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Che cosa ci lascia il 2023? Tra i nuovi progetti realizzati c’è la sezione Campania Romana al museo Archeologico nazionale di Napoli, voluto dal direttore Paolo Giulierini: al centro dell’esposizione la ricomposizione della Quadriga di Ercolano, un monumento eccezionale: un video ne ripropone la scoperta, le sue interpretazioni, e una ricostruzione digitale

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L’immagine dell’Afrodite di Capua riflessa nel giardino delle Camelie al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto graziano tavan)

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Il ministro Sangiuliano con la professoressa Capaldi nella visita della sezione Campania romana al Mann (foto graziano tavan)

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Inaugurazione della sezione Campania romana al museo Archeologico nazionale di Napoli con il ministro Gennaro Sangiuliano (foto graziano tavan)

In questi pomeriggi invernali, quando la luce del sole lascia presto il posto alle suggestioni create nelle sale dai faretti al led, può capitare di scorgere nel giardino delle Camelie, una delle tre aree verdi del museo Archeologico nazionale di Napoli, l’immagine evanescente di Afrodite: la dea, seminuda, si materializza al di là della vetrata del portico dove, da aprile 2023, si può visitare la sezione “Campania Romana – sculture e pitture da edifici pubblici”, quasi 250 opere in un allestimento unico – ospitata nelle sale monumentali dell’ala occidentale del Mann, riaperte dopo 50 anni di oblio alla presenza del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano: uno dei grandi progetti realizzati da Paolo Giulierini, che ha lasciato la direzione del Mann per fine mandato a novembre 2023 (vedi Napoli. Giornata “storica” al museo Archeologico nazionale: riaperte dopo 50 anni di oblio le sale monumentali dell’ala occidentale con la sezione “Campania Romana: sculture e pitture da edifici pubblici”, quasi 250 opere in un allestimento unico. Intervento del ministro Sangiuliano: i progetti futuri. Ovazione per Giulierini | archeologiavocidalpassato).

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Sezione Campania Romana al museo Archeologico nazionale di Napoli: sala dell’Augusteum di Ercolano (foto graziano tavan)

La sezione Campania Romana è una delle più importanti eredità che il 2023 lascia agli appassionati e agli studiosi di tutto il mondo. Ambienti ricchi di suggestioni e scoperte che da soli meritano una visita al museo Archeologico nazionale di Napoli, dominati al centro del percorso dalla ricomposizione della quadriga di Ercolano, accompagnata da un video che ne ripropone la storia e la ricostruzione virtuale.

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La Quadriga di Ercolano: per la prima volta ricomposta al centro della sezione Campania Romana del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto graziano tavan)

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Ricostruzione digitale della Quadriga di Ercolano nella sezione Campania romana al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)

Un capolavoro ancora pieno di mistero: la quadriga di Ercolano. Rimasta per lungo tempo nei depositi del Museo, la Quadriga bronzea di Ercolano è oggi uno dei punti focali dell’allestimento della sezione Campania Romana. L’opera ha una storia enigmatica, legata al gran numero di frammenti in cui è stata ritrovata e alla confusione esistente nei più antichi rapporti di scavo, che, di fatto, ne hanno sempre ostacolato la ricostruzione e l’interpretazione. La ricostruzione digitale della quadriga, presente in allestimento, è stata realizzata dall’ISMed-Cnr. Il video narra la storia della sua scoperta, ne analizza i singoli frammenti, ripercorre le ipotesi ricostruttive che si sono susseguite nel tempo, e giunge a una ipotesi finale restituendo una versione digitale della Quadriga di Ercolano.

La quadriga fu rinvenuta nel maggio del 1739, quando gli scavatori borbonici, procedendo per cunicoli in direzione dell’attuale Via Mare, si imbatterono, ad una distanza di circa 155 metri dal teatro, in un cavallo quasi intero e in numerosi frammenti di un carro bronzeo monumentale. Il rinvenimento proseguì con i recuperi verificatisi nelle successive esplorazioni borboniche del XVIII secolo; alla ripresa degli scavi, dopo l’unità d’Italia (1871-1872); e ancora nel secolo scorso (1932, 1961). La localizzazione dei rinvenimenti conduce ad un’area cruciale dell’impianto urbano cui, per la presenza di numerosi edifici pubblici, può essere riconosciuta una vocazione forense. All’incrocio tra il Decumanus Maximus e il Cardo III superiore, il luogo di rinvenimento è compreso tra l’ingresso della Basilica Noniana e la fronte dell’Augusteum, spazio aperto e colonnato dedicato al culto degli imperatori che, in età claudia, aveva invaso il Decumanus Maximus con un chalcidicum (ambiente porticato) fiancheggiato da due archi quadrifronti.

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Quadriga di Ercolano: il cosiddetto “Cavallo Mazzocchi”, statua equestre in bronzo restaurata nel Settecento (foto graziano tavan)

Proprio sulla sommità dell’arco quadrifronte occidentale, che si ergeva davanti alla Basilica Noniana e che nel corso dell’eruzione crollò su di essa, potrebbe aver trovato posto la Quadriga esposta. Il cavallo bronzeo recuperato nel 1739 fu restaurato con un intervento che suscitò le critiche di molti contemporanei (tra questi anche J. J. Winckelmann). Ad esso si deve la ricomposizione del “Cavallo Mazzocchi” (inv. n. 4904), così denominato per l’iscrizione fatta apporre sul suo basamento dal cardinale Alessio Simmaco Mazzocchi (1684-1771). Dal “Cavallo Mazzocchi”, al centro dell’esposizione, gli archeologi moderni sono ripartiti per lo studio e la restituzione del monumento, combinando le indagini di tipo tradizionale con le più innovative tecnologie di rilevamento digitale e grafica 3D oggi a disposizione. Una tazza argentea rinvenuta a Boscoreale rappresenta la fonte iconografica più attendibile. La composizione originale, che prendeva a modello un monumento trionfale di età augustea collocato a Roma, era formata da un tiro a quattro cavalli e da un carro di forma semiovale su cui insisteva la statua del trionfatore.

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Quadriga di Ercolano: le grandi figure bronzee che decoravano la cassa del carro, il giogo e frammento della ruota (foto graziano tavan

I cavalli erano disposti in posizione simmetrica a due a due e i loro baltei erano forse arricchiti da piccole figure commemorative di battaglie tra Romani e barbari; la cassa del carro, invece, era decorata da grandi figure bronzee applicate che, utilizzando tipi statuari di tradizione greca tardo-classica ed ellenistica, celebravano membri della famiglia imperiale giulio-claudia.

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Sezione Campania Romana del Mann. La statua di Afrodite e, dietro, quella di Adone: entrambe provengono dall’Anfiteatro di Capua (foto graziano tavan)

Torniamo ora alla dea la cui immagine si è “materializzata” nel giardino delle Camelie. L’Afrodite, proveniente dall’antiteatro di Capua, e databile al II sec. d.C., copia romana di un originale bronzeo del IV sec. a.C. che raffigura una Venere seminuda che poggia con il piede sinistro sull’elmo di Marte, è uno dei tanti capolavori che presenta la nuova sezione dedicata alla scultura e alla pittura della Campania Romana. Accanto alla dea dell’Amore c’è una statua di Adone, sempre del II sec. d.C., che, come l’Afrodite, proviene dall’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere. Nell’iconografia antica, il bellissimo giovane, amato da Venere, rappresentava lo spirito della primavera e della natura che rifiorisce.

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Sezione Campania Romana: grande cratere in marmo pentelico (metà I secolo a.C.) firmato dall’artista neoattico Salpion con l’Infanzia di Dioniso (foto graziano tavan)

Ripercorrendo a ritroso il percorso di visita nella sala dedicata a Gaeta troviamo un grande cratere in marmo pentelico (metà I secolo a.C.) firmato dall’artista neoattico Salpion con l’Infanzia di Dioniso, reimpiegato nella Cattedrale di Gaeta come fonte battesimale. Al centro di una teoria di ninfe e satiri, Hermes affida il piccolo Dioniso in fasce a una ninfa seduta su una roccia.

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Sezione Campania Romana: la sala dedicate alla statuaria dal foro di Pompei ed edifici adiacenti. Al centro il torso colossale di Giove, a sinistra la statua di Eumachia (foto graziano tavan)

Da non perdere la sala dedicata ad alcuni luoghi simbolo di Pompei: il Foro, il Tempio Di Giove, la Basilica e l’edificio di Eumachia. Cominciamo con Giove (fine II- inizi I secolo a.C.), blocco con altorilievo in marmo bianco, rilavorato come torso di statua colossale, dal Capitolium di Pompei. La figura nella sua interezza era seduta sul trono, seminuda col mantello e impugnava lo scettro e il fascio di fulmini, attributi qualificanti di Giove. Potrebbe trattarsi della statua di culto del tempio prima della sua trasformazione in Capitolium. Sul retro una figura maschile (Dioniso?) e un bambino appena sbozzati. C’è poi Eumachia (prima metà I secolo d.C.), statua in marmo bianco con testa-ritratto velata, proveniente dall’edificio di Eumachia. La ricca sacerdotessa, finanziatrice del grande edificio, è raffigurata in atteggiamento di pietas secondo modelli greci tardo-classici (fine IV secolo a.C.). Quindi il Fregio dai Praedia di Giulia Felice sulla vita quotidiana nel foro di Pompei. Il fregio dipinto, rinvenuto nell’atrio della casa di Giulia Felice, in via dell’Abbondanza a Pompei, mostra personaggi di età, sesso e ceto sociale diversi impegnati in varie attività in uno spazio all’aperto, che i portici colonnati e le statue equestri sullo sfondo fanno identificare con il foro. In spazi a volte delimitati da tendoni tesi tra le colonne venditori di scarpe, tessuti, vasellame in bronzo o utensili da lavoro, mostrano la loro merce ai clienti; fruttivendoli, panettieri e un cuoco offrono i loro prodotti nei pressi del macellum, il mercato fisso, mentre uomini in toga leggono avvisi pubblici appesi alla base delle statue; in un altro settore si sta svolgendo la vendita all’asta di una schiava, e ancora sotto il colonnato un maestro tiene la sua lezione di lettura, mentre uno scolaro viene punito con frustate sul dorso. La varietà delle scene, la diversa caratterizzazione dei personaggi, la provvisorietà delle installazioni di vendita restituiscono la vivacità di un giorno di mercato periodico, quale era quello che si svolgeva ogni nove giorni, le nundinae, poste sotto la protezione di Giove o di Mercurio, occasione di attività amministrative dei magistrati, di incontri e di festa.

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Sezione Campania romana al Mann: lucerna in oro a due becchi dal tempio di Venere a Pompei (foto graziano tavan)

Dal Tempio di Apollo di Pompei viene l’Apollo saettante, statua in bronzo del II sec. a.C. Il dio, nudo, dall’aspetto giovanile con lunghi capelli ondulati fermati sulla nuca e la testa cinta da una benda, tende l’arco per scoccare una freccia. Invece dal Tempio di Venere viene la Lucerna bilicne (I sec. d.C.): lucerna in oro con due becchi e presa ad anello verticale. Il corpo è a forma di coppa ed è decorato con un giro di foglie di loto e striature.

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Sezione Campania Romana al Mann: la ricomposizione della Triade Capitolina dal Capitolium di Cuma (foto graziano tavan)

Dal Capitolium di Cuma provengono il torso colossale di Giove, e le teste di Giunone e Minerva, che insieme formavano la Triade Capitolina. La storia della scoperta del Gigante di Palazzo e della triade Capitolina inizia nel XVII secolo e giunge fino alla metà del Novecento. Nel corso degli scavi promossi a Cuma dal viceré don Ramiro Gusmán, duca di Medina de las Torres (1637-1644), fu rinvenuto il torso colossale di Giove seduto; trasportato a Palazzo Reale, fu esposto al pubblico nella piazza antistante per volontà del nuovo viceré, don Pietro Antonio di Aragona (1666-1672). La scultura, originariamente pertinente ad una figura seduta, fu scalpellata all’altezza del bacino per ottenere un corpo eretto, completato nella parte inferiore da una grande spoglia di aquila su cui poggiavano due stemmi, retti da braccia posticce. La sua gigantesca mole indicava il punto di confluenza, nel Largo di Palazzo, della salita di Santa Lucia, detta da allora “salita del Gigante” e della strada della Darsena, inaugurata da don Pedro nel 1688. La statua prese il nome di Giove Terminale e divenne testimone della gloria del viceré, le cui benemerenze erano elencate in un lungo testo celebrativo inciso sul trofeo. In realtà l’ampio ventre del Gigante fu ben presto trasformato in campo di affissione per formule di protesta contro il malgoverno spagnolo, prima, austriaco poi. Fregiata di banda tricolore e berretto frigio, la statua divenne il simbolo della repubblica giacobina del 1799. Durante il periodo napoleonico il Gigante fu ancora portavoce del malcontento popolare, questa volta contro re Giuseppe. L’adeguamento della nuova viabilità per la Darsena offrì l’occasione per tacitarlo. Nel 1807 la statua fu smontata, privata dei posticci seicenteschi e trasferita in quello che sarebbe diventato nel 1816 il Real Museo Borbonico. Qui trascorse in oblio più di un secolo, prima che con l’originaria consistenza potesse recuperare anche l’identità perduta. La tradizione antiquaria aveva attribuito la statua all’edificio inglobato in una Masseria nei pressi dell’area forense, per questo, detta del Gigante. Tra il 1938 ed il 1952 Amedeo Maiuri avviò la scoperta del foro di Cuma e mise in luce i resti di un grande tempio. Il recupero di due teste femminili, una di Giunone e l’altra di Minerva, associate al torso colossale, gli permise di ricomporre il gruppo cultuale capitolino e identificare il monumento con il Capitolium della città romana. Vediamo meglio le tre sculture. Giove Capitolino, torso colossale in marmo bianco del I sec. d.C. L’immagine del dio seduto in trono con lo scettro e il fascio di fulmini è conforme a quella di Giove Ottimo Massimo, la statua di culto del tempio sul Campidoglio a Roma. Minerva, testa acrolitica in marmo bianco del I sec. d.C. La dea recava un elmo calcato sulla fronte da cui fuoriuscivano ai lati le bande di capelli. L’iconografia si rifà all’Atena di Eubulide (II secolo a.C.). Giunone, testa acrolitica in marmo bianco (I sec. d.C.). Con Giove e Minerva componeva la triade sacra venerata nel tempio maggiore di Cuma, sul modello del tempio capitolino a Roma. Solo la testa e gli arti erano in marmo; la parte rimanente del corpo era di legno dipinto o ricoperto di abiti.

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Sezione Campania Romana al Mann: il portico chiuso dalla statua equestre di Marco Nonio Balbo (foto graziano tavan)

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Sezione Campania Romana al Mann: la statua equestre di Marco Nonio Balbo (foto graziano tavan)

All’incrocio dei due porticati dell’ala occidentale del Mann, in posizione strategica a chiudere le quinte architettoniche del percorso museale è la statua equestre di Marco Nonio Balbo in marmo bianco (20 a.C.), proveniente dall’area pubblica di Ercolano, di cui era personaggio molto influente. A onorarlo con questo monumento equestre sono gli abitanti della sua città natale, Nuceria.

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Rilievo in marmo dalla necropoli di Porta Stabia di Pompei con momenti di giochi nell’anfiteatro (foto graziano tavan)

Chiudiamo questa breve passeggiata (ma la sezione Campania Romana riserva moltissime altre sorprese) con un rilievo in marmo bianco dalla Tomba di Alleio Nigidio Maio dalla necropoli di Porta di Stabia di Pompei con spettacoli nell’anfiteatro: sono rappresentati infatti tre momenti dei giochi offerti in vita dal defunto in toga al centro del primo registro.

Porte aperte al cantiere di restauro della sede degli Augustali, laboratori di oreficeria ed esplorazione del teatro antico sotto la lava: così Ercolano partecipa alle Giornate europee dell’archeologia

Marmi e rilievi in stucco dell’arco quadrifornte orientale dell’Augusteum di Ercolano (foto Graziano Tavan)

Il manifesto delle Giornate europee dell’Archeologia 2019

Il Parco Archeologico di Ercolano partecipa alle Giornate europee dell’Archeologia (14-16 giugno 2019) con un arricchimento della sua offerta di visita. Si parte venerdì 14 giugno 2019 con “Close-up. Restauri a porte aperte”, iniziativa in cui i visitatori del Parco possono accedere ai cantieri di restauro in corso nell’area archeologica nell’ambito delle campagne di manutenzione sia programmata che straordinaria, e parlare con i conservatori per scoprire il loro lavoro. Venerdì 14 giugno, dalle 11 alle 12, l’appuntamento è presso la Sede degli Augustali, interessato da interventi di consolidamento delle superfici decorate. Sabato 15 giugno 2019 l’iniziativa prosegue con i Laboratori di oreficeria all’Antiquarium del Parco, dalle 16 alle 19, si potrà assistere al laboratorio di oreficeria “Bellezza senza tempo al Parco archeologico di Ercolano” a cura di Nunzia Laura Saldalamacchia , archeologa specializzata nello studio dell’oreficeria antica che illustrerà il processo di lavorazione dei gioielli moderni ispirati a quelli della mostra “SplendOri. Il lusso negli ornamenti ad Ercolano”.

Visitatori accompagnati ad esplorare il Teatro antico di Ercolano sepolto sotto venti metri di lava (foto parco archeologico di Ercolano)

Francesco Sirano, direttore del parco archeologico di Ercolano

La Giornate dell’Archeologia terminano domenica 16 giugno 2019 con la possibilità di visitare il Teatro Antico di Ercolano, l’affascinante percorso sotterraneo, scendendo a più di 20 metri sotto la lava che lo ricopre, si vive l’eccezionale esperienza che consente di partecipare ad una vera e propria esplorazione vedendo i resti dell’antico edificio ma anche reperti e graffiti lasciati nei secoli dai visitatori nel Gran Tour. “L’archeologia occidentale moderna nacque ad Ercolano con l’inizio degli scavi borbonici”, dichiara il direttore Francesco Sirano. “Da quel momento si innescò un processo che ha portato l’archeologia da semplice ricerca di oggetti, possibilmente belli, ad essere una delle discipline storiche di punta. L’archeologia è oggi matura, è diventato un campo di indagine aperto e multidisciplinare e si moltiplicano esperienze per allargare la sfera di divulgazione. Ercolano è oggi un sito perfettamente inserito in questa temperie. La copertina della rivista specializzata “Archeo” di questo mese è, non a caso, dedicata ad Ercolano. Il nostro team, arricchito dalla presenza internazionale assicurata dall’Herculaneum Conservation Project, è composto da archeologi, restauratori, comunicatori, architetti, ingegneri, esperti di studi sociali, mediatori. Università e liberi studiosi collaborano per l’avanzamento delle conoscenze in tutti i campi. Il Parco sta diventando giorno per giorno ciò che secondo me deve essere: un laboratorio all’aperto di archeologia inclusivo e capace di comunicare. Solo in questo modo noi assicureremo di compiere il nostro dovere di fare della visita una concreta esperienza di conoscenza”.

Ercolano, da aprile a luglio al venerdì mattina “Close-up Restauri Porte Aperte”: visite ai cantieri con i conservatori al lavoro. Si inizia con l’Augusteum, la sede degli Augustali

Veduta generale del sito archeologico di Ercolano all’ombra del Vesuvio (foto Graziano Tavan)

“Close-up cantieri”: la locandina dell’iniziativa a Ercolano tra aprile e luglio 2019

Con aprile a Ercolano il venerdì è il giorno “Close-up Restauri Porte Aperte”: a partire dal 19 aprile 2019 e fino al 19 luglio 2019, ogni venerdì mattina, dalle 11 alle ore 12, i visitatori del Parco archeologico di Ercolano potranno accedere ai cantieri di restauro in corso nell’area archeologica nell’ambito delle campagne di manutenzione sia programmata che straordinaria, e parlare con i conservatori per scoprire il loro lavoro. “L’apertura al pubblico dei cantieri di Manutenzione Programmata”, dichiara il direttore Francesco Sirano, “corrisponde a una gestione partecipativa dei processi che vede da una parte anche la richiesta del nostro pubblico, sempre più appassionato e interessato, dall’altra il dovere di essere accessibili e trasparenti anche nella nostra pratica quotidiana in modo tale da rendere per tutti Ercolano laboratorio aperto. Il tutto avviene in coerenza con quanto voluto già dal grande studioso e soprintendente Amedeo Maiuri di rendere vivo un luogo in apparenza non vivo ma che invece ha tanto da trasmettere e tramandare attraverso una modalità di fruizione aperta”. Si tratta di un servizio offerto dal Parco senza alcun costo aggiuntivo per essendo già compreso all’interno del biglietto di ingresso al sito.

Modello tridimensionale dell’Augusteum di Ercolano: elaborazione dell’università L’Orientale di Napoli con la soprintendenza (foto Graziano Tavan)

Si parte venerdì 19 aprile 2019 con la visita del cantiere della sede degli Augustales, che si presenta come un’ampia sala con un sacello centrale riccamente decorato con affreschi parietali. Nella parte centrale della sala si conservano anche le grandi travi lignee, interamente carbonizzate, che servivano da supporto per il piano sovrastante. L’intervento conservativo prevede la mappatura, la pulizia e il consolidamento dei dipinti murali e degli intonaci. Per la pavimentazione è prevista la rimozione dei depositi incoerenti e coerenti, il trattamento biologico e il consolidamento della coesione e dell’adesione degli strati preparatori. In merito agli elementi di legno carbonizzato, è in corso lo smontaggio, la pulizia e il rimontaggio dei vassoi protettivi in plexiglass. Un’ulteriore operazione è prevista sui vetri protettivi posti a protezioni di frammenti lignei carbonizzati lungo la facciata nord, che, se facilmente asportabili, potranno essere rimossi e puliti adeguatamente o, altrimenti, verranno puliti in situ senza smontaggio.

Marmi e rilievi in stucco dell’arco quadrifornte orientale dell’Augusteum di Ercolano (foto Graziano Tavan)

“L’articolazione dell’Augusteum, ancora sepolto sotto la città moderna”, spiegano gli archeologi del Parco, “è nota grazie alle descrizioni e alle planimetrie delineate nel Settecento, quando fu esplorato attraverso gallerie sotterranee con contestuale asportazione di numerose pitture, sculture e iscrizioni ora conservate al museo Archeologico nazionale di Napoli. L’edificio, costruito negli anni centrali del I sec. d.C., si configurava come una grande piazza bordata da portici e con un’esedra rettangolare al centro del lato di fondo, inquadrata da due absidi laterali. Il lato di ingresso era preceduto da un portico ad arcate, compreso da due grandi quadrifronti rivestiti di marmi e di rilievi in stucco. Questo è l’unico settore attualmente in luce e si impone alla vista l’Arco quadrifronte orientale. Come tutti i grandi portici pubblici dell’Italia romana anche quello ercolanese poteva assolvere a molteplici funzioni, ma la grande quantità di sculture di imperatori e di personaggi delle loro famiglie e l’enfasi posta sull’esedra di fondo fanno propendere per l’identificazione con un edificio dedicato al culto imperiale (Augusteum)”.