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Pompei. Alla Biblioteca “Fiorelli” del parco archeologico presentazione del libro “Donne e Grand Tour. Viaggiatrici a Napoli, Pompei, Ercolano e Vesuvio tra ‘700 e ‘800” di Luciana Jacobelli (università del Molise) con Stefano de Caro promossa dall’associazione internazionale Amici di Pompei ETS

Doppio appuntamento a fine maggio con l’associazione internazionale Amici di Pompei ETS. Si comincia giovedì 22 maggio 2025, alle 17, alla Biblioteca del parco archeologico di Pompei “G. Fiorelli”, in via Plinio, con la presentazione del libro “Donne e Grand Tour. Viaggiatrici a Napoli, Pompei, Ercolano e Vesuvio tra ‘700 e ‘800” di Luciana Jacobelli dell’università del Molise da parte di Stefano de Caro, con una introduzione di Antonio Varone, presidente degli Amici di Pompei. Sarà presente l’autrice.

Copertina del libro “Donne e Grand Tour. Viaggiatrici a Napoli, Pompei, Ercolano e Vesuvio tra ‘700 e ‘800” di Luciana Jacobelli

Donne e Grand Tour (Arbor Sapientiae editore). Il testo è un percorso alla scoperta di alcune delle tante donne viaggiatrici che hanno scritto nel periodo del Grand Tour. Sul Grand Tour è stato detto e scritto moltissimo, tuttavia è un argomento che può ancora riservare risvolti interessanti se lo si guarda da una prospettiva diversa, quella del viaggio al femminile. Negli ultimi anni si è aperto un filone di studi su questo argomento che ha toccato periodi, modalità e fini diversi, ma ancora molto resta da fare. Basti pensare che mentre gran parte dei resoconti di viaggio maschili sono facilmente accessibili, pubblicati e anche tradotti in varie lingue, i resoconti di viaggio delle donne sono spesso di difficile reperimento o mai dati alle stampe. Da un recente studio è stato calcolato che tra il 1770 e il 1870 il 20% della letteratura odeporica è scritta da donne, ma solo il 6% è pubblicato. Questo libro non ha la pretesa di colmare tali lacune, né di affrontare il complesso mondo dei viaggi al femminile, ma solo di contribuire a divulgare una tematica ancora poco nota ad un pubblico più vasto di quello degli addetti ai lavori e di restituire visibilità ad opere che avrebbero meritato una maggiore fortuna.

San Lorenzo Bellizzi (Cs). Nella Grotta del Conoide di Pietra Sant’Angelo al via la prima campagna di ricerche speleo-archeologiche del 2025

Riprendono il 5 maggio 2025 le ricerche sulla Pietra Sant’Angelo, massiccio roccioso – nel comune di San Lorenzo Bellizzi (Cs), ubicato nell’alta valle del Torrente Raganello, un luogo ricco di fenomeni sotterranei e siti preistorici. Obiettivo della prima campagna del 2025 – altre seguiranno fino all’autunno – è l’esplorazione della Grotta del Conoide, cavità di modesto sviluppo ma con consistenti tracce di una frequentazione antropica inquadrabile, nei livelli sommitali della stratigrafia, nel corso dell’età del Bronzo. Tre le finalità dell’intervento: 1) l’esplorazione del deposito sedimentario interno; 2) l’accertamento delle possibili relazioni della cavità con un sottostante abitato all’aperto di età pre-protostorica; 3) la verifica, mediante ricognizioni, della probabile esistenza di altre aree archeologiche circostanti, tanto a livello epigeo che ipogeo. Le ricerche sono svolte in regime di concessione ministeriale sotto la direzione congiunta della prof.ssa Antonella Minelli (università del Molise) e del dr. Felice Larocca (Centro di ricerca speleo-archeologica “Enzo dei Medici”). Alla campagna offre il suo sostegno fattivo, come sempre, il Comune di San Lorenzo Bellizzi.

Ricerche spelo-archeologiche nella Grotta del Conide di Pietra Sant’Angelo a San Lorenzo Bellizzi (Cs) (foto centro enzo dei medici)

La Grotta di Pietra Sant’Angelo non è una cavità di grandi dimensioni o estensione: è infatti formata da un’unica condotta lineare ampiamente invasa dalla luce esterna che penetra da un ampio ingresso. Lunga poco più di 20 metri, essa rappresenta una delle tante grotte e caverne che contraddistinguono il massiccio roccioso omonimo. L’imbocco si apre alla quota di 850 metri circa s.l.m. La cavità, nota e censita sin dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, ha palesato la presenza di un eccezionale giacimento archeologico con evidenze riferibili ad un ampio arco di tempo, esteso dal Paleolitico all’Eneolitico, con sporadiche attestazioni di frequentazioni più recenti. La scoperta di una sepoltura datata col radiocarbonio a 7000 anni da oggi, in piena età neolitica, ha connotato il sito per le sue valenze funerarie anche se molti altri elementi, in un’ottica diacronica, lo contraddistinguono soprattutto come luogo di bivacco temporaneo. I livelli più antichi toccati finora dall’indagine archeologica sono riferiti al Paleolitico superiore (focolare datato a 14.500 anni da oggi, associato a resti di fauna e abbondanti manufatti e schegge in selce). Sopra i livelli paleolitici compare l’intera sequenza neolitica, contraddistinta da tutte le sue fasi (antica, media e recente), cui si sovrappongono elementi di età eneolitica.

Napoli. Alla Médiathèque de l’Institut français presentazione del libro “Terra sigillata della Baia di Napoli. Tipologia, produzione e diffusione” di Giovanni Borriello

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Martedì 19 novembre 2024, alle 17.30, alla Médiathèque de l’Institut français Napoli, a Palazzo “il Grenoble” in via Francesco Crispi 86 a Napoli, presentazione del libro “Terra sigillata della Baia di Napoli. Tipologia, produzione e diffusione” di Giovanni Borriello che si propone una nuova tipologia basata sia sui rinvenimenti effettuati nel porto di Neapolis che sulle evidenze edite. Oltre a raccogliere un elevato numero di reperti bollati, vengono definite le principali officine attive nella realizzazione di tali prodotti e la diffusione nelle province romane. Dopo i saluti di Lise Moutoumalaya, Console Generale di Francia a Napoli; Valérie Huet e Priscilla Munzi, Centre Jean Bérard, (CNRS – EFR); Matteo D’Acunto, università di Napoli L’Orientale; Stefano lavarone, soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il comune di Napoli; presentano Daniele Malfitana, università di Catania – Scuola Superiore; Laetitia Cavassa, CNRS, Centre Camille Jullian – Maison méditerranéenne des sciences de l’homme. Ne discutono con l’autore Gianluca Sorricelli, università del Molise; Marco Giglio, università di Napoli L’Orientale. Modera Marcella Leone, CNRS, Centre Jean Bérard. “Una bella occasione per riflettere sull’importanza degli studi sulla cultura materiale del mondo antico e sulle implicazioni storiche, politiche ed economiche che il frammento ceramico è in grado di dare. Un messaggio molto chiaro per gli studenti dei nostri corsi di laurea in archeologia”.

Pompei. All’auditorium l’incontro con l’archeologo Gianluca Soricelli (università del Molise) su “Viabilità e organizzazione del territorio nella piana nocerina” promosso dall’associazione internazionale “Amici di Pompei”    

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Il prof. Gianluca Soricelli dell’università del Molise

Gli effetti delle eruzioni del Vesuvio sulla piana nocerina saranno affrontati dal professore Gianluca Soricelli nella conferenza “Viabilità e organizzazione del territorio nella piana nocerina” promossa dall’associazione internazionale Amici di Pompei ETS. Appuntamento venerdì 17 maggio 2024, alle 17, all’auditorium degli scavi di Pompei. Durante l’incontro l’archeologo Soricelli, professore associato di storia Romana dell’università del Molise, racconterà l’evoluzione, del territorio della piana nocerina, condizionata dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., e da quelle successive meno intense. L’evento vulcanico, come sottolinea il professore, rappresenta una evidente cesura nelle forme di occupazione territoriale del comprensorio vesuviano, che permette di riconoscere segni del sistema politico organizzativo antico fossilizzati nel paesaggio moderno. È possibile evidenziare le tracce delle divisioni agrarie che, riflesso delle vicende politiche e dei fenomeni naturali che in età antica hanno caratterizzato la storia delle comunità di questo territorio, hanno modellato le campagne e la viabilità promuovendo lo sviluppo dell’insediamento rurale.

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Miliario adrianeo conservato al museo Archeologico provinciale dell’Agro Nocerino a Nocera Inferiore (foto amici pompei)

“Il vantaggio che, diversamente da altri contesti geografici”, spiega il professore Gianluca Soricelli, “il territorio vesuviano offre a chi voglia studiare le forme di organizzazione di un paesaggio antico è legato al fatto che la coltre piroclastica cha ha seppellito le campagne del 79 d.C. ha permesso la conservazione fisica non solo degli insediamenti rustici ma anche della viabilità rurale e vicinale e dei campi lavorati garantendo la conservazione di un quadro puntuale della reale organizzazione parcellare di età romana, da utilizzare per valutare la coerenza delle ricostruzioni operate a partire dall’analisi del parcellare moderno. Il rapido ripristino di queste divisioni agrarie – conclude Soricelli – all’indomani dell’eruzione del 79 d.C. oltre a testimoniare la capacità di recupero di questo territorio e la resilienza della popolazione locale, mostra con quali mezzi e in che modo il potere centrale potesse intervenire per sanare i danni prodotti da catastrofi naturali”.

San Lorenzo Bellizzi (Cs). Convegno “Da Ötzi all’Uomo della Pietra Sant’Angelo. La preistoria dell’Italia scritta nel nostro DNA” a margine della sesta campagna di scavi 2023 nella Grotta di Pietra Sant’Angelo, eccezionale giacimento archeologico con evidenze dal Paleolitico all’Eneolitico

san-lorenzo-bellizzi_grotta-sant-angelo-conferenza-da-oetzi-all-uomo-della-pietra-sant-angelo_locandinaSesta campagna di scavi 2023 di tre settimane nella Grotta di Pietra Sant’Angelo, a San Lorenzo Bellizzi (Cs), condotta in collaborazione tra l’università del Molise e l’università di Bari Aldo Moro, con il supporto del Comune di San Lorenzo Bellizzi. La Missione di ricerca universitaria che opera nel sito e il Comune di San Lorenzo Bellizzi hanno organizzato per l’occasione una conferenza pubblica sui risultati delle indagini condotte sul DNA di un individuo seppellito nella cavità 7000 anni fa nonché sulla popolazione moderna di San Lorenzo Bellizzi. Relazioneranno i ricercatori del Laboratorio del DNA antico dell’università di Bologna e sarà presente la soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Cosenza. Modererà la conferenza il giornalista Andrea Mazzotta. Appuntamento martedì 19 settembre 2023, alle 17.30, al Centro Polifunzionale di San Lorenzo Bellizzi (Rione Sgrotto) per l’evento “Da Ötzi all’Uomo della Pietra Sant’Angelo. La preistoria dell’Italia scritta nel nostro DNA”. Dopo i saluti del sindaco Antonio Cersosimo e della soprintendente Paola Aurino, intervengono Mariangela Barbato (Sabap Cosenza) su “La ricerca speleo-archeologica nella Calabria settentrionale”; Felice Larocca (centro di ricerca “Enzo de Medici”, università di Bari) su “La Pietra Sant’Angelo. Introduzione al contesto speleo-archeologico”; Antonella Minelli (università del Molise) su “La scoperta e lo scavo dell’Uomo della Pietra Sant’Angelo”; Donata Luiselli (università di Bologna) su “I nostri geni raccontano…”; Francesco Fontani (università di Bologna, laboratorio del Dna antico) su “Lo studio bio-archeologico dell’Uomo della Pietra Sant’Angelo”. Conclusioni affidate alla soprintendente Paola Aurino.

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L’ingresso della Grotta di Pietra Sant’Angelo prima che iniziassero gli scavi archeologici (foto dagli archivi del C.R.S. “Enzo dei Medici”)

La Grotta di Pietra Sant’Angelo, nota e censita sin dalla fine degli anni Settanta – si legge sul sito del centro regionale di Speleologia “Enzo dei Medici” -, ha palesato la presenza di un eccezionale giacimento archeologico con evidenze riferibili ad un ampio arco di tempo, esteso dal Paleolitico all’Eneolitico, con sporadiche attestazioni di frequentazioni più recenti. La scoperta di una sepoltura datata col radiocarbonio a 7000 anni da oggi, in piena età neolitica, ha connotato il sito per le sue valenze funerarie anche se molti altri elementi, in un’ottica diacronica, lo contraddistinguono soprattutto come luogo di bivacco temporaneo. I livelli più antichi toccati finora dall’indagine archeologica sono riferiti al Paleolitico superiore (focolare datato a 14500 anni da oggi, associato a resti di fauna e abbondanti manufatti e schegge in selce). Sopra i livelli paleolitici compare l’intera sequenza neolitica, contraddistinta da tutte le sue fasi (antica, media e recente), cui si sovrappongono elementi di età eneolitica.

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Grotta di Pietra Sant’Angelo: scavi nell’ampia antegrotta, a ridosso dell’ingresso della cavità (foto dagli archivi del C.R.S. “Enzo dei Medici”)

La campagna di ricerche del 2023 si concentra in tre aree distinte: 1) nella più avanzata antegrotta, ad immediato contatto con la superficie; 2) nell’antegrotta più profonda, caratterizzata da una marcata penombra; 3) in una camera terminale, completamente oscura. Gli obiettivi sono fondamentalmente due: 1) definire meglio la natura delle frequentazioni umane neo-eneolitiche; 2) proseguire l’esplorazione del deposito pleistocenico che alcune considerazioni fanno ritenere ancora molto profondo. Parallelamente ai lavori sul terreno saranno effettuate attività laboratoriali sui reperti acquisiti (all’interno del locale Centro di ricerca speleo-archeologica e Laboratorio di Paletnologia). Sono previste anche, a margine degli scavi, ricognizioni nel territorio circostante la Grotta di Pietra Sant’Angelo, alla ricerca di nuovi siti d’interesse archeologico, nonché interventi di documentazione in grotta (a fini topografici, fotografici, ma anche in funzione della georeferenziazione degli stessi siti).

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Grotta di Pietra Sant’Angelo: scavi nel settore più interno della cavità (foto dagli archivi del C.R.S. “Enzo dei Medici”)

La direzione scientifica della campagna di scavi 2023 è affidata alla prof.ssa Antonella Minelli (università del Molise, dipartimento di Scienze umanistiche, Sociali e della Formazione) e dr. Felice Larocca (università di Bari Aldo Moro, Gruppo di ricerca speleo-archeologica). Con la Missione di ricerca collaborano altre Università per lo studio di aspetti specialistici: Alma Mater Studiorum – università di Bologna, dipartimento di Beni culturali, Laboratorio del DNA antico (referente: prof.ssa Donata Luiselli); università di Torino, dip. di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi, laboratorio di Antropologia morfologica (referente: prof.ssa Rosa Boano); university of Coimbra, centre of Studies in Geography and Spatial planning, department of Geography and Tourism, Portugal (referente: prof. Luca Antonio Dimuccio).

Napoli. Al museo Archeologico nazionale “Speciale Bizantini”: tre incontri per approfondire il progetto scientifico della mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario”

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La mostra “Bizantini” nel Salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto sergio siano)

“Bizantini”: è una delle grandi mostre che il 2022 lascia in eredità al nuovo anno. Salvo proroghe, a museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario”, curata da Federico Marazzi (università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli), rimarrà aperta fino al 13 febbraio 2023. In queste settimane il Mann promuove “Speciale Bizantini”: tre incontri per approfondire il progetto scientifico dell’esposizione sviluppato da un team di studiosi italiani della civiltà bizantina, team guidato dallo stesso Federico Marazzi e composto da Lucia Arcifa, Ermanno Arslan, Isabella Baldini, Salvatore Cosentino, Edoardo Crisci, Alessandra Guiglia, Marilena Maniaci, Rossana Martorelli, Andrea Paribeni ed Enrico Zanini (vedi Grandi mostre tra 2022 e 2023. Al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” curata da Federico Marazzi. L’introduzione del direttore Paolo Giulierini | archeologiavocidalpassato).

napoli_mann_speciale-mostra-i-bizantini_tre-incontri_locandinaSpeciale Bizantini: luoghi, simboli e comunità di un impero millenario. Si inizia mercoledì 1° febbraio 2023: alle 16.30, in sala Conferenze del Mann, l’incontro “L’eredità culturale del monachesimo italo-greco nel Mezzogiorno”. Dopo i saluti del direttore Paolo Giulierini, intervengono Rosanna Alaggio (università del Molise) e il saggista Giovanni Russo. Modera Claudio Bocci, presidente Cultura del Viaggio. Si prosegue lunedì 6 febbraio 2023: alle 16.30, in sala Conferenze del Mann, presentazione del libro “Costantinopoli. I luoghi dell’Archeologia” di Enrico Zanini. Dopo i saluti del direttore Paolo Giulierini, con l’autore Zanini intervengono Federico Marazzi (università Suor Orsola Benincasa di Napoli), Riccardo Santangeli Valenzani (università Roma Tre) e Silvia Pedone (accademia nazionale dei Lincei). Il ciclo si chiude giovedì 9 febbraio 2023. Alle 16, nell’auditorium del Mann, per “Incontri di Archeologia – XXVIII edizione”, dopo i saluti del direttore Paolo Giulierini, interviene Federico Marazzi su “Una lunga storia di libertà: il ducato “bizantino” di Napoli (VII-XII secolo)”.

Ostia antica. Il parco archeologico dopo alcuni decenni avvia il progetto di scavo e ricerca “Ostia Post Scriptum” in due contesti: dietro l’area dei Quattro Tempietti (Regio II) e nel foro di Porta Marina (Regio IV)

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Progetto “Ostia post scriptum”: nella planimetria dell’area archeologica di Ostia Antica indicate le due zone interessati da scavi e ricerche (foto parco ostia antica)

Il parco archeologico di Ostia antica avvia per la prima volta, dopo alcuni decenni, un proprio progetto di scavo e ricerca, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze umanistiche dell’università di Catania. Il progetto di ricerca, dal titolo “Ostia Post Scriptum” – proprio a indicare la ripresa delle attività di ricerca scientifica da parte del Parco – è volto a indagare con prospezioni geofisiche non invasive e saggi di scavo due contesti ostiensi di estremo interesse, ubicati rispettivamente nella Regio II, alle spalle dell’area dei Quattro Tempietti e della Domus di Apuleio, e nella Regio IV all’interno del Foro di Porta Marina, entrambi inseriti lungo i principali percorsi di visita dell’area archeologica di Ostia. Le ricerche sono programmate dal 29 agosto al 23 settembre 2022, con la partecipazione di docenti, ricercatori e studenti dei corsi di laurea, dottorato e specializzazione dell’università di Catania e con la collaborazione dell’università del Molise, sotto la supervisione del personale tecnico del parco archeologico di Ostia antica. Le indagini hanno principalmente finalità di ricerca scientifica e di formazione, ma mirano anche a un ampliamento della fruizione e della valorizzazione della stessa area archeologica attraverso l’organizzazione di iniziative di informazione e di divulgazione nell’ambito della public archaeology, con le quali si intende coinvolgere i visitatori (visite guidate al cantiere di scavo, conferenze e seminari sulle principali tematiche correlate alle ricerche, informazione sui canali social e web), da organizzarsi anche in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2022 (24 e 25 settembre 2022). Nel corso della campagna di scavo sui canali social del Parco sarà raccontato lo stato di avanzamento delle ricerche e le attività che si svolgeranno sul cantiere di scavo.

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Veduta panoramica dell’area archeologica di Ostia Antica (foto parco ostia antica)

Le ricerche assumono un carattere multidisciplinare, basato su un’indagine non invasiva ad ampio raggio affiancata da rilievi aerofotogrammetrici tramite drone e, naturalmente, sullo scavo stratigrafico. Preliminarmente all’avvio delle attività di scavo, infatti, è prevista una campagna di indagini non invasive, condotta con l’ausilio del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali (DIPBIOGEO) dell’università di Catania e del Dipartimento di Agricoltura, Ambiente e Alimenti dell’università del Molise. Le indagini, che comprenderanno prospezioni georadar e rilievo tramite drone equipaggiato con camera termica, saranno propedeutiche all’individuazione delle aree da sottoporre a indagine archeologica stratigrafica. Lo scavo, condotto nella rigorosa osservanza del metodo stratigrafico, sarà accompagnato dallo studio della cultura materiale e della gestione del catalogo e dei reperti mobili, oltre che dal rilievo e dalla ricostruzione tridimensionale di ogni singola struttura individuata, effettuati dagli allievi della Scuola di specializzazione in Beni architettonici e del Paesaggio dell’università di Catania e sotto la supervisione dello staff del Parco. Le attività di pulizia e studio dei reperti mobili saranno contestuali allo svolgimento dello scavo.

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Planimetria dell’area dei Quattro Tempietti nel parco archeologico di Ostia Antica (foto parco ostia antica)

I contesti d’indagine: l’area a nord dei Quattro Tempietti. L’obiettivo del progetto – da condurre attraverso una preliminare campagna di indagini non invasive e quindi tramite scavo archeologico estensivo – è quello di analizzare un settore della città posto in prossimità dell’antico corso del Tevere e ubicato in una zona assolutamente centrale sotto il profilo topografico, delimitata dall’edificio dei Grandi Horrea a ovest, dal santuario repubblicano dei Quattro Tempietti, dal Mitreo delle Sette Sfere e dalla Domus di Apuleio a Sud, e dal piazzale delle Corporazioni a Est. Sorprendentemente, a dispetto della sua centralità, quest’area non è stata mai indagata prima d’ora. Invece si tratta di un’area piuttosto interessante. Nel complesso, dunque, questo settore si presenta come ideale per le nuove attività di scavo del Parco, qualificandosi quale bacino stratigrafico intatto. Lo scavo archeologico dell’area, oltre a restituire una continuità di percorso di visita tra il piazzale delle Corporazioni e i Grandi Horrea repubblicani, si candida ad apportare un significativo incremento delle conoscenze sullo sviluppo topografico, monumentale e diacronico di questa parte della città, dall’età repubblicana a quella imperiale. Questi gli obiettivi dell’intervento: stabilire la tipologia e la funzione delle strutture ivi presenti; indagare ove possibile la relazione con il complesso cultuale dei Quattro Tempietti e la Domus di Apuleio e con gli edifici pubblici funzionali alle attività mercantili e portuali connesse al fiume; ricostruire lo sviluppo diacronico dell’area, accertando eventuali mutamenti nella destinazione d’uso.

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Planimetria del Foro di Porta Marina nel parco archeologico di Ostia Antica (foto

I contesti d’indagine: il Foro di Porta Marina. Il Foro di Porta Marina si colloca immediatamente al di fuori dell’omonima porta cittadina, in contiguità con quella che un tempo era l’antica linea di costa. Il complesso circoscrive un’area di forma rettangolare circondata su tre lati da un portico colonnato con capitelli dorici, interrotto al centro da esedre rettangolari (sui lati Est e Ovest) e da un’aula absidata (sul lato di fondo meridionale). Al centro dell’area sorge una struttura quadrata di incerta interpretazione, forse identificabile con un altare. A un livello più alto, una grande cisterna in opera cementizia si addossa al lato orientale del muro perimetrale del Foro, inserendosi tra l’aula absidata e le mura repubblicane della città. Sul lato opposto, leggermente arretrata rispetto all’aula absidata, si sviluppa una piccola costruzione con corte centrale e ambienti circostanti. Nel suo insieme, tutto il complesso è realizzato in opera mista (reticolato e ricorsi in laterizio) ed è generalmente datato in età traianeo-adrianea. L’area è stata già indagata in passato in due occasioni: nel 1940-‘41 in maniera estensiva, ma superficiale, e poi nel 1969 con alcuni saggi dai quali emersero diversi frammenti dei Fasti Ostienses, cronaca marmorea che ci conserva notizie preziose sulla storia politica e monumentale di Roma e Ostia stessa e la cui redazione si ritiene fosse prerogativa del pontifex Volcani, massima autorità religiosa di Ostia. Diverse le ipotesi proposte negli anni dagli studiosi relativamente alla funzione del Foro di Porta Marina. La più accreditata è che si tratti di un luogo di culto all’aperto, che per la sua posizione extraurbana, il ritrovamento dei Fasti e la sua contiguità con il santuario della Bona Dea, andrebbe messo in relazione con Vulcano, divinità tutelare della colonia, il cui tempio (o templi), non è stato ancora identificato: se così fosse, l’edificio di età imperiale sorgerebbe quindi su un luogo di culto di età molto più antica, le cui strutture non sono ancora venute alla luce. Questi gli obiettivi dell’intervento: stabilire la funzione del complesso; stabilire lo sviluppo diacronico del complesso, verificando la presenza di strutture sottostanti e precedenti alle attuali; indagare l’aula absidata e verificarne la relazione con la cisterna adiacente; ricostruire l’arredo marmoreo del foro e la relazione dei paramenti marmorei (già ritrovati) con le strutture; ritrovare nuovi frammenti dei Fasti.

Napoli. Al via il restauro del Mosaico della Battaglia di Isso, capolavoro simbolo, universalmente noto, dei tesori del Mann. Entro luglio 2021, sarà ultimato il cantiere aperto al pubblico. Il direttore Giulierini: “Scriviamo una pagina importante per la storia del Museo e la conservazione dei beni culturali”

Il grande mosaico della battaglia di Isso tra Alessandro Magno e Dario III dalla Casa del Fauno di Pompei, simbolo del Mann (foto Pedicini Fotografi)

Due mesi per un intervento sulle tessere musive, una pausa, e due mesi per consolidare il supporto retrostante il “Gran Musaico”: a fine mese (gennaio 2021), partirà la campagna di restauro del Mosaico della Battaglia di Isso, capolavoro che rappresenta un simbolo, universalmente noto, dei tesori custoditi dal museo Archeologico nazionale di Napoli. Il restauro, che sarà concluso a luglio, è realizzato con la supervisione dell’Istituto Centrale per il Restauro (ICR); le attività diagnostiche sono promosse in rete con l’università del Molise (UNIMOL) ed il Center for Research on Archaeometry and Conservation Science (CRACS). “Con l’avvio, nel 2021, del restauro del Mosaico di Alessandro, scriviamo insieme una pagina importante nella storia del museo Archeologico nazionale di Napoli e quindi della conservazione dei beni culturali”, interviene Paolo Giulierini, direttore del Mann. “Sarà un restauro grandioso,  che si compirà sotto gli occhi del mondo. Un viaggio entusiasmante lungo sette mesi ci attende: dopo il minuzioso lavoro preparatorio, studiosi ed esperti  si prenderanno cura con le tecniche più avanzate  del nostro iconico capolavoro pompeiano, raffigurante la celebre battaglia di Isso. La tecnologia e le piattaforme digitali ci consentiranno di seguire le  delicatissime operazioni, passo dopo passo, in una sorta di ‘cantiere trasparente’, come mai accaduto prima.  Per realizzare  una  operazione così  ambiziosa e complessa è stata attivata dal Mann una rete di collaborazioni scientifiche e di partnership  di grande prestigio”.

Stampa dell’epoca del Real Museo Borbonico (foto Mann)

Lo stato dell’arte: guardando indietro nel tempo, le ragioni del restauro. Milioni di tessere e una superficie di eccezionale estensione (5,82 x 3,13 m): nella casa del Fauno di Pompei, il mosaico, che decorava il grande pavimento dell’esedra, era al centro di una ricca “architettura” iconografica. Agli occhi degli scopritori, nel 1831, il capolavoro non soltanto si rivelò nell’unicità e nelle dimensioni della scena rappresentata, ma anche nello stato sostanzialmente buono di conservazione: le ampie lacune riscontrate riguardavano, infatti, la sezione sinistra dell’opera, senza “intaccare” il fulcro della raffigurazione. Fu travagliata, in ogni caso, la decisione di distaccare il mosaico, per trasportarlo nel Real Museo Borbonico: dopo circa 12 anni di accesi dibattiti, una commissione espresse parere favorevole e l’opera, il 16 novembre 1844, fu messa in cassa e condotta lentamente da Pompei a Napoli, su un carro trainato da sedici buoi. Durante il tragitto, all’altezza di Torre del Greco, un incidente minacciò l’integrità del mosaico: l’opera fu sbalzata a terra e, soltanto nel gennaio del 1845, venne aperta la cassa per verificare l’integrità del capolavoro che, fortunatamente, non aveva subito danni. La prima collocazione della Battaglia di Isso fu, dunque, il pavimento della sala CXL, secondo il progetto iniziale di Pietro Bianchi; fu Vittorio Spinazzola, nel 1916, a definirne la nuova sistemazione a parete nelle riallestite sale dei mosaici. Da allora, in oltre un secolo, il “Mosaico dei record” ha catturato, con la sua bellezza magnetica, l’attenzione dei visitatori di tutto il mondo: dietro il fascino di un’opera senza tempo, si sviluppa il lavoro di scienziati ed esperti per garantire manutenzione e conservazione del nostro capolavoro.

Attività di diagnostica sul mosaico di Alessandro al Mann (foto Pedicini Fotografi)
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Attività di diagnostica sul mosaico di Alessandro al Mann (foto Pedicini Fotografi)

L’attività di restauro del mosaico è ontologicamente complessa: conservazione, collocazione, peso (verosimilmente sette tonnellate) e rilevanza storico-artistica del manufatto enfatizzano la necessità di un progetto esecutivo puntuale e delicatissimo. Il mosaico di Alessandro presenta, infatti, diverse criticità conservative, consistenti sostanzialmente in distacchi di tessere, lesioni superficiali, rigonfiamenti ed abbassamenti della superficie. In particolare, la zona centrale destra è affetta da una visibile depressione; rigonfiamenti puntuali sono presenti lungo il perimetro del mosaico, probabilmente dovuti a fenomeni di ossidazione degli elementi metallici dell’intelaiatura lignea posta in opera durante il trasferimento del 1916. Sono presenti, inoltre, microfratture ad andamento verticale e orizzontale, nonché una lesione diagonale, già oggetto di velinatura nel corso di precedenti restauri. Negli ultimi venti anni, la necessità di un restauro complessivo si è resa chiara grazie anche alle indagini diagnostiche eseguite: alle ragioni conservative si sono associate le esigenze di una migliore lettura organica dell’opera. Due i momenti significativi nell’iter diagnostico effettuato: nel 2015, con il contributo di IPERION CH.it e del CNR-ISTI di Pisa, si è documentato lo stato di fatto dell’opera, in relazione ai materiali costitutivi, distinguendoli da quelli riconducibili ai restauri effettuati in epoca antica e moderna. Nel 2018, con la partecipazione dell’università del Molise e del CNR, è stato eseguito il rilievo di dettaglio del mosaico, mediante fotogrammetria ad alta risoluzione: al modello tridimensionale dell’opera si è aggiunta l’indagine tramite georadar per verificare le condizioni del supporto. Tali operazioni hanno consentito anche di mettere in evidenza fratture e fessurazioni non visibili ad occhio nudo, così come anomalie negli strati costitutivi il supporto (vedi: Il restauro del monumentale mosaico di Alessandro a Restaura di Ferrara: un milione di tessere, scoperto nella casa del Fauno a Pompei. Il museo Archeologico di Napoli presenta il settore restauro, fiore all’occhiello del Mann | archeologiavocidalpassato).

Attività di diagnostica sul mosaico di Alessandro al Mann (foto Pedicini Fotografi)

Il progetto: metodologia e fasi esecutive. Un percorso in fieri, tra diagnostica, tecnologia e restauro. Alla luce degli studi realizzati, sembra probabile che i fenomeni di deterioramento siano dovuti essenzialmente all’ossidazione dei supporti in ferro del mosaico ed al degrado delle malte: a questi fattori può attribuirsi l’accentuata depressione che interessa la parte centrale/destra del pannello musivo. Tale stato di fatto è certamente aggravato dal peso del mosaico e dalla posizione verticale, entrambe cause cui può essere ricondotto lo scorrimento verso il basso dello strato più superficiale di malta e tessere. Per avere un quadro esaustivo sulle effettive condizioni dell’opera, è stata prevista una nuova campagna di indagini diagnostiche, effettuate dall’università del Molise e dal CRACS (Center for Research on Archaeometry and Conservation Science); le indagini interesseranno anche la fase esecutiva del restauro. Un’attenzione particolare riguarderà, inoltre, le condizioni microclimatiche ed ambientali, non soltanto per comprenderne l’eventuale incidenza nel processo di degrado del mosaico, ma soprattutto per individuare le migliori condizioni espositive future, in termini di illuminazione e parametri termoigrometrici. Il progetto di restauro, connotato dal principio del minimo intervento e finalizzato alla conservazione dell’integrità materiale dell’opera nello stato in cui si trova, si articolerà in due fasi diverse: tra i due momenti, sarà effettuata la movimentazione del mosaico. La movimentazione si rende necessaria per esplorare la parte retrostante la battaglia di Isso, verificare lo stato del supporto e definire compiutamente gli interventi conservativi complessivi da realizzare.

Attività di diagnostica sul mosaico di Alessandro al Mann (foto Pedicini Fotografi)

PRIMA FASE (gennaio- febbraio 2021): l’intervento ipotizzato, da eseguirsi in situ mediante l’allestimento di un cantiere visibile, è finalizzato alla messa in sicurezza della superficie musiva prima della movimentazione dell’opera. In questa fase, il mosaico sarà oggetto di: accurata ispezione visiva e tattile di tutta la superficie, preliminare alla successive lavorazioni; pre-consolidamento delle tessere e degli strati di malta distaccati; pulitura; velinatura con idonei bendaggi di sostegno su tutta la superficie attualmente visibile. In un momento immediatamente successivo, previa apposizione di un tavolato ligneo di protezione, nonché di un’idonea intelaiatura metallica di sostegno, il mosaico sarà rimosso dall’attuale collocazione, mediante un sistema meccanico di movimentazione appositamente progettato. L’indagine diretta sarà accompagnata da ulteriori analisi strumentali, grazie alle quali si definiranno gli interventi di restauro ipotizzati nella prima fase della progettazione, stabilendo le azioni da eseguire sul supporto per garantire la conservazione del manufatto. 

Attività di diagnostica sul mosaico di Alessandro al Mann (foto Pedicini Fotografi)

SECONDA FASE (aprile- luglio 2021): la seconda ed ultima fase esecutiva del restauro, quindi, interesserà, innanzitutto, il supporto del mosaico: le lavorazioni saranno eseguite, dunque, sulla superficie retrostante dell’opera. Per tutelare le tessere musive, che, in tale frangente, non saranno visibili perché coperte dal tavolato ligneo di protezione, un significativo contributo tecnologico sarà fornito dalla TIM: la realizzazione di appositi smart glasses, indossati direttamente dai restauratori, consentirà di monitorare costantemente la corrispondenza tra la zona di intervento e la relativa superficie non visibile. Le strumentazioni permetteranno, con una metodologia assimilabile a quella utilizzata in chirurgia: 1) la proiezione in scala 1:1 della parte frontale del mosaico su una apposita superficie, che potrebbe essere una parete o un telo appositamente collocato in loco. La proiezione sarà non soltanto uno strumento di lavoro per i restauratori, ma renderà fruibile dal pubblico quanto accade nel cantiere; 2) l’associazione alla proiezione di una serie di parametri geofisici desunti dalle indagini: questi parametri potranno essere interrogati dagli operatori in tempo reale, analizzando tutti i dati inerenti al manufatto nel suo complesso (supporto e superficie). Terminato l’intervento sul supporto, si prevede la rimozione dei bendaggi posti durante la fase iniziale d’intervento ed il completamento del restauro con operazioni di pulitura, ulteriori ed eventuali consolidamenti, trattamento protettivo finale. Il progetto di restauro, così, diverrà un’occasione per valorizzare, anche nella percezione dei visitatori, non solo il complesso percorso di ricerca, ma anche la metodologia adottata: in questa esperienza, la dimensione progressiva, puntuale ed attenta delle diverse fasi di lavoro, sarà una componente essenziale per sottolineare l’interconnessione di contributi e professionalità, alla base di un evento di rilevanza internazionale. 

Pompei. Campagna di scavo con archeologi, architetti e geofisici per capire com’erano il foro e il tempio di Giove (Capitolium) nella fase precedente l’età imperiale romana

Indagini archeologiche al Foro e al Capitolium di Pompei (convenzione PAP e università di Catania) (foto parco archeologico di Pompei)

ndagini archeologiche al Foro e al Capitolium di Pompei (convenzione PAP e università di Catania) (foto parco archeologico di Pompei)

Archeologi, architetti e geofisici per capire com’erano il foro e il tempio di Giove a Pompei nella fase precedente l’età imperiale romana. È l’obiettivo della campagna di scavo dell’università di Catania avviata nell’area del Foro di Pompei e al Capitolium (Tempio di Giove) il 31 agosto 2020, e che si concluderà in questa settimana. Le ricerche fanno seguito a quelle già condotte nell’estate del 2017 dall’università Sapienza di Roma, che aveva intrapreso un progetto di studio centrato sull’analisi del monumento, inserito all’interno dell’impianto urbano. La prematura scomparsa del professor Enzo Lippolis, che ne aveva diretto l’intervento, non ha consentito il progredire delle ricerche. Così, per riprendere lo studio di questo settore centrale della città, è stata stipulata una convenzione tra il Parco Archeologico di Pompei e l’università di Catania. “Le attuali indagini”, spiegano Massimo Osanna e Luigi Caliò che dirigono la missione, “puntano a individuare le fasi pre-imperiali dell’edificio di culto e della piazza forense. Perciò ci siamo avvalsi di un’equipe eterogenea, costituita da più figure professionali, tra i quali archeologi, architetti e geofisici”. Per primo sono state effettuate analisi geofisiche su tutta l’area della piazza, a cura di Marilena Cozzolino dell’università del Molise, che hanno consentito di ottenere nuovi dati sul sottosuolo, in modo non invasivo, e di mappare le strutture che si celano al di sotto del lastricato. In superficie, con l’ausilio del Politecnico di Bari, è stato avviato lo studio architettonico delle strutture che adornano la piazza e delle stratificazioni murarie che raccontano la storia di questa area centrale della città, delineandone gli sviluppi e le trasformazioni monumentali avvenute nel corso del tempo. In parallelo è iniziato lo scavo stratigrafico nell’area posta di fronte al Capitolium, con l’obiettivo di individuare le stratigrafie antecedenti la sistemazione del Foro di età proto-imperiale, tramite l’analisi delle strutture sepolte e della cultura materiale.

Gender archeology: al Pigorini di Roma si presenta il primo manuale in italiano su “Archeologia delle identità e delle differenze”

"Archeologia delle identità e delle differenze" di Mariassunta Cuozzo e Alessandro Guidi

“Archeologia delle identità e delle differenze” di Mariassunta Cuozzo e Alessandro Guidi

Cosa si intende quando si parla di identità e differenze nell’indagine archeologica sulle genti del passato? A questa domanda cerca di dare una risposta il libro “Archeologia delle identità e delle differenze” di Mariassunta Cuozzo e Alessandro Guidi, che sarà presentato sabato 12 aprile, alle 16, al museo preistorico-etnografico “Luigi Pigorini” di Roma. Ai saluti del soprintendente del Pigorini, Francesco di Gennaro, seguiranno la presentazione curata da Annamaria Bietti Sestieri (Accademia Nazionale dei Lincei), Laura Guidi (Università Federico II, Napoli), Daniele Manacorda (Università Roma Tre). All’incontro saranno presenti gli autori. Mariassunta Cuozzo, professore associato di Etruscologia e Archeologia italica all’Università del Molise e all’Università di Napoli “Orientale” e direttore di scavo nel sito etrusco-campano di Pontecagnano, si interessa principalmente della presenza degli Etruschi in Campania, dell’incontro tra genti italiche e popoli del Mediterraneo, dell’archeologia teorica e di genere. Tra i suoi lavori: “Reinventando la tradizione. Immaginario sociale, ideologie e rappresentazione nelle necropoli orientalizzanti di Pontecagnano” (Paestum 2003); “Gli Etruschi in Campania” in Introduzione all’Etruscologia (Milano 2012). Alessandro Guidi, professore ordinario di Paletnologia all’Università di Roma Tre, tra le sue attività scavi e ricognizioni di superficie in vari siti protostorici dell’Italia centromeridionale. I suoi temi di ricerca preferiti sono la nascita della città e dello stato in Italia, la storia dell’archeologia e l’archeologia teorica. Tra i suoi lavori Storia della Paletnologia (Roma-Bari 1988), I metodi della ricerca archeologica (Roma-Bari 1994, 20052),Preistoria della complessità sociale (Roma-Bari 2000).

Il testo di Cuozzo e Guidi descrive il contributo dell’Archeologia a tematiche di scottante attualità connesse alla definizione delle identità di genere, di età, alle differenze culturali ed etniche raccontando la storia della “gender archaeology”, una corrente di pensiero scaturita nei paesi anglofoni dall’incontro tra l’archeologia teorica, movimenti femministi e alcune agguerrite minoranze etniche. Si tratta di un modo nuovo di studiare i dati del passato partendo dall’analisi di quelle differenze che costituiscono il nucleo stesso dell’identità di ogni comunità umana, del passato e del presente. Un manuale che finora mancava nella nostra lingua e, allo stesso tempo, una guida per orientarsi in una letteratura sempre più vasta e complessa.