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Archeologia in lutto. È morto all’età di 87 anni l’archeologo inglese Sir Colin Renfrew, Lord di Kaimsthorn, uno dei titani dell’archeologia moderna, il cui nome è strettamente legato ai suoi scavi in Grecia e alla ricerca dell’origine degli indoeuropei. Ecco il ricordo di colleghi, istituti e allievi

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Il professor sir Colin Renfrew, Lord Renfrew di Kaimsthorn, uno dei titani dell’archeologia moderna (foto cambridge university)

Il primo a dare la notizia in Italia è stato Valentino Nizzo, etruscologo dell’università L’Orientale di Napoli, con poche parole: “Sembra che purtroppo sia vero, Lord Colin Renfrew ci ha lasciati da poche ore e con lui scompare uno dei più grandi e originali maestri dell’archeologia mondiale”. Nella notte tra sabato 23 e domenica 24 novembre 2024si è infatti spento a Cambridge (GB) Sir Colin Renfrew, Lord di Kaimsthorn, un gigante dell’archeologia. Aveva 87 anni. Era nato a Stockton-on-Tees, nell’Inghilterra nord-orientale, il 25 luglio 1937. Dopo gli studi a St Albans (Hertfordshire), dal 1956 al 1958 prestò servizio presso la RAF. Terminata la leva, frequentò i corsi di Archeologia e Antropologia al St John’s College dell’università di Cambridge, dove si laureò nel 1961. Nel 1965 discusse la sua tesi di dottorato Neolithic and Bronze Age cultures of the Cyclades and their external relations (“La culture neolitiche e dell’Età del Bronzo delle Cicladi e le loro relazioni esterne”) e si sposò con Jane M. Ewbank. Dal 1965 fu ricercatore presso il dipartimento di Preistoria e Archeologia dell’università di Sheffield; tra il 1968 e il 1970 condusse scavi archeologici a Sitagroi, in Grecia. Nel 1972 ottenne la cattedra di Archeologia all’università di Southampton, dirigendo in seguito scavi sulle isole Orcadi (Gran Bretagna) e a Milo (Grecia; più tardi tornò a Sitagri, dove lavorò anche con Marija Gimbuta. Nel 1981 fu chiamato all’Università di Cambridge, dove insegnò Archeologia fino all’anno del suo ritiro dalla docenza (2001). Nel 1990 divenne direttore dell’Istituto di Ricerca archeologica “McDonald”. Dal 2004 fu presidente del Managing Council for the British School ad Atene.

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Il prof. Colin Renfrew a Stonehenge (foto cambridge university)

Molte le attestazioni di stima da parte di colleghi, istituti e allievi. Tra i primi il dipartimento di Archeologia e il McDonald Institute for Archaeological Research dell’università di Cambridge che – scrivono – “piangono la morte e celebrano la straordinaria vita del professor Colin Renfrew, Lord Renfrew di Kaimsthorn, ex decimo professore di archeologia Disney, direttore fondatore di McDonald’s e maestro del Jesus College. Colin è stato, e rimarrà sempre, uno dei titani dell’archeologia moderna, un personaggio pubblico illustre, nonché un buon amico e collega di innumerevoli archeologi in tutto il mondo. Questa perdita rende il mondo dell’archeologia un posto più povero intellettualmente, oltre che in termini di pura energia e ottimismo che ha portato in tutto ciò che ha fatto. Fin dai suoi primi anni come uno dei coraggiosi nuovi archeologi degli anni ’60 – continuano -, Colin si distinse come una mente eccezionale e come uno spirito di cambiamento profondo, emozionante e rigoroso. È stato pioniere di nuovi modi di pensare teoricamente informati sulla spiegazione del cambiamento sociale e politico del passato, dentro e poi ben oltre il suo primo amore regionale duraturo per l’Egeo preistorico, sostenendo le tecniche scientifiche di datazione e provenienza come parte integrante dello sforzo archeologico. Da questa prospettiva, è stato uno dei primi ad apprezzare il significato della calibrazione dei dati del radiocarbonio per la comprensione della preistoria europea.

“Ha continuato a porre domande altrettanto fresche sul legame tra evoluzione linguistica e archeologia e, come primo direttore del McDonald Institute for Archaeological Research, ha sostenuto alcune delle prime applicazioni di archeologia, oltre a un approccio critico e investigativo al mercato illecito dell’antichità. Il suo lavoro sul campo si espanse alle Orcadi, per poi tornare alle isole più meridionali delle Cicladi, oggetto della sua ricerca di dottorato, e di notevoli scoperte sull’isola di Keros. Fino alla fine, è rimasto impegnato con l’avanguardia degli sviluppi archeologici, partecipando e apprezzando chiaramente la 36a lezione annuale McDonald il mercoledì prima di lasciarci. Come testimonierà ampiamente chi lo conosceva, Colin c’era molto, molto di più del leader mondiale e onoratissimo archeologo. Ha assunto il mantello di un compagno di lavoro alla Camera dei Lord, dove ha parlato di questioni di patrimonio e legislazione archeologica con l’eloquenza consueta e il ragionamento lapidario di un presidente della Cambridge Union. Era un appassionato e sapiente esperto e collezionista di arte moderna, grazie al quale il Jesus College sotto la sua cura rimane permanentemente graziato. Gli eventi sociali sotto la sua ospitalità sono diventati indimenticabili e spesso enormemente conviviali riunioni di menti brillanti provenienti dai campi diffusi che ha disegnato, e nelle giuste circostanze spesso culminavano in dimostrazioni delle abilità di Colin come ballerino. Ultimo, ma lontano dal minimo, era un marito molto amato per sua moglie Jane, e padre di Helena, Alban e Magnus.

“Colin si è spento serenamente nel sonno nella notte tra sabato 23 e domenica 24 novembre 2024. Tutti noi di Cambridge – concludono – porgiamo le nostre più sentite condoglianze e il profondo rispetto alla sua famiglia e a tutti coloro che lo hanno amato e conosciuto”.

colin_stonehenge3_foto-confederazione-italiana-archeologiConfederazione italiana archeologi: “Se ne è andato Lord Colin Renfrew, uno dei più grandi archeologi dello scorso e del presente secolo, il cui nome è strettamente legato ai suoi scavi in Grecia e alla ricerca dell’origine degli indoeuropei, da lui individuata, in contrapposizione con le teorie di Marja Gimbutas, nell’Anatolia neolitica. Sua la formulazione del concetto di neuroarcheologia, branca britannica dell’archeologia cognitiva, volta a studiare la connessione tra le strutture materiali e la capacità cognitiva umana del passato. Dal 1981 al 2004, anno del suo ritiro dalla docenza, è stato Disney Professor a Cambridge, una delle cattedre più ambite e più importanti dell’ambito archeologico mondiale e membro anziano del McDonald Institute for Archaeological Research, sempre a Cambridge, di cui fu direttore nel 1990. Sui suoi testi si sono formati migliaia di studenti di archeologia, scoprendo, oltre agli strumenti della nostra disciplina, la sua attenzione alle questioni etiche. Ci piace ricordarlo con l’emozione che provammo quando, nei primi anni del nostro impegno in CIA, fu premiato a Paestum durante la Borsa del Turismo archeologico e passò in quell’occasione anche davanti al nostro stand, chiedendo chi fossimo e cosa stessimo facendo: noi gli raccontammo la nostra allora breve esperienza e gli regalammo una maglietta, che lui, con la modestia dei grandi, accettò ringraziandoci. Il nostro cordoglio va alla sua famiglia e in particolare a sua moglie Jane, compagna di vita e di studi”.

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Heinrich Hall, archeologo/viaggiatore: “È un giorno molto triste per l’archeologia in generale e soprattutto per l’archeologia Egea. Abbiamo perso un grande uomo. Piangiamo la scomparsa di Colin Renfrew (a pieno titolo il professor Andrew Colin Renfrew, lord di Kaimsthorn), uno dei personaggi più importanti della nostra disciplina negli ultimi sessant’anni circa. Renfrew è stato una voce importante nella preistoria europea e nell’Egeo. Ha influenzato enormemente l’archeologia europea con il suo libro innovativo “Before Civilisation, the Radiocarbon Revolution and Prehistoric Europe” (1973). È stato il primo approccio unificato per applicare ampiamente la calibrazione del radiocarbonio alla preistoria del continente e quindi ha definito la cronologia che ancora utilizziamo. Nell’Egeo, è stato uno dei più importanti studiosi della cultura cicladica antica, applicando nuove interpretazioni, esemplificate dal suo pivotale “L’emergenza della civiltà: le Cicladi e l’Egeo nel terzo millennio a.C., un libro ancora enormemente importante quando si fa ricerche sulla prima età del bronzo Grecia. Questo enorme contributo è stato eguagliato dai suoi scavi a Phylakopi su Milos e più recentemente sull’isolotto di Keros, un progetto che ha ancora (e continuerà ad avere) grande impatto sulla nostra comprensione dell’Egeo preistorico. Ha anche condotto importanti scavi al Neolitico Sitagroi in Macedonia (Grecia settentrionale) e a Quanterness nelle Orcadi, ha definito l’approccio influente che ha soprannominato “archeologia cognitiva”, e ha co-pubblicato un importante libro di testo (attualmente alla sua nona edizione). È stato anche per molto tempo in prima linea nello smascherare e combattere il commercio globale di reperti archeologici illeciti. Soprattutto, ha insegnato a generazioni di studenti, molti dei quali si sono rivelati importanti studiosi di per sé, prima a Sheffield e Southampton, poi a Cambridge. Il suo interesse per l’arte moderna, specialmente per la “land art”, completa i suoi successi accademici. Colin Renfrew era un individuo davvero impressionante e una persona affascinante con cui ascoltare e comunicare (ho avuto il privilegio di trascorrere un po’ di tempo con lui alla British School di Atene). Era una presenza imponente, un uomo di immensa e naturale autorità, un padrone di casa affascinante e compere, una persona di interessi e conoscenza di vasta portata (mi ha davvero sorpreso con il suo tedesco senza accento), e talvolta un saggio consigliere. Il mondo è più povero senza di lui. Colin Renfrew amava sicuramente le isole Egee e la Grecia. La sua presenza si sentirà – e mancherà – per molto tempo, e la sua eco risuonerà ancora più a lungo. RIP”.

colin_stonehenge3_foto-associazione-nazionale-archeologiL’Associazione Nazionale Archeologi si unisce al cordoglio nel ricordo di Colin Renfrew. “Nella giornata di domenica 24 novembre è venuto a mancare Colin Renfrew, noto archeologo britannico. Ha elaborato originali metodologie per lo più applicate allo studio della preistoria europea e ha contribuito a confutare, in tale ambito, la teoria della diffusione. Era considerato tra i maggiori esponenti della new archaeology, con una particolare predilezione per gli studi preistorici e protostorici nelle Cicladi, dove i suoi lavori restano un punto di svolta. Celebri gli scavi archeologici sull’isola di Milo, a Phylakopi (e in più tarda età a Keros), come a Sitagoi. Ai numerosi meriti accademici, si aggiunge nel 1991 la nomina come membro della Camera dei Lord, che gli valse il titolo di Lord Renfrew of Kaimsthorn. L’Associazione Nazionale Archeologi si unisce al cordoglio della famiglia e della comunità accademica, che ne piangono la scomparsa. La terra gli sia lieve”.

Lo scrittore Marcello Loprencipe: “La notizia l’avevo appresa da Valentino Nizzo, già direttore di Villa Giulia a Roma e oggi titolare della cattedra di Etruscologie e Antichità Italiche all’Orientale di Napoli. Improvvisamente sono tornato indietro negli anni, a quelli della mia gioventù spesi nel campo dell’archeologia. L’approccio innovativo di Renfrew alla disciplina ha affascinato studenti e studiosi del mondo intero. Ricordo che negli anni ‘80 facevo salti mortali presso le biblioteche delle scuole straniere a Roma per fotocopiare le sue dispense e i testi ancora non pubblicati in Italia. Lascio ad altri, agli specialisti, ai competenti della materia il giusto tributo a uno dei più grandi archeologi degli ultimi decenni. Io ho scelto tanti anni fa altre strade e per questo mi limito a un semplice ricordo. Ciao Professore!”.

L’archeologo e giornalista Tsao Cevoli: “È scomparso Colin Renfrew, colui il quale fino ad oggi ha per me incarnato il massimo esponente dell’archeologia mondiale. Ebbi anni fa l’onore di seguirne di persona ad Atene una conferenza sul traffico illecito di beni culturali, un tema che è stato tra i pionieri ad affrontare nel mondo dell’archeologia”.

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L’archeologo inglese Sir Colin Renfrew, Lord di Kaimsthorn (foto cambridge university)

L’Osservatorio Internazionale Archeomafie esprime il proprio cordoglio per la scomparsa dell’archeologo Andrew Colin Renfrew, uno dei massimi esponenti dell’archeologia a livello mondiale. Ha insegnato archeologia all’università di Cambridge, dove ha fondato e diretto il McDonald Institute for Archaeological Research. Esponente della new archaeology, ha dato un contributo straordinario all’archeologia con i suoi studi di archeologia teorica e le sue ricerche, in particolare sulla preistoria e sulle civiltà dell’Egeo. Ha promosso aspetti innovativi della ricerca archeologica ed è stato anche un coraggioso pioniere della lotta contro il mercato illecito dei beni culturali, con pubblicazioni, ricerche, mostre ed incontri, accendendo, grazie al suo spessore intellettuale universalmente riconosciuto, l’interesse ed il dibattito sui doveri etici della professione dell’archeologo”.

L’archeologo Giuliano Volpe, dell’università di Bari: “È scomparso un grandissimo archeologo: Colin Renfrew. Intere generazioni di archeologi si sono formato sul suo manuale e rifacendosi al suo approccio. Stamattina (25/11, ndr) alla SAIA ho iniziato la mia lezione di metodologia della ricerca archeologica, ricordandolo. Il minimo che potessi fare”.

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L’archeologo Colin Renfrew (foto york university)

University of York: “Il dipartimento è molto triste per la notizia della morte del prof. Lord Colin Renfrew. Professore Disney di Archeologia all’università di Cambridge, fondatore del McDonald Institute for Archaeological Research, e gigante dell’archeologia preistorica, i suoi scavi, la teoria, le pubblicazioni e la difesa politica garantiscono una vasta eredità per i futuri archeologi. Dubito che ci sia uno studente di archeologia o laureato in Gran Bretagna che non abbia una copia di “Archaeology: Theorie, Methods and Practice” di Renfrew e Bahn sulla scrivania. I nostri pensieri vanno alla famiglia e agli amici di Colin”.

Archaeoreporter: “Si potrebbe semplicemente scrivere “è morto Renfrew” che per il mondo allargato dell’archeologia sarebbe sufficiente, basti ricordarlo come l’autore del manuale più diffuso nelle università anglosassoni, e per la verità non poco diffuso anche in Italia: “Il” Renfrew-Bahn, che poi è ora diventato, dall’ultima edizione, il “Renfrew-Bahn-DeMarrais” (la nona in lingua inglese!), con l’aggiunta di un’autrice. In realtà stiamo parlando del celeberrimo studioso che, per abbreviare sarebbe Sir Colin Renfrew, ma più precisamente il Professor Lord Colin Renfriew, visto che dal 1991 era un Pari del Regno Unito, impegnato tra l’altro con i Conservatori. Aveva 87 anni”.

Archeologia in lutto. Si è spento dopo lunga malattia l’archeologo britannico Simon Keay, specializzato in particolare nei porti del Mediterraneo romano, figura fondamentale negli studi su Portus e Isola Sacra. Lo ricordano la British School di Roma (lì insegnava dal 2006) e il parco archeologico di Ostia antica (membro del Comitato scientifico dal 2018)

L’archeologo britannico Simon Keay sugli scavi di Portus (foto parco ostia antica)

Archeologia in lutto. Il 7 aprile 2021 si è spento dopo una  lunga malattia l’archeologo e accademico britannico Simon Keay a 66 anni (era nato il 21 maggio 1954), professore emerito di archeologia all’università di Southampton, specializzato nell’archeologia dell’Impero Romano, in particolare nei porti del Mediterraneo romano, nel commercio e nel cambiamento culturale in Italia e Iberia. Dal 2006 era professore di ricerca e direttore di archeologia alla British School di Roma. È stata proprio la BSR, “profondamente triste” ad annunciare la scomparsa di uno dei suoi membri più stimati. “Simon era un uomo gentile e generoso, pieno di vita ed energia”, scrivono Chris Wickham e Stephen Kay. “Era attivo, nonostante la sua malattia, nell’aiutarci, fino a pochi giorni prima della sua morte. La Scuola gli deve una somma incalcolabile. Inviamo le nostre più sentite condoglianze a Nina, James e Leo, e stiamo ricevendo messaggi da tutto il mondo che dimostrano l’alta considerazione con cui è stato tenuto. Lo commemoreremo correttamente, una volta superato lo shock della sua scomparsa”. E continuano: “Molti colleghi e amici della BSR avranno familiarità con il lavoro di Simon dal suo duraturo studio e classificazione delle anfore romane. Fu attraverso questa ricerca, che prevedeva uno studio approfondito del commercio nel Mediterraneo, che rimase affascinato dai porti e dal commercio. Fu questo che lo portò a Roma e iniziò il suo lungo e stretto rapporto con la BSR. Nel 1997, in seguito all’inizio dei lavori a Falerii Novi, Simon fu invitato dai colleghi italiani ad iniziare le ricerche a Portus, il porto imperiale di Roma. Iniziando con un’importante indagine geofisica nel 1998, Simon trascorse i successivi 23 anni studiando aspetti del porto, iniziando importanti scavi nel sito nel 2007. Nel 2018 è stato nominato membro del comitato scientifico consultivo del Parco Archeologico di Ostia antica sul quale ha prestato servizio con grande entusiasmo e borsa di studio. Più recentemente, Simon ha aperto il suo studio ai porti di tutto il mar Mediterraneo, e i libri su questo, per lo più pubblicati nella serie di archeologia BSR, stanno ancora uscendo. Insieme a un’ampia rete di colleghi e amici ha aperto la strada alla pratica della ricerca geofisica come metodo non invasivo di investigazione di siti in Italia su larga scala, e la sua eredità presso la BSR è ora un gruppo altamente specializzato che applica regolarmente queste tecniche in tutta Italia e nel Mediterraneo”.

L’archeologo Simon Keay, professore dell’università di Southampton, in un frame del documentario su Ostia antica e Portus girato nel 2018 per Sky-Arte (foto parco ostia antica)

A unirsi nel cordoglio per la prematura scomparsa del professor Simon Keay è il parco archeologico di Ostia antica di cui il professore era membro del Comitato scientifico. “Eminente studioso dell’archeologia e della storia dei porti e del commercio nel mondo romano, è stato una figura fondamentale negli studi su Portus e Isola Sacra, nel comprendere le articolazioni del grande porto di Roma imperiale con Ostia e il Trastevere Ostiense”, si legge sul sito del Parco. “Indagini geofisiche, ma anche scavi archeologici: in particolare le ricerche nel Palazzo Imperiale di Portus hanno consentito di comprendere l’articolazione del complesso e di portare in luce edifici come il piccolo anfiteatro e i Navalia, dei quali non si conosceva l’esistenza. Nel territorio, le indagini geofisiche si sono svolte principalmente su due fronti, l’uno volto a comprendere il collegamento tra Portus e Ostia attraverso Isola Sacra, l’altro rivolto a comprendere l’estensione e l’articolazione del bacino di Claudio e a individuare l’Isola Faro nota dalle fonti, ma della quale oggi non resta traccia. Delle ricerche a Isola Sacra aveva recentissimamente pubblicato una monografia, in collaborazione con il Parco: The Isola Sacra Survey: Ostia, Portus and the port system of Imperial Rome (a cura di S. keay, M. Millett, K. Strutt e P. Germoni), 2020; precedentemente aveva pubblicato due volumi dedicati a Portus: Portus (a cura di S. keay, M. Millett, L. Paroli e K. Strutt), 2005, e Portus and its hinterland (a cura di S. Keay e L. Paroli), 2011. Oltre a questi volumi, ha pubblicato numerosissimi contributi e report scientifici dedicati alle ricerche geofisiche e alle indagini archeologiche condotte a Portus”.

Il professor Simon Keay a Portus, in una delle sue appassionate lezioni (foto dr. Irene Selsvold su Twitter)

“Alla ricerca scientifica e formativa degli studenti, con il progetto PortusLimen”, continua il ricordo del Parco, “ha sempre abbinato l’attività di divulgazione, attraverso progetti quali il Portus Project, sul cui blog online ha pubblicato man mano il progredire delle ricerche, e attraverso ricostruzioni virtuali estremamente accurate che restituiscono le infrastrutture del porto di Traiano. Alle doti scientifiche si affiancano le qualità umane: ricorderemo sempre l’eleganza, la pacatezza, la cortesia e la pazienza del professor Keay, ma soprattutto la grande passione che lo animava, l’amore che provava per Portus e per la ricerca, e quel guizzo negli occhi, carico di forte motivazione”.

“Nutrire l’impero”: nella mostra all’Ara Pacis di Roma si racconta la prima “globalizzazione dei consumi”, cosa e come mangiavano gli antichi romani e come si approvvigionavano

Le operazioni di carico e scarico di una nave romana di derrate alimentari

Le operazioni di carico e scarico di una nave romana di derrate alimentari

Il museo dell'Ara Pacis di Roma che ospita la mostra "Nutrire l'impero"

Il museo dell’Ara Pacis di Roma che ospita la mostra “Nutrire l’impero”

Cosa e come mangiavano gli antichi romani? Come trasportavano migliaia di tonnellate di provviste dai più remoti angoli della terra? Come facevano a farle risalire lungo il Tevere fin nel cuore della città? E come le conservavano durante tutto l’anno? A queste e a tante altre curiosità risponde la mostra “Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei”, al museo dell’Ara Pacis di Roma fino al 15 novembre 2015, che traccia un affresco complessivo sull’alimentazione nel mondo romano grazie a rari e prestigiosi reperti archeologici, plastici, apparati multimediali e ricostruzioni. L’esposizione, ideata in occasione di Expo 2015, è promossa dall’assessorato alla Cultura e al Turismo di Roma – soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dall’assessorato a Roma produttiva e Città Metropolitana e da Expo con la cura scientifica della soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali e della soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, di nuovo insieme a 25 anni di distanza dalla fortunata esperienza della mostra “Riscoprire Pompei” (1993). L’ideazione e il coordinamento scientifico sono di Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini. Ricostruzioni multimediali e catalogo (con testi di C. Parisi Presicce, M. Osanna, E. Lo Cascio, F. Coarelli, P.Arnaud, C. Virlouvet, S. Keay, P. Braconi, C. Cerchiai, G. Stefani, M. Borgongino, M.P. Guidobaldi, A. Lagi) sono a cura di l’Erma di Bretschneider.

Pagnotte "carbonizzate" recuperate dagli scavi dell'area vesuviana, e in mostra all'Ara Pacis

Pagnotte “carbonizzate” recuperate dagli scavi dell’area vesuviana, e in mostra all’Ara Pacis

La mostra "Nutrire l'impero" illustra le origini della dieta mediterranea

La mostra “Nutrire l’impero” illustra le origini della dieta mediterranea

A seguito della pax romana, intorno al bacino del Mediterraneo si determinò quella che oggi chiameremmo la prima “globalizzazione dei consumi” con relativa “delocalizzazione della produzione” dei beni primari. In età imperiale i romani bevevano in grandi quantità vini prodotti in Gallia, a Creta e a Cipro, oppure, se ricchi, i costosi vini campani; consumavano olio che giungeva per mare dall’odierna Andalusia; amavano il miele greco e soprattutto il garum, il condimento che facevano venire dall’Africa, dall’Oriente mediterraneo, dal lontano Portogallo, ma anche dalla vicina Pompei. Ma, soprattutto, il pane che mangiavano ogni giorno era un prodotto d’importazione, fatto con grano trasportato via mare su grandi navi dall’Africa e dall’Egitto. “Nell’arco di tempo che va da Augusto a Costantino (27 a.C. – 337 d.C. )”, spiegano i curatori Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini, “Roma è stata una metropoli di circa 1 milione di abitanti, alla testa di un impero che, secondo le stime correnti, ne contava 50/60 milioni. Nessuna città raggiunse più questa grandezza fino alle soglie della rivoluzione industriale. Nutrire Roma, alimentare una tale concentrazione umana, soprattutto di grano, costituì un’ impresa di cui furono diretti responsabili gli imperatori. Facendosi carico dell’annona di Roma, ovvero del suo fabbisogno alimentare, il principe stabiliva un rapporto diretto e personale con il suo popolo. Soprattutto con i cittadini romani, maschi, adulti e residenti – la plebs urbana et romana, detta anche “plebe frumentaria” – che ogni mese ricevevano dallo stato, a titolo gratuito, 5 moggi di grano a testa, circa 35 Kg di frumento, una quantità che, trasformata in pane, risultava più che sufficiente per il sostentamento individuale. Si trattava – continuano – di un diritto/privilegio, a seconda dei punti di vista, del “popolo dominante”, riconosciuto ad un massimo di 200mila beneficiari, limite fissato da Augusto. Traducendo in cifre, vediamo che le sole distribuzioni gratuite di grano, le frumentationes, comportavano l’importazione di quantità di frumento oscillanti tra i 9 e i 12 milioni di moggi l’anno, vale a dire fino a 84mila tonnellate. Se poi si considera il rifornimento alimentare necessario all’intera città, la quantità di grano importata sale a cifre che gli storici, non concordi per carenza di fonti, stimano tra i 50 milioni di moggi, ovvero 350mila tonnellate, e i 60 milioni di moggi, ovvero 420mila tonnellate ogni anno. Alla fine della Repubblica il grano consumato a Roma veniva dall’Africa, dalla Sicilia e dalla Sardegna, come ricorda Cicerone. Le cose mutarono con la conquista dell’Egitto e la politica di espansione agricola che Roma attuò in Africa: durante l’alto impero, il tributo granario venne prodotto e pagato per 1/3 dall’Egitto e per i restanti 2/3 dall’Africa, soprattutto le province corrispondenti alle odierne Tunisia, Algeria e Libia. Il risultato – concludono – fu una produzione “delocalizzata” e monoculture estensive specializzate. Nonché forme di consumo che, forse per la prima volta nella storia, possiamo considerare “globalizzate”. Tutto ciò fu realizzato grazie all’efficienza della macchina amministrativa statale, che da una parte favoriva il libero commercio e dall’altra riscuoteva il grano quale imposta in natura (ma anche il vino, l’olio e altri alimenti), garantiva il suo trasporto su grandi navi mercantili che attraversavano il Mediterraneo, e ne seguiva il percorso fino ai monumentali magazzini (gli horrea) del grande Emporium romano, nell’odierno quartiere di Testaccio”.

La gran parte delle derrate alimentari viaggiava per nave all'interno delle anfore la cui forma variava a seconda del contenuto

La gran parte delle derrate alimentari viaggiava per nave all’interno delle anfore la cui forma variava a seconda del contenuto

Una nave oneraria romana (Scala 1/11) dal museo dell'Olivo e dell'Olio di Torgiano

Una nave oneraria romana (Scala 1/11) dal museo dell’Olivo e dell’Olio di Torgiano

La mostra "Nutrire l'impero" chiuderà il 15 novembre

La mostra “Nutrire l’impero” chiuderà il 15 novembre

Il percorso espositivo ripercorre le soluzioni adottate dai romani per il rifornimento e la distribuzione del cibo, con i mezzi di trasporto via terra e soprattutto lungo le rotte marine. Si affrontano, inoltre, i temi della distribuzione “di massa” e del consumo alimentare nei diversi ceti sociali in due luoghi per molti versi emblematici: Roma, la più vasta e popolosa metropoli dell’antichità, e l’area vesuviana, con particolare riguardo a Pompei, Ercolano e Oplontis, fiorenti centri campani. Il visitatore è introdotto al tema del movimento delle merci da una grande carta del Mediterraneo realizzata con tecnica cinematografica. Qui si animeranno i principali flussi alimentari dei beni a lunga conservazione – grano, olio, vino e garum – e si visualizzano le rotte marine dai porti più grandi del Mediterraneo, Alessandria e Cartagine. In questa prima sezione è anche affrontato il problema della lavorazione degli alimenti primari, della loro confezione in anfore caratteristiche per ogni prodotto, dell’immagazzinamento e della distribuzione del cibo. “Diversamente dagli alimenti solidi, come il grano, il trasporto delle derrate liquide o semiliquide come il vino, l’olio e le salse di pesce, è affidato a contenitori in terracotta, spiegano ancora Parisi Presicce e Rossini, “in particolare alle anfore (dal termine greco amphìphèro, porto da entrambe le parti, riferito alle due anse dei contenitori). Questo genere di recipienti rappresenta il mezzo più efficace per garantire la conservazione e la spedizione di grandi quantitativi di merci per via marittima o fluviale. Nelle navi lo stivaggio delle anfore avveniva impilandole le une sulle altre con un sistema “a scacchiera”, in modo che quelle dello strato superiore si inserissero fra tre colli delle anfore sottostanti. I contenitori si adeguavano alla forma della carena e venivano fissati e protetti dagli urti con ramaglie di ginepro, di erica, giunchi, paglia ed altro. Le anfore venivano fabbricate nelle regioni di produzione delle merci, con forme diverse a seconda della provenienza, della cronologia e del contenuto. In età romana circolavano in tutto il Mediterraneo, spingendosi fino alla Britannia e al Bosforo, testimoniando l’unificazione commerciale, oltre che politica, dell’impero”.

Il porto di Traiano nella ricostruzione della soprintendenza di Ostia e dell'Università di Southampton

Il porto di Traiano nella ricostruzione della soprintendenza di Ostia e dell’Università di Southampton

Un set di piatti e stoviglie usato dagli antichi romani in mostra all'Ara Pacis

Un set di piatti e stoviglie usato dagli antichi romani in mostra all’Ara Pacis

Nella seconda sezione le merci arrivano a Roma e a Pompei attraverso i porti di Pozzuoli e di Ostia. Qui è presentata la ricostruzione in grafica digitale del porto di Traiano, con i risultati inediti degli scavi recentissimi condotti dalla soprintendenza di Ostia e dall’Università di Southampton per la ricostruzione del complesso portuale romano. Chiude questa parte della mostra il tema della grande distribuzione gratuita dei beni principali di sostentamento ai cittadini romani adulti, la plebe urbana e romana alla quale era riconosciuto un privilegio unico: quello di condividere i beni della conquista, dapprima solo grano, ma dal III secolo d.C. anche olio, vino e carne. “Nell’anno 42 l’imperatore Claudio – ricordano i curatori – volle dare a Roma un porto alla sua altezza, che ovviasse alla complicata logistica dei trasporti da Pozzuoli. Diede perciò il via alla realizzazione di un’imponente “opera pubblica”, forse la più grande del tempo. Il Porto di Claudio fu scavato 3 km a nord di Ostia, in parte nella terra ferma, in parte chiudendo un bacino di 200 ettari con due moli convergenti. L’ingresso era segnalato da un faro paragonabile per dimensioni a quello di Alessandria d’Egitto. Ma si vide che la stessa vastità del bacino ne minacciava la sicurezza e le correnti che portavano il limo dalla foce del Tevere al nuovo porto ne provocavano l’insabbiamento. Fu Traiano a ridisegnare, tra il 100 e il 113 d.C., l’assetto definitivo del porto di Claudio, inaugurato appena quarant’anni prima, aggiungendo un bacino esagonale interno. Traiano faceva anche scavare un nuovo canale largo 40 metri, il Canale Romano, che univa il suo bacino esagonale al canale di Fiumicino e quindi al Tevere”.

Cibo di strada: in un rilievo l'attività di un Thermopolium, la tavola calda degli antichi romani

Cibo di strada: in un rilievo l’attività di un Thermopolium, la tavola calda degli antichi romani

Un braciere proveniente da Pompei esposto alla mostra "Nutrire l'impero"

Un braciere proveniente da Pompei esposto alla mostra “Nutrire l’impero”

La terza sezione illustra il consumo delle merci e dei prodotti alimentari che poteva avvenire sia in luoghi pubblici, come le popinae e i thermopolia, gli antichi “bar” o “tavole calde” in cui romani e pompeiani consumavano il “cibo di strada”, sia nei raffinati triclinia (sale da pranzo in cui i commensali mangiavano stando semidistesi su tipici lettini da banchetto) del ceto abbiente. Esposizioni di resti di cibo da Ercolano aiuterano a comprendere la qualità dei consumi in un ricco centro campano. Grazie al contributo scientifico e ai prestiti provenienti da Pompei, Ercolano e Oplontis, è possibile ammirare corredi da tavola provenienti sia da contesti di estrema ricchezza – come il cosiddetto “tesoro di Moregine”, un completo da tavola in argento di ritorno da cinque anni di esposizione al Metropolitan Museum di New York – sia raffinate suppellettili in ceramica, in vetro e in bronzo, sia infine il vasellame utilizzato in contesti quotidiani più popolari. Sono proprio i curatori a ricostruire l’eccezionale ritrovamento.

In mostra all'Ara Pacis gli argenti dell'eccezionale tesoro di Moregine, nel comune di Pompei

In mostra all’Ara Pacis gli argenti dell’eccezionale tesoro di Moregine, nel comune di Pompei

“Nell’ottobre del 2000, durante la realizzazione della terza corsia dell’autostrada A3, in località Moregine, nel comune di Pompei, è stata rinvenuta una gerla di vimini. Si trovava in una latrina posta nell’area di passaggio tra il nucleo neroniano di un edificio e le sue terme. La gerla appariva riposta da qualche fuggitivo, nelle ore convulse che precedettero l’eruzione, sotto altri oggetti di uso comune. Era ben conservata, chiusa da un coperchio e ricolma di terra e cenere compattata. Portata in laboratorio fu oggetto di analisi radiografiche quindi svuotata con un’operazione di microscavo. Al suo interno, stipato con accuratezza, un piccolo ma completo servizio di argenti da tavola di 20 pezzi: è infatti rappresentato sia l’argento da portata (escarium) che quello per i liquidi (potorium). I pezzi erano riposti impilati, in modo da sfruttare al massimo lo spazio disponibile e forse avvolti in un panno, così da rivelarsi in ottimo stato di conservazione, fatta eccezione per la lanx usata come contro chiusura della gerla. Con un peso complessivo di 3850 grammi, il servizio rappresenta l’ultimo del genere rinvenuto in area vesuviana. I grafiti sul fondo degli argenti ci restituiscono, tra altre informazioni, il nome del proprietario: Erastus (Erasti sum). La maggior parte dei pezzi sembra databile all’età augustea, mentre i due canthari e la lanx paiono attribuibili ad un periodo antecedente: essi potrebbero rappresentare l’argentum vetus di famiglia”.

Coppe e brocchetta in vetro blu provenienti da Ercolano

Coppe e brocchetta in vetro blu provenienti da Ercolano

Due approfondimenti concludono la mostra: uno dedicato ai diversi alimenti consumati in epoca romana con la loro diffusione e il relativo prezzo (esemplificato dalla preziosa testimonianza dell’Edictum de pretiis rerum venalium dell’imperatore Diocleziano, il più famoso dei “calmieri” dell’antichità) e uno dedicato alla “filosofia del banchetto”, laddove l’amore profondo per la vita e la festa alimentare che la celebra si mescola con la malinconica consapevolezza della fugacità di ogni piacere.