Preistoria. Visita allo scavo del villaggio dell’Età del Bronzo alla Muraiola di Povegliano Veronese: il direttore prof. Cristiano Nicosia (università di Padova) fa un bilancio della campagna di scavo 2022 in occasione dell’apertura del cantiere al pubblico

Il sito della Muraiola a Povegliano (Vr): alla fine della seconda fase della campagna di scavo 2022 stanno emergendo le strutture abitative del villaggio dell’Età del Bronzo (foto graziano tavan)
Hanno scavato per settimane come sotto una serra nel caldo insopportabile di un’estate che sembrava non aver mai fine. Poi è arrivato improvviso l’autunno, l’umidità, il freddo. Ma il cantiere non si è mai fermato. Sono i componenti dell’équipe del professor Cristiano Nicosia, geoarcheologo del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova, che dirige lo scavo di un villaggio dell’età del Bronzo di 3500 anni fa in località La Muraiola a Povegliano Veronese nell’ambito del progetto Geodap (GEOarchaeology of DAily Practices: extracting bronze age lifeways from the domestic stratigraphic record) (vedi Preistoria. Alla Muraiola di Povegliano Veronese, uno dei più rilevanti siti a livello internazionale, con un abitato dell’Età del Bronzo, conclusa la prima campagna di scavo del Progetto Geodap diretto dal prof. Cristiano Nicosia (università di Padova): “Si è tornati a scavare dove si sono fermate le ricerche fatte negli anni ‘80”. | archeologiavocidalpassato). Ora la seconda fase della campagna di scavo 2022 si è conclusa. Ne parla proprio il prof. Nicosia che archeologiavocidalpassato.com ha incontrato alla vigilia dell’ultima settimana di ricerche, in occasione dell’ultima apertura al pubblico del cantiere di scavo per una visita di scavo con i protagonist, mentre le brume tutt’intorno cominciavano ad alzarsi dai campi. Un bell’esempio di archeologia pubblica.

Campione di reperti fittili e ossei dallo scavo della Muraiola a Povegliano (Vr) presentati dal direttore, prof. Cristiano Nicosia (Unipd), con i dottorandi Giorgio Piazzalunga e Silvia D’Aquino (foto graziano tavan)
Il professor Cristiano Nicosia traccia un primo bilancio della campagna di scavo in località Muraiola di Povegliano Veronese (Vr). Accanto a lui due dottorandi, Giorgio Piazzalunga e Silvia D’Aquino, che insieme ad altre sei-sette persone si sono occupati dello scavo che prosegue la tradizione degli scavi eseguito negli anni Ottanta del Novecento da Luciano Salzani dell’allora soprintendenza Archeologica proprio a fianco del settore di scavo attuale. “Trentacinque anni dopo”, spiega Nicosia, “siamo tornati a scavare con nuove tecniche e con nuove tecnologie a nostra disposizione per vedere cosa possiamo dire in più e in meglio di strutture molto importanti che furono trovate nello scavo di Salzani, strutture abitative che appartengono all’età del Bronzo medio. Il nostro lavoro, fondamentalmente, è quello di cercare resti proprio di strutture domestiche perché facciamo parte di un progetto europeo che è incentrato sullo studio delle strutture domestiche dell’età del Bronzo. Le strutture domestiche che furono scavate già negli anni Ottanta qui a Muraiola sono molto ben conservate, molto importanti e quindi molto rilevanti al fine del nostro progetto”.
“Il villaggio dell’Età del Bronzo della Muraiola è parte di un sistema esteso di insediamento nel territorio veronese”, spiega il prof. Nicosia. “Il sito è stato in parte sbancato per motivi agrari. Del villaggio preistorico si conserva solo una porzione che è quella dove stiamo scavando. Lo scavo è iniziato da otto settimane e stiamo scavando delle fasi “alte” di questo abitato, caratterizzate soprattutto da grossi scarichi di cenere, scarichi di stoviglie e quindi con grosse quantità di ceramica, ossi, ecc. In questo momento, siamo nell’ultima settimana di lavoro, nella parte sud-orientale dello scavo abbiamo iniziato a mettere in luce delle buche di palo, dei piani di calpestio con carboni, cenni di infrastrutture delle quali non consociamo ancora bene l’utilizzo, e dei lacerti di focolare con dei grossi vespai in ceramica. Quindi – continua – stiamo entrando nel vivo di quello che è il focus della nostra ricerca, e cioè lo studio di strutture abitative. E quindi contiamo di finire la prossima settimana temporaneamente la stagione di scavo con già delle buone indicazioni su quello che poi ci aspetta alla ripresa dello scavo l’anno prossimo”.

Il cantiere di scavo della Muraiola di Povegliano (Vr) sul colmo di una collinetta artificiale (foto graziano tavan)
Oggi, vicino al cantiere di scavo, si nota la presenza di una risorgiva. “Questa zona della pianura veronese”, spiega il prof. Nicosia, “è particolarmente ricca di acqua di risorgiva, una risorsa importante ancora oggi. Si può immaginare quindi come lo fosse 3500 anni fa. Il sito della Muraiola inglobava questa risorgiva o sorgeva lungo di essa. Ovviamente non sappiamo se proprio questa risorgiva fosse attiva 3500 anni fa, però diciamo che per una serie di condizioni geologiche teoricamente le risorgive erano le stesse nell’Età del Bronzo. In questo ambiente ricco di acque è sorto il villaggio. Oggi lo scavo è a un livello più alto rispetto al resto della campagna intorno. C’è circa un metro di dislivello. Questa collinetta non è naturale, ma artificiale, creata dal sito che cresce su se stesso. Come? Spianando le capanne di una certa fase e costruendovi sopra. Scaricando grosse quantità di materiale di ceramica e altro, un po’ alla volta il sito cresce. La collinetta è quindi l’accumularsi delle stratificazioni del sito. Oggigiorno le macerie le portiamo via con le ruspe, ma in antico che tutto questo non esisteva si spianava e si costruiva sopra”.

Cantiere aperto alla Muraiola: visita guidata sullo scavo con il prof. Cristiano Nicosia (foto graziano tavan)
Archeologia pubblica. Il sito della Muraiola è stato oggetto – si diceva – di visite guidate a “cantiere aperto”. Il prof. Nicosia e i suoi più stretti collaboratori hanno accompagnato gli ospiti – molti i residenti, ma non solo, curiosi di conoscere la storia del paese, e anche molte scolaresche preparate e accompagnate dai loro insegnanti -. Il video che segue, di archeologiavocidalpassato.com, è un frammento di una visita guidata sul cantiere dello scavo alla Muraiola. Buona visione.
Verona. Al museo Archeologico nazionale apre la sezione dell’Età del Ferro che completa il percorso espositivo della Preistoria e Protostoria: tra le star in mostra i “Cavalli delle Franchine” di Oppeano e la tomba del “principe bambino” dalla necropoli celtica di Lazisetta a Santa Maria di Zevio

17 febbraio 2022: taglio del nastro al museo Archeologico nazionale di Verona all’ex carcere asburgico di San Tomaso (foto graziano tavan)
Sono passati otto mesi da quel 17 febbraio 2022 quando l’ex carcere asburgico di San Tomaso ha aperto le porte – dopo un restauro decennale – all’atteso museo Archeologico nazionale di Verona. Si era cominciato con una parte dell’ultimo piano dello storico edificio, quello dedicato alla Preistoria e alla Protostoria: “Agli albori della creatività umana”. Nell’allestimento curato dall’architetto Chiara Matteazzi la storia del popolamento del Veronese si è snodata dal Paleolitico all’Età del bronzo, con i visitatori accolti dallo Sciamano della Grotta di Fumane, raffigurazione in ocra rocca riferibile ai primi Sapiens (40.000 BP, Paleolitico superiore, ad oggi una delle più antiche figure teriomorfe (figure di uomo-animale) del pianeta, che del nuovo museo Archeologico nazionale di Verona è diventato il simbolo (vedi Verona. Il museo Archeologico nazionale è una realtà: le due protagoniste – l’ex direttrice Federica Gonzato e la nuova Giovanna Falezza – ci introducono alla nuova istituzione culturale, con un breve excursus sulla storia della sede e sull’allestimento. Apertura completa entro il 2025 | archeologiavocidalpassato). Ma già al taglio del nastro la direttrice del museo, Giovanna Falezza, aveva assicurato che all’inizio dell’autunno il percorso sarebbe stato completato con la sezione dell’Età del Ferro. E ora ci siamo.

Il pozzo di Bovolone dell’Età del Bronzo, conservato al museo Archeologico nazionale di Verona (foto graziano tavan)
Mercoledì 26 ottobre 2022, alle 11, con l’evento “ENTRANDO NELLA STORIA. L’età del Ferro nel Veronese” si inaugurano le nuove sale espositive del museo Archeologico nazionale di Verona, con un’ampia sezione interamente riservata all’Età del Ferro, che saranno aperte al pubblico dal venerdì successivo, 28 ottobre 2022. La nuova sezione, curata sotto il profilo scientifico da Giovanna Falezza, direttrice del Museo, e da Luciano Salzani, già funzionario della Soprintendenza veronese, è stata allestita da Chiara Matteazzi, in continuità con il precedente allestimento museale. Il criterio è quello cronologico, con una serie di focus su oggetti e rinvenimenti di particolare interesse. Ad essere documentata è la storia del territorio veronese, luogo di incontri e contatti che qui si intrecciarono tra Veneti, Etruschi e Reti.

Giovanna Falezza, direttrice del museo Archeologico nazionale di Verona (foto graziano tavan)
L’Età del Ferro si sviluppò nel corso del primo millennio a.C., volgendo al termine con le prime manifestazioni dell’arrivo dei Romani, all’incirca nel II secolo a.C. “Già a partire dal IX secolo a.C., nel Veronese, sia in pianura che in collina, sorgono numerosi abitati, anche di rilevanti dimensioni”, anticipa la direttrice Giovanna Falezza: “ad esempio il centro veneto di località Coazze di Gazzo Veronese, che si estendeva su una superficie di oltre 60 ettari, con ampie aree di insediamenti abitativi accanto ad aree artigianali. Oltre, naturalmente, alle estese necropoli, dalle quali provengono oggetti particolari, venuti da lontano e con lavorazioni raffinatissime, a testimoniare la ricchezza dei contatti di cui il nostro territorio è teatro in questo periodo”. Sono soprattutto i ricchissimi materiali rinvenuti negli scavi delle necropoli ad fornire i contenuti della nuova sezione. Sepolture di uomini e donne ma anche di cavalli: i cavalli veneti, citati da fonti latine e greche per la loro agile bellezza. Nel percorso museale, uno dei due “Cavalli delle Franchine”, necropoli in territorio di Oppeano. Un maschio, morto a 17-18 anni, 135 cm al garrese, sepolto in una piccola fossa coricato sul fianco destro, con le gambe ripiegate.
Sicuramente emoziona la tomba del “Principe bambino”, una delle 187 della necropoli celtica di Lazisetta a Santa Maria di Zevio, unica per la ricchezza del corredo funebre. È la sepoltura di un bambino di 5-7 anni, le cui ceneri vennero deposte assieme ad un sontuoso carro da parata (di cui restano gli elementi metallici quali mozzi delle ruote, timone, 1 cerchione di ruota, 2 morsi dei cavalli che lo trainavano) e a un ampio corredo tipico solitamente dei guerrieri adulti (spada, lancia, giavellotto e scudo), oltre a vasellame ceramico e bronzeo, monete, attrezzi agricoli e strumenti per il banchetto (spiedi, coltelli, alari e un graffione di ferro). All’interno di alcuni vasi erano residui di ossa di maiale, resti del banchetto funebre. L’attento studio del contesto ha permesso agli archeologi di ricostruire il rituale con cui questo giovane “principe” fu sepolto: dopo essere stato cremato insieme ad alcune offerte, le sue ceneri furono raccolte in un contenitore in materiale organico (stoffa o cuoio) e deposte nella fossa assieme al resto del corredo; al di sopra fu collocato il carro, capovolto e parzialmente smontato; infine, dopo un parziale interramento, fu acceso un secondo grande fuoco rituale. Alla fine la tomba fu probabilmente coperta da un tumulo che segnalava l’elevato stato sociale del defunto.
Non meno curiosa una tomba (VII sec. a.C.) rinvenuta in una delle tre necropoli di Oppeano. Appartenne ad una bambina di pochi anni. All’interno dell’urna, al di sopra delle ossa combuste, oltre ad alcuni elementi di corredo sono stati deposti alcuni elementi molto particolari: delle conchiglie, di cui una forata, legate forse alla sfera del gioco; un astragalo, probabilmente un amuleto; infine un uovo di cigno, uccello acquatico ritenuto sacro. Proprio quest’ultimo assume un significato rituale molto importante, interpretabile come simbolo di rinascita e rigenerazione.

L’architetto Chiara Matteazzi ha curato l’allestimento del museo Archeologico nazionale di Verona
“Con l’allestimento delle sale dell’Età del Ferro abbiamo voluto anche inserire due esperienze immersive e alcune postazioni multimediali, destinate ad arricchire la narrazione dei reperti presentati nel percorso museale”, aggiunge Chiara Matteazzi. “L’uso delle tecnologie in campo museale consente infatti di migliorare con nuovi linguaggi la comprensione di tematiche complesse legate ai reperti esposti, utilizzando tecniche di storytelling per stimolare la curiosità del visitatore e amplificare il coinvolgimento cognitivo ed emozionale. L’obiettivo è quello di trasferire al visitatore, in maniera adeguata, non solo informazioni ma anche emozioni, rendendolo partecipe e coinvolgendolo nella narrazione”. “I lavori sono proseguiti senza soluzione di continuità da febbraio e con ottimi risultati”, conclude il dirigente della Direzione regionale Musei Veneto, Daniele Ferrara. “Terminato l’intero terzo piano del museo, contiamo ora di avviare molto presto il cantiere per la sezione romana, che i veronesi (e non solo) attendono da molti anni”.
Fermo. Le ricerche dell’università Federico II di Napoli e della soprintendenza hanno individuato un abitato dell’Età del Bronzo sul colle Girfalco

Tracce dell’abitato dell’Età del Bronzo scoperto sul colle Girfalco di Fermo (foto unina)
Nuove scoperte a Fermo: un abitato dell’Età del Bronzo. Dal 18 al 31 luglio 2022 si è svolta una campagna di scavo archeologico sul fianco orientale del colle Girfalco a Fermo, nei pressi dell’abside della cattedrale di S. Maria Assunta. Lo scavo è stato condotto in regime di concessione ministeriale dal dipartimento di Studi umanistici dell’università di Napoli “Federico II” – Monte Sant’Angelo, diretto da Marco Pacciarelli, in stretta collaborazione con la soprintendenza per le provincie di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata (funzionario responsabile Federica Grilli).

Frammento ceramico con la decorazione incisa o intagliata tipica della c.d. cultura appenninica (foto unina)
Le ricerche hanno permesso di mettere in luce e indagare una sezione stratigrafica in posto nella quale sono stati riconosciuti diversi strati, in prevalenza riferibili a un abitato della fase 3 della media Età del Bronzo (XIV secolo a.C.), e in parte forse al Neolitico (VI-inizi IV millennio a.C.). Gli strati hanno restituito molti frammenti ceramici, alcuni dei quali recanti la decorazione incisa o intagliata tipica della c.d. cultura appenninica, oltre a manufatti in selce e ossidiana, a resti di ossa animali, a carboncini, a semi, il cui studio permetterà, insieme all’analisi dei campioni pollinici e dei residui del contenuto organico dei vasi, di ottenere un’articolata ricostruzione dell’ambiente e delle attività economiche.

Lo scavo archeologico sul colle Girfalco di Fermo (foto unina)
Le indagini hanno consentito di accertare la presenza di un abitato stabile dell’Età del Bronzo (e forse del Neolitico) sul colle del Girfalco – sito strategico di eccezionale rilevanza dal quale è possibile controllare un territorio molto vasto – che finora era stata solo ipotizzata in base al rinvenimento, avvenuto in passato, di frammenti ceramici in giacitura secondaria.
Fiavè (Tn). Il museo delle Palafitte festeggia i primi 10 anni con un evento speciale: un pomeriggio di festa con ingresso e visite guidate gratuite, l’inaugurazione della mostra “Sulle palafitte: una storia che continua”

Il museo delle Palafitte di Fiavè (Tn) compie dieci anni: la locandina dell’evento
Domenica 10 aprile 2022 il museo delle Palafitte di Fiavé, in Trentino, festeggia alle 14.30 i primi 10 anni con un evento speciale. Un pomeriggio di festa con ingresso e visite guidate gratuite, l’inaugurazione della mostra “Sulle palafitte: una storia che continua” con fotografie di Anna Brenna e l’intervento del coro Cima Tosa. Nell’occasione il polo museale palafitticolo di Fiavé sarà intitolato a Renato Perini, cittadino onorario e scopritore delle palafitte fiavetane.

La ricostruzione del villaggio palafitticolo di Fiavè nel museo delle Palafitte di Fiavè (foto soprintendenza trento)
Il museo delle Palafitte racconta le vicende dei diversi abitati palafitticoli succedutisi lungo le sponde del lago Carera, bacino di origine glaciale, tra tardo Neolitico ed età del Bronzo. Gli scavi hanno portato alla luce resti di capanne costruite sulla sponda lacustre (3800 – 3600 a.C.), ma anche secondo il classico modello della palafitta in elevato sull’acqua (1800 – 1500 a.C. circa). Un’evoluzione di questa tipologia sono le capanne su pali ancorati ad una complessa struttura a reticolo adagiata lungo la sponda e sul fondo del lago (1500 – 1300 a.C.). Negli ultimi secoli del II millennio a.C. l’abitato si sposta sul vicino Dos Gustinaci, dove sono state rinvenute abitazioni con fondazioni in pietra. L’eccezionale stato di conservazione non solo dei pali, ma anche di molti altri materiali organici, rende queste palafitte particolarmente affascinanti, consentendo di penetrare in aspetti della vita delle comunità preistoriche generalmente sconosciuti alla ricerca archeologica.

Al museo delle Palafitte di Fiavè (Tn) esposti gli straordinari oggetti, rinvenuti dagli archeologi nel corso delle ricerche (foto soprintendenza trento)
Il museo espone una selezione degli straordinari oggetti, rinvenuti dagli archeologi nel corso delle ricerche, che suscitano stupore per la loro modernità. Sono migliaia i materiali caduti in acqua, accidentalmente o gettati al tempo delle palafitte, preziose testimonianze di notevoli conoscenze tecniche e costruttive e di abilità artigiana. Si tratta di vasi in ceramica, ma anche di monili in bronzo e – rarissimi all’epoca – in ambra baltica e in oro. Una collezione unica in Europa è quella costituita dai circa trecento esemplari di oggetti in legno: stoviglie e utensili da cucina, fra i quali tazze, mestoli, vassoi, strumenti da lavoro come secchi, mazze, falcetti, trapani, manici per ascia, oltre ad un arco e alcune frecce. Le particolari condizioni ambientali dei depositi lacustri hanno restituito persino derrate alimentari come spighe di grano, corniole, nocciole, mele, pere.

Locandina della mostra fotografa “Sulle palafitte: una storia che continua” di Anna Brenna al museo delle Palafitte a Fiavè

Il museo delle Palafitte di Fiavè (foto soprintendenza trento)
La mostra “Sulle palafitte: una storia che continua”. Saranno esposte le immagini realizzate dalla fotografa lombarda Anna Brenna sul lago Inle, nella parte centrale della penisola del Myanmar (ex Birmania). Il lago ospita sulle sue rive circa 70mila abitanti per i quali l’acqua costituisce un elemento essenziale che contraddistingue ogni aspetto della vita quotidiana: si vive in palafitte di legno, si coltivano ortaggi e fiori in orti galleggianti, ci si sposta in barca nei canali formati dal lago, con l’acqua del lago ci si lava e si fa il bucato, sull’acqua del lago vengono organizzati mercati e il lago è popolato da pescatori. Le palafitte sono costruite in legno e lo stesso materiale è utilizzato anche come rivestimento per gli interni decorati con tappeti, stuoie e tessuti. Una realtà contemporanea che agli occhi dell’autrice richiama la vita nei villaggi palafitticoli che costellavano il territorio subalpino 4000 anni fa.
Siracusa. Al museo Archeologico regionale “Paolo Orsi” apre la mostra “Castelluccio. Ambiente, commercio e simboli nella Sicilia Sud Orientale” con reperti provenienti dagli scavi dell’abitato di Castelluccio di Noto, il sito più importante in Sicilia nel Bronzo antico (scavato proprio da Paolo Orsi), esposti per la prima volta affiancati da reperti coevi da Eolie, Puglia e Malta

Sabato 18 dicembre 2021, alle 17, al museo Archeologico regionale “Paolo Orsi” di Siracusa apre la mostra “Castelluccio. Ambiente, commercio e simboli nella Sicilia Sud Orientale” dove sono esposti per la prima volta reperti provenienti dagli scavi dell’abitato del sito più importante in Sicilia nel Bronzo antico. Parliamo di Castelluccio di Noto, sito archeologico localizzato in provincia di Siracusa, tra i comuni di Noto e Palazzolo Acreide e che ha dato il nome all’omonima cultura di Castelluccio. Il sito venne localizzato dall’archeologo Paolo Orsi che lo datò tra il XIX ed il XV secolo a.C. e, pertanto, alla prima età del Bronzo siciliana. Gli studiosi hanno individuato il piano dell’abitato, posto su uno sperone roccioso, una sorta di acropoli fortificata e, la necropoli. La necropoli consta di oltre 200 tombe a grotticella artificiale, scavate nelle pareti ripide della vicina cava della Signora. La più monumentale è la cosiddetta “Tomba del Principe” con un prospetto costituito da quattro finti pilastri. Dal sito vengono numerosissimi materiali ceramici, oggi esposti al museo archeologico “Paolo Orsi” di Siracusa, oltre a reperti in bronzo e due famosissimi portelli tombali con incisi simboli spiraliformi.

La mostra “Castelluccio. Ambiente, commercio e simboli nelle Sicilia Sud Orientale”, dal 18 dicembre 2021 al 28 febbraio 2022, suddivisa in sette sezioni, è arricchita da reperti della cultura di capo Graziano concessi in prestito dal parco archeologico delle Isole Eolie. Uno spazio avrà la necropoli di contrada Travana a Buccheri e, infine, si potranno ammirare gli ossi a globuli ritrovati a Malta e in Puglia, grazie alla collaborazione con il parco archeologico di Leontinoi, il national museum of Archaeology di Malta e il museo Archeologico nazionale di Altamura. La mostra offre uno spaccato delle condizioni di vita di più di 3500 anni fa grazie alle rivelazioni fornite dalle moderne analisi condotte negli ultimi anni sui reperti faunistici, gli studi sui carboni e sui residui organici sopravvissuti all’interno dei vasi che hanno permesso di ricostruire l’ambiente, la fauna e la metodologia di costruzione delle capanne. Numerosi i reperti che saranno esposti, anche se il pezzo più interessante è un grande pithos, ricomposto da centinaia di frammenti dopo un accurato lavoro di restauro. Il vaso, proveniente proprio da Castelluccio, in origine, conteneva olio d’oliva, e rappresenta la testimonianza più antica in Sicilia e in Italia della coltivazione dell’ulivo. “Le scoperte archeologiche ci consegnano ogni giorno nuove rivelazioni sulla storia della nostra “, sottolinea l’assessore regionale dei Beni culturali dell’Identità siciliana Alberto Samonà, “soprattutto relativamente alle fasi più antiche. Un impegno, quello del potenziamento della ricerca archeologica, sul quale siamo costantemente proiettati nella consapevolezza che le pagine della nostra storia sono il patrimonio più significativo che possediamo, sia in termini collegamenti con gli studiosi di tutto il mondo che di attrattività verso quanti ogni anno scelgono la Sicilia come meta delle loro vacanze”.

La mostra è un’occasione per presentare al grande pubblico reperti, finora inediti, provenienti sia dallo scavo dell’abitato effettuato da Giuseppe Voza tra il 1989 e il 1993, che da altri siti contemporanei della Sicilia e delle isole Eolie. Dopo gli scavi nella necropoli effettuati da Paolo Orsi alla fine dell’Ottocento, il sito è risultato uno tra i più interessanti in Sicilia, tanto che Luigi Bernabò Brea diede il nome di “fase di Castelluccio” al periodo del Bronzo Antico siciliano, che datiamo tra la fine del III e l’inizio del II millennio a.C. È da Castelluccio che provengono i famosi portelli tombali con motivi decorativi a bassorilievo interpretati come la stilizzazione dell’atto sessuale e, ancora, gli ossi a globuli, enigmatici oggetti dall’incerta funzione preziosamente decorati ad incisione, ritrovati anche in Grecia, a Troia, a Malta e in Puglia (questi ultimi due giungono a Siracusa per la prima volta in prestito temporaneo).
Noceto (Pr). Ci siamo: con l’inaugurazione del museo della Vasca Votiva si compie l’atto finale di un cammino durato, tra scavo, restauro e ricostruzione, 15 anni. Al pubblico si offre un’esperienza immersiva, multisensoriale e multimediale, nella pianura padana terramaricola di 3500 anni fa
Ebbene ci siamo! Venerdì 8 ottobre 2021, alle 10.30, verrà inaugurato il museo della Vasca Votiva di Noceto in provincia di Parma. La Vasca rappresenta, per dimensioni, caratteristiche, significato e grado di conservazione, un “unicum” a livello europeo, tale da innovare profondamente le conoscenze scientifiche sull’ Età del Bronzo. Si tratta infatti di un monumento senza confronti fra le strutture lignee datate a questo periodo.


L’assemblaggio dei legni che costituivano la vasca votiva per l’allestimento del museo della Vasca Votiva a Noceto (Pr) (foto mic-ero)
Fervono gli ultimi preparativi per completare il museo entro il taglio del nastro. “I contenuti delle vetrine sono al loro posto”, raccontano i tecnici al lavoro in queste ore: “le prove fatte, seppure con supporti di fortuna, hanno facilitato il lavoro e in diversi casi si è riusciti a mettere anche qualche reperto in più rispetto a quanto ipotizzato. Il momento più difficile per le vetrine non è stato dunque l’allestimento dei reperti, bensì quello della messa in posto dei vetri. Alcuni di essi, particolarmente grandi, rischiavano addirittura di non passare dalla porta di ingresso! Ben sei persone sono state necessarie per movimentarli e, con estrema attenzione, indicazioni di manovra nonché qualche brivido, anche questi hanno varcato la fatidica porta. Davanti alla vetrina di destinazione sono stati puliti fuori e dentro, poi montati: questo era l’altro momento delicatissimo, perché i vetri così grandi e con i bordi molati in obliquo a 45 ° (per meglio far combaciare gli angoli delle diverse lastre) rischiano, per un colpo anche piccolo, di creparsi. Contemporaneamente altri professionisti hanno messo in funzione i dispositivi multimediali (per la verità non tanti), altre persone hanno sistemati un po’ di posti a sedere; poi è toccato alla vasca, riemersa dai teli un po’ impolverata ma senza aver perso nulla del suo fascino. Un po’ di maquillage a anche lei è a posto!”.
Con l’apertura del museo si compie l’atto finale di un cammino durato, tra scavo, restauro e ricostruzione, 15 anni, che ha visto collaborare in totale unità di intenti tutte le Istituzioni coinvolte. Oltre al Comune di Noceto, il progetto, infatti, ha interessato, sia in termini di finanziamento, sia in termini di collaborazione scientifica, il ministero della Cultura nonché l’università di Milano con il Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio” (professori Mauro Cremaschi prima, e Andrea Zerboni poi). Fondamentali sono stati anche gli ulteriori finanziamenti che l’Amministrazione Comunale ha ottenuto da parte della Regione Emilia-Romagna e della Fondazione Cariparma.

Programma della giornata. Alle 10.30, inaugurazione e saluti istituzionali: Fabio Fecci, sindaco del Comune di Noceto; Corrado Azzollini, segretario regionale del ministero della cultura per l’Emilia-Romagna; Cristina Ambrosini, direttrice del Servizio Patrimonio Culturale dell’Emilia-Romagna; Marco Masetti, direttore del Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”; Franco Magnani, presidente della Fondazione della Cassa di risparmio di Parma; Andrea Corsini, assessore al Turismo della Regione Emilia-Romagna. Alle 11.10, intervengono: Maria Bernabò Brea su “La Vasca di Noceto nel contesto dell’Età del Bronzo”; Mauro Cremaschi, docente dell’università di Milano, su “La struttura della Vasca: dallo scavo al museo”; Angela Mutti, funzionaria archeologa del MiC su “Il contenuto della Vasca: dallo scavo al museo”; Guillaume Pacetti, architetto “Il progetto del museo”.

Il percorso museale e l’organizzazione degli spazi, risultato di un accurato progetto architettonico, offriranno al visitatore un’esperienza immersiva, multisensoriale e multimediale. Oltre alla Vasca Votiva, elemento centrale di potente capacità attrattiva, nel museo saranno esposti un numero sorprendente di oggetti caratteristici della cultura terramaricola che caratterizzava circa 3500 anni fa, la quasi totalità della pianura Padana e la cui storia viene raccontata attraverso testi, immagini, ricostruzioni, video e dispositivi interattivi. Nella giornata di venerdì 8 ottobre 2021 a partire dalle 15 sarà possibile effettuare un breve tour all’interno del museo con ingressi ogni mezz’ora circa su prenotazione al numero 340 1939057. Da sabato 9 ottobre 2021 il museo sarà aperto dal giovedì alla domenica con i seguenti orari: 10-13 e 15-18 fino al 31 ottobre, poi 10-13 e 14-18.
A Noceto (Pr) si stanno ultimando gli ultimi lavori in vista dell’inaugurazione del museo Archeologico della Vasca Votiva, un unicum a livello europeo che innova le conoscenze scientifiche sull’Età del Bronzo. Gli archeologi anticipano qualche curiosità sugli oggetti ritrovati e qualche ipotesi sull’utilizzo rituale della vasca

Alla vigilia di Ferragosto dal segretariato dell’Emilia Romagna del ministero della Cultura con l’augurio di “Buone vacanze” c’era stato anche un arrivederci importante: “Ci vediamo il 1° ottobre 2021 a Noceto, in provincia di Parma, per l’inaugurazione del museo Archeologico della Vasca votiva”. La Vasca Votiva rappresenta un unicum a livello europeo tale da innovare profondamente per dimensioni e caratteristiche le conoscenze scientifiche sull’Età del Bronzo. Si tratta infatti di un monumento senza confronti fra le strutture lignee pre-protostoriche europee. Il museo di Noceto è stato costruito proprio per ospitare esclusivamente questo incredibile reperto e gli oggetti ritrovati al suo interno. Ma non sarà aperto il 1° ottobre. L’attesa cerimonia è stata fatta slittare di una settimana. L’appuntamento è per venerdì 8 ottobre 2021, a Noceto (Pr), in via Ignazio Silone 1, per l’inaugurazione del museo Archeologico della Vasca votiva. L’inaugurazione sarà in presenza nel rispetto delle norme anti-Covid. Per accedere sarà necessario essere dotati di Green Pass. Diretta sul profilo Facebook del Comune di Noceto @ComuneNoceto.

Programma della giornata. Alle 10.30, inaugurazione e saluti istituzionali: Corrado Azzollini, segretario regionale del ministero della Cultura per l’Emilia-Romagna; Andrea Corsini, assessore al Turismo della Regione Emilia-Romagna; Fabio Fecci, sindaco del Comune di Noceto; Elio Franzini, magnifico rettore dell’università di Milano; Marco Masetti, direttore del dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”; Franco Magnani, presidente della Fondazione della Cassa di risparmio di Parma; Cristina Ambrosini, direttore del servizio Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna. Alle 11.10, intervengono: Maria Bernabò Brea su “La Vasca di Noceto nel contesto dell’Età del Bronzo”; Mauro Cremaschi, docente dell’università di Milano su “La struttura della Vasca: dallo scavo al museo”; Angela Mutti, funzionaria archeologa del Mic su “Il contenuto della Vasca: dallo scavo al museo”; Guillaume Pacetti, architetto “Il progetto del museo”.

Intanto prosegue a ritmo serrato il completamento dell’allestimento. “Allestire una vetrina”, spiega lo staff tecnico sul sito del segretariato regionale del Mic, “è operazione appassionante ma al tempo stesso fonte di preoccupazione, perché maneggiare i reperti comporta sempre un certo rischio. Per di più, quando si prepara un nuovo allestimento non basta spostare un oggetto da un posto all’altro, ma occorre provare più versioni espositive fino a raggiungere quella ottimale. La situazione è ancora più complessa quando il nuovo allestimento è completamente da realizzare: in questo caso sono addirittura da calcolare le dimensioni delle vetrine, la tipologia dei basamenti interni e finanche dei singoli supporti. Non sempre però si dispone di uno spazio e, ancor più, dell’attrezzatura di scena per effettuare queste prove come davvero si vorrebbe. E qui entra in gioco la capacità di immaginazione e l’inventiva degli archeologi, abituati a soluzioni improvvisate degne di un MacGyver o di Archimede pitagorico: i più svariati tipi di oggetti (purché stabili!) diventano utili per una simulazione”.


Proposta di allestimento di alcuni oggetti lignei recuperati dalla vasca votiva di Noceto (Pr) (foto Mic-ERO)
“Per buona parte dei reperti di Noceto”, continuano i tecnici, “nastro di carta e metro, cassette di svariato materiale, fogli per appunti e macchine fotografiche sono stati più che sufficienti per simulare perimetri di vetrine, suddividere gli spazi interni, riprodurre piani espositivi di diversa altezza, fissare le soluzioni individuate. La stessa procedura era però impossibile per i reperti lignei, troppo delicati per essere ripetutamente maneggiati e spostati. Per loro si è dunque fatto ricorso al modellino in scala: in parte con il vecchio stile (forbici per ritagliare le figurine, cartoncino e colla), in parte con tecniche più moderne, ossia con un programma di grafica. Il timore che la versione reale non fosse all’altezza del modello c’era, ma oggi, ad allestimento avviato, il risultato ci sembra niente male”.

La vasca conteneva ben 100/150 vasi interi o “ricomponibili”: si tratta di un ristretto numero di vasi integri, molti vasi “ricomponibili”, ossia in frammenti ma pressoché completi, e altri mancanti di qualche parte che potrebbe essere andata perduta durante lo scavo. “Quasi tutti i vasi rinvenuti nei pressi del fondo della vasca”, intervengono gli archeologi impegnati nelle ricerche, “erano ad esempio “ricomponibili”; sono stati i primi ad esservi depositati e hanno subito più degli altri il peso dei sedimenti e dei manufatti che li hanno coperti. Molti dei vasi “integri” provengono invece da livelli più alti, dove si sono conservati perché probabilmente sottoposti a una pressione minore”.


Un vaso in ceramica al momento dello scavo della vasca votiva di Noceto (Pr) (foto Mic-ERO)
“Poi ci sono i vasi scompleti, mancanti di qualche parte”, continuano: “è vero che tali parti potrebbero essere andate perdute in scavo, ma se così non fosse? Se questi vasi fossero stati deposti nella vasca già privati di un frammento o di una parte perché l’offerente desiderava conservare un legame con la divinità destinataria, condividendo con lei un oggetto investito di un importante significato? Bisogna infine dire che la vasca conteneva anche migliaia di frammenti ceramici; dunque come escludere del tutto l’ipotesi che alcuni oggetti fossero intenzionalmente frammentati e poi deposti, oppure che una semplice parte di vaso fosse ritenuta sufficiente a rappresentare, simbolicamente, l’intero dono? Per verificare queste ipotesi bisognerebbe esaminare migliaia di frammenti, cercare quelli cha attaccano e procedere, fino a dove il puzzle lo consente, con la ricomposizione. Oggi un’operazione del genere è quasi un sogno, ma in futuro chissà!”.


Nel disegno un’ipotesi di ricostruzione e utilizzo del telaio nell’Età del Bronzo (foto Mic-ERO)
“Tra i diversi oggetti in terracotta ritrovati nella vasca”, ricordano gli archeologi, “c’erano una ventina di fusaiole e alcuni (4) pesi da telaio. Fusaiole e pesi si rinvengono abbastanza facilmente negli abitati, mentre gli elementi lignei cui sono associatisi trovano in casi rarissimi: dalla vasca provengono invece almeno tre fusi, bastoncini con le due estremità assottigliate e appuntite e un altro manufatto forse usato con il telaio. Il fuso, con il movimento rotatorio impressogli dalla filatrice, trasforma in filo la matassa informe di fibre, lana o lino, avvolta su una conocchia (o rocca) retta dalla filatrice stessa con l’altro braccio; le fusaiole, infilate nella punta inferiore del fuso, gli garantiscono stabilità durante la rotazione. I fili sono poi collocati su un telaio verticale, tenuti tesi con il peso legato alla loro estremità inferiore; i fili verticali costituiscono l’ordito e un altro filo, intrecciato trasversalmente ai primi con l’aiuto di una spoletta (o navicella), dà origine alla trama. In epoca preistorica filatura e tessitura erano praticate in ambito familiare e dalle donne, comprese quelle appartenenti alle classi sociali più elevate; sappiamo tutti che Penelope, pur regina, trascorreva gran tempo al telaio. E non vorremo certo dimenticare la Bella addormentata, caduta vittima del malefico incantesimo proprio pungendosi con un fuso!”.

“Tornando a filatura e tessitura, come interpretare la presenza entro la vasca di oggetti legati a queste attività?”, si chiedono gli esperti. “Un’ipotesi è che nella mitologia di molte culture antiche, anche di aree distanti tra loro, vita e destino dell’uomo sono spesso assimilati a un filo, retto, avvolto e troncato da apposite figure divine e che, sempre nel mondo antico, si riteneva spesso che il passaggio tra mondo dei vivi e mondo dei morti avvenisse attraverso l’acqua”.

“Uno dei temi più dibattuti nel corso dello scavo”, spiegano ancora gli archeologi sul sito del segretariato regionale del Mic, “era con quali criteri e, soprattutto, in che modo erano affidati alla vasca gli oggetti che conteneva? Innanzitutto si può constatare che i primi vasi deposti si distribuivano lungo i lati Nord ed Est, formando delle piccole concentrazioni alternate a spazi vuoti. Forse perché questi lati erano quelli rivolti verso il villaggio e quindi i primi a cui si giungeva? E perché le concentrazioni? Corrispondevano forse a offerte effettuate in momenti diversi ma sempre dallo stesso punto del bordo, forse più facilmente accessibile? Ed è possibile che ognuna fosse ricollegabile o addirittura riservata a una stessa famiglia o a un clan familiare?”.

“Quando poi i doni più antichi e le travi basali erano già sepolti dai sedimenti – continuano -, le offerte (peraltro mai interrotte) si fanno di nuovo numerose. Che fosse in atto una carestia o fosse necessaria una maggiore produttività dei terreni per l’aumento della popolazione? A differenza dei doni più antichi, le offerte di questa fase si concentrano nell’angolo Nord-Est, che viene riempito da un enorme numero di vasi”.


Nel disegno un’ipotesi di come venivano depositati gli oggetti sul fondo della vasca votiva di Noceto (Pr) (foto Mic-ERO)
“A criteri precisi sembra poi rispondere la distribuzione dei principali manufatti in legno; aratri e vanghe, i più grandi attrezzi ritrovati entro la vasca, erano tutti in corrispondenza di angoli. Rami, intrecci, ghirlande sembrano invece distribuirsi un po’ su tutta la superficie, forse perché, a differenza degli oggetti pesanti che andavano subito a fondo, potevano galleggiare sulla superficie prima di affondare. Infine si tende a pensare che gli oggetti fossero delicatamente posati lungo il bordo, a pelo d’acqua, ma non possiamo non notare alcune stranezze: alcuni vasi sono esattamente sovrapposti tra loro, un grosso vaso rovesciato e privo di fondo era ben lontano dal bordo vasca. Come spiegare questi aspetti? Casualità forse o, come scherzosamente ipotizzato, dovremmo davvero pensare che a qualcuno spettasse l’onore (o l’onere?) di tuffarsi per andare a deporre gli oggetti? Incarico, almeno dal nostro punto di vista, poco attraente e nemmeno agevole data la presenza di un reticolo di travi anche alla sommità della vasca”.
Gea 2021-Ica: “Archeologia e inclusione”. Contributo 8: MELKA KUNTURE – Missione archeologica italo-spagnola (Etiopia)”
Per l’edizione 2021 delle Giornate Europee per l’Archeologia, l’ICA – Istituto centrale per l’Archeologia propone il tema guida dal titolo “Archeologia e inclusione. Missioni archeologiche italiane all’estero e comunità locali dei paesi ospitanti: interazioni, coinvolgimento, formazione”. Ottavo contributo: “MELKA KUNTURE – Missione archeologica italo-spagnola (Etiopia)”.
In occasione dell’edizione 2021 dell Giornate Europee dell’Archeologia, l’ICA condivide volentieri il video realizzato dalla Missione italo-spagnola Melka Kunture e Balchit. Melka Kunture è una vasta area archeologica con siti che documentano 2 milioni di anni di evoluzione umana fuori dall’ambiente di savana. A 2000m di quota sull’altopiano etiopico, il clima è relativamente fresco e umido. La Missione archeologica italo-spagnola con scavi e ricerche di laboratorio indaga tutte le principali fasi dell’attività umana nella preistoria, dall’Olduvaiano, all’Acheuleano, al Middle Stone Age e al Late Stone Age, lavorando in sintonia con la popolazione locale.
(8 – continua)
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