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Venezia. Al via il seminario online “Bridging Time and Technology” a cura di Lorenzo Calvelli, Franz Fischer, Elisa Corrò e Sabrina Pesce, nell’ambito di Digitalia, un progetto europeo all’avanguardia coordinato dall’università di Istanbul (Turchia) con la partecipazione dell’università Ca’ Foscari. Ecco il programma dei quattro incontri e come partecipare

Come possiamo proteggere il patrimonio culturale dai rischi ambientali, dalle catastrofi naturali e dal trascorrere del tempo? In che modo possiamo trasformare siti archeologici, iscrizioni antiche e monumenti storici in dati digitali funzionali alla ricerca, alla conservazione e alla comunicazione? A questi e ad altri interrogativi cerca di rispondere Digitalia, un progetto europeo all’avanguardia che, sotto il coordinamento dell’Università di Istanbul (Turchia) e grazie alla partecipazione dell’università Ca’ Foscari Venezia, propone soluzioni digitali innovative per una gestione dei beni culturali sostenibile e capace di affrontare le criticità del presente. Dal cuore pulsante della ricerca veneziana prende il via “Bridging Time and Technology”, un ciclo di seminari online che si svolgerà al mattino, dalle 10 alle 12, dei giorni 11, 12, 19 e 20 giugno 2025, aperto a studenti, ricercatori, professionisti del patrimonio culturale, nonché a chiunque sia interessato ad acquisire competenze nel campo delle tecnologie applicate alla conservazione dei beni culturali. Chi desidera partecipare agli incontri può iscriversi inviando una mail all’indirizzo vedph@unive.it. L’iniziativa si colloca all’interno del progetto DIGITALIA: Digital Solutions for Sustainable and Disaster Resilient Heritage Management, finanziato dal programma Erasmus+ dell’Unione Europea (2024-1-TR01-KA220-VET-000251597) ed è curata da Lorenzo Calvelli, Franz Fischer, Elisa Corrò e Sabrina Pesce. Oltre a Istanbul e a Ca’ Foscari, il progetto prevede anche il coinvolgimento di diversi partner internazionali: la direzione provinciale Cultura e Turismo di Antalya (Turchia), l’università Complutense di Madrid (Spagna) e il ministero della Cultura (Italia).

L’obiettivo del progetto Digitalia è ambizioso: formare una nuova generazione di esperti in grado di applicare strumenti digitali avanzati alla tutela del patrimonio culturale materiale. Negli ultimi anni, in contesti particolarmente soggetti a rischi ambientali e catastrofi, quali la Turchia, l’Italia e la Spagna, si è reso necessario potenziare la capacità di risposta e adattamento attraverso programmi di formazione mirata, al fine di affrontare due delle principali sfide contemporanee: la transizione digitale e l’aumento del rischio connesso ai disastri naturali, promuovendo l’integrazione delle tecnologie digitali nei processi di gestione e tutela del patrimonio culturale. In un contesto in cui la digitalizzazione ha trasformato il modo in cui viviamo, lavoriamo e interagiamo, anche il settore dei beni culturali è chiamato a evolversi. La pandemia di Covid-19 ha accelerato l’adozione di soluzioni digitali, mettendo in evidenza l’importanza di disporre di competenze specifiche per la gestione del patrimonio attraverso strumenti tecnologici avanzati. Tuttavia, la carenza di professionisti specializzati rappresenta un ostacolo significativo alla piena attuazione delle strategie europee: la Commissione Europea, attraverso la Raccomandazione (UE) 2021/1970 del 10 novembre 2021, ha fissato l’obiettivo di guidare la trasformazione digitale dell’Europa entro il 2030. Per rendere concretamente raggiungibile questo traguardo è fondamentale investire nella formazione di coordinatori, specialisti ed educatori che siano dotati di una visione ampia e di competenze adeguate. Digitalia interviene proprio in questo scenario, offrendo percorsi di formazione concreti, interdisciplinari e orientati al mercato del lavoro, rivolti sia a studenti universitari, che a professionisti. “Attraverso interviste e questionari somministrati a professionisti del settore”, afferma Lorenzo Calvelli, coordinatore del team dell’università Ca’ Foscari, “sono emerse necessità specifiche che hanno guidato la definizione dei contenuti di un ciclo di incontro di Virtual Training concepiti dal nostro Ateneo per rispondere direttamente alle competenze richieste dagli intervistati. Questo approccio partecipativo garantisce che i workshops rispondano in modo concreto alle esigenze del comparto culturale, offrendo strumenti e conoscenze immediatamente applicabili”. Quattro incontri, otto ore complessive di formazione, un team interdisciplinare.

Si comincia mercoledì 11 giugno 2025 con una sessione tutta veneziana: Elisa CorròSabrina PescePaola Peratello e Tatiana Tommasi, studiose afferenti all’università Ca’ Foscari, che guideranno i partecipanti attraverso le sfide e le potenzialità della digitalizzazione di manufatti archeologici ed epigrafici. Come si trasforma un’iscrizione romana in un oggetto 3D? Quali sono le tecnologie più efficaci per conservare e condividere i risultati? Combinando aspetti teorici e pratici, il seminario offrirà risposte pratiche attraverso l’analisi di casi reali.

Giovedì 12 giugno 2025 sarà la volta di Nevio Danelon (Sapienza Università di Roma), che affronterà un tema centrale per la gestione del territorio: l’uso dei Sistemi Informativi Geografici (GIS) nel contesto dei beni culturali. I GIS consentono di mappare, monitorare e correlare dati spaziali con estrema precisione, aprendo nuove possibilità per la ricerca, la valorizzazione e la prevenzione dei danni. Si tratta di una tecnologia che ha rivoluzionato la gestione del patrimonio, rendendo possibile la pianificazione di interventi mirati e sostenibili.

Il terzo incontro, previsto per giovedì 19 giugno 2025, ospiterà Chiara Tomaini, dell’Istituto Veneto per i Beni Culturali. Il tema è quanto mai attuale: la gestione del rischio e la prevenzione dei disastri applicata ai beni culturali. Che cosa succede quando un terremoto colpisce un’area archeologica? Il seminario affronta le emergenze causate da fenomeni naturali e attività antropiche attraverso un approccio concreto, basato sull’analisi di scenari reali.

Infine, venerdì 20 giugno 2025, Eleonora Delpozzo (università Ca’ Foscari) chiuderà il ciclo con un focus sul Building Information Modeling (BIM), una tecnologia che nasce nell’ambito dell’ingegneria e dell’architettura, ma che trova ora nuove applicazioni nei contesti archeologici. Grazie al BIM, è possibile creare modelli digitali tridimensionali altamente dettagliati e interattivi, rivoluzionando la conservazione e la valorizzazione dei reperti.

Roma. Per “Dialoghi in Curia” incontro, in presenza e on line, con Rüstem Aslan, direttore degli scavi archeologici di Troia in Turchia, su “Troy. Story of a City from Myth to Archaeology” nell’ambito della mostra “Il viaggio di Enea. Da Troia a Roma” al Tempio di Romolo nel Foro Romano

roma_dialoghi-in-curia_troy-story-of-a-city-from-myth-to-archaeology_locandina“Troy. Story of a City from Myth to Archaeology” con Rüstem Aslan, direttore degli scavi archeologici di Troia in Turchia, è il nuovo appuntamento della rassegna “Dialoghi in Curia” del parco archeologico del Colosseo, inserito nel ciclo di conferenze attorno alla mostra “Il viaggio di Enea da Troia a Roma” allestita al Tempio di Romolo nel Foro Romano, cui appunto è legato un interessante programma di conferenze e visite guidate mirate all’approfondimento di temi specifici o dei luoghi del parco archeologico del Colosseo legati al mito di Enea. Venerdì 24 marzo 2023, alle 16.30, la Curia Iulia ospita la conferenza “Troy. Story of a City from Myth to Archaeology” di Rüstem Aslan, direttore degli scavi archeologici di Troia in Turchia, che illustrerà la storia del sito e delle indagini che, iniziate più di un secolo fa, hanno stabilito una cronologia fondamentale per lo studio di questa area del Mediterraneo orientale. Introduce Alfonsina Russo, direttrice del parco archeologico del Colosseo. La conferenza sarà tenuta in lingua inglese. Saranno distribuite copie della relazione in lingua italiana. Ingresso da largo della Salara Vecchia, 5. L’evento potrà essere seguito in presenza con prenotazione su https://www.eventbrite.it/e/565153227517 o, in alternativa, in streaming su https://www.facebook.com/parcocolosseo. Successivamente pubblicato su YouTube.

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Rüstem Aslan, responsabile dell’area archeologica di Troia

Rüstem Aslan si è laureato all’università di Istanbul, Facoltà di Lettere, Dipartimento di Preistoria. Nel 1988 ha partecipato come studente agli scavi archeologici di Troia iniziati dal prof. dr. M. Osman Korfmann. Dopo gli studi universitari, ha svolto gli studi di master e di dottorato su Troia e Troas sotto la guida del prof. Korfmann all’università di Tubinga (Germania). Dal 1988, oltre al suo lavoro in qualità di archeologo in diverse zone dell’Anatolia (Tekirdag, Urfa, Diyarbakir), ha partecipato ininterrottamente agli scavi di Troia. Dopo la morte del prof. Korfmann nel 2005, è diventato co-direttore degli scavi di Troia per poi divenirne direttore dal 2013. Rüstem Aslan è inoltre docente al Dipartimento di Archeologia dell’università Onsekiz Mart di Çanakkale, autore di numerosi libri e articoli su Troia e Troas in turco, inglese e tedesco, nonché di libri tradotti in inglese e in tedesco.

Ultime scoperte delle missioni archeologiche italiane all’estero. Al museo Classis Ravenna per “Classe al chiaro di luna” protagonista Nicolò Marchetti con “Da Karkemish a Ninive. Scavi e ricerche archeologiche dell’università di Bologna in Turchia e in Iraq”

Il manifesto delle manifestazioni “Classis al chiaro di luna”

L’archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

“Classe al chiaro di luna” questa settimana ci porta alla scoperta delle missioni archeologiche dell’università di Bologna in Turchia e Iraq con il direttore delle due aree di ricerca, il prof. Nicolò Marchetti. Mercoledì 24 luglio 2019, alle 21, al museo Classis Ravenna, per “Museo Classis. Missioni archeologiche all’estero: le ultime scoperte” la conferenza a ingresso gratuito “Da Karkemish a Ninive. Scavi e ricerche archeologiche dell’Università di Bologna in Turchia e in Iraq” con Nicolò Marchetti, professore di Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico all’università di Bologna, dal 2011 direttore della missione archeologica turco-italiana a Karkemish e dal 2016 direttore della missione archeologica italo-irachena per la ricognizione di superficie del settore orientale della regione di Qadissiya (QADIS).

Muri scolpiti, bassorilievi, sculture, fregi risalenti al 900 a.C. a Karkemish in Turchia (foto della missione italo-turca)

Bassorilievi dallo scavo di Karkemish in Turchia (foto della missione italo-turca)

“Il sito archeologico di Karkemish in Turchia sud-orientale”, spiegano gli archeologi dell’università di Bologna, “è una delle più importanti capitali del Vicino Oriente preclassico. Attestato nella documentazione cuneiforme fin dal 2300 a.C., Karkemish è uno dei principali regni al tempo di Hammurabi di Babilonia, poi la sede del viceré ittita e infine un centro di straordinaria monumentalità artistica nell’Età del Ferro, fino alla distruzione assira del 717 a.C., che viene seguita da una nuova fioritura nel VII sec. a.C. fino a divenire più tardi una città romana provinciale. Le imponenti rovine del sito, con mura alte fino a 20 m che racchiudono un’area di 90 ettari, sono state oggetto di celebri campagne di scavo condotte tra il 1911 e il 1920 dal British Museum con C.L. Woolley e T.E. Lawrence (d’Arabia). Le ricerche si sono poi interrotte a causa della presenza di un’installazione militare. Nell’autunno del 2011 una missione congiunta turco-italiana con le università di Bologna, Istanbul e Gaziantep, ha avviato una prima, nuova campagna di scavi e restauri, nel quadro di un progetto integrato di ricerca attivo nella regione di Gaziantep dal 2003. Il nuovo progetto, di lunga durata, intende realizzare sul sito anche un parco archeologico e ambientale in vista della valorizzazione della provincia di Karkamış”. Muri scolpiti, bassorilievi, sculture, fregi risalenti al 900 a.C.: è un tesoro inestimabile quello venuto alla luce a Karkemish: “Scoperte così non se ne facevano da 50 anni”, sottolinea Nicolò Marchetti. “Una scoperta sensazionale, eravamo emozionati”. Dal punto di vista operativo è un “paradiso, anche se il nostro isolamento è presto destinato a finire”, dichiarava qualche anno fa l’archeologo, svelando gli ambiziosi piani futuri per l’area, con la creazione di un parco archeologico. Un progetto già in fase avanzata in cui Marchetti crede molto: “Vogliamo che questa regione abbia uno sviluppo economico dal turismo, ci sembra giusto ed etico”.

Planimetria del progetto Qadis della missione italo-irachena a Qadisiyah (foto Unibo)

L’archeologo Nicolò Marchetti a Karkemish (Turchia) e a Qadisiyah (Iraq)

Le campagne archeologiche nella zone di Qadisiyah e al-Kut in Iraq hanno avuto l’obiettivo di reperire dati sul popolamento, sulla cultura materiale e sul rapporto tra uomo e territorio nell’antica Mesopotamia. I dati raccolti e il lavoro archeologico saranno la base per organizzare attività di training per il personale impiegato nel settore dei beni culturali in Iraq, corsi nelle scuole superiori sull’importanza del patrimonio culturale e per lavorare in alcuni importanti musei a Baghdad e in zone provinciali come Kufa e Qadisiyah. Ma l’impegno dell’università di Bologna in Iraq non finisce qui. L’Alma Mater è attiva infatti nel paese mediorientale anche con Qadis: progetto congiunto italo-iracheno diretto da Nicolò Marchetti e pensato per la ricognizione mirata di siti archeologici. Il punto di partenza di Qadis risale al lavoro svolto tra gli anni ’60 e ’70 da una équipe americana diretta da Robert Mc. Adams (Università di Chicago). L’obiettivo è comprendere, grazie a metodologie e tecnologie innovative, l’evoluzione degli insediamenti e dell’utilizzo del territorio nell’area orientale della moderna regione di Qadisiyah, in Iraq centrale. I ricercatori di Qadis utilizzano immagini satellitari (Google Earth, ESRI, Bing Maps, Corona), foto da droni (sia quadricotteri, sia velivoli monoala), ricerche geoarcheologiche con carotaggi, ricognizioni sul campo e sondaggi stratigrafici. Tutte attività che nascono dalla collaborazione tra archeologi e topografi di università di Bologna, State Board of Antiquities and Heritage, università di Qadisiyah e università di Kufa. Metodologie d’indagine innovative, grazie alle quali è stato possibile scoprire nuovi siti archeologici e definire i percorsi degli antichi canali d’acqua, vere e proprie vie di comunicazione dell’antica Mesopotamia. Le immagini scattate con i droni hanno inoltre permesso di ricostruire gli impianti urbani di alcuni siti risalenti a più di 4000 anni fa, come Puzrish Dagan (Tell Drehem), Tummal (Tell Dlehim) e Umm al-Fugas.

A Karkemish, città-stato ittita al confine tra Turchia e Siria, torna a risuonare al voce di Sargon II zittita da Nabucodonosor II. La missione italo-turca guidata da Nicolò Marchetti dell’università di Bologna ha scoperto in fondo a un pozzo tre tavolette del grande re assiro fatte sparire dal sovrano babilonese

Un leone in marcia scolpito su un ortostato della città-stato ittita di Karkemish, al confine tra Turchia e Siria

Un leone in marcia scolpito su un ortostato della città-stato ittita di Karkemish, al confine tra Turchia e Siria

Sargon II, grande re assiro

Sargon II, grande re assiro

Nabucodonosor II lo sapeva. La conquista di Karkemish, la potente città in posizione strategica tra l’Anatolia ittita e la Mesopotamia assira, non sarebbe bastata a cancellare il ricordo del grande re assiro Sargon II (721-705 a.C.) che più di cento anni prima, sul finire dell’VIII sec. a.C., aveva costruito un impero in Vicino Oriente, nella Mezzaluna Fertile, conquistando Samaria, Damasco, Gaza e, nel 717, anche Karkemish, città-stato ittita che sorgeva sul corso dell’Eufrate, dove oggi corre il confine tra Siria e Turchia. Lo spettro di Sargon aleggiava ancora. Le sue parole sembravano ancora vive nella memoria della gente. Lui che sintetizzava così la sua vita: “Io sono Sargon, re forte, re di Akkad. Mia madre era una sacerdotessa; mio padre non lo conosco; era uno di quelli che abitano le montagne. Il mio paese è Azupiranu sull’Eufrate. La sacerdotessa mia madre mi concepì e mi generò in segreto; mi depose in un paniere di giunco, chiuse il coperchio con del bitume, mi affidò al fiume che non mi sommerse. I flutti mi trascinarono e mi portarono da Aqqui, l’addetto a raccogliere acqua. Aqqui, immergendo il suo secchio, mi raccolse. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi adottò come figlio e mi allevò. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi fece suo giardiniere. Durante il periodo in cui ero giardiniere la dea Ishtar mi amò. Per… anni io fui re”. Quella voce doveva essere spenta. Così Nabucodonosor fece distruggere tutti i documenti di Sargon affidandoli all’oblio del tempo. Fino all’arrivo degli archeologi. E la voce di Sargon è tornata a risuonare.

Una delle tavolette di argilla con testi in cuneiforme celebrativi di Sargon II trovata dalla missione archeologica dell'università di Bologna a Karkemish

Una delle tavolette di argilla con testi in cuneiforme celebrativi di Sargon II trovata dalla missione archeologica dell’università di Bologna a Karkemish

Tre preziosi frammenti di tavolette d’argilla, che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro Sargon II, sono stati scoperti in fondo a un pozzo (a 14 metri di profondità), nel sito di Karkemish, dalla missione archeologica italo-turca avviata nel 2011 dall’università di Bologna insieme agli atenei turchi di Gaziantep e Istanbul. Le tavolette furono gettate in fondo a un pozzo su ordine del re babilonese Nabucodonosor II, per essere per sempre dimenticate. Scrive Sargon: “Ho costruito, aperto nuovi corsi d’acqua, incrementato la produzione di grano, rinforzato le porte con cerniere di bronzo, allargato i granai, costituito un esercito con 50 carri, 200 cavalli, tremila fanti. E ho reso il popolo felice, fiducioso in se stesso”.

La mappa del sito archeologico di Karkemish studiato dalla missione archeologica italo-turca guidata dall'università di Bologna

La mappa del sito archeologico di Karkemish studiato dalla missione archeologica italo-turca guidata dall’università di Bologna

Spesso paragonata a città gloriose come Troia, Ur, Gerusalemme, Petra e Babilonia, Karkemish è stato un centro di straordinaria importanza. Abitato almeno dal VI millennio a.C., a partire dal 2300 acquista un ruolo centrale nella regione e diviene contesa da ittiti, assiri e babilonesi. Solo con l’impero romano inizia il suo declino, che termina nell’Alto Medioevo, attorno al X secolo, quando la città viene definitivamente abbandonata e dimenticata. Ricompare solo alla fine dell’800. Fu allora che una serie di campagne esplorative promosse dal British Museum (ci lavorò anche Lawrence d’Arabia) riportarono per la prima volta alla luce le tracce del suo grande passato. Un’opera di riscoperta che oggi è passata nelle mani dell’Alma Mater, con un progetto di scavo guidato dal prof. Nicolò Marchetti che, al suo quinto anno di attività, è finito – letteralmente – in fondo a un pozzo. Per riemergere con le parole ritrovate del re Sargon II.

L'archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

L’archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

Tre frammenti di tavolette d’argilla”, ricorda Marchetti, “che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro. Frasi autocelebrative, che esaltano le vittorie militari e le misure a favore della popolazione. Frasi che, proprio per il loro carattere propagandistico, furono fatte sparire, gettate in fondo a un pozzo su ordine di Nabucodonosor II, il re babilonese che nel 605, dopo un lungo assedio, strappò Karkemish al controllo assiro. Cancellare le tracce e i simboli del nemico sconfitto è una pratica che attraversa tutta la storia dell’umanità e che ancora oggi, purtroppo, viene praticata”.

Il pozzo di Karkemish in fondo al quale sono stati trovati i frammenti di tre tavolette con testi celebrativi di Sargon

Il pozzo di Karkemish in fondo al quale sono stati trovati i frammenti di tre tavolette con testi celebrativi di Sargon

Il pozzo è stato rinvenuto dalla missione italo-turca nell’area dove un tempo sorgeva il palazzo di re Katuwa, costruito attorno al 900 a.C. e ampliato e modificato da Sargon II. Gli archeologi dell’Alma Mater si sono calati nella stretta imboccatura, scendendo fino a 14 metri sotto al livello del suolo. Lì, sul fondo, è stata trovata una fitta serie di oggetti e utensili di ambito amministrativo, letterario e decorativo: gettoni d’argilla (tokens) per la contabilità, recipienti di bronzo e di pietra, un’armatura di ferro e i tre frammenti di tavolette d’argilla con le parole di Sargon II. Oltre al pozzo, i lavori della missione archeologica dell’Alma Mater hanno portato alla luce anche tre ortostati, lastre di pietra con funzioni sia di sostegno che decorative, in ottime condizioni. In uno è rappresentato un leone in marcia, mentre nelle altre due sono incisi un toro alato e un dio-ibex alato, con un volto umano. Quest’ultimo, in particolare, rappresenta un caso unico nel campo dell’arte neo-ittita. Puliti e restaurati, gli ortostati sono stati lasciati nell’area del palazzo di re Katuwa, ed è stato inoltre completata la rilevazione digitale ad alta precisione della mappa dell’antica città. Tutti interventi che puntano a far nascere un parco archeologico che possa attirare turisti e visitatori a Karkemish, coinvolgendoli in un’esperienza immersiva tra storia e attualità.