legano strettamente alla storia del nostro quotidiano”. E ancora: “Abbiamo ritenuto di evidenziare, fra le molteplici sfaccettature del tema, come nel corso dei secoli siano mutate le nostre conoscenze delle sostanze tossiche e di quelle sanificanti: ciò che un tempo era considerato un farmaco si è poi rivelato un veleno per l’uomo e viceversa. È una mostra molto coinvolgente perché va a toccare, da una parte, la sfera emotiva del nostro quotidiano, trattando temi legati alla salute e alla ricerca del benessere fisico, dall’altra, indaga aspetti più intriganti legati al mistero e alla magia”. All’archeologa fa eco l’esperta in farmacia Chiara Beatrice Vicentini: “Questa mostra nasce da una sinergia tra valenze culturali interregionali che si affacciano a un fiume, il Po, che divide e al tempo stesso unisce. Dosis sola facit ut venenum non fit, tema conduttore della mostra, è la celebre frase di Paracelso che si addottorò nella prima metà del ‘500 presso lo Studio ferrarese. Contro la medicina antica, fu tra i tre “ribelli di Ferrara” insieme a Copernico contro la cosmologia aristotelica e Ariosto contro l’uso letterario del latino. Dal mondo naturale emerge un limite sottile tra veleno e medicamento: il veleno che uccide, che salva. E il veleno per la bellezza, esaltato in Ferrara per la presenza dal 1980 di una Scuola di Cosmesi, ora Master in Scienza e Tecnologia Cosmetiche, un’eccellenza a livello Europeo con un gruppo che conduce ricerche all’avanguardia”.

Testa di Medusa, produzione di epoca romana, conservata al museo nazionale Atestino di Este (Pd)

“Giulietta nel prendere il sonnifero”, olio su tela di Domenico Scattola, della Fondazione Cariverona di Verona

Scatola in lacca per il betel, della Dinastia cinese Qing (1644-1912), conservata al museo di Arte Orientale di Venezia

La mostra è una miniera di scoperte e curiosità. Si scopre ad esempio che il vasto uso di ocra nel Paleolitico dipendeva anche dalle proprietà antisettiche di quel materiale. Veniamo a conoscere come già dal Paleolitico ci si curasse il mal di denti con la propoli. Risalgono al Neolitico le prime evidenze dell’uso dell’oppio nell’Europa continentale. Nell’ambito dei prodotti salutistici l’interesse scientifico, alla ricerca di nuovi rimedi sia in campo farmacologico che cosmetico, si è lentamente spostato dal regno vegetale verso quello animale con una crescente attenzione verso veleni e tossine, in particolar modo di insetti, rettili e anfibi. Lo studio di veleni di fonte animale, vegetale e minerale può parallelamente spiegare scientificamente la nascita di miti e leggende. Dai metallurghi dell’antichità, sottoposti ai fumi velenosi emessi dalla fusione e forse per questo deformi o ipovedenti, al mito di Medusa, alle streghe di età medievale-moderna, che si alimentavano di farine di graminacee infestate da Segale cornuta, Claviceps purpurea, un fungo ricco di alcaloidi con effetti allucinogeni (l’acido lisergico è precursore dell’LSD). Intossicazioni scambiate con possessioni demoniache.

La Physalia, il cui veleno è a volte fatale per l’uomo

Confezione di Tubocurarina. Il farmaco moderno, formulato dal curaro, coadiuvante nell’anestesia

Grandi storie di cure, ma anche di delitti: fu la digitale, che ha dato vita in tempi moderni a farmaci del cuore, ad essere fatale nel 1329 a Cangrande della Scala (delitto volontario o errore nell’assunzione di una sostanza tossica?). Nelle vetrine, accanto a rarissimi reperti archeologici, trovano spazio confezioni storiche di veleni e farmaci; importanti dipinti con immagini di magie si affiancano ad affiches storiche che pubblicizzano portentosi unguenti e medicamenti. Altresì rare edizioni e manoscritti che trattano di una varietà di argomenti strettamente connessi: dalla magia, vista da diversi profili, alla dottrina esoterica, ermetica e alchemica occidentale, alle streghe “lamiae” temute artefici di pozioni magiche e, al contempo, vittime della superstizione e delle persecuzioni dell’inquisizione che si avvaleva di compendi e manuali repressivi anch’essi esposti in mostra.

“Storia del profumo, profumo della storia”: all’Archeologico di Fratta Polesine un’affascinante mostra racconta tremila anni di profumi dall’età greco-romana alla grande profumeria di oggi. Da reperti unici ai manifesti liberty. Prevista anche un’esperienza olfattiva

Al museo Archeologico di Fratta Polesine la mostra "Storia del profumo, profumo della Storia"

Al museo Archeologico di Fratta Polesine la mostra “Storia del profumo, profumo della Storia”

Tremila anni di profumi, attraverso i loro contenitori: da quelli preziosissimi in alabastro, pasta vitrea o ceramica decorata dell’età greca e romana, come aryballoi, alabastra e lekythoi, a quelli più recenti, dove cominciano a “pesare” i marchi della grande profumeria planetaria di oggi. Insieme a oggetti, libri, antichi formulari e farmacopee, strumenti multimediali ed esperienze sensoriali. Ecco l’originale mostra “Storia del Profumo, profumo della storia” che il Comune di Fratta Polesine, l’università di Ferrara e il Polo museale veneto con la fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo propongono al museo Archeologico nazionale nelle barchesse di Villa Badoer a Fratta Polesine (Rovigo) dal 17 settembre 2016 al 26 marzo 2017. Si scopre così che la storia, quella con la S maiuscola, non è fatta solo di battaglie, incoronazioni e altri grandi eventi. È fatta anche di profumi. Chissà, ad esempio, se la Storia sarebbe stata la stessa nel caso in cui Cleopatra non avesse usato i suoi mitici unguenti profumati! La mostra, curata da Federica Gonzato con Chiara Beatrice Vicentini, Silvia Vertuani e Stefano Manfredini, affronta diversissime storie, tutte incentrate sul profumo e sull’arte profumiera. L’esposizione è arricchita da prestiti concessi dai musei Archeologici nazionali di Venezia, Adria, Portogruaro e dal museo Correr. La mostra è resa possibile grazie alla collaborazione nel progetto scientifico e come prestatori di accademia italiana di Storia della Farmacia, Sistema museale di ateneo e CosMast dell’università di Ferrara, biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, centro studi etnografici “Vittorino Vicentini”, fondazione Musei civici di Venezia-Museo del Profumo e del Costume di Palazzo Mocenigo. La parte interattiva della mostra è stata realizzata con il contributo economico e tecnico di: AmbrosiaLab, Cura Marketing GmbH Innsbruck, ViaVai, Mavive, The Merchant of Venice.

I quattro curatori della mostra "Storia del profumo": Federica Gonzato, Chiara Beatrice Vicentini, Silvia Vertuani e Stefano Manfredini

I quattro curatori della mostra “Storia del profumo”: Federica Gonzato, Chiara Beatrice Vicentini, Silvia Vertuani e Stefano Manfredini

Quattro i campi d’indagine in cui si articola la mostra, come spiegano i quattro curatori. Si parte dalla ricerca archeologica, l’analisi delle fonti storiche e delle testimonianze iconografiche lungo i secoli, fino ai messaggi pubblicitari e alla studio della produzione odierna di aromi e profumi (tradizione e innovazione), approfondendo il tema grazie all’apporto scientifico e didattico fornito dalla collaborazione con laboratori specialistici, corsi di specializzazione post laurea specialistici e dipartimenti universitari. “Punto di partenza”, scrive Gonzato, “è il patrimonio archeologico del Mediterraneo orientale e la ricostruzione delle tecniche utilizzate a cavallo fra antico e medio Bronzo (II millennio a.C.) per la produzione di essenze, fra cui gli aromi da resina di pino, rosmarino, alloro, mirto, anice e bergamotto, piante tipiche di Cipro e del Mediterraneo, ricostruendo la storia delle tecniche e del gusto olfattivo attraverso i secoli fino ad oggi”. In questo compito – continuano gli archeologi – “ci guidano i reperti archeologici e le fonti storiche e linguistiche, a partire dalle tavolette in Lineare B, che ricordano la produzione di olii profumati ad suo cultuale offerti a divinità, e a seguire altre fonti classiche, quali il Trattato degli odori di Teofrasto, testo base della profumeria antica, le testimonianze di Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia o quelle conservate in Dioscuride in De materia medica”.

Un manifesto Liberty pubblicitario di un profumo

Un manifesto Liberty che racconta delle qualità di un profumo

Obiettivo dei curatori è “presentare il tema in riferimento alle varie epoche storiche, lungo il medioevo fino all’età odierna, ricostruendo il percorso di questo fondamentale aspetto della vita sociale attraverso i codici e le conoscenze relative a erbe aromatiche (ma anche curative) lungo i secoli. I profumi di oggi, infatti, provengono da una lunghissima tradizione che, nonostante i cambiamenti di tecniche di produzione o di modalità di conservazione ed uso, non hanno dimenticato le loro origini e determinate profumazioni, come ad esempio il bergamotto, sopravvivono e continuano ad essere utilizzate senza perdere la loro freschezza, manifestando così l’esistenza di un patrimonio culturale comune che dall’antichità giunge fino a noi”. Nell’antichità come oggi, i profumi erano commerciati in lussuosi e costosi contenitori, che, oltre a sottolineare la preziosità del contenuto, rappresentavano anche un espediente per attrarre l’acquirente. “Per questo abbiamo ritenuto opportuno inserire una sezione dedicata ai manifesti pubblicitari della Belle Epoque. I legami, chiaramente visibili, fra l’industria profumiera di oggi e la produzione di olii essenziali nel Mediterraneo antico conferma la persistenza di un gusto olfattivo comune che dal Mediterraneo centro-orientale si diffuse a partire dal II millennio a.C. e ancor oggi costituisce la base di alcune fragranze particolarmente apprezzate ed utilizzate in Europa. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il profumo è uno strumento di comunicazione sociale: attraverso il profumo è possibile comunicare una particolare immagine di sé e, allo stesso modo il profumo altrui può costituire una specifica informazione nelle relazioni sociali, utilizzando un codice ben conosciuto all’interno della stessa cultura”. Lo studio dei profumi, e quindi degli odori – concludono Gonzato, Vicentini, Vertuani e Manfredini, “è uno studio di storia della cultura e del comportamento, della medicina, dell’igiene, del culto e dell’immaginario erotico. Tramite i reperti esposti in mostra si propone una lettura attraverso i secoli di un prodotto che ha fortemente influenzato la nostra cultura, i commerci, la letteratura e la ricerca medica”.

Un calendarietto profumato del 1910

Un calendarietto profumato del 1910

Nella sezione base la “Storia del profumo”, in collaborazione con Mavive, Museo del Profumo e del Costume, Palazzo Mocenigo Venezia, si va dalla preistoria all’età romana, percorrendo l’antropologia dell’olfatto e il rapporto tra profumo e società. Si arriva alla cultura bizantina e ai profumi d’Oriente e Occidente. Una sezione è dedicata a Venezia e alle sue fragranze. Sezioni dedicate ai segreti dell’arte profumatoria, alla cosmetica nel Rinascimento, all’Acqua di Colonia. Dai profumi raccontati dalle fonti archeologiche e dai reperti si passa al mondo dei profumi nella pubblicità con tanto materiale del Liberty che comprendono 13 quadri Manifesto pubblicitario, da quelli della ditta Migone 1898 fino ai saponi profumati 1895 ai calendarietti profumati Bertelli, dal 1904 al 1939.

La raccolta di petali delle preziosissime rose di Taif

La raccolta di petali delle preziosissime rose di Taif

La mostra non offre solo reperti e documenti rari, ma garantisce anche esperienze coinvolgenti. Come cimentarsi in “nasi”, alla scoperta delle diverse essenze, immaginando le loro composizioni. Si potranno annusare essenze diverse, tutte d’origine vegetale. Compresa quella della mitica Rosa Centifolia, varietà che coltivata a Grasse, in Provenza, offre la fragranza che rende unico Chanel n.5. La maison parigina ha l’opzione sull’intera produzione della famiglia Muol, miglior produttore di Centifolia, per i prossimi 100 anni. Per ottenere 1,5 kg di essenza vengono sacrificate centinaia di migliaia di rose, per l’esattezza una tonnellata di petali, per un controvalore economico a molti zeri. L’olio essenziale della rosa di Taif è il più costoso al mondo e se ne producono solamente 16 kg all’anno al costo di oltre 50mila euro al kg. La produzione è destinata in gran parte al re della Arabia Saudita. Nulla di nuovo in questo: i profumi e l’arte profumiera hanno sempre affascinato le famiglie reali. Questa passione contagiò tra le tante Caterina Sforza e Caterina dé Medici, ma soprattutto Isabella d’Este marchesa di Mantova, che nella città lombarda frequentava il suo rinomato laboratorio di profumeria, componendo lei stessa le preziose essenze. Venezia era una capitale dei profumi. Qui venivano fatte arrivare le essenze più rare, provenienti da paesi lontani. Qui operavano celebri essenzieri: qui, non a caso, venne edito I Notandissimi Secreti de l’Arte Profumatoria. Correva l’anno 1555 ed era per l’Occidente il primo ricettario ufficiale dell’arte cosmetica.