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Donna o dea? Cosa rappresentavano le figure femminili preistoriche? La risposta nella mostra al museo Archeologico nazionale di Cagliari “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”: 2^ parte, dal Neolitico al Ferro

Le vetrine con testimonianze del Neolitico nella mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda” (foto Graziano Tavan)

Locandina della mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”

Dalla fine del Paleolitico in poi le raffigurazioni femminili iniziano a essere presenti su larga scala. Continua così il nostro viaggio alla scoperta del ruolo della donna seguendo la seconda parte della mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”, con la validazione scientifica di Carlo Lugliè, aperta al museo Archeologico nazionale di Cagliari fino al 12 maggio 2019. Attraverso i millenni si può leggere una loro continuità icnografica, pur declinata in lente evoluzioni stilistiche. Il passaggio da un’economia di pura sussistenza, come quella paleolitica, a un’economia più strutturata e tecnologicamente progredita, contrassegna la più straordinaria avventura dell’uomo moderno: la grande rivoluzione neolitica. Avvenuta tra i 12mila e i 10mila anni fa, vede articolarsi la società secondo schemi e ruoli del tutto nuovi.

Il betilo proveniente da Sa Mandara Samassi nel Medio Campitano (foto Graziano Tavan)

I betili. “Durante il VI millennio a.C.”, scrive Carlo Lugliè dell’università di Cagliari, “la Sardegna è interessata da un fenomeno di grande portata storica. L’isola entra infatti nel processo migratorio verso l’Occidente di gruppi di coloni neolitici, comunità portatrici della tecnologia di domesticazione di vegetali e animali utili per la sussistenza. In questa fase l’isola viene esplorata interamente e, in rapido progresso di tempo, occupata in ogni distretto geografico, come rivelato dalla densità del tessuto residenziale. L’introduzione delle specie domesticate prima ignote nell’isola (es., cereali quali il frumento, l’orzo; animali come la pecora, il maiale e il bue) è solo uno degli aspetti tra i più macroscopici di una profonda variazione degli assetti insediativi-organizzativi ma anche ideologici della società, che si riflette in produzioni materiali innovative quali quella dei contenitori vascolari in ceramica”. In tutto il bacino del Mediterraneo il Neolitico medio (VI millennio a.C.) è caratterizzato da statue di piccole e piccolissime dimensioni. Raramente ci vengono restituite sculture di dimensioni maggiori: una delle più importanti è un betilo rinvenuto in Sardegna, figura antropomorfa in granito databile al Neolitico medio (II metà del V millennio a.C.) proveniente da Sa Mandara Samassi (Medio Campitano). Interessante, sopra la linea di cintura, la particolare lavorazione a “Z”, che denota la presenza di una veste ornata.

La statuetta femminile del Neolitico medio proveniente dalla necropoli di Cuccuru is Arrius a Cabras (Or) (foto Graziano Tavan)

Le statuette femminili del Neolitico medio sono emerse da diversi contesti abitativi, funerari, cultuali. Numerose le “statuette steatopigiche”, ovvero caratterizzate dai glutei abbondanti. Alcune appaiono particolarmente raffinate, tutte sono caratterizzate da una significativa attenzione alla postura: in piedi, sedute, con le braccia lungo i fianchi o piegate sul grembo o flesse, con le mani che sorreggono i seni. Sono segni evocativi di fertilità e regalità. Come la figura antropomorfa con mani sul petto in calcare proveniente dalla necropoli di Cuccuru is Arrius (Cabras, Or). Il corpo è sagomato in due blocchi sferoidi sovrapposti e una linea sottile, visibile nel dorso, ne accentua la divisione. Il petto è staccato dal triangolo pubico dal quale si dipartono gli arti inferiori voluminosi. L’elevato livello di finitura delle superfici, incise e ben lisciate, si caratterizza nella resa naturalistica delle mani frangiate e portate al petto.

Bronzetti nuragici al museo Archeologico nazionale di Cagliari (foto Graziano Tavan)

La donna nuragica. “Per quanto riguarda l’età del Bronzo e la prima età del Ferro, che coincidono con la gran parte della civiltà nuragica (XVII-VII sec. a.C.)”, scrive Anna Depalmas dell’università di Sassari, “la documentazione archeologica della componente femminile della società è esigua. L’assenza di rappresentazioni figurative umane caratterizza le espressioni artistiche delle comunità insediate nei nuraghi e nei piccoli gruppi di case circostanti durante il Bronzo medio e recente. Il profondo mutamento che investe la società nuragica dell’età del Bronzo finale si dovette riflettere anche nelle forme espressive con l’avvio di un processo che rivolse una crescente attenzione alla figura umana, che giunse a compimento nella fase successiva. Benché non siano note le tappe intermedie di questo percorso, sappiamo che all’inizio del IX sec. a.C. sono già diffuse le statuine di bronzo che rappresentano il più importante documento per la ricostruzione della società sarda della prima età del Ferro. Tra i soggetti rappresentati la figura femminile riappare, dopo più di un millennio di assenza, mostrandoci un’identità complessa costruitasi nel lungo processo che, lungi dall’estrema idealizzazione delle dee madri eneolitiche, ha portato alla raffigurazioni le donne reali, compiutamente inserite nelle società sarda della prima età del Ferro”.

La cosiddetta Madre con Infante dal complesso nuragico di Santa Vittoria di Serri (Ca) (foto Graziano Tavan)

La cosiddetta Madre dell’Ucciso dalla grotta di Sa Domu e S’Orku a Urzulei (Nu) (foto Graziano Tavan)

Con le età del Bronzo e del Ferro, la bronzistica nuragica si esprime anche in repertori di donne calate in ruoli terreni, verosimilmente complementari a una figura maschile egemone e divinizzata. I soggetti sono spesso domestici: mogli, sorelle, madri, talvolta sorprese nel dolore del lutto. Fortemente evocativa la Madre dell’ucciso, statuetta bronzea dalla grotta di Sa Domu e S’Orku (Urzulei, Nu) che rappresenta l’incontro con il dolore di una Donna e Madre dell’età nuragica. O la Donna con infante dal complesso nuragico di Santa Vittoria (Serri, Ca). “La rappresentazione di queste madri sedute su uno sgabello circolare a cinque piedi costituisce un’iconografia di particolare rilievo”, continua Depalmas, “che potrebbe rimandare alla commemorazione di un mito o di un racconto celebrativo nell’ambito del patrimonio narrativo delle comunità nuragiche. E proprio la ricorrente associazione della figura femminile con lo sgabello, evocato nelle riproduzioni in pietra delle capanne delle riunioni, rafforza l’ipotesi che le donne sarde della prima età del Ferro potessero rivestire ruoli sociali di rilievo”.

La riproposizione di un corredo tombale dalla necropoli di Cuccuru is Arrius (foto Graziano Tavan)

Sono le sepolture a restituire il maggior numero possibile di rappresentazioni femminili. I defunti accompagnati da queste statuine dei quali è stato possibile stabilire il genere erano tutti individui maschi. La presenza di queste sculture sembra affermare il loro status e, potenzialmente, la loro condizione di appartenenza a una specifica ascendenza ancestrale, forse mitizzata. Alla fine del Neolitico in Sardegna si affermano e tombe collettive, luoghi dove vengono progressivamente disposti i diversi membri delle comunità di appartenenza. Nelle fasi preistoriche e protostoriche sembra non ci fossero differenze di genere nei rituali di inumazione. Nell’età del Ferro riappaiono le sepolture individuali, come le tombe a pozzetto della necropoli di Monte e’Prama (Cabras, Or). Qui, fra gli individui finora ritrovati, è presente una sola femmina. Tutti gli altri sono maschi giovani e robusti, a indicare che la necropoli era riservata a una categoria specifica. Vecchi, bambini e donne venivano sepolti altrove, in tombe non ancora individuate.

Il caratteristico vaso a cestello del IV millennio a.C. dal villaggio di Puisteris di Mogoro (Or) (foto Graziano Tavan)

Nel Neolitico anche le attività di competenza femminile si articolano in diverse specializzazioni. Per esempio, alla cura della prole si affianca la produzione di contenitori ceramici, funzionali alla preparazione e alla conservazione dei cibi. L’attributo di madre e nutrice si estende così, dopo il tempo della gestazione e dell’allattamento, oltre il proprio corpo. E con nuova efficacia: la disponibilità di cibi bolliti, più facili da digerire, contribuirà notevolmente a incrementare le prospettive si sopravvivenza del bambino e la loro salute. La diffusione della cerealicoltura, introdotta anche in Sardegna a partire dal VI millennio a.C., è documentata dalle sottili analisi palinologiche e paleobotaniche su resti di semi e piante rinvenuti presso i diversi contesti abitativi. Ma sono testimoniate soprattutto dalle numerose macine e macinelli in pietra, utilizzati per la trasformazione del cereale in farina. Dal Neolitico in poi costituiranno una presenza costante nel focolare domestico. Alcune figure femminili in ginocchio sembrano compiere proprio il gesto del macinare. Ai ritratti familiari e alle donne con la cesta sul capo, intente al lavoro, si affiancano rappresentazioni di donne offerenti. Ampi mantelli, importanti copricapo, vesti accurate che talvolta sembrano paramenti. Posture fissate in un gesto ieratico, come di chi officiasse qualche rito.

La bellissima collana con vaghi di conchiglia del V millennio a.C. dalla necropoli di Cuccuru is Arrius (foto Graziano Tavan)

L’uso dei monili non è da intendersi qui in una dimensione puramente estetica, di semplice abbellimento. Rappresenta innanzitutto un contrassegno sociale: un codice che rende immediatamente riconoscibili i ruoli e le gerarchie vigenti in quelle comunità. “I monili preistorici, a differenza di quello che potremmo essere indotti a pensare dal confronto con i corrispettivi moderni”, interviene l’archeologa Valentina Puddu, “non avevano una connotazione di genere. Essi devono piuttosto essere intesi come prodotti culturali distintivi, tratti da un contesto di tradizione, di costumi e di valori che un individuo, sia esso uomo, donna o bambino, adottava sia in termini di unione che di divisione: l’ornamentazione personale dava una identità alla persona, definendola all’interno di un gruppo e contemporaneamente escludendola da altri”.

“La Terra del 1968”, il telaio realizzato da Maria Lai (foto Graziano Tavan)

Una trasversalità tematica fa da cornice alla mostra: nel corso dell’apertura dell’esposizione sono stati previsti numerosi appuntamenti con contenuti dal taglio non soltanto archeologico e antropologico-etnografico, ma anche sociologici, con richiami all’attualità. Un mondo al femminile che nei millenni, attraversando le sfere del mito, del sacro, del religioso e del quotidiano, giunge fino a noi. Il trait d’union tra le prime comunità antropiche e i giorni nostri è il telaio di Maria Lai che, con la sua opera La Terra del 1968, rappresenta il simbolo narrativo della mostra. Le trame e l’ordito simbolicamente evidenziati dall’artista, narrano la storia di donne.

Donna o dea? Cosa rappresentavano le figure femminili preistoriche? La risposta nella mostra al museo Archeologico nazionale di Cagliari “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”: 1^ parte, il Paleolitico

Figurina femminile a placca traforata da Porto Ferro (Alghero, Ss) del IV millennio a.C. (foto Graziano Tavan)

Locandina della mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda” al museo Archeologico nazionale di Cagliari

Donna o dea? Cosa rappresentavano le figure femminili preistoriche? A questa domanda vogliono dare una risposta l’antropologa Silvia Fanni e le archeologhe Marcella Sirigu e Laura Soro, che hanno curato la mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda”, con la validazione scientifica di Carlo Lugliè, aperta al museo Archeologico nazionale di Cagliari fino al 12 maggio 2019. “Nelle prime fasi della preistoria”, spiegano sul catalogo (Edizioni WRB), “il principio femminile veniva considerato prioritario e più importante di quello maschile. Si riteneva che la donna fosse l’unica ad avere la facoltà di dare la vita: a lei sola era dovuta la nascita, il nuovo si riproduceva dal nulla, per partenogenesi e per tale ragione era identificata come dea. La sua divinizzazione sarebbe nata in un momento in cui non esistevano ancora strutture gerarchiche definite, livelli sociali stratificati, dove il ruolo della donna poteva essere messo in primo piano, dove la sua essenza cosmica la elevava a una dimensione forse magico-religiosa”.

Le vetrine con le “Veneri paleolitiche” nella mostra “Donna o dea. Le figure femminili nella preistoria e protostoria sarda” al museo Archeologico nazionale di Cagliari (foto Graziano Tavan)

“Dal Paleolitico giungono centinaia di suggestive figurine prevalentemente femminili, realizzate utilizzando diverse materie prime: la pietra, nelle sue più svariate morfologie e tipologie; l’osso di varie specie animali; l’argilla e forse anche il legno. Donne in miniature, dalle sinuosità appena bozzate o dalle forme ora rotonde, ora lineari, con volti caratterizzati da evidenti schemi dai tratti ben netti, arricchite da acconciature o copricapi dettagliati. Altre, prive di caratteri sul volto, hanno un aspetto per così dire impersonale, con braccia stese sui grassi fianchi o flesse sul petto, stanti o assise in trono in posizione ieratica, rappresentate sia con grandi mammelle, sia con piccoli seno appena sporgenti. Capire e interpretare il loro scopo lascia ancora in disaccordo gli studiosi: potrebbero costituire, infatti, ritratti di donne realmente esistite, sacerdotesse di un culto ad oggi sconosciuto, rappresentazioni simboliche dei più grandi misteri naturali come il parto e quindi la vita, oppure della divinità stessa, intesa come custode dei bisogni primari dell’uomo, dalla creazione al sostentamento di queste prime comunità antropiche”.

Logo del museo Archeologico nazionale di Cagliari

Il museo Archeologico nazionale di Cagliari ha ideato un progetto per osservare i numerosi elementi simbolici e interpretare segni e gestualità quali traduzioni di idee e pensieri antichi ma, al tempo stesso, concettualmente molto attuali. Per la prima volta insieme, la più ricca collezione di manufatti della preistoria isolana a confronto con alcuni tra i più antichi e famosi reperti peninsulari. Il progetto espositivo vuole mettere infatti in risalto alcune delle raffigurazioni femminili presenti dalle fasi preistoriche fino alla protostoria sarda e offrire così una visione d’insieme di una serie di manufatti presenti in diversi contesti archeologici del territorio isolano. Partendo dalle più antiche espressioni artistiche dell’arte Paleolitica, con la famosa Venere di Savignano, databile a circa 25mila anni fa, manufatto che apre il precorso espositivo anticipando un’analisi iconografica e stilistica, passando dalle volumetrie classiche del Neolitico medio si giunge alle raffigurazioni di donne nuragiche, descritte attraverso una resa stilistica essenziale e solenne.

La Venere di Savignano databile a 25mila anni fa (foto Graziano Tavan)

Veneri paleolitiche. “Una compiuta espressione della coscienza di sé, riflessa nella capacità di autorappresentazione, è prerogativa esclusiva dell’uomo anatomicamente moderno, l’Homo sapiens sapiens. Un ricco repertorio di raffigurazioni del corpo umano accompagna la diffusione della nostra specie nel continente europeo. Questi manufatti, denominati tradizionalmente arte paleolitica, sono quasi esclusivamente naturalistiche dell’immagine femminile, realizzati in forma di scultura a tutto tondo su supporti di materie dure, soprattutto pietra e osso. Queste produzioni simboliche attestano la presenza di un “sentire comune” che attraversa l’intero continente, dalle steppe dell’Europa orientale fino ai confini atlantici, e che perdura a lungo presso le comunità di cacciatori e raccoglitori del Pleistocene. In questo immaginario collettivo, l’anatomia femminile è costantemente caratterizzata da seni prorompenti, dai fianchi floridi e dalla prosperosa rotondità dei glutei. Il riproporsi di questo modello – forse anche ideale estetico – ha suggerito la denominazione di Veneri paleolitiche (o epipaleolitiche)”.

La Venere sarda con un volto ferino (foto Graziano Tavan)

Venere sarda terio-antropomorfa. La figurina costituisce un pezzo unico sotto diversi aspetti: per la materia prima impiegata, per il soggetto e le caratteristiche della raffigurazione, per la difficoltà di attribuzione a una specifica fase della preistoria della Sardegna. Il manufatto raffigura un corpo umano femminile dotato di un volto ferino. La compresenza di elementi umani e ferini nelle raffigurazioni preistoriche è attestata anche se rara, ancor più se riguardante il genere femminile. Tale combinazione di elementi avrebbe una sua spiegazione nell’ambito delle pratiche sciamaniche, particolarmente diffuse presso le bande di cacciatori-raccoglitori.

Apre a Cagliari la mostra “Le Civiltà e il Mediterraneo”: 550 reperti tra ceramiche, armi e utensili, oggetti di culto e antichi idoli, monili e, soprattutto, straordinari oggetti in bronzo, a documentare come il bacino del Mediterraneo non sia stato un luogo chiuso ma contaminante e in continua evoluzione

Il manifesto della mostra “Le civiltà e il Mediterraneo” dal 31 gennaio 2019 a Cagliari

Statuetta in alabastro dal Caucaso (fine 3000 a.C.) conservata al museo statale Ermitage di San Pietroburgo

Vasellame in terracotta, elementi in ceramica, armi e utensili, oggetti di culto e antichi idoli, monili e, soprattutto, straordinari oggetti in bronzo di diverse provenienze tra pochi giorni potranno essere ammirati a Cagliari nella mostra “Le Civiltà e il Mediterraneo” aperta dal 31 gennaio alla fine di maggio 2019 al Palazzo di Città e al museo Archeologico nazionale di Cagliari. In mostra 550 reperti, scelti dai curatori Yuri Piotrovsky del museo statale Ermitage di San Pietroburgo, Manfred Nawroth del Pre and Early History-National di Berlino, in collaborazione con Carlo Lugliè, docente all’università di Cagliari e Roberto Concas, direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari. Il nucleo centrale dell’esposizione è dedicato all’archeologia preistorica sarda – circa 120 opere rappresentative dell’evoluzione delle culture dal Neolitico alla metà del primo millennio a.C. – mentre gli altri reperti, sono chiamati a rappresentare diverse culture e aree del Mediterraneo e del Caucaso, nel medesimo arco temporale e provengono da grandi musei archeologici: il museo Archeologico nazionale di Napoli, il museo del Bardo di Tunisi, il museo Archeologico di Salonicco, il museo di Berlino e ovviamente il museo statale Ermitage di San Pietroburgo, a documentare come il bacino del Mediterraneo non sia stato un luogo chiuso ma contaminante e in continua evoluzione. Un corpus espositivo di grande significato e fascino; un evento culturale internazionale unico e fondamentale per la valorizzazione della storia, della cultura e dell’arte della Sardegna, organizzato da Villaggio Globale International con un allestimento contemporaneo, scenografico e visionario firmato da Angelo Figus. Un viaggio nel tempo, nello spazio, nella storia delle civiltà che si sono intessute in quel Mare Nostrum che appare matrice primigenia, luogo permeabile di culture, arti e saperi.

Un lingotto a pelle di bue conservato al museo Archeologico nazionale di Cagliari (foto Graziano Tavan)

Nell’età del Bronzo s’intensificano infatti i traffici e gli scambi che univano, in modo diretto o mediato, i centri minerari, in particolare dello stagno e del rame, ai centri di produzione, arrivando a coinvolgere gran parte del continente europeo e le regioni asiatiche e imponendo società via via più complesse e meglio organizzate. Il rame grezzo era modellato in forme diverse a seconda dei periodi e delle cerchie artigianali. I lingotti a pelle di bue (oxhide ingots), dalla caratteristica forma quadrangolare con apici sviluppati comodi per il trasporto sulle spalle o per lo stivaggio – cronologicamente inquadrati tra il XIV e il XI secolo a.C. – sono stati rinvenuti a Cipro, in Anatolia, nel mar Nero, a Creta, nell’Egeo, in Grecia, in Sicilia, in Sardegna, in Corsica e Francia meridionale, e in alcune regioni dell’entroterra europeo dislocate lungo il corso dei grandi fiumi che dovevano fungere da vie di penetrazione. Il centro di irradiazione viene identificato nell’isola di Cipro, che possiede ricchissimi giacimenti di rame purissimo, ed è interessante notare l’altissima concentrazione di lingotti a pelle di bue di provenienza cipriota in una terra ricca di rame come la Sardegna già a partire dal Bronzo recente. Questa diffusione, a cui si accompagna un massiccio apporto di tecniche metallurgiche di matrice cipriota, avvalora l’immagine di un mar Mediterraneo solcato da un complesso sistema di rotte che ne fanno un prezioso ed efficace apparato connettivo tra Occidente e Oriente, lungo il quale si spostano uomini, merci e idee.

Figurina micenea (XIV-XIII sec. a.C.) conservata al museo Pre e Early History di Berlino

Tra i protagonisti di questi movimenti spiccano i Micenei, che nel lungo arco di tempo corrispondente al periodo della formazione dei regni palatini, dal loro sviluppo fino alla crisi che ne segna la fine nel XII secolo a.C., lasciano nel Mediterraneo i segni del loro passaggio alla ricerca prevalentemente di metallo e beni di lusso. L’indicatore immediato di questi movimenti è la ceramica micenea, di argilla tornita e depurata, con decorazione dipinta a vernice brillante, che compare già dalle fasi più antiche (XVII-XV secolo a.C.) in Sicilia e in Italia, ma anche in Anatolia occidentale. Nella fase di maggior espansione della potenza micenea si assiste in Occidente alla produzione di una ceramica di imitazione che ha fatto ipotizzare l’esistenza di botteghe artigianali italo-micenee e di nuclei stanziali micenei. In diversi siti, tra cui Antigori di Sarroch in Sardegna, artigiani micenei potrebbero essersi integrati nelle comunità protostoriche italiane già prima che il collasso dei regni aumentasse la propensione a migrare fuori dalla madrepatria. Presso il nuraghe Antigori di Sarroch, oltre all’abbondante materiale proveniente dal Peloponneso, Creta e Cipro, è stata individuata anche una classe di ceramica di imitazione e di produzione locale. Alcune tipologie di vasi, come per esempio le anfore a staffa, sembrano indicare un collegamento con il sito di Cannatello in Sicilia (dove oltretutto è presente ceramica nuragica di importazione) e con gli empori dell’Africa settentrionale, quasi a segnare una rotta ideale che arriva in Sardegna toccando le sponde meridionali del Mediterraneo, alternativa rispetto a quella settentrionale che privilegia lo Ionio e l’Adriatico.

Nave da El Algar (Spagna) databile tra il 22 e il 15 a.C. conservata al museo Pre e Early History di Berlino

Questa rotta sarà la stessa che alcuni secoli dopo seguiranno i prospectors fenici alla ricerca di giacimenti metalliferi verso la Spagna, rotta in cui la Sardegna avrà comunque un ruolo centrale. A evidenziare infatti i contatti e le relazioni tra l’Isola e il Sud est spagnolo, durante l’età del bronzo, ci saranno in mostra (provenienti dal Museo di Berlino) anche importanti reperti della civiltà di El Argar, sviluppatasi in quell’area dal 2200 a.C. e connotata da insediamenti estesi, con un’architettura in pietra paragonabile a quella del Mediterraneo orientale e con una tipologia di spade che mostra evidenti contatti con la civiltà nuragica. È proprio in questo periodo infatti che la Sardegna, al centro del Mediterraneo e con un ruolo incisivo nei flussi commerciali – come dimostrano i materiali di produzione nuragica rinvenuti in questi ultimi anni fuori dall’isola – dà prova di grande vitalità con la fioritura di una delle più originali culture della protostoria italiana, quella nuragica. Il Nuragico è esclusivo della Sardegna e si caratterizza soprattutto per il suo monumento simbolo, il nuraghe, ma anche per i suoi straordinari bronzetti e per le tombe dei giganti.

Placca a nastro dell’11-8 a.C. da Koban (Russia) conservata nel museo di Pre e Protostoria di Berlino

Non esistono architetture analoghe a quelle sarde: un vero e proprio unicum nonostante le similitudini che si possono rilevare. Un esempio di “vicinanza” è quello con le fortezze costruite nel Caucaso meridionale nella tarda età del bronzo e nella prima età del ferro. Pur lontane, le terre caucasiche hanno certamente avuto contatti con le civiltà mediterranee. L’Ermitage, le cui collezioni sono straordinarie, è sempre stato e rimane uno dei pionieri della ricerca archeologica nel Caucaso e del suo inserimento nel contesto culturale mediterraneo. Dalla cultura di Majkop nella Ciascaucasia, con i suoi eccezionali kurgan, alla straordinaria produzione metallurgica della cultura di Koban le terre caucasiche rivelano, con i loro repertori decorativi dai motivi geometrici e con raffigurazioni di animali fantastici e non – buoi arieti, lupi, rane etc. – elementi di connessione non banali con le civiltà del mediterraneo e forse anche con la civiltà nuragica. Come non sorprenderci della somiglianza dei bronzetti di tori nuragici al celebre toro di Majkop? Con le suggestioni del mito di Prometeo o di quello degli Argonauti alla ricerca del Vello d’Oro l’esplorazione dei collegamenti nella protostoria, tra Mediterraneo e Caucaso, si carica di mille suggestioni.

Cagliari si prepara ad ospitare la grande mostra “Le civiltà e il Mediterraneo”, oltre 550 opere da importanti musei internazionali e dalle collezioni sarde per connettere la cultura nuragica ai grandi processi di civilizzazione della protostoria

Maurizio Cecconi introduce la mostra “Le civiltà e il Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Cagliari (foto Graziano Tavan)

Il manifesto della mostra “Le civiltà e il Mediterraneo” dal 31 gennaio 2019 a Cagliari

Tutto è cominciato con una ricerca puntuale dei pezzi più significativi sulla civiltà nuragica in particolare e le testimonianze dal Neolitico al primo millennio a.C. in generale presenti non solo nel museo Archeologico nazionale di Cagliari ma in tutta la rete di istituzioni che fa capo al Polo museale della Sardegna, diretto da Giovanna Damiani. “Ne è uscito un elenco particolarmente interessante e stimolante che abbiamo deciso di far conoscere ad alcuni grandi musei internazionali”, esordisce Maurizio Cecconi, segretario generale di Ermitage Italia e ad di Villaggio Globale International, “per capire se nelle loro rispettive collezioni si potessero cogliere assonanze o dissonanze”. Il risultato lo potremo apprezzare dal 31 gennaio 2019 quando nelle sedi del museo Archeologico nazionale di Cagliari e di Palazzo di Città, aprirà la mostra “Le Civiltà e il Mediterraneo” (fino alla fine di maggio), un grande evento per guardare dalla Sardegna alle Civiltà del Mediterraneo all’alba della Storia. Intrecci, confronti, dialoghi dal bacino del Mare Nostrum alle montagne del Caucaso. Oltre 550 opere da importanti musei internazionali e dalle collezioni sarde per connettere la cultura nuragica ai grandi processi di civilizzazione della protostoria.

“Eurasia, , fino alle soglie della Storia. Capolavori dal Museo Ermitage e dai Musei della Sardegna”: la mostra tenutasi a Cagliari nel 2015

La locandina del convegno internazionale “Le civiltà e il Mediterraneo” a Cagliari il 1° dicembre 2017

Un progetto nato nel 2015. Due eventi in questo ultimo triennio hanno avvolto la Sardegna di una luce propria, in un contesto culturale e di interesse turistico di grande rilievo. Con la mostra del 2015 “Eurasia – fino alle soglie della storia”, Cagliari ha avviato un’importante relazione con il museo statale Ermitage – i cui capolavori si sono incrociati con quelli sardi e di altre regioni italiane – aprendo il cammino ad un ragionamento sullo sviluppo delle civiltà in epoca preistorica nel contesto Euroasiatico, intravedendo legami e connessioni intraculturali e restituendo alla Sardegna un ruolo assolutamente centrale negli incroci di civiltà (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/12/15/dai-popoli-del-caucaso-alla-civilta-nuragica-leurasia-protagonista-nella-mostra-di-cagliari-con-eccezionali-reperti-dal-museo-dellermitage-di-san-pietroburgo-in-dialogo-con-i-manufa/). Quindi, con il convegno del 2017 “Le Civiltà e il Mediterraneo – grandi musei a confronto” promosso dall’assessorato del Turismo della Regione Autonoma Sardegna, si sono gettate le basi di una riflessione internazionale di più vasta portata sul tema, che ha coinvolto studiosi ed esponenti di prestigiosi musei, strategici nella ricognizione delle civiltà del Mediterraneo in età preistorica e nella ridefinizione del ruolo dell’Isola e delle sue culture in questo contesto (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/11/30/le-civilta-e-il-mediterraneo-in-un-eccezionale-convegno-internazionale-i-grandi-musei-si-confrontano-a-cagliari-sul-mediterraneo-per-secoli-crocevia-di-culture-culla-delle-piu-sign/). Una tematica sostanziale dal punto di vista culturale e turistico, che ha reso desiderabile lo sviluppo di nuove prospettive e che ha spinto l’assessorato del Turismo Artigianato e Commercio a sottoscrivere insieme a Mibac, Polo Museale della Sardegna, Comune di Cagliari e Fondazione di Sardegna, un protocollo di collaborazione culturale pluriennale con il grande museo di San Pietroburgo, con il coinvolgimento di Ermitage Italia, per ampliare i fronti di ricerca e di studio, dando conto del ruolo e della storia sarda, quale occasione di promozione internazionale e di affermazione identitaria. Si riconosce in tal modo una centralità della Sardegna come punto di osservazione verso l’esterno, per confermare non solo le sue radici profondamente mediterranee, ma quale avamposto delle connessioni tra le varie civiltà sviluppatesi nel Mediterraneo.

Statuetta in alabastro dal Caucaso (fine 3000 a.C.) conservata al museo statale Ermitage di San Pietroburgo

Giovanna Damiani, direttrice del Polo museale della Sardegna (foto Graziano Tavan)

Barbara Argiolas, assessore regionale a Turismo, Artigianato e Commercio (foto Graziano Tavan)

La grande mostra “Le civiltà e il Mediterraneo” è stata presentata in anteprima al museo Archeologico nazionale di Cagliari, presenti tutti gli attori protagonisti del progetto culturale. “Ci sono molti motivi per cui questa iniziativa è così importante”, dice il presidente della Regione Francesco Pigliaru in apertura del suo intervento, ringraziando quanti hanno lavorato “per raggiungere l’obiettivo ambizioso di questa mostra, che partita anni fa da un’idea lungimirante del Comune di Cagliari ha intrecciato collaborazioni preziose diventando una chiave per aprire nuove prospettive. La Sardegna possiede un’eredità storica e archeologica tanto straordinaria quanto ancora poco conosciuta nel mondo – sottolinea -, e crediamo sia giusto impegnarci al massimo perché questo patrimonio così peculiare abbia una visibilità internazionale crescente, tale da intercettare ampie fasce di quel turismo che negli anni sta diventando sempre più colto, sempre più curioso, sempre più alla ricerca di qualità nel paesaggio, nel cibo, nella storia, nell’archeologia. D’altro canto la lezione del passato è un messaggio chiarissimo per il presente e per il futuro. La Sardegna nel Mediterraneo antico non era isolata ma, al contrario, avamposto centralissimo, luogo e intreccio di connessioni. Un ruolo importante che abbiamo avuto e che oggi, in questo particolare momento storico, siamo più che mai chiamati a continuare a svolgere – conclude il presidente Pigliaru -, per favorire il dialogo tra la sponda nord e la sponda sud”. E Giovanna Damiani, direttrice del Polo Museale della Sardegna: “La partecipazione a un progetto che mette in primo piano la centralità culturale dell’isola ci inorgoglisce come Istituzione che ha da sempre posto questo aspetto tra i suoi compiti principali. Il Polo museale della Sardegna, infatti, racchiude al suo interno tutte le anime che, da un capo all’altro dell’isola, nella straordinaria varietà delle sue collezioni, raccontano una storia cultuale lunga oltre 6-7mila anni”. Particolarmente soddisfatto anche l’assessore alla Cultura, Paolo Frau, intervenuto per il sindaco Massimo Zedda impossibilitato a intervenire: “Siamo orgogliosi di proseguire la collaborazione avviata nel 2015, in occasione di Cagliari Capitale Italiana della Cultura, con il museo Ermitage di San Pietroburgo. La mostra “Le Civiltà e il Mediterraneo” costituisce una nuova e straordinaria occasione di confronto internazionale e di crescita per i nostri musei, un’altra testimonianza di quanto Cagliari e la Sardegna intera possano offrire con la nostra civiltà nuragica. Una rete di relazioni e rapporti che diventa nuovamente attuale a distanza di millenni e che l’evento espositivo racconterà ai visitatori. Un appuntamento ancora più importante in questo periodo storico, ulteriore prova di quanta importanza abbia avuto e abbia il Mediterraneo nello scambio di cultura, esperienze, arte e commercio”. Infine Barbara Argiolas, assessore regionale a Turismo, Artigianato e Commercio: “Con questa mostra vogliamo posizionare la Sardegna sulle rotte del grande turismo culturale. Abbiamo necessità di valorizzare, raccontare e promuovere il nostro straordinario patrimonio archeologico e storico, e con questa esposizione lo facciamo in rapporto alle civiltà che nei millenni sono sorte sulle sponde del mar Mediterraneo e con il coordinamento scientifico delle più importanti istituzioni internazionali. La cultura, materiale e immateriale, insieme al paesaggio e alla qualità della vita, costituisce uno gli elementi strategici più importanti per accrescere il valore della nostra destinazione non solo nei mesi estivi, ma anche nei cosiddetti mesi di spalla. In questo senso, la sfida di “Le Civiltà e il Mediterraneo”, interamente finanziata con fondi europei, è proprio il suo arco temporale: da gennaio a maggio, mesi meno movimentati dal punto di vista turistico, per rendere Cagliari e la Sardegna ancora più attraenti per quei viaggiatori curiosi di conoscere la vera identità e cultura di chi li ospita e di vivere un’esperienza in luoghi accoglienti, ricchi di eventi e appuntamenti”.

Placca a nastro dell’11-8 a.C. da Koban (Russia) conservata nel museo di Pre e Protostoria di Berlino

“Che cos’è il Mediterraneo?” si chiede lo storico Fernand Braudel, e risponde: “Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una cultura ma una serie di culture accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa sprofondare nell’abisso dei secoli, perché è un crocevia antichissimo”. Comincia così il video che anticipa temi e immagini della grande mostra “Le civiltà e il Mediterraneo”, curata da Yuri Piotrovsky del museo statale Ermitage, Manfred Nawroth del Pre and Early History-National museum di Berlino, in collaborazione con Carlo Lugliè, docente all’università di Cagliari e Roberto Concas, direttore del museo Archeologico nazionale di Cagliari. Un complesso di oltre 550 reperti, dove il nucleo centrale è dedicato all’archeologia preistorica sarda – circa 120 opere rappresentative dell’evoluzione delle culture dal Neolitico alla metà del primo millennio a.C. – mentre gli altri reperti, sono chiamati a rappresentare diverse culture e aree del Mediterraneo e del Caucaso, nel medesimo arco temporale e provengono da grandi musei archeologici pertinenti per geografia o collezioni: il museo Archeologico nazionale di Napoli, il museo del Bardo di Tunisi, il museo Archeologico di Salonicco, il museo di Berlino e ovviamente il museo statale Ermitage di San Pietroburgo, a documentare come il bacino del Mediterraneo non sia stato un luogo chiuso ma contaminante e in continua evoluzione. Un corpus espositivo di grande significato e fascino; un evento culturale internazionale unico e fondamentale per la valorizzazione della storia, della cultura e dell’arte della Sardegna, organizzato da Villaggio Globale International con un allestimento contemporaneo, scenografico e visionario firmato da Angelo Figus. Un viaggio nel tempo, nello spazio, nella storia delle civiltà che si sono intessute in quel Mare Nostrum che appare matrice primigenia, luogo permeabile di culture, arti e saperi.

“Le civiltà e il Mediterraneo”: in un eccezionale convegno internazionale i grandi musei si confrontano a Cagliari sul Mediterraneo, per secoli crocevia di culture culla delle più significative civiltà antiche. Così la Sardegna riafferma il suo ruolo centrale nella storia del Mediterraneo e la ricchezza della civiltà nuragica

La reggia nuragica di Barumini, il più famoso complesso della Sardegna

Il tema è di quelli che meritano approfondimenti ai massimi livelli: “Le civiltà e il Mediterraneo”. I protagonisti rappresentano vere eccellenze. Sono il Polo museale della Sardegna, il Provincial Archeology Museum of Alicante, il Museum for Pre and Early History-National Museums di Berlino, l’università di Cagliari, il museo Archeologico nazionale di Napoli, l’Archeological Museum of Thassaloniki di Salonicco, The State Hermitage Museum di San Pietroburgo, il segretariato regionale per la Lombardia, il Museum of Croatian Archeological Monuments di Spalato, il Georgian National Museum of Tbilisi, il Bardo National Museum and National Heritage Institute di Tunisi. E il luogo scelto per mettere i grandi musei a confronto, Cagliari, non è casuale. Venerdì 1° dicembre 2017 la Regione Sardegna chiama a raccolta nel capoluogo sardo i grandi musei in un eccezionale convegno internazionale, per confrontarsi sul Mediterraneo, per secoli crocevia di culture ove sono fiorite le più significative civiltà antiche. Parte di una strategia che mira alla creazione di relazioni e  collaborazioni internazionali,  il convegno – momento di confronto tra esperti e studiosi – riafferma il ruolo centrale della Sardegna nella storia del Mediterraneo e la pregnanza della Civiltà nuragica. E non è tutto. L’appuntamento di venerdì 1° dicembre è il punto di partenza per iniziative a lungo termine che coinvolgeranno Cagliari e più in generale tutta la Regione e che permetterà anche di promuovere di fronte a un parterre internazionale alcune meraviglie della Sardegna. Il relatori infatti il giorno dopo, sabato 2 dicembre, saranno accompagnati dall’assessore regionale al Turismo Barbara Argiolas in visita ad una delle aree archeologiche più interessanti e significative di tutta l’isola: il sito riconosciuto dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità di Su Nuraxi a Barumini, che ospita il più rappresentativo tra i nuraghi complessi e che presenta una stratificazione cultuale di oltre 2000 anni, per un periodo che va dal 1500 a.C. al VII sec. d.C.

La locandina del convegno internazionale “Le civiltà e il Mediterraneo” a Cagliari il 1° dicembre 2017

Appuntamento negli spazi della Manifattura Tabacchi di Cagliari per il convegno internazionale “Le Civiltà e il Mediterraneo” promosso dalla Regione Sardegna – Assessorato Regionale al Turismo, nell’ambito degli interventi legati al turismo sostenibile e allo sviluppo dell’heritage tourism, in collaborazione con il museo statale Ermitage, il Mibact-Polo Museale della Sardegna, la Fondazione Sardegna, il Comune, con il supporto di Ermitage Italia e l’organizzazione di Villaggio Globale International. Chiamati a raccolta nel capoluogo sardo, i direttori o i conservatori del museo statale Ermitage, museo di Preistoria e Storia antica di Berlino, museo del Bardo di Tunisi, museo nazionale Georgiano di Tbilisi, Marq di Alicante, museo dei Monumenti archeologici croati di Spalato, museo Archeologico di Salonicco, Mann di Napoli, museo Archeologico nazionale di Cagliari e l’università di Cagliari, insieme per la prima volta, si misureranno su inedite e suggestive letture dei rapporti che si sono sviluppati nel Mediterraneo in senso centripeto e centrifugo verso il Nord dell’Africa, la penisola iberica e l’Italia, verso l’Illiria e la Grecia, nel Medio Oriente fino al Caucaso e oltre. Momento di approfondimento scientifico e di dialogo multiculturale, il convegno intende essere una piattaforma di discussione capace di generare nuove visioni storiche del e nel Mediterraneo, restituendo alla Sardegna un ruolo di primo piano nel sistema di relazioni e rapporti che hanno disegnato le geografie di ieri e che oggi possono fare dell’Isola un punto di riferimento per la ricerca scientifica e la produzione culturale.

Il museo statale dell’Ermitage di San Pietroburgo

Il convegno nasce dalla collaborazione con il museo statale Ermitage di San Pietroburgo avviata in occasione della candidatura di Cagliari al programma Capitale Europea della Cultura. Una proficua collaborazione che oggi allarga la riflessione sui temi delle civiltà del Mediterraneo attraverso la creazione di una rete di rapporti tra prestigiose istituzioni museali, nell’ambito di un percorso di cui il convegno rappresenta solamente il primo step.  Col coordinamento scientifico di Yury Piotrovsky vice direttore del dipartimento di Archeologia dell’Europa Orientale e della Siberia del museo statale Ermitage, l’obiettivo è di dare pieno risalto alla cultura nuragica, indagando relazioni e rapporti nel periodo 1800-800 a.C. e contribuendo ad affermare una nuova immagine della Sardegna quale destinazione ideale per il turismo culturale e per la ricerca scientifica. Intenso e impegnativo il programma del convegno. Si inizia alle 9.30 con i saluti dei rappresentanti della Regione Sardegna, che ha promosso l’evento – rispettivamente gli assessori al Turismo e alla Cultura Barbara Argiolas e Giuseppe Dessena – e delle istituzioni che hanno dato la loro adesione nel collaborare al progetto: il sindaco di Cagliari Massimo Zedda, il direttore del Polo museale regionale della Sardegna Giovanna Damiani e il Presidente della Fondazione di Sardegna Antonello Cabras. I lavori si articolano in due sessioni (dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 17.30), moderati da Maurizio Cecconi amministratore delegato di Villaggio Globale International e segretario generale di Ermitage Italia, con gli interventi degli studiosi: Yuri Piotrovsky del museo Ermitage, Marco Minoja segretario regionale MIBACT per la Lombardia, Manfred Nawroth del Museum for Pre and Early History-National Museums di Berlino, Paolo Giulierini del Mann di Napoli, Domna Terzopoulou dell’Archaeological Museum of Thessaloniki, Deni Tojčić del Museum of Croatian Archeological Monuments, Roberto  Concas  del  museo Archeologico nazionale di Cagliari, Zurab Makharadze del Georgian National Museum, Josep Albert Cortes i Garrido Fondation del Marq di Alicante, Carlo Luglié dell’università di Cagliari e Fatma Nait-Yghil dell’istituto nazionale del Patrimonio e Musée Bardo di Tunisi.  Le conclusioni, al termine delle sessioni, saranno affidate a Barbara Argiolas e Yuri Piotrovsky.