Montecchio di Negrar (Vr). Il prof. Tecchiati (università di Milano) presenta al pubblico l’avanzamento delle ricerche nel sito preistorico delle Colombare (4300-900 a.C.). Esclusivo: il direttore dello scavo ci illustra in anteprima le scoperte e i risultati della campagna 2023

negrar_montecchio_sito-preistorico-colombare_presentazione-scavi_locandinaNuovo incontro dedicato al pubblico della Valpolicella, per raccontare il nostro lavoro alle Colombare di Negrar e per far conoscere l’importanza e il valore di questo sito preistorico a più persone possibile, organizzato dal laboratorio di Preistoria Protostoria ed Ecologia preistorica del dipartimento di Beni culturali e ambientali dell’università di Milano in collaborazione con la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio di Verona e il Comune di Negrar. Appuntamento giovedì 7 dicembre 2023, alle 21, nella sala civica di Montecchio di Negrar in via Don Tacchella 4, con il professor Umberto Tecchiati, direttore dello scavo e docente di Preistoria ed Ecologia preistorica all’università di Milano, che racconterà l’avanzamento delle ricerche nella conferenza “Gli scavi dell’università di Milano nel sito preistorico delle Colombare di Villa (Negrar di Valpolicella)”. L’incontro è gratuito.

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Il prof. Umberto Tecchiati (dietro, al centro) con un gruppo di partecipanti alla campagna 2023 nel sito preistorico di Colombare di Negrar (foto unimi)

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L’archeologo Umberto Tecchiati sarà uno dei protagonisti dell’Aperitivo al Ram film festival 2023

archeologiavocidalpassato.com ha incontrato il prof. Tecchiati a Rovereto, dove è stato ospite degli “Aperitivi al Giardino” nell’ambito del RAM film festival. Il professore illustra il sito preistorico di Colombare di Negrar (Vr) frequentato dal Neolitico recente fino alla fine dell’età del Bronzo (ultimi secoli del V millennio a.C. – 1000 o al 900 a.C.), poi quindi descrive le scoperte più significative della campagna di scavo 2023, conclusa alla fine di settembre, e infine conferma che già 6mila anni fa c’era lo sfruttamento della vite selvatica, anche se non si può ancora parlare di vitivinicoltura, che è la conferma che tutta la Valpolicella, terra vocata alla produzione di vini nobili, si attende in un prossimo futuro da queste ricerche.

Professore, ci parla del sito preistorico di Colombare? “Il sito preistorico delle Colombare di Villa si trova nel comune di Negrar di Valpolicella lungo un versante montuoso ai piedi del monte delle Faldere a circa 600 metri di quota sul livello del mare”, spiega Tecchiati. “È stato scoperto e in parte scavato da Francesco Zorzi all’inizio degli anni Cinquanta del Novecento. Dal 2018 esiste un progetto dell’università di Milano, dipartimento di Beni culturali e ambientali, in collaborazione con la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio di Verona Rovigo, e siamo ormai alla quinta campagna di scavo. È un sito particolarmente importante per la preistoria recente e per la protostoria dell’Italia settentrionale perché conserva stratificazioni archeologiche e strutture di importanza non soltanto locale, non soltanto regionale. Particolarmente significativa è l’occupazione di questo sito che è avvenuta a partire dal Neolitico recente, quindi diciamo dagli ultimi secoli del V millennio a.C., in termini di datazioni radiocarboniche a partire circa dal 4300 a.C., fino alla fine dell’età del Bronzo, diciamo fino circa al 1000 o al 900 a.C., quando nel sito non si trovano più reperti che documentano occupazioni posteriori. Molto ricca è la documentazione materiale, soprattutto di industria litica, cioè produzioni di strumenti in selce. L’ottima selce dei Lessini veniva sfruttata nel sito. E noi abbiamo la prova dell’esistenza di un atelier, cioè di un’area di fabbricazione di strumenti e di lavorazione dei noduli di selce che venivano raccolti nei dintorni. È molto importante anche la documentazione – per esempio – ceramica che documenta importanti contatti sia con l’area alpina lombarda, e in particolare la Valcamonica e altre aree alpine della Lombardia centro-orientale, e contatti sono documentati anche con la pianura Padana, in particolare con numerosi siti emiliani”.

Come è andata la campagna 2023? “Quest’anno abbiamo continuato a scavare in un settore già indagato negli anni scorsi che è quello della cosiddetta “capanna Zorzi”, cioè un’area in cui Francesco Zorzi all’inizio degli anni ’50 aveva individuato resti di una abitazione addossata contro un masso e abbiamo deciso di continuare a scavare in quest’area perché sentivamo il bisogno di sottoporre a verifica ciò che Zorzi aveva trovato sulla base però di un metodo e anche di un approccio scientifico diverso e più moderno. E quello che abbiamo trovato in quest’area e che abbiamo appena finito di scavare – anticipa il prof. Tecchiati – sono stratificazioni soprattutto del Neolitico tardo, quindi diciamo di età compresa tra il 4000 e il 3500 circa a.C. Abbiamo strati che contengono cultura materiale di questa età – ceramica, selce – e poi resti faunistici, resti vegetali carbonizzati, pollini. E molto importante è l’individuazione di una casa che si addossava al pendio: probabilmente aveva un pavimento in legno pensile appoggiato su pali e di cui noi abbiamo trovato le fosse di fondazione. In un altro settore, invece, abbiamo potuto portare in luce i resti di quella che possiamo definire la più antica “marogna” della Valpolicella, cioè un muro di terrazzamento costruito in pietrame che aveva una faccia contro il pendio e una faccia a valle. Si tratta di un muro probabilmente costruito a sacco – quindi con un riempimento interno di pietrame – che possiamo datare approssimativamente all’antica età del Bronzo. E devo dire che radiazioni radiocarboniche fatte su materiale trovato si piani d’uso di questo muro di terrazzamento sono attualmente in corso e credo che confermeranno la datazione che abbiamo tentato preliminarmente sulla base della ceramica”.

Si parla di sfruttamento della vite. E il vino? “Tra le scoperte più interessanti delle nostre ricerche c’è quella relativa allo sfruttamento della vite”, conferma il direttore dello scavo. “Sia tra i campioni pollinici sia anche tra i resti vegetali carbonizzati la vite è ampiamente documentata con percentuali rispetto alle altre specie vegetali che ci fanno credere che alla vite fosse riservata una particolare attenzione. Ovviamente non possiamo parlare ancora di vino. Stiamo cercando eventuali prove della vinificazione che non possiamo escludere naturalmente, dove c’è la vite, dove c’è l’uva c’è anche il vino presto o tardi, quello che possiamo dire attualmente è che la vite era non coltivata, non si tratta probabilmente di una vite domestica ma di una vite selvatica alla quale erano riservate particolari attenzioni, particolari cure. Quindi – conclude – anche una qualche forma di coltivazione”.

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  1. Colombare, i risultati 2023 raccontati al pubblico - PrEcLab - dicembre 11, 2023

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