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Presentata al Mic la testa in marmo greco di una fanciulla (Kore), attribuibile ad un atelier attico di inizi V sec. a.C., scoperta nel sito della città etrusca di Vulci (Montalto di Castro. Vt), raro esempio di statuaria greca rinvenuta in Etruria. Gli interventi di Giuli, Russo, La Rocca, Oliva

Veduta frontale della testa di Kore (atelier attico di inizi V sec. a.C.) scoperta a Vulci e presentata al Mic (foto mic)

La scultura raffigura una giovane donna, con elegante ed elaborata acconciatura, attribuibile ad un atelier attico di inizi V sec. a.C.: raro esempio di statuaria greca rinvenuta in Etruria, che offre nuovi significativi spunti di riflessione sugli intensi scambi culturali tra Grecia e Italia preromana. Parliamo dell’eccezionale testa in marmo greco di una fanciulla (Kore), rinvenuta nel 2024, nel sito della città etrusca di Vulci (Montalto di Castro. Vt), nell’area di un nuovo tempio monumentale individuato nel 2021, La testa di Kore, attualmente in fase di restauro e analisi all’Istituto Centrale per il Restauro (ICR) di Roma, è oggetto di approfondite indagini scientifiche sui colori originari, i materiali e le tecniche di lavorazione impiegate.

Mariachiara Franceschini dell’università di Friburgo e Paul P. Pasieka dell’università di Magonza (progetto Vulci Cutyscape) con la Kore di Vulci al Mic (foto vulci cityscape)

Questo nuovo e straordinario rinvenimento archeologico a Vulci è stato presentato il 5 dicembre 2025 a Roma, nella Sala della Crociera del ministero della Cultura. La scoperta è avvenuta nel corso degli scavi in concessione ministeriale legati al progetto “Vulci Cityscape”, promosso dalle università di Friburgo e Magonza. Alla presentazione sono intervenuti, tra gli altri, il ministro della Cultura Alessandro Giuli; il capo dipartimento per la Tutela del Patrimonio culturale Luigi La Rocca e il capo dipartimento per la Valorizzazione culturale Alfonsina Russo. Tra i relatori: Margherita Eichberg, soprintendente ABAP per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale; Simona Carosi, funzionario archeologo e responsabile del territorio di Vulci; Carlo Casi, direttore scientifico del Parco, Fondazione Vulci; Mariachiara Franceschini dell’università di Friburgo e Paul P. Pasieka dell’università di Magonza; Luigi Oliva, Direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro e Federica Giacomini, funzionaria restauratrice e coordinatrice del gruppo di lavoro ICR.

L’area di scavo a Vulci del progetto Vulci Cityscape (foto vulci cityscape)

“Il ritrovamento della testa di Kore di marmo tardo-arcaica a Vulci è un evento di straordinario rilievo sia per il valore artistico sia per le implicazioni che reca con sé”, ha detto il ministro Alessandro Giuli. “Non è stato rinvenuto semplicemente un dono votivo di prestigio, ma una testimonianza concreta dei legami spirituali e dunque politico-civili che univano l’Etruria e il mondo greco. Si tratta di una scoperta archeologica che può modificare la nostra percezione del mondo come accadrebbe con una nuova legge scientifica. Rimodella la nostra rappresentazione della realtà dal punto di vista conoscitivo, simbolico e anche politico”. Non a caso, ha proseguito il ministro, “questo avviene a Vulci, una città aperta ai contatti attraverso il suo porto, recentemente acquisito dal ministero della Cultura, e attraverso l’entroterra dove già dal periodo orientalizzante, dalla fine dell’VIII secolo a.C., tutti gli oggetti, ma soprattutto i rituali, ora ricostruibili grazie a nuovi strumenti diagnostici per l’archeologia, ci confermano un dinamismo, una permeabilità culturale che ancora oggi devono rappresentare e rappresentano i nostri modelli. Già in altre occasioni, ho sottolineato quanto, come governo e come ministero, ci sentiamo parte di una unità mediterranea in grado di gettare ponti e di costruire un dialogo autentico, fondato su una coappartenenza di identità e radici”.

Veduta di profilo della testa di Kore (atelier attico di inizi V sec. a.C.) scoperta a Vulci e presentata al Mic (foto mic)

“Oggi abbiamo presentato un nuovo importante rinvenimento archeologico all’interno del parco archeologico naturalistico di Vulci, un’area straordinaria dove la bellezza del paesaggio e la profondità della storia si intrecciano in un dialogo continuo, capace ancora oggi di restituirci la voce di una civiltà importantissima nel Mediterraneo, quale quella etrusca”, è intervenuta Alfonsina Russo, “e attraverso questo oggetto, questa testa di Kore, sarà possibile promuovere non solo Vulci ma anche il territorio a livello nazionale e internazionale.  Un nuovo modo di valorizzare che va in un’unica direzione, che è quella di continuare a fondarsi su una strategia integrata che unisca ricerca archeologica, tutela del paesaggio, innovazione dei linguaggi espositivi, reti internazionali e partecipazione delle comunità locali”. Per Luigi La Rocca: “Siamo in presenza di uno dei rarissimi esemplari di scultura greca in Italia, non solo in Etruria, ma anche in Magna Grecia e in Sicilia. Questo tipo di oggetti sono molto rari, e apre il campo a una serie di considerazioni e di riflessioni storico-archeologiche importanti, in particolare l’intensità e la tipologia dei rapporti fra la Grecia e l’Etruria in età tardo arcaica, ma anche quello sulla presenza di artisti greci in Etruria, come ci ricordano anche le fonti, in relazione anche soprattutto alle sculture e alle decorazioni templari”.

L’elaborata acconciatura della testa di Kore (atelier attico di inizi V sec. a.C.) scoperta a Vulci e presentata al Mic (foto mic)

“L’Istituto Centrale per il Restauro”, ha spiegato Luigi Oliva, “ha accolto con entusiasmo la richiesta della Sabap Viterbo Etruria Meridionale, nel momento in cui, dopo il ritrovamento l’estate del 2024, si è cercato di fare un primo intervento sulla Kore rinvenuta e una campagna di indagini finalizzata poi alla stesura di un progetto di restauro vero e proprio. Questa attività si colloca nell’ambito di una collaborazione che abbiamo da diversi anni con la Sabap. Una collaborazione che vede da un lato le attività di conservazione e di indagine portate al massimo livello e dall’altra un rapporto con gli enti che poi gestiscono la tutela nell’ambito del territorio”.

 

Musei. monumenti e aree archeologiche statali, nel 2024 record storico di visitatori e introiti: 60,8 milioni di ingressi

Il 2024 si è chiuso con un grande successo per musei, monumenti e aree archeologiche statali. Secondo i dati trasmessi dalla direzione generale Musei, e resi noti dal ministero della Cultura, nel corso dell’ultimo anno i siti statali hanno accolto oltre 60,8 milioni di visitatori, il dato più alto dal 2014. Gli introiti lordi raggiungono circa 382 milioni di euro, un risultato che il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, considera un segnale del consolidamento del sistema museale statale. Il percorso di crescita avviato nel 2022 e proseguito nel 2023 trova così ulteriore conferma nel 2024, con risultati che superano sia i livelli pre-pandemia sia quelli registrati nel periodo 2014-2019. L’evoluzione dell’ultimo triennio (47 milioni di visitatori nel 2022, 57,7 milioni nel 2023, fino ai quasi 61 milioni nel 2024), offre un quadro chiaro di un patrimonio culturale frequentato da pubblici diversi, sostenuto da un’offerta ampliata e da un generale rafforzamento delle modalità di visita. Nel complesso, il numero di visitatori è cresciuto del 29,4% tra il 2022 e il 2024, con una crescita media annua che si attesta intorno al 13,8%. L’andamento degli ultimi tre anni mostra dunque una crescita costante, attestata tanto dal numero di ingressi quanto dagli incassi riferiti al 2024.

Veio (Roma). Nuova stagione di scoperte nel Parco archeologico con Etru e Sapienza università: realizzata la mappatura integrale dei cunicoli della città etrusca, un sistema sotterraneo complesso di gallerie, canali, cisterne e strutture idrauliche, grazie a nuove tecnologie e rover speciali

Veduta da drone dell’area del santuario del Portonaccio nel parco archeologico di Veio (Roma) (foto mic)

Una nuova stagione di scoperte nel Parco archeologico di Veio. Per la prima volta è stata realizzata la mappatura integrale dei cunicoli della città etrusca di Veio, un sistema sotterraneo complesso di gallerie, canali, cisterne e strutture idrauliche, esplorato grazie a tecnologie avanzate e rover progettati per operare in ambienti critici. Veio torna così al centro della ricerca archeologica italiana, dove innovazione, musei e università collaborano per far emergere – strato dopo strato – un patrimonio ancora tutto da scoprire. Il ministero della Cultura, guidato da Alessandro Giuli, sostiene la nuova stagione di ricerche nel parco archeologico di Veio attraverso la direzione generale Musei, affiancando il lavoro dei ricercatori impegnati nello studio e nella valorizzazione del Santuario del Portonaccio. “Il progetto di Veio”, afferma il direttore generale Musei Massimo Osanna, “si inserisce pienamente nell’azione che la direzione generale Musei sta portando avanti su tutto il territorio nazionale per sostenere programmi di ricerca nei nostri siti archeologici. Tornare a indagare il santuario del Portonaccio con scavi rigorosi e tecnologie d’avanguardia significa ampliare in modo decisivo la conoscenza di uno dei luoghi più significativi dell’Etruria. La mappatura dei cunicoli, resa possibile da metodologie non invasive e strumenti di ultima generazione, è una novità assoluta per questo sito e dimostra il valore della collaborazione tra musei, università e centri di ricerca”.

La nuova fase di attività si è aperta con la prima mappatura integrale dei cunicoli della città etrusca di Veio, un sistema sotterraneo articolato che comprende gallerie, strutture idrauliche, canali, cisterne, pozzi e la grande piscina sacra presso il tempio di Apollo. Il sostegno istituzionale si intreccia con il lavoro dei ricercatori, chiamati a rileggere un luogo dove la storia rimane viva sotto ogni strato di terra. Il 2025 ha segnato l’avvio della collaborazione tra il museo nazionale Etrusco di Villa Giulia e la cattedra di Etruscologia del dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza università di Roma per il progetto “Scavi e ricerche nel Parco archeologico di Veio”. La nuova fase di attività si concentra sul Santuario del Portonaccio, uno dei complessi sacri più rilevanti dell’Etruria antica. Le ricerche sono condotte con un approccio multidisciplinare: la direzione scientifica degli scavi è affidata a Luana Toniolo (museo nazionale Etrusco di Villa Giulia) e Laura Maria Michetti (Sapienza università di Roma), mentre la campagna di prospezioni geofisiche è coordinata dal dipartimento di Ingegneria dell’Informazione Elettronica e Telecomunicazioni della Sapienza. Un risultato di particolare rilievo riguarda la prima mappatura integrale dei cunicoli della città etrusca di Veio. Un team di ricercatori ha esplorato le gallerie sotterranee dell’antico abitato e dell’area santuariale utilizzando rover dotati di tecnologie avanzate, in grado di operare in spazi ristretti e complessi. Si tratta di strumenti già impiegati in ambito aerospaziale per l’esplorazione in ambienti critici, messi al servizio dello studio archeologico grazie a sistemi di navigazione e raccolta dati a distanza. “Ormai da un anno il museo nazionale Etrusco di Villa Giulia gestisce l’area sacra di Portonaccio a Veio”, afferma la direttrice del Museo, Luana Toniolo. “Abbiamo da subito avviato progetti di valorizzazione e fruizione del Parco, ma soprattutto, in collaborazione con l’università La Sapienza e grazie al contributo della direzione generale Musei, abbiamo ripreso le indagini nell’area: scavi archeologici, ma anche ricerche che impiegano strumenti e metodologie completamente innovative come nell’importantissima e del tutto inedita mappatura dei cunicoli della città”.

Il rover Magellano utilizzato per esplorare i cunicoli sotterranei del santuario del Portonaccio a Veio (Roma) (foto mic)

La nuova stagione di ricerche comprende anche la mappatura completa delle strutture idrauliche che attraversano il sottosuolo dell’area sacra, un sistema articolato di canali, cisterne e pozzi che collega il pianoro dei Campetti con la terrazza del Santuario di Portonaccio e la valle di Cannetaccio. Tra gli elementi più rilevanti figura la grande piscina sacra situata accanto al tempio di Apollo, testimonianza delle pratiche rituali etrusche e successivamente riutilizzata in età romana dopo la conquista di Veio (396 a.C.). Nel quadro delle tecnologie impiegate spicca il rover Magellano, progettato per l’esplorazione autonoma di ambienti sotterranei. Il veicolo utilizza un sistema di sospensioni ispirato all’architettura “rocker-bogie” sviluppata dalla NASA per i rover delle missioni marziane Spirit, Opportunity e Curiosity. Durante le operazioni, Magellano trasmette in tempo reale immagini e dati tramite un ponte radio, consentendo un monitoraggio costante delle aree esplorate dall’esterno dei cunicoli.

Fotografia in lutto. Si è spento a 91 anni Mimmo Jodice, un gigante della fotografia, voce poetica di Napoli. Cordoglio di tutta la città. Il ricordo commosso di enti culturali, istituzioni, ex allievi. Il ministro Giuli: “ha saputo raccontare con la luce l’anima nascosta delle città, dei volti, delle rovine, della memoria”

Fotografie di Mimmo Jodice con i Corridori dalla Villa dei Papiri sulle pareti della stazione Museo della Metro di Napoli (foto anm na)

Quegli sguardi fissi, quegli occhi, quei movimenti che vengono dal passato e ti accompagnano verso l’uscita della stazione Museo della metropolitana di Napoli e ti preparano alle emozioni che ti aspettano, in superficie, al museo Archeologico nazionale di Napoli. Quelle immagini che fanno “parlare” l’Antico sono scatti memorabili del fotografo Mimmo Jodice: un patrimonio universale le sue foto, oggi ancora più prezioso. Domenico Mimmo Jodice si è spento a 91 anni il 28 ottobre 2025 a Napoli, nella sua Napoli dove erano nato, nel rione Sanità, il 29 marzo 1934. Lascia la moglie Angela, e i figli Barbara e Francesco. Napoli piange il suo figlio che ha fatto conoscere la città fuori dagli stereotipi. Grande il cordoglio di enti culturali, istituzioni, ex allievi, comuni cittadini. Per tutti il sindaco Gaetano Manfredi e tutta l’amministrazione comunale di Napoli esprimono “profondo cordoglio per la scomparsa di Mimmo Jodice, maestro della fotografia e voce poetica della città. Con la sua arte, Jodice ha saputo raccontare Napoli al di là dei cliché, restituendone l’anima più autentica”.  Giovedì 30 ottobre 2025, dalle 12 alle 16.30, per volontà del sindaco e della famiglia, la camera ardente sarà allestita al Maschio Angioino, luogo simbolico e caro all’artista, che ha ospitato la sua ultima grande mostra “Napoli Metafisica”.

L’annuncio della morte di Mimmo Jodice da parte di RaiNews

Mimmo Jodice è stato uno dei più grandi fotografi di sempre. Autodidatta, si avvicina alla fotografia negli anni ’50. Negli anni ’60 Jodice ha collaborato con artisti come Andy Warhol, Joseph Beuys, Sol LeWitt, Michelangelo Pistoletto e Alberto Burri. Dal 1970 al 1994 ha insegnato fotografia all’Accademia di Belle arti di Napoli. Nel 1970 la sua prima mostra nazionale Nudi dentro cartelle ermetiche alla galleria il Diaframma di Milano, con presentazione di Cesare Zavattini. Negli anni successivi si susseguono le mostre personali nei musei di tutto il mondo: Philadelphia Museum of Art 1995; Maison Européenne de la Photographie 1998; museo di Capodimonte 1998; Galleria nazionale d’Arte moderna e contemporanea 2000; Massachusetts College of Art and Design 2001; Moscow House of Photography 2004; Museu de Arte de Sao Paulo 2004; MART 2004; Bassano Fotografia 2013. Nel 2001 la Galleria d’Arte moderna di Torino gli ha dedicato un’esauriente Retrospettiva 1965/2000. Nel 2002 vince il Premio Flauto d’Argento. Nel 2003 è il primo fotografo a ricevere il Premio “Antonio Feltrinelli” dell’Accademia nazionale dei Lincei. Nel 2006 l’università Federico II gli conferisce la Laurea Honoris Causa in Architettura. Nel 2007 espone alla Fondazione Forma di Milano l’importante retrospettiva “Perdersi a guardare – Trenta anni di fotografia in Italia” che verrà poi esposta l’anno successivo ad Arles e di cui l’Editore Contrasto pubblica il libro omonimo in italiano, inglese e francese. Il museo d’Arte contemporanea di Napoli (MADRE) nel 2016 decide di dedicare una grande retrospettiva sul lavoro del fotografo. Tra i lavori che restano nella storia della fotografia le Vedute di Napoli e la serie Anamnesi, le foto ai capolavori del museo Archeologico nazionale di Napoli. “Con Mimmo Jodice scompare un maestro indiscusso della fotografia italiana e internazionale”, dichiara il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, “un uomo di rara sensibilità che ha saputo raccontare con la luce l’anima nascosta delle città, dei volti, delle rovine, della memoria. Il suo sguardo era insieme antico e radicalmente moderno, capace di rendere visibile l’invisibile. La nostra amicizia, maturata durante la mia presidenza al Maxxi, era nutrita dalla comune convinzione che le arti riescano a trovare un senso compiuto quando vengono poste al servizio della società. È esattamente l’ideale che il maestro Jodice perseguì lungo l’intero arco della sua inarrivabile carriera. A sua moglie Angela e alla sua famiglia va il mio caloroso abbraccio”.

Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, con il fotografo Mimmo Jodice (foto da profilo FB de luca)

Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania: “Addio a Mimmo Jodice, uno dei grandi maestri della fotografia italiana del secondo Novecento e dell’età contemporanea. Legato intimamente a Napoli, in particolare al Rione Sanità, dov’era nato e cresciuto, ne ha rappresentato le problematiche e le contraddizioni sociali. È stato un grande innovatore delle tecniche e delle forme espressive. La macchina fotografica per Mimmo Jodice era un mezzo per raccontare la natura umana andando oltre il tempo e lo spazio. È stato un artista a tutto tondo, un grande intellettuale che ha dato lustro a Napoli e alla Campania a livello mondiale. Nel 2016, la Regione Campania, prodotta dal Museo Madre, gli aveva dedicato la prima monografia retrospettiva, come tributo ad una lunghissima carriera artistica. È una grave perdita per la nostra comunità. Facciamo le nostre condoglianze ai suoi familiari. Lo ricorderemo sempre con grande gratitudine ed affetto”.

Atleti dalla Villa dei Papiri, 1986: foto di Mimmo Jodice dei capolavori conservati al Mann

Museo Archeologico nazionale di Napoli. “Da ragazzo vivevo nella Sanità e lavoravo in una libreria a Port’Alba (…). Quando la libreria chiudeva per la pausa, mangiando il mio panino, mi fiondavo al Museo Archeologico. Lì trascorrevo la mia ora di pausa, conversando con la -mia- scultura. Ogni giorno sceglievo con chi parlare, un dialogo muto, intenso con uno degli Atleti, oppure con la Venere in Bikini o ancora con le Danzatrici. A seconda delle mie infelicità, paure o difficoltà, sceglievo colui o colei per confidare la mia vita difficile” (Mimmo Jodice per il libro “MANN che Storia”, “La Repubblica Napoli”, marzo 2022). Grazie a Mimmo Jodice, fotografo di fama internazionale che ha sempre conservato semplicità e coerenza, pur avendo segnato pagine indimenticabili della storia dell’arte. Il direttore generale del Mann, Francesco Sirano, lo ricorda così: “Mimmo Jodice ha dedicato al nostro Museo delle fotografie indimenticabili: tra queste, i celebri scatti dei capolavori della Villa dei Papiri sono la rappresentazione tangibile del valore universale dell’arte. Il perdersi a guardare di Mimmo Jodice rappresenta l’esito di un percorso rigoroso di studio attraverso uno sguardo onesto e acutissimo, appassionato di Napoli”.

Foto di Mimmo Jodice sulla copertina del libro “MANN che Storia” (“La Repubblica Napoli”, marzo 2022)

Paolo Giulierini, già direttore del Mann: “Addio Maestro, addio Mimmo. Scegliemmo uno dei tuoi capolavori per raccontare otto anni di riscatto. Non poteva essere altrimenti. E su quella scala del Museo, quel giorno che mi avevano estromesso, tu c’eri a metterci la faccia”.

Fotografie di Mimmo Jodice con le Danzatrici dalla Villa dei Papiri sulle pareti della stazione Museo della Metro di Napoli (foto anm na)

Anm Napoli. Con le immagini tratte dalla collezione delle Stazioni dell’Arte di Metro Linea 1, Museo e Municipio, rendiamo omaggio a Mimmo Jodice, grande maestro della fotografia italiana, scomparso il 28 ottobre 2025. Le accompagniamo con le sue stesse parole, tratte da una toccante intervista del 2015 in cui raccontava il suo profondo dialogo con la statuaria antica: “Ho dialogato con loro, ho cercato innanzitutto di rendere queste espressioni, queste facce, non come pezzi di marmo o di bronzo […] Prima di scattare una foto aspetto un tempo lungo, per cercare di capire che cosa stanno guardando questi occhi. La cosa che mi interessa di più è riuscire a cogliere i sentimenti. Tutto cambierà, ma queste immagini sono l’eternità, un modo di essere, come siamo stati e come saremo”.

Il fotografo napoletano Domenico Mimmo Jodice (foto paerco)

Il parco archeologico di Ercolano esprime profondo cordoglio per la scomparsa di Mimmo Jodice, maestro della fotografia contemporanea e testimone sensibile della bellezza e della memoria del nostro patrimonio. Con il suo sguardo unico, Jodice ha saputo restituire attraverso l’obiettivo l’anima senza tempo dei siti e reperti archeologici, tra cui spiccano quelli ercolanesi, intrecciando presente e passato in immagini che sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo. La sua arte, capace di cogliere silenzi, dettagli e prospettive, ha dato nuova voce ai luoghi della cultura, contribuendo a rafforzare il legame tra la comunità e le sue radici. Il Parco di Ercolano si unisce al dolore della famiglia, del mondo della fotografia e di quanti hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di apprezzare la sua opera. Le sue immagini restano testimonianza viva e continueranno a ispirare le generazioni future.

La Piscina Mirabilis di Pozzuoli vista da Mimmo Jodice (pafleg)

Parco archeologico dei Campi Flegrei. Se n’è andato Mimmo Jodice, maestro della fotografia. Il suo sguardo innovativo, che si è posato anche sui monumenti dei Campi Flegrei, ha contribuito a rivoluzionare il mondo della fotografia. Il parco archeologico dei Campi Flegrei si stringe al cordoglio.

Mimmo Jodice col direttore Eike Schmidt al museo di Capodimonte (foto museo capodimonte)

Museo e real bosco di Capodimonte. Il direttore Eike Schmidt, i dipendenti e tutti i collaboratori del museo e real bosco di Capodimonte salutano il maestro Mimmo Jodice, immensa figura di artista e grande napoletano. “Nel porgere il nostro più profondo cordoglio alla famiglia e alla comunità artistica”, dichiara il direttore Schmidt, “non possiamo che rinnovare la nostra riconoscenza per il legame speciale che l’indimenticabile Maestro ha avuto con Capodimonte, testimoniato da importanti donazioni tra le quali la sua amata camera oscura. Caro Maestro, il Centro che porterà il suo nome sarà come voleva dedicato alla formazione dei giovani. Un impegno sacro preso con Lei e con la Sua famiglia che onoreremo con orgoglio”.

“Attesa” di Mimmo Jodice nella mostra opsitata al museo MADRE di Napoli

La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee e il museo Madre ricordano Mimmo Jodice. “In anni in cui il la fotografia era prevalentemente strumento per indagini documentaristiche”, scrive la storica dell’arte Olga Scotto di Vettimo, “Mimmo Jodice (Napoli, 1934) sperimenta le potenzialità stesse del mezzo fotografico, conducendo la sua ricerca all’interno di un ambito di ascendenza concettuale. Il nudo, il ritratto e l’oggetto banale diventano il pretesto per interrogare la tecnica e il linguaggio fotografico, mettendo in secondo piano ogni dato emozionale e interpretativo. In tal modo, Jodice sperimenta e decostruisce, combina elementi astratto-cubisti con quelli figurativi, interviene sulla carta attraverso il collage e lo strappo e, ancor prima, nella camera oscura, imponendo movimento e potenzialità a soggetti statici”. Il museo MADRE di Napoli ha conferito a Mimmo Jodice il suo primo “Matronato alla carriera” nel 2014, in riconoscimento della sua eccellente carriera artistica. Inoltre, nel 2016, il museo ha ospitato la più grande retrospettiva a lui dedicata, intitolata “Attesa, 1960-2016”, che presentava più di cento opere.

Festa Teatrale per il giorno onomastico del Teatro di San Carlo: scenoigrafia di Carosi su foto di Jodice (foto teatro san carlo)

Il Teatro di San Carlo di Napoli si unisce al cordoglio per la scomparsa di Mimmo Jodice. Con la sua opera ha saputo raccontare Napoli, la sua luce e la sua memoria, restituendo alla fotografia una profonda dimensione poetica e civile. La sua ricerca artistica, segnata da sensibilità e visione, ha contribuito in modo indelebile alla cultura del nostro tempo. Il Teatro di San Carlo ricorda con riconoscenza un Maestro che ha onorato la nostra città con la sua arte e il suo sguardo unico sul mondo. Il 4 novembre 1987, la scenografia di Mauro Carosi fu basata su un celebre scatto di Mimmo Jodice in occasione dello spettacolo firmato da Roberto De Simone per il 250° anniversario del Teatro.

SCABEC. Ci lascia Mimmo Jodice, maestro che con il suo sguardo ha saputo trasformare l’antico in visione contemporanea. Grazie Maestro.

Villa Jovis a Capri: Opera 43, 1984, di Mimmo Jodice (musei di capri)

Musei di Capri. Con profonda tristezza apprendiamo la scomparsa di Mimmo Jodice, maestro della fotografia italiana contemporanea. Nel 2010 la Certosa di San Giacomo ha accolto la sua mostra “Figure del mare”. La visione del mare come luogo del vuoto, il silenzio, la sospensione del tempo, la persistenza del passato nel presente, frammenti di corpi e di volti di sculture della classicità restituiti dal mare.

Mostra “Le fiabe sono vere… Storia popolare italiana” al museo delle Civiltà (foto muciv)

Il MUCIV-Museo delle Civiltà si stringe alla famiglia di Mimmo Jodice nel ricordo di un grande artista della fotografia. Attorno a colui che ha ispirato coloro che hanno deciso di fotografare il mondo grazie ai suoi generosi insegnamenti, alla sua visione tanto estetica quanto etica. Dalla Napoli antropologica e popolare a quella surreale e metafisica, dalle immagini in cui ridà vita a architetture, sculture e paesaggi dell’archeologia alle immagini dei vuoti delle megalopoli contemporanee. Jodice celebra un umanesimo paziente e sapiente, riuscendo a dare rappresentazione al tempo oltre che allo spazio, in un’”attesa” che non ha fine. Nel suo mare Mediterraneo continueremo a ricordarlo tra gli echi e le memorie della mostra “Le fiabe sono vere… Storia popolare italiana”. Grazie, Mimmo.

Mimmo Jodice al Mart di Rovereto in occasione della presentazione della mostra: Mimmo Jodice. Dalla collezione “i Cotroneo” (foto Mart, Jacopo Salvi, 2016)

MART di Rovereto. Ci uniamo al cordoglio del mondo dell’arte per la scomparsa di Mimmo Jodice, artista a cui siamo molto legati e di cui conserviamo splendide opere. Fanno parte del patrimonio del Mart le fotografie del celebre ciclo “Mediterraneo”, alcune delle quali inserite nella mostra “Sport. Le sfide del corpo”, e sei opere appartenenti alla serie “Isolario Mediterraneo” che Jodice stesso decise di donarci. La nostra vicinanza va oggi ai familiari di Mimmo Jodice e in particolare al figlio Francesco a cui mandiamo un caloroso abbraccio.

Omaggio di Udine Musei al maestro Mimmo Jodice (foto da FB)

Udine Musei. Siamo vicini alla famiglia di Mimmo Jodice. Ci stringiamo attorno ad Angela, Barbara e Francesco. Oggi accendiamo con riconoscenza le luci sulla sua opera, le sue visioni e i suoi valori.

Occhi dalla collezione Mediterraneo di Mimmo Jodice (dal profil FB di laura noviello)

L’archeologa Laura Noviello: “Il “genio” di saper “scrivere con la luce”, il fotografare di Mimmo Jodice: di restituire al passato una contemporaneità viva di carne ferita e sangue. E al nostro quotidiano vivere un passato che è puro, eterno presente. Mimmo, un meraviglioso napoletano. Ci pensavo attraversando la metro, che i corridori ercolanensi mi guardavano accanto alle Danaidi nei tunnel cingolati di ferro, in mezzo alla folla. “Eccolo il genio”, e mentre tornavo in superficie davanti all’apparizione dell’Antro cumano con i suoi tagli straordinari di luce. Ai miei occhi ho sempre avuto peplophorai e amazzoni da lui ritratte, tanto che sabato davanti a quella ercolanense, ancora una volta, ho rivisto il suo occhio e il volto ferito. Non ho talento negli elogi pubblici, ma rivedo anche la mia prima, piccola agenda, costellata di sue foto vesuviane e in me è tutta la gratitudine immensa davanti alla costruzione di un universo complesso e stratificato di senso e significati. Se viviamo in questo tempo che è tutti i tempi insieme, danzando con le Danaidi e tra i corridori al Museo come in metro e ovunque a Napoli, è anche grazie a chi, come Mimmo, ha saputo cogliere e rendere tangibile questo straordinario miracolo che ci è dato. Ha lasciato un segno, uno sguardo, un modo di raccontare la terra campana: flegrea e vesuviana come nessun altro. D’altronde parlando di Napoli diceva e non a torto: “Se fossi nato a Milano o a Zurigo non avrei fatto il fotografo”. Inutile anche argomentarne il perché. A lui tutta la nostra viva e meravigliata gratitudine. Grazie Maestro”.

Il fotografo Mimmo Jodice con l’archeologo Giuliano Volpe (foto da FB)

L’archeologo Giuliano Volpe: “Un grande dispiacere per la perdita di Mimmo Jodice, grande fotografo con una sensibilità particolare per l’archeologia, il patrimonio culturale ma soprattutto per le persone. La sua celebre fotografia con la testa di Demetra tenuta con la sua stessa mano mentre la fotografava, è la copertina di un mio libro: Mimmo me la donò gratuitamente e generosamente, l’ho mostrata migliaia di volte in tante occasioni perché per me ha sempre rappresentato l’essenza del nostro patrimonio, bello, ricco, danneggiato e soprattutto bisognoso di una iniziativa dal basso, come quella mano. Una foto diventata anche simbolo del Rione Sanità, dove era nato e al quale è restato sempre legato, come presidente onorario della Fondazione San Gennaro e grande sostenitore del progetto di Antonio Loffredo. Grazie caro Mimmo, persona generosa, disponibile, colta, sensibile, le tue splendide foto resteranno immortali”.

Demetra, Opera III, Ercolano: foto di Mimmo Jodice (da profilo FB di caterina greco)

L’archeologa Caterina Greco: “Nessuno come lui ha saputo rendere contemporanea l’arte antica”.

Mimmo Jodice in Calabria (foto da profilo FB di Mirella Stampa Barracco)

Fondazione Napoli Novantanove. “Ci piace ricordare il nostro caro amico Mimmo Jodice”, scrive Mirella Stampa Barracco, “a cui ci legava affetto, stima e una profonda riconoscenza per quanto aveva fatto per la nostra Fondazione: dalla foto dell’Arco di Trionfo violato nel 1989 al magnifico album di 40 foto in Calabria rappresentazione in chiave moderna di un percorso del Grand Tour. Ci mancherà molto non solo a noi ma a tutti quelli come lui che hanno visto, sognato un mondo migliore. Grazie Mimmo”.

Gibellina in uno scatto di Mimmo Jodice (da profilo FB orestiadi)

La 𝗙𝗼𝗻𝗱𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗢𝗿𝗲𝘀𝘁𝗶𝗮𝗱𝗶 di Gibellina (Tp) ricorda con profonda gratitudine Mimmo Jodice, fotografo e testimone poetico del Novecento, la cui ricerca ha saputo trasformare lo sguardo in pensiero, la realtà in memoria. Con il suo lavoro ha raccontato l’Italia, Napoli, il Mediterraneo, il tempo e le sue assenze, rendendo la fotografia un linguaggio di conoscenza e coscienza civile. Alla fine degli anni Settanta Jodice arrivò a Gibellina, nella valle del Belìce, “𝑡𝑒𝑟𝑟𝑎 𝑎𝑑𝑑𝑜𝑙𝑜𝑟𝑎𝑡𝑎” segnata dal sisma del 1968. Di quell’esperienza scrisse: “Ho cercato in quella terra addolorata gli spazi deserti, le architetture ancora in costruzione, la fantasmaticità dei luoghi, la ferita del paesaggio ancora aperta”. Da quell’incontro nacquero immagini potenti, tra memoria e rinascita, e un legame profondo con la visione di Ludovico Corrao, fondatore di Gibellina nuova e della Fondazione Orestiadi. Nel 1981 accompagnò Joseph Beuys a Gibellina, documentando quella visita in una serie di scatti raccolti nel volume “Joseph Beuys. Natale a Gibellina” immagini che ancora oggi raccontano la potenza del dialogo tra arte e ferita, distruzione e speranza. Oggi la Fondazione Orestiadi rende omaggio a un artista che ha saputo leggere l’anima dei luoghi e restituirla in luce.

Volti dall’antico di Mimmo Jodice (foto da profilo FB di Koch)

Roberto Koch, presidente della Fondazione Forma per la Fotografia: “Se ne è andato Mimmo Jodice il grande e insostituibile Mimmo e lascia la sua adorata Angela e i figli Barbara e Francesco con tutti i nipoti. Lascia a tutti noi e al mondo le sue meravigliose foto come questa di Anamnesi che ho amato montare a Torino e a Udine. Lo piange tutta Napoli e tutto il mondo della fotografia. Lo abbiamo amato e continueremo ad amarlo con le sue foto ma con una grande tristezza”.

Lucia Valenzi con Mimmo Jodice (da FB)

Lucia Valenzi dell’omonima fondazione di Napoli: “Ci uniamo al cordoglio per la morte del grande maestro Mimmo Jodice. La sua preziosa opera ha percorso e sperimentato le espressioni più alte della fotografia dalla indagine sociale degli anni 60 e 70 alle città “metafisiche” di tutto il mondo, senza mai staccarsi dalla realtà di Napoli. Un pensiero particolarmente dolente va alla amatissima Angela, mentre ricordiamo la sua generosità arrivata anche a me e alla Fondazione Valenzi con le foto della mostra “La Napoli di Maurizio” e la testimonianza nel film “La Giunta”.

“Carta d’Identità” di Mimmo Jodice (foto da profilo FB mazzolini)

Monica Mazzolini dell’accademia d’arte Vittorio Marusso in omaggio e ricordo di Mimmo Jodice propone un testo del 2022 in cui analizzava tre fotografie scelte tra quello che è il suo vasto ed importante archivio. Fotografia 1. Appassionatosi alla fotografia nei primi anni ‘60 dimostra fin da subito attenzione alla sperimentazione ed alle possibilità espressive del linguaggio fotografico. Napoli è una città in cui gli artisti s’incontrano e Mimmo Jodice è attento osservatore oltre che attivo partecipante agli eventi (tra gli altri frequenta Andy Warhol, Vito Acconci, Joseph Beuys). È in questo clima dinamico che si pone il quesito sul senso della fotografia, sul significato della relazione che intercorre tra realtà e rappresentazione. Una delle fotografie che gli permettono di provare a rispondere a queste domande è: “Carta d’identità” (1978). Mimmo Jodice dopo aver fotografato e stampato il suo documento d’identità applica una sua fotografia sulla fotografia. Se la vedessimo dal vero osserveremmo un’immagine identica, che copre quella sottostante, proprio in corrispondenza dello spazio per la fototessera. Un passaggio che dona tridimensionalità all’oggetto – elemento mancante nella riproduzione non cartacea – aggiungendo un ulteriore livello concettuale. Immaginando di osservare dal vero “Carta d’identità” sorgono spontanee alcune domande. Partendo dall’assunto che nulla più di ogni altra è in grado di rappresentare l’identità di una persona se non il documento che dal punto di vista legale ne è la prova, quanto è reale questa fotografia, quanto è reale quest’autoritratto, quanto la fotografia è ingannevole?

Dal reportage “Gli Esclusi” di Mimmo Jodice (foto da profilo FB di mazzolini)

Fotografia 2. Mimmo Jodice negli anni ‘70 si occupa di un progetto, per quegli anni molto attuale, riguardante la documentazione fotografica all’interno degli ospedali psichiatrici. In effetti molti sono stati i reportage (tra questi “Morire di Classe” e “Gli esclusi”) che hanno messo in luce le problematiche e hanno dato un contributo fondamentale alla nascita del movimento d’opinione pubblica con la conseguente approvazione della legge 180/1978 fortemente voluta da Franco Basaglia. Mimmo Jodice fotograferà l’ospedale psichiatrico di Napoli che come tutte queste strutture è un non-lieux, un nonluogo citando Marc Augé. La sua è stata un’indagine antropologica e poetica allo stesso tempo. Osservando la fotografia qui di seguito si ritrovano molti degli elementi sopra descritti: lo sguardo fisso in avanti e l’attenzione all’inquadratura, alla geometria, alla composizione, ai vuoti e pieni. La grata – elemento parte dell’architettura di contenimento che separa il mondo dei sani da quello dei malati, il mondo libero da quello dei reclusi, il fuori dal dentro, l’essere umano e la disumanizzazione – divide l’immagine, volutamente asimmetrica per creare dinamismo, in sei spazi all’interno dei quali sono collocate parti del corpo, frammenti, che in questo modo vengono messi in evidenza. Ed il gomito, fuoriuscendo, crea un effetto trompe-l’œil che permette una maggiore tridimensionalità all’immagine ed accentua il desiderio di evasione. Vengono sottolineati in questo modo la postura, gli occhi e la condizione psicologica di quest’uomo che silenziosamente attende e chiede. Cosa aspetta? Cosa chiede? Cosa o chi guarda? Vuoto, silenzio, attesa, frammento, enigma, saranno concetti ripresi in seguito da Mimmo Jodice che, dopo una fase dedicata alla sperimentazione concettuale ed al reportage, enfatizza la cifra stilistica in cui: “le mie immagini sono i miei pensieri”.

“Alba Fucens” di Mimmo Jodice (dal profilo FB di mazzolini)

Fotografia 3. La scultura è stata una tra i primi soggetti della fotografia quale rappresentazione neutra ed oggettiva delle forme plastiche. Tuttavia è anche espressione autonoma, con un ruolo interpretativo, come accade per le fotografie di Mimmo Jodice dedicate alla statuaria. Simulacri delle radici culturali del Mediterraneo diventano immagini che trasfigurano il reale ed inducono a guardare con occhi diversi evidenziando la capacità di sopravvivenza rispetto al tempo dei classici che risultano sempre attuali. Jodice nella fase di stampa enfatizza gli elementi che durante lo scatto sono stati catturati, sottolinea i dettagli, accentua il contrasto dei toni. I suoi progetti sono caratterizzati da almeno tre passaggi: prima pensati poi iniziati in fase di ripresa e portati a termine in camera oscura. Attraverso fotografie come Alba fucens (2008) egli descrive la cultura Mediterranea ed il mondo antico. Ma la sua è un’interpretazione che si serve della relazione tra luce e ombra e del concetto di frammento. La parte per il tutto. Un’immagine parziale in grado di restituire la “pienezza di un tutto”. Parziale perché una parte della testa è mancante, rovinata dal tempo. Un’estetica del frammento che non patisce l’assenza di altri elementi corporei, il loro equilibrio, l’armonia, la proporzione. Parte di corpo che sottolinea la dicotomia tra perfezione e imperfezione mostrando segni che assomigliano a cicatrici, fratture. Sono corpi mutilati che mostrano la fragilità e la caducità di eroi e divinità ma anche la precarietà dell’uomo che li ha creati. Fotografie che cuciono il passato e la memoria con il presente facendoli coesistere ed allontanandoci dal concetto di tempo. La fotografia in bianco e nero, fortemente espressiva, diventa uno strumento che trasforma, carica di emozione ogni singola immagine e supera il reale. Lo sfondo scuro e la luce, sapientemente dosata, il mosso – una vibrazione ottenuta in camera oscura con il movimento della testa dell’ingranditore – evidenziano la forma ed esaltano quell’inquietudine tipica. È questo un messaggio che si può trasporre anche al nostro tempo così incerto? Io ho la mia opinione, lascio a voi la domanda aperta. Un viaggio nel tempo che partendo da lontano conduce lo spettatore in un mondo in cui convivono elementi profondamente umani: vita e morte, ieri e oggi, luce e buio, equilibrio tra bellezza e fragilità. Grazie Maestro!

Mario Beltrambini con Mimmo Jodice al SI FEST 2007 (foto Mario Beltrambini)

Mario Beltrambini, vice presidente Associazione Savignano Immagini APS: “Ci ha lasciato un altro grande, Mimmo Jodice. È difficile accettare che, uno dopo l’altro, stiano andando via coloro che hanno costruito le fondamenta della nostra idea di fotografia, della nostra sensibilità, del nostro sguardo sul mondo. Quanta verità nelle sue parole, che oggi risuonano ancora più forti: “Tutto il mio lavoro poggia su un inoppugnabile principio: la fotografia è una forma d’arte”. Grazie per la bellezza e per la luce che ci hai insegnato a vedere. Riposa in pace, Maestro”.

L’artista Costabile Giariglia Senseria: “Un pensiero per Mimmo Jodice, la cui fotografia ha segnato la mia vita a Napoli durante gli anni di studio all’Accademia di Belle Arti. Ci lascia Mimmo Jodice, artista che per interi decenni ha segnato la fotografia italiana e influenzato lo sguardo internazionale sul nostro Paese. Con le sue immagini ha costruito un lessico visivo capace di raccontare Napoli non come semplice sfondo, ma come organismo vivo: una città bella e ferita, luminosa e popolare, attraversata da tensioni sociali e da una stratificazione culturale unica. Le opere di Jodice non si limitano a descrivere: istituiscono un contesto. Le sue fotografie non mostrano Napoli com’è, ma ciò che Napoli fa vedere quando la si guarda con un pensiero. Architetture sospese, archeologia del presente, corpi e volti, mare e pietra: tutto, nelle sue immagini in bianco e nero, appare come luogo di un dialogo tra classico e contemporaneo, tra storia e mito, che tende sempre verso un’infinita bellezza stilistica e compositiva”.

Bimbo con la cascettella di Mimmo Jodice (dal profilo FB di parlato)

Accorata la testimonianza della giornalista Lucilla Parlato: “Nel 1969 iniziò infatti la lunga e proficua collaborazione con il gallerista napoletano e con altri galleristi napoletani, come Lia Rumma. Jodice si ritrovò a confrontarsi con le avanguardie di allora che attraversavano Partenope con disinvoltura: da Andy Warhol a Robert Rauschenberg, da Joseph Beuys, a Gino De Dominicis. E ancora Giulio Paolini, Josef Kosuth, Vito Acconci, Mario Merz, Jannis Kounellis, Sol LeWitt, Hermann Nitsch… a stretto contatto con questo mondo stimolante, Jodice si scoprì particolarmente sensibile alle emergenze scaturite in quegli anni. Altrettanto naturale fu dunque la ricerca sulle radici e la collaborazione con Roberto De Simone. Forse è quello il momento in cui il giovane Mimmo diventa Mimmo Jodice. Il momento in cui Napoli diventa definitivamente centrale ma mai scontata, mai banale. Anche quando fotografa altro e altrove. Anche quando fotografa ora e qui: una città mai oleografica, sospesa, sorpresa, inattesa. La sua Napoli metafisica. Lucente come una statua greca. Spesso vuota e silente. È questo, sopra tutti gli altri, il motivo per cui lo amavo. Per quella sua capacità di trasformare il brutto in bello, l’indicibile in visibile, le lamiere e i tubi innocenti che picchettavano i ruderi post terremoto in bellezza. Quasi una magia. Nella città di oggi, degli Jago, degli Jorit, ho sempre scritto che era l’unica J che contava. L’unica che rimarrà solida nel tempo. Fu bello qualche anno fa ritrovarcelo fuori al Mann, dove si lottava per difendere il ruolo benefico per il museo e per la città dell’allora direttore Paolo Giulierini. Perché poi Jodice, a differenza di tanti fotografi tronfi e dimenticabili, è sempre stato anche un militante: col sorriso, la presenza discreta e il dito sul click. Mai invasivo, sempre incisivo, esempio di classe innata e senso della bellezza, anche nel brutto. Esempio di come si sta al mondo. È doveroso per me ricordare che Andrea Maresca ed io gli dobbiamo l’ispirazione finale per le cascettelle: è anche grazie alla sua foto che nacque il disegno che ha impreziosito il libro che recupera e racconta questa vecchia e dimenticata tradizione dei bambini di Napoli prima che Halloween si mangiasse la nostra identità. Quel bimbo con la cascettella di cartone che poi siamo stati un po’ tutti noi, bambini di Napoli, in giro per le strade. Grazie di tutto grande Mimmo. Non potremo mai dimenticarti. Anche perché le tue foto, il tuo sguardo, sono ormai ancorati per sempre alle nostre anime, assetate di bellezza e di occhi migliori dei nostri, capaci di offrire visioni altre e alte di questa città che amiamo e che ce fa suffrì. Sei luce che ci ha lasciato luce. Grazie davvero”.

Mirella Armiero con Mimmo Jodice (da FB)

La giornalista Mirella Armiero: “Aveva un modo tutto suo di dire agli amici: ti voglio bene. Mimmo Jodice era un uomo speciale, partecipe e generoso. Napoli gli deve molto, anche perché l’ha liberata dalla rappresentazione folklorica e l’ha resa metafisica”.

La giornalista Stella Cervasio: “Se fossi stata ancora in servizio, pur in un’epoca di giornalismo scadente e che pare senza prospettive, avrei ricordato Mimmo Jodice, che mi ha sempre accolto – lui e la sua bella famiglia – nella sua casa e nel suo studio con la cordialità e l’affetto di chi sa che un giornalista è un osservatore e un critico ma anche un vecchio amico. Mimmo Jodice era una persona che sapeva stare nel cuore delle persone, con le sue maniere di grande gentiluomo e con le sue immagini indimenticabili. Ad Angela, Barbara, Francesco un grande abbraccio da chi ha avuto la fortuna di incontrarli nella sua vita lavorativa e affettiva”.

Pasquale Raicardo con MImmo Jodice (foto FB)

Il giornalista Pasquale Raicaldo: “Che grande privilegio è stato conoscere Mimmo Jodice, vivere per qualche tempo dilatato i suoi spazi, leggere il mondo attraverso i suoi occhi. A Procida 2022 – Capitale italiana della Cultura una sua mostra straordinaria – “Abitare metafisico” – e poi le tante interviste con il privilegio di un racconto sempre intenso, mai banale, accompagnati da Angela, la compagna di una vita: nei loro sguardi il senso di un amore che è stato e sarà piena sintonia. L’ultima intervista qualche giorno fa, ancora non uscita. La terra gli sia lieve”.

Patrizio Paoletti, ex allievo: “Ho appreso con profonda commozione della scomparsa di Mimmo Jodice. Sono stato suo studente tra il 1978 e il 1983: insieme abbiamo fotografato i vicoli di Napoli, le luci e le ombre che li abitano. Da lui ho imparato a vedere l’invisibile — a passare dalla scena del teatro alla scena della vita, e a riconoscere come questa si formi prima di tutto nella nostra mente. È così che possiamo trasformare la realtà intorno a noi. Ricordo con nitidezza le ore passate in camera oscura: il silenzio, l’attesa, e poi la magia dell’immagine che prendeva vita sulla carta. In quell’attimo sospeso, come lui amava dire, il tempo si fermava. Era il tempo della verità, della visione, della nascita di un mondo possibile. Grazie Mimmo, maestro di sguardo e di luce. Hai insegnato a generazioni di uomini e donne che la fotografia non è un atto tecnico, ma un atto di coscienza. Il tuo “tempo sospeso” continuerà a parlarci, come una finestra aperta sull’eterno”.

Roma. Passaggio di consegne al parco archeologico del Colosseo tra l’uscente Alfonsina Russo e il nuovo direttore Simone Quilici che lascia il parco archeologico dell’Appia Antica, dove va in delega Luana Toniolo

Passaggio di consegne tra la direttrice uscente Alfonsina Russo e Simone Quilici, nuovo direttore del parco archeologico del Colosseo (foto PArCo)

A metà luglio 2025 la nomina di Simone Quilici, già direttore del parco archeologico dell’Appia Antica (Roma), alla direzione del parco archeologico del Colosseo da parte del ministro della Cultura Alessandro Giuli (vedi Il ministro Giuli ha nominato i direttori dei musei di prima fascia: Contessa alla Galleria dell’Accademia di Firenze, Sirano al museo Archeologico nazionale di Napoli, Rinaldi al museo nazionale Romano, D’Agostino ai musei Reali di Torino e Quilici al parco archeologico del Colosseo | archeologiavocidalpassato), il 20 ottobre 2025 l’architetto Simone Quilici ha preso servizio come direttore del parco archeologico del Colosseo. Con una simbolica consegna della campanella è stato celebrato il passaggio di consegne tra Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo dalla sua istituzione nel 2017 e oggi capo dipartimento per la Valorizzazione del Patrimonio culturale, e Simone Quilici, nuovo direttore.

Il personale del parco archeologico del Colosseo applaude il nuovo drettore Simone Quilici (foto PArCo)

Simone Quilici, direttore del parco archeologico del Colosseo (foto PArCo)

“È con grande onore e profonda emozione che inizio oggi il mio incarico come direttore del parco archeologico del Colosseo”, ha dichiarato il direttore Quilici. “Lascio un luogo straordinario come il parco archeologico dell’Appia Antica, ma sono entusiasta di assumere la responsabilità di uno dei monumenti più iconici e importanti del mondo. Da dove, e mi piace ricordarlo qui a poche centinaia di metri dal Miliarium Aureum, eretto da Augusto all’estremità dell’emiciclo dei Rostra, tutte le strade cominciavano il loro percorso. Metto a vostra disposizione la mia esperienza e la mia passione e sono certo che grazie alla vostra competenza ed energia raggiungeremo insieme grandi traguardi ambiziosi. Iniziamo insieme questo nuovo percorso con fiducia e determinazione. Viva il parco archeologico del Colosseo!”.

Parco archeologico dell’Appia Antica: Simone Quilici e Luana Toniolo (foto parco appia antica)

Qualche giorno prima, il 17 ottobre 2025, nel Complesso di Capo di Bove sull’Appia antica (Roma), c’è stato il passaggio di consegne alla direzione del parco archeologico dell’Appia Antica. Il direttore uscente, Simone Quilici ha simbolicamente passato il testimone a Luana Toniolo, attuale direttrice del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia. Luana Toniolo è stata delegata da Massimo Osanna alla direzione del Parco fino alla conclusione della procedura concorsuale attualmente in atto. “Un sentito ringraziamento all’architetto Quilici per il prezioso lavoro svolto in questi anni alla guida del Parco, durante i quali ha contribuito con competenza e passione alla valorizzazione di uno dei luoghi più iconici della Roma antica. Il personale tutto lo saluta con gratitudine e accoglie con entusiasmo la dott.ssa Toniolo, porgendole un caloroso benvenuto e assicurando sin da ora il massimo impegno a supporto del suo incarico”.

Roma. Alle Scuderie del Quirinale aperta la mostra “Tesori dei Faraoni”, la seconda più ampia esposizione di antichità egizie mai allestita in Italia dal 2002: 130 capolavori dell’arte dell’Antico Egitto, provenienti dal museo Egizio del Cairo e dal museo di Luxor. L’inaugurazione alla presenza del Presidente Sergio Mattarella con il ministro per il Turismo e le Antichità dell’Egitto, Sherif Fathy

Oro, lapislazzuli, alabastro direttamente dall’Antico Egitto. Vengono dal museo Egizio del Cairo i cinque bracciali d’oro di Sekhemkhet (III dinastia); il grande collare di Psusennes I (XXI dinastia) in oro, lapislazzuli, corniola, feldspato; il pendente col volto di Hathor (XXII dinastia) in lapislazzuli e oro; la sedia della principessa Sitamon (XVIII dinastia) in legno dorato; la pietra calcarea dipinta con Akhenaten e la famiglia in adorazione del Dio Aten (XVIII dinastia); la maschera funeraria d’oro di Amenemope (XXI dinastia) in oro e cartonnage. Invece dal museo di Luxor ecco la decorazione al Valor militare in oro (fine XVII – inizio XVIII dinastia); il sarcofago antropoide esterno di Tuya (XVIII dinastia) in legno rivestito di stucco dorato; l’anello di maiolica blu (XVIII dinastia) in faience. Sono solo alcuni di 130 capolavori dell’arte dell’Antico Egitto, provenienti dal museo Egizio del Cairo e dal museo di Luxor, molti dei quali esposti per la prima volta fuori dal loro paese, che dal 24 ottobre 2025 al 3 maggio 2026 si possono ammirare alle Scuderie del Quirinale a Roma nella mostra “Tesori dei faraoni”, curata da Tarek El Awady, già direttore del museo Egizio del Cairo, e prodotta da ALES – Arte Lavoro e Servizi del ministero della Cultura con MondoMostre, in collaborazione con il Supreme Council of Antiquities of Egypt, e il sostegno del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, del ministero della Cultura, del ministero del Turismo e delle Antichità d’Egitto, con il patrocinio della Regione Lazio e la collaborazione scientifica del museo Egizio di Torino.

Mostra “Tesori dei Faraoni” alle Scuderie del Quirinale: da sinistra, Matteo Lafranconi, direttore delle Scuderie del Quirinale; Alessandro Giuli, ministro della Cultura; Fabio Tagliaferri, presidente di ALES (foto mic)

“Questa mostra racconta non solo i faraoni, ma anche le persone che li circondavano”, spiega il curatore Tarèk El Awady. “Ogni reperto è una voce che ci parla di vita, fede e immortalità. È un dialogo tra passato e presente, tra Egitto e Italia, che continua da tremila anni”. E Fabio Tagliaferri, presidente di ALES, aggiunge: “Tesori dei Faraoni riafferma il ruolo delle Scuderie del Quirinale, che ALES gestisce per il ministero della Cultura, come spazio delle grandi narrazioni universali e della cooperazione culturale internazionale. Con questo progetto, ALES e i partner istituzionali propongono un modello di cooperazione culturale che guarda oltre la mostra: programmi di formazione, attività didattiche, scambi scientifici e collaborazioni con musei e università italiane ed egiziane. La cultura diventa così infrastruttura di relazioni, nel segno del Piano Mattei, come investimento concreto nella conoscenza e nel futuro condiviso del Mediterraneo”. La mostra si inserisce infatti nel quadro delle relazioni culturali tra Italia ed Egitto e dialoga con gli obiettivi del Piano Mattei per l’Africa, come esempio concreto di cooperazione fondata su conoscenza, formazione e valorizzazione del patrimonio condiviso. È un progetto che riafferma la cultura come strumento di dialogo e amicizia, capace di unire due civiltà legate da sempre dal Mediterraneo e dal fascino della storia comune. Una stretta di mano che proseguirà con la partecipazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni all’inaugurazione del Gem, il Grand Egyptian Museum del Cairo, il 1° novembre 2025.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto all’inaugurazione della mostra “Tesori dei Faraoni” giovedì 23 ottobre 2025 con il ministro per il Turismo e le Antichità dell’Egitto, Sherif Fathy, e il segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità Mohamed, Ismail Khaled, accolti dal ministro della Cultura Alessandro Giuli e dal direttore delle Scuderie del Quirinale, Matteo Lafranconi. Il Capo dello Stato ha visitato il percorso espositivo illustrato da Mohamed Ismail Khaled, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità e da Christian Greco, direttore del museo Egizio di Torino. “Affascinante”, il commento del presidente Mattarella.

Mostra “Tesori dei Faraoni” alle Scuderie del Quirinale: da sinistra, Mohamed Ismail Khaled, Sergio Mattarella, Sherif Fathy, Alessandro Giuli, Christian Greco (foto mic)

“Orgoglioso, da ministro e da amante dell’antichità, di celebrare, nella cultura e nel dialogo, l’amicizia tra Italia ed Egitto”, dichiara il ministro Alessandro Giuli. “Questa mostra è l’esempio eccellente del fatto che la cooperazione in ambito culturale può generare frutti straordinari che arricchiscono identità radicate nel solco delle rispettive origini, e può, realmente, avvicinare popoli affratellati da una medesima comunità, oltre che geografica, di destino. Tesori dei Faraoni è un esempio eccellente, e virtuoso, di questo approccio. Non rappresenta soltanto una esposizione di stupendi manufatti, simbolo di una civiltà millenaria che ha saputo dare forma al mistero della vita attraverso la cultura, e ha influenzato le tradizioni più prestigiose, orientali e occidentali. Le Scuderie del Quirinale, con la gestione di ALES, rappresentano un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale, in grado di attrarre pubblico da tutto il mondo. La cura scientifica, la qualità dell’allestimento, l’attenzione alla mediazione culturale e all’accessibilità sono elementi che rendono le esposizioni qui realizzate momenti di godimento estetico e al tempo stesso occasioni di apprendimento autentico”. Sherif Fathy, ministro del Turismo e delle Antichità, ha evidenziato i profondi legami storici e culturali che uniscono l’Egitto e l’Italia, definendo la mostra “I Tesori dei Faraoni” a Roma come “una vera e propria incarnazione del rapporto radicato e duraturo tra le nostre due nazioni, un legame che si estende per millenni e che continua ad evolversi in un contesto di reciproco rispetto e apprezzamento”. Il ministro ha ribadito l’impegno dell’Egitto a rafforzare questa collaborazione e ad ampliare le opportunità di cooperazione in ambiti che rispondano agli interessi comuni di entrambi i Paesi, in particolare nei settori del turismo e delle antichità. “Questi due settori hanno da sempre svolto un ruolo fondamentale nel promuovere la comprensione reciproca, nel rafforzare i legami tra i popoli e nel costruire ponti tra civiltà”. E conclude: “I Tesori dei Faraoni sono molto più di una semplice esposizione archeologica; rappresentano una celebrazione dell’amicizia e della diplomazia culturale. Sono un invito coinvolgente per il popolo italiano a scoprire l’incredibile eredità archeologica dell’Egitto e la sua straordinaria diversità come destinazione turistica”. Anche Mohamed Ismail Khaled, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità, ha sottolineato l’importanza della mostra “Tesori dei Faraoni” come un ponte culturale di grande rilievo che unisce l’Egitto al resto del mondo, offrendo al pubblico internazionale l’opportunità di immergersi nella profondità e nello splendore della civiltà dell’antico Egitto. “Le mostre archeologiche temporanee all’estero rappresentano uno degli strumenti più efficaci per promuovere la comprensione culturale e la valorizzazione del patrimonio umano condiviso. E questa alle Scuderie del Quirinale è la seconda più ampia esposizione di antichità egizie mai allestita in Italia dal 2002, a testimonianza dei solidi e duraturi legami culturali tra l’Egitto e l’Italia”.

Dettaglio del coperchio del sarcofago della regina Ahhotep II, in stucco dorato e legno (foto massimo listri)

Tesori dei Faraoni è un viaggio nella civiltà egizia attraverso le sue forme più alte e insieme più intime: potere, fede, vita quotidiana. Il percorso apre con lo splendore dell’oro, materia divina e simbolo dell’eternità. Il sarcofago dorato della regina Ahhotep II, la Collana delle Mosche d’oro, antica onorificenza militare per il valore in battaglia, e il collare di Psusennes I introducono al mondo delle élite egizie, dove l’ornamento diventa linguaggio politico e riflesso di una teologia del potere. Intorno al corredo funerario di Psusennes I, scoperto a Tanis nel 1940, si concentrano oggetti di straordinaria raffinatezza: amuleti, coppe e gioielli che, dopo tremila anni, conservano intatta la loro luce.

Vaso canopo di Tuya (foto massimo listri)

Dalla magnificenza regale si entra nell’universo del rito e del passaggio, dove la morte è intesa come trasformazione. Il monumentale sarcofago di Tuya, madre della regina Tiye, domina una sezione dedicata alle pratiche funerarie e alla fede di rinascita. Attorno, le statuette ushabti, i vasi canopi e un papiro del Libro dei Morti raccontano la precisione quasi scientifica con cui gli Egizi preparavano il viaggio nell’aldilà: un insieme di formule, immagini e strumenti per attraversare il mondo invisibile e rinascere alla luce di Ra.

Sedia dorata della principessa Sitamon (foto massimo listri)

Il percorso si apre poi al volto umano della regalità. Le tombe dei nobili e dei funzionari, come quella di Sennefer, svelano la quotidianità del potere, la devozione e il senso del dovere di chi serviva il faraone come garante dell’ordine cosmico. In dialogo con queste figure, la poltrona dorata di Sitamun, figlia di Amenofi III, restituisce un’intimità sorprendente: un oggetto domestico, usato in vita e poi deposto come dono nella tomba dei nonni, testimonianza rara di affetto e continuità familiare.

Anello in maiolica blu dalla Città d’Oro (foto massimo listri)

Una delle sezioni più attese è dedicata alla “Città d’Oro” di Amenofi III, scoperta nel 2021 da Zahi Hawass. Gli utensili, i sigilli e gli amuleti provenienti da questo straordinario sito restituiscono la voce degli artigiani e dei lavoratori che costruivano la grandezza dei faraoni. Lì, tra le officine e le case, la civiltà egizia appare nel suo volto più umano e produttivo, capace di unire ingegno tecnico e senso religioso in ogni gesto.

La Maschera funeraria d’oro di Amenemope (foto massimo listri)

La mostra culmina nel mistero della regalità divina. Le statue e i rilievi che chiudono il percorso sono tra le espressioni più alte dell’arte faraonica: l’Hatshepsut inginocchiata in atto d’offerta, la diade di Thutmosi III con Amon, la Triade di Micerino, fino alla splendida maschera d’oro di Amenemope, dove il volto del re, levigato e perfetto, diventa icona di un corpo che appartiene ormai al divino. In chiusura, la Mensa Isiaca – eccezionalmente concessa dal Museo Egizio di Torino – riannoda il filo simbolico che da Alessandria conduce a Roma, testimoniando l’antico legame spirituale e culturale tra i due mondi. Come ricorda Zahi Hawass, “il più grande monumento mai costruito dall’Egitto non fu una piramide o un tempio, ma l’idea stessa di eternità.” È questa idea, più forte della pietra e dell’oro, a risuonare in ogni sala della mostra.

 

Roma. L’archeologa Federica Rinaldi, a meno di tre mesi dalla nomina ministeriale, si è insediata alla direzione del museo nazionale Romano: “Sono emozionata e onorata di dirigere uno tra i più prestigiosi musei al mondo”

Federica Rinaldi, al centro, tra il personale del museo nazionale Romano (foto mnr)

A metà luglio 2025 la nomina di Federica Rinaldi, già archeologa direttore del Colosseo, alla direzione del museo nazionale Romano da parte del ministro della Cultura Alessandro Giuli (vedi Il ministro Giuli ha nominato i direttori dei musei di prima fascia: Contessa alla Galleria dell’Accademia di Firenze, Sirano al museo Archeologico nazionale di Napoli, Rinaldi al museo nazionale Romano, D’Agostino ai musei Reali di Torino e Quilici al parco archeologico del Colosseo | archeologiavocidalpassato), il 6 ottobre 2025 Federica Rinaldi ha preso servizio come direttrice del museo nazionale Romano, istituto museale di livello generale già diretto da Stéphan Verger fino al 2024 e poi, come direttrice generale ad interim, da Edith Gabrielli, direttrice del ViVe.

Federica Rinaldi al suo insediamento alla direzione del museo nazionale Romano (foto mnr)

“Sono emozionata e onorata di dirigere il museo nazionale Romano tra i più prestigiosi musei al mondo”, le prime parole della direttrice al suo insediamento, “noto per il suo patrimonio, le sue collezioni, i suoi straordinari depositi. Le sfide che ci aspettano sono numerose, in primis la restituzione della Crypta Balbi, l’apertura del Medagliere, i nuovi allestimenti museali, la riattivazione dei servizi al pubblico, ma anche la conferma di rappresentare un ruolo di riferimento unico per la Storia di Roma e del suo territorio dalle origini fino alla contemporaneità”.

Federica Rinaldi, al centro, tra il personale del museo nazionale Romano (foto mnr)

Archeologa, specialista di mosaico antico, architettura e tecnologie applicate alla gestione e valorizzazione dei beni culturali, si è laureata e ha conseguito specializzazione e dottorato di ricerca all’università di Padova e di seguito un Master Executive di II Livello in Management, Promozione e Innovazioni tecnologiche nella Gestione dei Beni culturali all’università Roma Tre. Dal 2010 come funzionario archeologo del ministero ha prestato servizio nella soprintendenza Archeologica del Veneto dirigendo il museo Archeologico nazionale Concordiese di Portogruaro (2010-2014), quindi nella soprintendenza speciale di Roma (2014-2017) e infine nel parco archeologico del Colosseo dove dal 2020 al 2025 è stata responsabile dell’Anfiteatro Flavio.

Grosseto. “Dietro le quinte dell’archeologia”: porte aperte al laboratorio di restauro archeologico della soprintendenza. Occasione per ammirare in via straordinaria alcuni dei Bronzi di San Casciano tra studio restauro e post-intervento. Ecco il programma

I bronzi di San Casciano li abbiamo ammirati in mostra, abbiamo imparato a conoscerli in Tv, al Cinema, sui giornali, negli incontri pubblici. Ma cosa succede a un reperto prima di finire in mostra? A ottobre 2025 si può scoprirlo dal vivo con “Dietro le quinte dell’archeologia”: il laboratorio di restauro archeologico della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le province di Siena Grosseto e Arezzo, apre eccezionalmente le sue porte in via Mazzini 24 a Grosseto: nei giorni 9, 10, 16 e 17 ottobre (dalle 10 alle 13, e dalle 14 alle 16) e l’11 e 18 ottobre (dalle 9 alle 13) e offre ai visitatori uno sguardo diretto sul lavoro che restituisce vita a ceramiche, bronzi, affreschi, mosaici e materiali provenienti dal mare e dal territorio. 

Ogni anno questo centro grossetano, altamente specializzato, accoglie preziosi reperti, e li affida alle mani esperte di chi ne cura la conservazione con tecniche avanzate e competenze multidisciplinari. L’iniziativa intende valorizzare non soltanto la ricchezza dei ritrovamenti, ma anche il ruolo fondamentale della ricerca e della tutela nella conservazione del patrimonio. Per informazioni e prenotazioni di gruppi, rivolgersi allo 0564.23300.

Una fase di restauro di un bronzo da San Casciano nel laboratorio di restauro ABAP di Grosseto (foto mic)

Bambino con la sfera a fine restauro: bronzo da San Casciano nel laboratorio ABAP di Grosseto (foto mic)

Dal giovedì al sabato, per due settimane nel mese di ottobre 2025, il laboratorio situato all’interno della sede della SABAP a Grosseto sarà eccezionalmente aperto al pubblico. Un’opportunità di conoscere da vicino il lungo processo che precede l’esposizione museale. I visitatori potranno osservare i professionisti all’opera, assistere alle fasi più delicate del restauro e dialogare con loro, soddisfacendo curiosità, e approfondendo gli aspetti legati all’arte del restauro. Con l’occasione, sarà possibile ammirare in via straordinaria alcuni dei Bronzi di San Casciano, nelle tre diverse fasi di lavorazione: di studio, di restauro e post intervento, ottenendo una visione completa del percorso che porta alla restituzione di un reperto all’ammirazione del pubblico.

Luigi La Rocca, direttore generale ABAP, in sopralluogo al laboratorio di restauro di Grosseto (foto mic)

Una iniziativa che il ministero della Cultura, attraverso gli uffici territoriali e con il contributo del Soprintendente Gabriele Nannetti, dedica a chiunque voglia avvicinarsi al lavoro di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. È soltanto l’inizio di un percorso virtuoso fortemente incoraggiato dal ministro Alessandro Giuli. Una finestra spalancata sull’archeologia, per essere testimoni vivi della riscoperta: un processo che diventa strumento di conoscenza, crescita e formazione per nuove generazioni consapevoli.

Un libro al giorno. “Antico presente. Viaggio nel sacro vivente” di Alessandro Giuli: una guida d’autore per scoprire i miti che hanno raccontato la storia dell’Italia antica

Copertina del libro “Antico presente. Viaggio nel sacro vivente” di Alessandro Giuli

È uscito per i tipi di Baldini + Castoldi il libro “Antico presente. Viaggio nel sacro vivente” di Alessandro Giuli: una guida d’autore per scoprire i miti che hanno raccontato la storia dell’Italia antica, un itinerario curioso tra i luoghi e le leggende del nostro paese. Il ministro della Cultura Alessandro Giuli traccia un percorso che inizia con le popolazioni italiche e attraversa il mondo etrusco e romano, guidando il viaggiatore d’oggi a riscoprire le tracce nascoste di quel mondo arcaico. Un viaggio nell’Italia meno conosciuta, che comincia con le sorprese che anche un museo a cielo aperto come Roma può ancora riservare, per seguire vie poco battute tra Maremma, Tuscia e Abruzzo, rievocando epiche battaglie, miti fondativi e leggende che hanno plasmato la nostra civiltà. Un viaggio tra le storie di un tempo sempre presente, che si allunga verso il Mediterraneo, in Puglia, dove i Cartaginesi atterrirono i Romani, nell’eco della Magna Grecia, fino a lambire i confini estremi del mare nostrum, in paesi lontani, ma da sempre legati all’Italia per storia e cultura. Prefazione di Andrea Carandini.

Bolsena (Vt). A Palazzo Monaldeschi della Cervara e nella chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo aperta la mostra “La memoria dell’acqua. Nuove scoperte Archeologiche dal Gran Carro di Bolsena”: un viaggio tra archeologia subacquea, memoria e identità, con una selezione di reperti rinvenuti nelle acque del lago (tra XVI e IX sec. a.C.)

Inaugurazione della mostra “La memoria dell’acqua” a Bolsena: da sinistra, l’archeologa Barbara Barbaro, il ministro Alessandro Giuli, e l’onorevole Mauro Rotelli (foto emanuele antonio minerva / mic)

Un viaggio tra archeologia subacquea, memoria e identità, dove l’antico dialoga con il presente. È la mostra “La memoria dell’acqua. Nuove scoperte Archeologiche dal Gran Carro di Bolsena”, visitabile fino al 2 novembre 2025, articolata in due sedi espositive, il museo territoriale del Lago di Bolsena, nell’antico Palazzo Monaldeschi della Cervara, e l’isola Bisentina, negli spazi della chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, restituiti alla comunità nel 2024 dopo un’attenta opera di restauro. La mostra offre una selezione di reperti rinvenuti nelle acque del lago grazie alle ricerche del Servizio di Archeologia Subacquea della Soprintendenza di Viterbo, testimonianza della vita quotidiana delle popolazioni residenti nel sito del Gran Carro, anticamente affacciato sulle rive del lago. La mostra è un progetto realizzato in collaborazione tra ministero della Cultura, soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria Meridionale, Fondazione Luigi Rovati e Isola Bisentina.

“Questo è luogo straordinario per tante ragioni”, ha dichiarato il ministro della Cultura Alessandro Giuli intervenuto all’inaugurazione il 17 luglio 2025 con il presidente della Commissione Ambiente della Camera, Mauro Rotelli; il sindaco di Bolsena, Andrea Di Sorte; il direttore generale Archeologia Belle arti e Paesaggio, Fabrizio Magani; il soprintendente ABAP per la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale, Margherita Eichberg; la funzionaria archeologa della soprintendenza ABAP per la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale, Barbara Barbaro. “Questo è veramente un luogo d’elezione – ha dichiarato il ministro Giuli – un luogo straordinario per tante ragioni. Il lago di Bolsena è l’ombelico del mondo: non solo perché è il lago vulcanico più grande d’Europa, ma perché qui c’è la radice ancestrale di ciò che poi sarebbe divenuto il popolo etrusco e che è stato prima villanoviano, poi forse tirrenico. Le ipotesi sono tante, a partire dalle chiavi di lettura del materiale di scavo, il cui studio impegnerà ancora tanto tempo, e di tutto ciò che ancora potrebbe emergere con il proseguire della ricerca. Insieme a pochi altri luoghi d’Italia – ha proseguito il ministro – in questo momento la Tuscia e Bolsena rappresentano un modello di riferimento, per ciò che sta avvenendo qua e per ciò che una sorta di geografia sacra ci ha offerto in dono. Siamo di fronte a una storia molto risalente nel tempo, ma le cui scoperte ci proiettano in avanti. Qui noi oggi rappresentiamo un patto ideale di amicizia e solidarietà – ha concluso il ministro – tra l’antico e il contemporaneo e tra tutti noi che siamo viterbesi, abitanti della Tuscia, italiani, europei, cittadini del mondo però orgogliosi di partire da qua, da Bolsena”.

Ricerche nel villaggio perilacustre del Gran Carro di Bolsena (inizio età del Ferro) (foto catalogo beni culturali)

La mostra propone un viaggio alla scoperta dell’insediamento protostorico oggi sommerso del Gran Carro, eccezionale contesto archeologico scoperto nel 1959 a circa cento metri dall’attuale linea di costa e oggetto di indagini approfondite solo in anni recenti da parte della Soprintendenza. Il sito fu popolato fra la media Età del Bronzo (XVI sec. a.C.) e la prima Età del Ferro (fine X – inizio IX sec. a.C.). In esso si distinguono due settori principali: un ampio spazio abitativo, di cui si conservano ancora centinaia di pali infissi nel terreno, e un’area sacra, detta “Aiola”, costituita da un tumulo di pietre realizzato a secco intorno a sorgenti di acqua calda. La sommersione del sito ha preservato perfettamente tutti gli oggetti di uso comune e quotidiano, ma anche rituale, degli antichi abitanti.

Insediamento protostorico del Gran Carro: asetto miniaturistico zoomorfo con beccuccio dall’Aiola (foto sabap-vt-em)

 

Insediamento protostorico del Gran Carro: figurina fittile antropomorfa appena abbozzata proveniente dall’area dell’abitato (foto emanuele antonio minerva / mic)

Nel Palazzo Monaldeschi della Cervara, sede del SiMuLaBo (Sistema Museale del Lago di Bolsena) che ha rinnovato la sua tradizionale esposizione proprio per accogliere la mostra, è ospitata la maggior parte dei materiali dagli scavi recenti, da inquadrare principalmente nell’ambito della Cultura Villanoviana, ovvero quella che precede la formazione delle grandi città etrusche di Vulci, Tarquinia, Cerveteri, Veio e Orvieto. Tra tutti si segnalano oggetti particolari, come i tre vasetti con beccuccio interpretabili come poppatoi e un sonaglio ancora funzionante, riempito di sassolini, al fine di intrattenere i bambini nella fase dell’allattamento; un vasetto miniaturistico che forse poteva contenere un unguento o un profumo con una singolare decorazione incisa avvicinabile ad una sorta di scrittura proto-Etrusca, mai ancora attestata; una eccezionale figurina fittile antropomorfa appena abbozzata proveniente dall’area dell’abitato, chiara rappresentazione simbolica legata a pratiche rituali, come suggerirebbe l’iconografia ben nota della dea madre, finora nota soltanto in contesti funerari. Anche i materiali dal monumento cultuale dell’Aiola, grandi vasi biconici contenenti offerte di cibo, quali semi e ossa animali combuste, rimandano ad un culto evidentemente collocato all’aperto e indirizzato alla venerazione di divinità femminili ctonie.

Panoramica dell’Isola Bisentina nel lago di Bolsena (Vt) (foto fondazione rovati)

L’esposizione nella chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo sull’Isola Bisentina, realizzata in collaborazione con la Fondazione Luigi Rovati, si articola in quattro sezioni tematiche, con l’intento di restituire la complessità e la varietà di queste testimonianze. Il mondo femminile che include oggetti probabilmente utilizzati in prevalenza dalle donne, dagli spilloni alle fibule, con la funzione di ornamento o per fissare le vesti. Il sacro raccoglie reperti decorati con motivi graffiti, ma soprattutto con schematiche figure ornitomorfe, riconducibili al culto della divinità solare. La vita quotidiana offre uno spaccato del vissuto domestico attraverso oggetti legati al consumo e alla conservazione di cibo e bevande: anfore e anforette, ma anche olle, pissidi e boccali, talvolta arricchite da decorazioni plastiche. Il viaggio esplora la dimensione degli scambi e dei contatti: si segnalano un frammento di ceramica d’importazione di tipo protogeometrico, estremamente raro nel mondo medio-tirrenico, e un vaso-modellino a forma di imbarcazione, attestazione del ruolo del lago quale polo di interazione tra culture diverse.

“Underwater Visions (blue papers)” opera di Alex Cecchetti nella chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo sull’Isola Bisentina (foto lorenzo breccola /profilo FB cecchetti)

Sull’Isola Bisentina il percorso espositivo si completa con gli interventi site-specific di artisti contemporanei, invitati a operare in concomitanza con l’apertura di questa stagione. Gli artisti si sono confrontati con le recenti scoperte degli insediamenti protostorici ora sommersi, i cui reperti, perfettamente conservati proprio grazie all’immersione nell’acqua del lago, testimoniano gli oggetti d’uso quotidiano e rituale delle antiche comunità locali, rivelandone la spiritualità e il rapporto con l’ambiente lacustre. La Chiesa ospita, oltre ai reperti archeologici, i lavori su carta di Alex Cecchetti (1973), che evocano la dimensione parallela di un fondale subacqueo e invitano lo spettatore a farsi testimone di una memoria giunta fino a noi grazie all’incessante azione conservatrice del lago. La Malta dei Papi, suggestiva struttura ipogea scavata nel Monte Tabor, forse realizzata dagli Etruschi per scopi rituali – accoglie i fragili frammenti vitrei di Lisa Dalfino (1987), una poetica reinterpretazione contemporanea degli ex voto. L’oratorio di Monte Calvario e l’approdo all’isola, con la sua elegante darsena in stile liberty, fanno da cornice alle sculture “alchemiche” di Namsal Siedlecki (1986), che evocano antiche pratiche di buon auspicio e riti propiziatori.

La chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, dopo un importante restauro, è di nuovo accessibile dallo scorso anno. La chiesa fu originariamente costruita e dedicata a San Giovanni Battista da Ranuccio Farnese il Vecchio, che volle per la propria famiglia un mausoleo sull’isola. Sarà il Cardinale Alessandro Farnese il Giovane a costruire sopra questo preesistente edificio l’imponente monumento che oggi vediamo: la chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, la cui edificazione ha inizio nel 1588 su disegno di Giovanni Antonio Garzoni da Viggiù, e termina all’epoca di Odoardo Farnese tra il 1602-1603.