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“Rinascere dalle distruzioni. Ebla, Nimrud, Palmira”: al Colosseo la mostra curata dall’archeologo Paolo Matthiae propone la ricostruzione in 3D del Toro androcefalo di Nimrud, del soffitto del tempio di Bel a Palmira e dell’archivio di Stato di Ebla. Denuncia della furia iconoclasta jihadista ma anche test in vista della ricostruzione dei siti distrutti

Miliziani dell'Is si accaniscono su un lamassu della città assira di Nimrud in Iraq

Miliziani dell’Is si accaniscono su un lamassu della città assira di Nimrud in Iraq

La ricostruzione con stampanti 3D del toro androcefalo di Nimrud

La ricostruzione con stampanti 3D del toro androcefalo di Nimrud

Quei colpi di piccone inferti con violenza e volontà distruggitrice dai miliziani dell’Isis sul toro androcefalo di Nimrud, il lamassu, fecero il giro del mondo. Era il marzo 2015: i jihadisti si scagliarono contro il sito archeologico iracheno con un disegno pianificato nei minimi dettagli – prima i picconi, poi le frese, quindi i bulldozer, infine l’esplosivo -, raccontato con un video postato su Internet accompagnato da slogan contro i simboli di idolatria e divinità pagane (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/04/15/iraq-la-citta-assira-di-nimrud-distrutta-con-bulldozer-ed-esplosivo-un-video-dimostra-lo-sfregio-dei-miliziani-dellis-annunciato-in-marzo-cancellati-3mila-anni-di-storia/). Distrutto, ma non la sua memoria. Una fedele ricostruzione del toro androcefalo dal 7 ottobre all’11 dicembre 2016 è protagonista della mostra “Rinascere dalle distruzioni. Ebla, Nimrud, Palmira”, che sarà inaugurata al Colosseo di Roma il 6 ottobre dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma come si vede dal titolo, il lamassu di Nimrud non sarà solo. Ci sarà anche un’altra “vittima” della furia Jihadista: il tempio di Bel a Palmira, in Siria, distrutto nell’agosto 2015 poco prima della decapitazione del custode della “sposa del deserto”, l’archeologo Khaled Asaad, direttore per decenni del museo e del sito archeologico (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/11/19/siria-devastata-dai-miliziani-appello-del-direttore-dei-musei-di-damasco-non-lasciateci-soli-e-il-direttore-del-turismo-di-palmira-tre-generazioni-per-superare-i-danni-d/). Metà del soffitto del tempio di Bel è stato ricostruito al Colosseo grazie a disegni del 1930. E poi c’è Ebla, ancora In Siria. L’importante città del III millennio a.C., scoperta dall’archeologo italiano Paolo Matthiae all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, è stata parzialmente danneggiata in cinque anni di guerra per la presenza e lo stazionamento di contingenti militari sul sito, ma soprattutto ha pagato duramente, come più volte denunciato dallo stesso Matthiae, non ultimo a febbraio a Firenze in occasione di Tourisma 2016 (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/02/23/tourisma-2016-al-salone-internazionale-dellarcheologia-di-firenze-migliaia-di-presenze-matthiae-morandi-bonacossi-e-peyronel-su-archeologia-e-ricerca-italiana-allestero-nei-period/), la mancanza di manutenzione delle fragili strutture in mattoni crudi, per la mancanza delle missioni archeologiche internazionali, assenti dalla Siria dal 2011. Al Colosseo vedremo la ricostruzione dell’archivio di Stato di Ebla del 2300 a.C., tra le massime scoperte del Novecento: 16 metri quadrati, dove furono trovate decine di migliaia di tavolette di argilla scritti in caratteri cuneiformi che hanno restituito preziose informazioni sulla città, sul territorio, sui rapporti con le potenze straniere dell’epoca.

Un elemento del soffitto del tempio di Bel di Palmira ricostruito in 3D

Un elemento del soffitto del tempio di Bel di Palmira ricostruito in 3D

L'archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla

L’archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla

La mostra, ideata e curata da Francesco Rutelli e dall’archeologo Paolo Matthiae con l’impegno dell’associazione Incontro di Civiltà, con il patrocinio dell’Unesco, e realizzata dalla soprintendenza speciale per il Colosseo, fa rinascere dunque manufatti divenuti fulcri delle civiltà del Mediterraneo e del Medio Oriente, danneggiati o distrutti con l’intento di oscurare la storia e la cultura millenaria di quei luoghi. Si tratta di un innovativo lavoro, durato due anni, realizzato grazie a modelli e tecniche di costruzione digitale, a stampanti 3D, a robot, e all’utilizzo di sofisticati materiali, che ricordano l’arenaria e il marmo, il tutto esaltato dall’esperienza dei restauratori italiani. Il contributo sostanziale della “Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo”, main partner del progetto, e del suo presidente, prof. Emmanuele F.M. Emanuele, ha consentito la realizzazione dei tre eccezionali manufatti. Ora in una sede speciale. “Ho colto da subito l’importanza di questa iniziativa di rilievo”, spiega Francesco Prosperetti, soprintendente speciale per il Colosseo. “La mostra non poteva essere ospitata da un sito più adeguato. Il Colosseo è una delle meraviglie del mondo e in questo luogo, che è il monumento più visitato in Italia, vengono ora accolte bellezze altrettanto meravigliose. Un bene di tutti che mette in mostra un patrimonio mondiale”. E continua: “Dietro ogni manufatto c’è una accurata ricerca scientifica che porta ad accurate riproduzioni realizzate in tre fasi grazie alle più moderne tecnologie: prima lo studio dei disegni e delle fotografie, poi la realizzazione dei manufatti in materiale plastico e la rivestitura con polvere di pietra, infine l’anticatura manuale. Un documentario internazionale, realizzato da Sky Arte HD e che andrà in onda a gennaio, racconta non solo la storia dei tre monumenti, ma anche le fasi della ricostruzione in 3D, un lavoro durato mesi che ha visto all’opera i professionisti di tre aziende italiane (Nicola Salvioli, Arte Idea, Tryeco 2.0).

Una fase della ricostruzione dell'archivio di Stato di Ebla proposto nella mostra al Colosseo

Una fase della ricostruzione dell’archivio di Stato di Ebla proposto nella mostra al Colosseo

Un modello di ricostruzione digitale 3D del toro androcefalo di Nimrud

Un modello di ricostruzione digitale 3D del toro androcefalo di Nimrud

Denuncia della furia iconoclasta jihadista, ma anche un test tecnologico: la ricostruzione in 3D servirà alla rinascita dei tre siti archeologici quando le condizioni lo permetteranno. La ricostruzione è già stata fatta a Dresda, a Varsavia e anche a Montecassino. L’obiettivo è arrivarci anche in Medio Oriente. “Purché”, mette in guardia Matthiae, “la ricostruzione non diventi la scusa per un nuovo neocolonialismo. Infatti i restauri, laddove possibile, e le ricostruzioni devono avvenire secondo tre principi fondamentali: il rispetto pieno della sovranità degli Stati in cui opere e monumenti si trovano; il coordinamento, la supervisione e l’approvazione dell’Unesco; la più ampia, solidale e intensa collaborazione internazionale». La mostra di Roma è un primo passo perché questo avvenga: quando la situazione politica sarà stabile e sarà possibile intervenire, gli archeologi potranno contare su un lavoro preliminare già avviato”.

Afghanistan: come tutelare l’archeologia e il paesaggio e insieme avviare progetti di sviluppo. Simposio internazionale a Roma

Dal 25 al 27 maggio 2016 simposio a Palazzo Barberini a Roma

Dal 25 al 27 maggio 2016 simposio a Palazzo Barberini a Roma

Dal 25 maggio 2016 a Roma si terrà un seminario internazionale sul rapporto fra la tutela dell’archeologia e del paesaggio e le iniziative di sviluppo. Organizzato da Unesco, con Banca Mondiale e Repubblica Islamica dell’Afghanistan, vedrà un buon numero di esperti internazionali confrontarsi sui metodi per alimentare il dialogo fra modernizzazione e salvaguardia dei valori culturali. A partire dall’adozione dell’archeologia preventiva in Afghanistan; e dall’ingresso ufficiale della tutela dedicata al patrimonio culturale nell’Agenda dello Sviluppo Sostenibile 2030.

Il simposio di Roma confronta le esigenze dell'archeologia preventiva con le richieste di sviluppo del Paese

Il simposio di Roma confronta le esigenze dell’archeologia preventiva con le richieste di sviluppo del Paese

“L’avvio dello sfruttamento di sei aree minerarie in Afghanistan”, spiegano gli organizzatori, “è subordinato al completamento delle indagini archeologiche e all’individuazione di un piano di gestione per il patrimonio culturale e paesaggistico coinvolto. È il contenuto di un progetto che vede fianco a fianco il Governo Afghano, la Banca Mondiale e l’Unesco per affrontare, in modo concreto, un possibile bilanciamento delle azioni di sviluppo e delle esigenze di conoscenza e conservazione del patrimonio culturale e del paesaggio”. La ricchezza dell’Afghanistan, in termini di eredità storica e di risorse minerarie, rende questo esperimento un efficace punto di partenza per un confronto molto largo: dall’Estremo Oriente all’America, in Africa e in Europa, quali sono le strategie e i modelli di gestione dello sviluppo compatibili con la tutela del patrimonio archeologico? Se ne parlerà dal 25 al 27 maggio 2016 a Palazzo Barberini, nel corso dei lavori del simposio

internazionale su “Cultural heritage & development initiatives: a challenge or a contribution to sustainability?”. Organizzato dall’Unesco, con la Banca Mondiale e il Governo Afghano, l’appuntamento ha potuto contare sulla piena condivisione con il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo e con il ministero degli Affari esteri, Agenzia Italiana per la cooperazione allo Sviluppo e con Dafa, Délégation Francaise Archéologique en Afghanistan. Per partecipare ai lavori occorre registrarsi sul sito culturaldevelopment.info/ sul quale è possibile consultarne il programma.

Il simposio sul patrimonio culturale afghano è promosso da Unesco, Banca mondiale e Governo afghano

Il simposio sul patrimonio culturale afghano è promosso da Unesco, Banca mondiale e Governo afghano

Il simposio apre mercoledì 25 alle 9.30 con il saluto delle autorità, tra cui Flaminia Gennari Santori, direttore del museo di Arte antica di Palazzo Barberini, a fare gli onori di casa; Antimo   Cesaro, sottosegretario al ministero italiano per i beni e le attività culturali e il turismo; Abdul Bari Jahani, ministro afghano dell’Informazione e della cultura; Patricia McPhillips, direttore dell’ufficio Unesco in Afghanistan. Alle 10.30, la I sessione “Il patrimonio culturale come vettore per uno sviluppo sostenibile” moderata da Stefano   De   Caro, direttore generale dell’Iccrom; alle 11.35, la II sessione “Conservazione del patrimonio culturale e iniziative di sviluppo: opportunità e buone pratiche per la sostenibilità ambientale” moderata da Andrea Bruno, già professore all’università di Torino ed esperto di conservazione dei beni culturali dell’Afghanistan; alle 14.10, Panel 1 “Comprendere i valori di pianificare dei cambiamenti sostenibili”, moderato da Omar Sultan, già ministro dell’Informazione e della cultura dell’Afghanistan; alle 16.05, Panel 2 “Radicare lo sviluppo in un ambiente naturale e culturale locale” moderato da Cheryl   Benard, president di Arch international. Giovedì 26, alle 9.30, apre la Sessione III “Strumenti normativi e di gestione sostenibile: meccanismi di governo per un processo dinamico di cambiamento attraverso una prospettiva di lungo termine”, moderata da Jukka Jokilehto, consigliere del direttore generale di Iccrom; alle 11.25, Panel 3 “Allineamento delle priorità nazionali e gestione del patrimonio per una programmazione integrata”, moderato da Vincent Negri, docente di diritto dei Beni culturali alla Sorbona di Parigi; alle 14.20, Sessione IV “Cultura come possibile veicolo di inclusione sociale e sviluppo economico” moderata da Daniel   Etongua Manguelle, presidente di Sadeg; alle 16.05, Panel 4 “Patrimonio ed economia sostenibile per lo sviluppo della comunità”, moderato da Rita Gonelli, responsabile del settore cultura all’Aics. Venerdì 27, alle 9.30, tavola rotonda moderata da Caterina Bon Valsassina, direttore generale per l’Archeologia, l’arte e il paesaggio culturale del ministero italiano dei Beni culturali (Mibact); alle 12, cerimonia di chiusura.

Sarà a Palmira in Siria la prima missione del contingente italiano dei caschi blu della cultura. Corso di addestramento preparatorio

La prima missione dei Caschi blu della Cultura sarà al sito archeologico di Palmira

La prima missione dei Caschi blu della Cultura sarà al sito archeologico di Palmira

La prima missione dei “caschi blu della cultura”, una task force voluta e promossa dall’Italia, sarà a Palmira, “la sposa del deserto” siriano violentata dai miliziani dell’Isis. Ma per essere inviati in Siria, dove opereranno in un’area di estremo pericolo per la loro sicurezza, devono ricevere una formazione adeguata su come agire in zone ad alto rischio e come minimizzare il pericolo di incorrere in imboscate o di essere coinvolti in incidenti. Così questo primo contingente di “caschi blu della cultura” è stato chiamato a seguire un corso sulla sicurezza personale, della durata di cinque giorni, organizzato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dal Reggimento Tuscania dei Carabinieri. Il corso si suddivide in lezioni teoriche e in una serie di esercitazioni pratiche, che includono situazioni tipiche nelle quali possono essere coinvolti gli operatori delle emergenze. La parte pratica del corso si sofferma su scenari come: quali azioni intraprendere in caso di improvviso attacco, come reagire in presenza di ‘cecchini’, come avvicinarsi a un posto di controllo illegale, come pianificare attività all’interno di un’area pericolosa. “La task force dei caschi blu della cultura”, spiegano Andrea de Guttry della Scuola Superiore Sant’Anna, in qualità di direttore del corso, insieme al colonnello Antonio Frassinetto, comandante del Reggimento Tuscania, “rappresenta un contributo fondamentale del governo italiano per la salvaguardia del patrimonio culturale in tutto il mondo”.

Autorità civili e militari alla presentazione a Roma dei Caschi blu della cultura

Autorità civili e militari alla presentazione a Roma dei Caschi blu della cultura

“Le distruzioni operate dall’Isis a Palmira hanno sconvolto tutti e richiedono interventi coraggiosi, delicati e urgenti allo stesso tempo, per non compromettere un patrimonio dell’umanità”, aggiunge il professore Andrea de Guttry. “Il compito che spetta ai caschi blu della cultura è importantissimo e la Scuola Superiore Sant’Anna può dirsi orgogliosa di essere stata richiesta di fornire, insieme ai Carabinieri, la formazione necessaria per consentire di svolgere il ruolo loro affidato in sicurezza”. La task force dei “caschi blu per la cultura”, composta per intero da italiani, con sede a Torino, è nata ufficialmente dall’intesa siglata nel febbraio scorso tra il governo italiano e l’Unesco nell’ambito della coalizione globale “Unesco Unite4Heritage” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/02/19/istituiti-i-caschi-blu-della-cultura-sotto-legida-dellunesco-la-prima-task-force-united4heritage-e-italiana-con-tecnici-specializzati-e-carabini/). L’accordo, firmato alla presenza dei ministri Gentiloni, Franceschini, Pinotti, Giannini e della direttrice generale Unesco, Irina Bokova, ha dato vita a un contingente costituito da carabinieri del Comando per la tutela del patrimonio culturale, da storici dell’arte, da studiosi e da restauratori dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro, dell’Opificio delle pietre dure di Firenze, dell’Istituto centrale per la conservazione e il restauro del patrimonio archivistico e librario, dell’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione.

La Unite4Heritage è una task force composta da 60 unità pronte a intervenire su chiamata degli Stati

La Unite4Heritage è una task force composta da 60 unità pronte a intervenire su chiamata degli Stati

Il compito della task force, oggi composta da circa 60 unità che potranno essere incrementate in futuro, sotto la supervisione del ministero per i Beni culturali, sarà di intervenire su richiesta di uno Stato che sta affrontando una crisi o una catastrofe naturale per stimare i danni sul patrimonio culturale, per pianificare azioni di salvaguardia, per fornire supervisione tecnica e formazione per il personale locale, per facilitare il trasporto in sicurezza di beni culturali mobili e anche per contrastare attività criminali ai danni del patrimonio culturale. La formazione di “caschi blu della cultura”, addestrati a operare in situazioni di pericolo, aveva già ricevuto un primo impulso in ottobre 2015 con l’approvazione per acclamazione della risoluzione italiana da parte del Consiglio esecutivo dell’Unesco e si inserisce in una serie di recenti iniziative promosse dall’Onu per contrastare il danneggiamento e il traffico illecito di beni culturali, come la Dichiarazione di Bonn sulla protezione del patrimonio culturale, adottata dall’Unesco nel giugno 2015, e la “Risoluzione 2199” del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, a febbraio 2015, che condanna la distruzione del patrimonio culturale in Iraq e in Siria e adotta misure vincolanti per colpire il traffico illecito di beni culturali. Anche l’Assemblea Generale dell’Onu nella Risoluzione del dicembre 2015 sulla restituzione dei beni culturali ai Paesi d’origine e il Parlamento Europeo nella Risoluzione del 30 aprile 2015 sulla distruzione dei siti culturali da parte di Isis/Daesh condannano le attività criminali e terroristiche che prendono di mira il patrimonio artistico ed esprimono sostegno alla campagna “Unesco Unite4Heritage”.

Istituiti i “caschi blu della cultura” sotto l’egida dell’Unesco. La prima task force “Unite4Heritage” è italiana, con tecnici specializzati e carabinieri del nucleo tutela, a disposizione della comunità internazionale. Centro di formazione a Torino

Istituiti i "caschi blu della cultura": la prima task force operativa è italiana

Istituiti i “caschi blu della cultura”: la prima task force operativa è italiana

Sono i “monuments men” del Terzo millennio. E sono italiani. Sono i “caschi blu della cultura”. L’idea era stata proprio l’Italia a lanciarla all’Onu all’indomani dello scempio di Palmira da parte dell’Isis. Idea che fu subito approvata dall’Unesco. E la prima task force “Unite4Heritage” sarà composta da esperti italiani al servizio dell’Unesco per la tutela e la ricostruzione di siti culturali danneggiati da guerre e terrorismo, ma anche per il contrasto del traffico di opere d’arte, coordinati dal ministero dei Beni culturali, con la partecipazione dei ministeri degli Esteri, della Difesa e dell’Istruzione, oltre al Comando dei carabinieri per la Tutela del patrimonio Culturale. “Siamo il primo Paese che mette in pratica la risoluzione approvata dall’Unesco”, ha detto il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, alla cerimonia alle Terme di Diocleziano della firma dell’accordo con il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, alla quale hanno partecipato i titolari della Difesa, Roberta Pinotti, dell’Istruzione, Stefania Giannini, e degli Esteri Paolo Gentiloni, oltre al Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Tullio Del Sette e al sindaco di Torino, Piero Fassino con il quale è stato sottoscritto un protocollo per l’istituzione nel capoluogo piemontese di un centro per la formazione sulla tutela dei Beni culturali. La task force, ha spiegato Franceschini, “sarà a disposizione della comunità internazionale e non si muoverà su iniziativa di un singolo Stato ma su richiesta dell’Unesco per situazioni in cui è richiesto l’intervento”.

I carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale operativi in Iraq

I carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale operativi in Iraq

I firmatari del protocollo: da sinistra, Franceschini, Giannini, Pinotti, Bokova e Gentiloni

I firmatari del protocollo: da sinistra, Franceschini, Giannini, Pinotti, Bokova e Gentiloni

Il gruppo di pronto intervento, composto da personale specializzato civile e carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, avrà diversi compiti: valutare i rischi e quantificare i danni al patrimonio culturale, ideare piani d’azione, formare personale nazionale locale, fornire assistenza al trasferimento di oggetti in rifugi di sicurezza e rafforzare la lotta contro il saccheggio e il traffico illecito di reperti. “L’Italia esercita il suo naturale ruolo di leadership nella tutela del patrimonio culturale mondiale con oltre 170 missioni archeologiche in tutto il mondo”, ha aggiunto Franceschini. E il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: “La task force italiana, la prima in assoluto, rappresenta un pezzo molto italiano della lotta al terrorismo. “Colpire un monumento è un crimine di guerra”, ha sottolineato il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, aggiungendo che il compito della task force sarà anche quello di ridisegnare una nuova “topografia della bellezza” nelle aree violate dai terroristi. Un’operazione che rappresenta un “salto di qualità non solo culturale ma anche politico”. Il ministro della Difesa Pinotti ha posto l’accento sul successo delle missioni italiane di peacekeeping, che è fondato sul “rispetto delle popolazioni locali” e ha ricordato il ruolo dei Carabinieri con “specificità che non si trovano altrove”. Il comandante generale dell’Arma Tullio Del Sette ha citato ad esempio il recupero di “oltre un milione e centomila reperti rubati”. L’iniziativa italiana ha riscosso “l’entusiasmo e la gratitudine” del direttore generale dell’Unesco Irina Bokova, che ha evidenziato come si sia aperto “un nuovo capitolo della lotta al terrorismo, che ha paura della storia e dei simboli”.

Giordania. A maggio nel siq di Petra è caduto un masso di 10 tonnellate: l’evento era stato previsto da un algoritmo ideato all’università di Firenze

Il siq di Petra, un canyon scavato nell'arenaria con rocce instabili

Il siq di Petra, un canyon scavato nell’arenaria con rocce instabili: ora si può prevedere lo stacco dei massi

L’avevano previsto. Ed è successo alla fine di maggio. Calcolato nella tempistica ad altissima precisione come si trattasse di un’eclisse, l’ammaraggio di una navicella spaziale o il passaggio di una cometa. Ma stavolta non si è trattato di calcolare un fenomeno astrale, bensì il distacco di un grande masso, di un blocco di roccia di oltre 10 tonnellate che incombeva su una via di transito speciale, percorsa ogni giorno da migliaia di visitatori da ogni parte del mondo: il siq di Petra, il canyon scavato nelle arenarie della Giordania, per secoli protetto e celato dai beduini, e che – giusto due secoli fa – permise allo svizzero Johann Ludwig Burckhardt, una volta individuato il passaggio, di scoprire la favolosa capitale dei Nabatei (vedi il post sul film di Alberto Castellani https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2013/11/28/a-bologna-petra-inedita-nel-film-di-castellani/). E a prevedere il distacco della roccia è stato un italiano, Giovanni Gigli dell’università di Firenze, che, studiate le caratteristiche del siq e individuate le masse rocciose instabili, ha approntato uno speciale algoritmo, cioè un complesso sistema di calcolo, dai risultati eccellenti.

Il siq di Petra è stato studiato dall'università di Firenze dove è stato ideato l'algoritmo che prevede lo stacco dei blocchi di roccia

Il siq di Petra è stato studiato dall’università di Firenze dove è stato ideato l’algoritmo che prevede lo stacco dei blocchi di roccia

Il gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze è intervenuto su sollecitazione dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), che sta lavorando a un progetto Unesco per la stabilizzazione di quell’area, soggetta a fenomeni di crollo, in collaborazione con l’Università di Città del Capo (Sudafrica). “Attraverso immagini tridimensionali ad alta risoluzione, ottenute mediante laser scanner, abbiamo estratto i dati necessari a identificare le fratture nella roccia”, spiega il ricercatore fiorentino, “a seconda della loro collocazione e dell’orientazione della parete è infatti possibile calcolare la possibilità di scivolamenti, ribaltamenti e distacchi”.

Impalcature nel siq di Petra per impedire lo stacco di blocchi di roccia

Impalcature nel siq di Petra per impedire lo stacco di blocchi di roccia

L’elaborazione del dato è stata fatta nei laboratori del Dipartimento a Firenze, mentre un sopralluogo a Petra, avvenuto alla fine dello scorso anno, ne ha reso possibile la validazione. “È da molti anni che lavoriamo e perfezioniamo il nostro algoritmo – prosegue Gigli – Lo abbiamo applicato in diversi contesti per problemi di Protezione Civile, beni culturali e nel settore minerario. Fino a oggi abbiamo centrato tutte le nostre previsioni”. Anche alla luce di questi risultati, alcuni ricercatori del team di Nicola Casagli, ordinario di Geologia applicata, hanno costituito una società, Geoapp, dopo aver concluso il percorso di preincubazione presso l’Incubatore Universitario Fiorentino (Iuf). L’intento è di allargare il campo di interventi del gruppo di ricerca, soprattutto nel campo della sicurezza delle attività minerarie e delle grandi infrastrutture.

Iraq. La città assira di Nimrud distrutta con bulldozer ed esplosivo. Un video dimostra lo sfregio dei miliziani dell’Is annunciato in marzo: cancellati 3mila anni di storia

La storia cancellata con l'esplosivo: così è stata distrutta dall'Is la città assira di Nimrud in Iraq

La storia cancellata con l’esplosivo: così è stata distrutta dall’Is la città assira di Nimrud in Iraq

http://www.youtube.com/watch?v=WO_IrBApnio

Le picconate non sono state sufficienti. E allora hanno dato sfogo alla loro furia iconoclasta con bulldozer ed esplosivi. Così i miliziani dello Stato Islamico hanno distrutto il sito archeologico della città assira di Nimrud, nel nord dell’Iraq: fondata fondata nel XIII secolo AC, Nimrud era nella lista dei candidati a diventare patrimonio dell’Umanità Unesco. Si trova a circa 30 km a sud-est di Mosul e dallo scorso giugno tutta la zona è sotto il controllo degli islamisti che considerano la distruzione degli antichi siti, una guerra contro i “falsi idoli”. La prova della distruzione di Nimrud viene da un video pubblicato online dall’Is. La notizia dello scempio era stata data a marzo dal ministero iracheno del turismo (vedi post di archeologiavocidalpassato https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=nimrud) e definita dall’Unesco come “un crimine di guerra”. Ma finora le immagini satellitari non avevano mostrato la reale entità dei danni riportati . Nel filmato si vedono i militanti che con picconi e frese distruggono statue, bassorilievi e altri manufatti in pietra. Quindi un’esplosione e un bulldozer sbriciolano quello che rimane del sito, considerato uno dei massimi gioielli dell’età assira. Molti tesori di Nimrud sono in musei stranieri, ma un certo numero di statue giganti raffiguranti animali alati con teste umane (i Lamassu), erano ancora nel sito archeologico.

I miliziani dello Stato islamico in azione con i bulldozer nel sito archeologico di Nimrud

I miliziani dello Stato islamico in azione con i bulldozer nel sito archeologico di Nimrud

“Grazie a Dio, abbiamo distrutto tutto quello che è stato adorato senza Allah”, recita un miliziano all’inizio del filmato, di oltre sette minuti. Chi ha condannato le altre distruzioni, quelle nel museo di Mosul e nella cittadina di Hatra è “una canaglia” e i musulmani che hanno criticato lo Stato islamico «non hanno Allah nel cuore». Poi segue la distruzione: un jihadista fa a pezzi un bassorilievo con una fresa circolare. Un altro prende a mazzate una statua. E ancora, picconate alle mura degli edifici, martelli pneumatici per frantumare i reperti. Infine i bulldozer, che entrano in campo per radere letteralmente al suolo il sito, che risale a oltre 3mila anni fa. Quindi l’esplosivo, chili e chili che vengono fatti detonare accanto a ciascun obiettivo.

Miliziani dell'Is si accaniscono su un lamassu della città assira di Nimrud in Iraq

Miliziani dell’Is si accaniscono su un lamassu della città assira di Nimrud in Iraq

L’Unesco ha bollato la distruzione come “un crimine di guerra”. Nimrud, la biblica Calah, fu fondata dal re Salmanassar I (1274-1245 a.C.) e divenne capitale dell’impero assiro sotto Assurbanipal II (883-859 a.C.) arrivando a contare 100.000 abitanti. “Abbatteremo le croci e demoliremo la Casa nera in America”, tuona un altro miliziano, riferendosi alla cristianità e a Washington. L’ennesima minaccia contro gli Usa e i “crociati” rinverdita negli ultimi giorni da una vera a propria campagna mediatica sui social network e il video “Bruceremo l’America”, che è in realtà un compendio degli orrori Isis da agosto a oggi, dalle decapitazioni degli ostaggi occidentali fino a quelle dei copti egiziani su una spiaggia libica.

Baghdad riapre il museo archeologico mentre a Mosul si contano i danni: condanna unanime dello sfregio dell’Isis ai reperti partici da Hatra e assiri da Ninive. Molte erano copie

I miliziani dell'Isis si accaniscono contro i tesori del museo di Mosul in Iraq

I miliziani dell’Isis si accaniscono contro i tesori preislamici del museo di Mosul in Iraq

Baghdad rivive mentre Mosul muore. Le autorità irachene hanno ufficialmente riaperto al 1° marzo il museo nazionale di Baghdad, in Iraq. Era chiuso da dodici anni e il suo patrimonio era stato danneggiato dai saccheggi causati dalla guerra del 2003. Si stima che solo un terzo dei circa quindicimila reperti trafugati siano stati recuperati negli anni successivi. Una buona notizia certamente, una risposta chiara e decisa delle autorità irachene a quanto successo a Mosul, con la distruzione da parte dell’Isis delle testimonianze delle civiltà preislamiche, dall’assira alla partica. “Quell’evento – sottolineano – ha ricordato brutalmente alla comunità internazionale i rischi del patrimonio artistico nelle zone mediorientali ancora devastate dalla guerra”. E il presidente del Parlamento iracheno, Salim al Jubury: “Queste forze delle tenebre provano ad essere nemici del presente, del futuro e del passato dell’Iraq”. Mentre il vice presidente della Repubblica, Osama al Nujaify, non ha dubbi: “Ora il popolo attende il segnale per liberare Mosul dagli invasori che l’hanno inquinata. Quanto avvenuto a Mosul va oltre la capacità di descrivere la barbarie e l’orrore”.

I proclami degli jihadisti a giustificazione dello scempio fatto a Mosul hanno fatto il giro del mondo

I proclami degli jihadisti a giustificazione dello scempio fatto a Mosul hanno fatto il giro del mondo

2001: i talebani fanno saltare con l'esplosivo i budda di Bamiyan

2001: i talebani fanno saltare i budda di Bamiyan

Orrore e sgomento. Sono immagini di una violenza insensata e scioccante, quelle che hanno fatto il giro del mondo. Cinque minuti di video diffusi dall’Isis in cui miliziani jihadisti, uomini barbuti e donne in chador nero, si sono accaniti contro “i simboli pagani, idoli venerati invece di Allah da gente che viveva nei secoli passati”, abbattendo e dandosi metodicamente alla distruzione di statue e bassorilievi conservati nel museo di Mosul, dove sono custoditi i reperti di Ninive, l’antica capitale dell’impero assiro. E questo è solo l’ultimo episodio – ma forse il più grave – di una campagna contro le vestigia del passato in nome di una presunta purezza islamica portata avanti dai miliziani del Califfato su imitazione dei Taleban che nel 2001 fecero saltare in aria le gigantesche statue del Buddha a Bamiyan, in Afghanistan, tra lo sconcerto della comunità internazionale. Dopo avere conquistato Mosul e la circostante piana di Ninive con una fulminea offensiva nel giugno dello scorso anno, l’Isis ha bruciato migliaia di libri sottratti alle biblioteche, improvvisando roghi nelle piazze, ha danneggiato una parte della cinta muraria di Ninive, ha distrutto con l’esplosivo moschee e chiese meta di pellegrinaggi considerati eretici. Le statue vengono abbattute con rabbia dai loro piedistalli, per essere poi decapitate e distrutte a colpi di mazza o con l’uso di martelli pneumatici.

L'abbattimento di una statua conservata nel museo di Mosul in Iraq

L’abbattimento di una statua conservata nel museo di Mosul in Iraq

Francesco Rutelli promuove la campagna internazionale per la salvaguardia del patrimonio a rischio

Francesco Rutelli promuove la campagna internazionale per la salvaguardia del patrimonio a rischio

Immediata e generale l’indignazione della comunità internazionale, non solo del mondo accademico. L’Unesco ha condannato con forza la distruzione a picconate di statue e altri manufatti del museo di Mosul da parte dell’Isis e chiesto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza (Cds) per la protezione delle tradizioni culturali dell’Iraq come «elemento essenziale» per la sicurezza del Paese. «È stato un deliberato attacco alla storia e alla cultura millenaria dell’Iraq», ha detto la direttrice dell’agenzia Onu Irina Bokova secondo cui questo ultimo atto di vandalismo «è molto più di una tragedia per la cultura, è un problema di sicurezza dal momento che alimenta violenza settaria, estremismo e conflitti». La Bokova ha detto di aver investito il Consiglio di Sicurezza invocando la risoluzione 2199 sui finanziamenti illeciti all’Isis approvata di recente dai Quindici. Sono infatti numerose le denunce secondo le quali i jihadisti si sono impadroniti di antichi reperti o hanno addirittura effettuato scavi clandestini per rivendere sul mercato nero tutto ciò che trovavano come una delle principali fonti di finanziamento per la ‘guerra santa’, accanto al petrolio. “Occorre una ‘Coalizione di Civiltà’ contro l’ISIS, che unisca, con l’Occidente e i Paesi emergenti, le nazioni arabe ed islamiche”, interviene Francesco Rutelli, che da quasi due anni sta promuovendo una Campagna Internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale a rischio. “Stiamo denunciando un aspetto cruciale della deriva islamista-fondamentalista: la deliberata distruzione del Patrimonio Culturale come strumento di potere politico-ideologico-religioso-terroristico. Questa nostra azione è stata dapprima ignorata – a partire dall’Unione Europea, dove la signora Ashton non ha voluto fare assolutamente nulla – in ragione di una malintesa contrapposizione al dittatore siriano Assad. Un immobilismo demenziale, incapace di cogliere la gravità della minaccia e delle distruzioni in Siria, quindi tragicamente dilagate in Iraq. Con la nostra Campagna per la Salvezza del Patrimonio minacciato – grazie all’impegno di prestigiosi studiosi guidati da Paolo Matthiae (che recentemente ha rilanciato l’appello da Tourisma, il salone internazionale dell’archeologia. Vedi: https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/02/21/paolo-matthiae-lo-scopritore-di-ebla-premiato-a-tourisma-da-dove-lancia-un-grido-di-dolore-per-la-siria-e-poi-ammonisce-larcheologia-del-vicino-oriente-e-finita-in-futuro-non-sa/) – abbiamo denunciato tre crisi gravissime: la distruzione del Patrimonio dell’umanità in teatri di battaglia, gli scavi illegali e traffico illecito di Patrimonio archeologico, sia per finanziare la sussistenza, sia l’armamento dei gruppi islamisti e, infine, il ritorno dell’iconoclastia, ovvero la distruzione deliberata da parte dell’ISIS delle tracce delle culture additate come diverse, o perverse (riesumando il modello nazista hitleriano)”. E conclude amaro: “Chi uccide la Memoria unica ed irripetibile dell’Umanità, non compie opera meno grave dell’uccisione, dello stupro, del rapimento, della conduzione in schiavitù degli esseri umani. Forse, la diffusione deliberata di queste immagini di Mosul da parte dell’ISIS, con la sua sprezzante immonda arroganza, farà risvegliare qualche anima bella che negli ultimi anni ha preferito far finta di non sapere e non vedere, per non dover agire”.

Le mura ricostruite di Ninive sarebbero state danneggiate dall'Isis

Le mura ricostruite di Ninive sarebbero state danneggiate dall’Isis

Il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini affiderà a una commissione la risposta definitiva

Il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini

Condanna unanime. Se il presidente francese, Francois Hollande, a margine della sua visita nelle Filippine, definisce lo sfregio al museo di Mosul “un atto di barbarie”, il ministro delle antichità della Repubblica d’Egitto, Mamdouh El Damati, a Rovereto per la firma di una convenzione con il Museo civico della città trentina sulla catalogazione fotografica dei siti del Medio Egitto, “atti intollerabili di vandalismo”. Investito dall’Unesco che ne ha chiesto una riunione urgente, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha condannato “con forza” i “barbarici atti di terrorismo” attribuiti all’Isis che includono rapimenti, uccisioni e la “deliberata distruzione di insostituibili manufatti religiosi e culturali del Museo di Mosul” e il rogo di migliaia di libri e manoscritti rari dalla biblioteca di quella città. Thomas Campbell, il direttore del Metropolitan Museum che nelle sue raccolte ospita una importante collezione di arte mesopotamica: “A nome del Metropolitan, un museo che nelle sue raccolte protegge e mostra con orgoglio opere d’arte della Mesopotamia antica e islamica, condanniamo con forza questo atto di catastrofica distruzione inferta a uno dei più importanti musei del mondo, l’attacco insensato non colpisce tragicamente solo Mosul ma il nostro impegno universale a usare l’arte per unire i popoli e promuovere la comprensione umana”. E il ministro italiano ai Beni culturali, Dario Franceschini: “Dopo la violenza atroce sulle persone, ora la follia cieca e distruttrice dell’Isis sulle statue assire a Mosul, patrimonio di tutta l’umanità”.

Secondo gli esperti molte delle opere distrutte a Mosul erano copie: gli originali sarebbero a Baghdad

Secondo gli esperti molte delle opere distrutte a Mosul erano copie: gli originali sarebbero a Baghdad

Ma cosa è andato veramente distrutto a Mosul? Il museo di Mosul è/era uno dei principali del paese, dopo quello di Baghdad, e uno dei più importanti del Medio Oriente. Era articolato in quattro sezioni, dedicate all’arte islamica, preistorica, assira e partica. Nel 2003, nelle prime fasi della guerra in Iraq, molti reperti vennero rubati o danneggiati. Quello stesso anno il personale del museo trasportò 1500 reperti al museo di Baghdad. Ci sono poche informazioni su che cosa sia stato del museo tra il 2009 e oggi, dice l’Arca, associazione con attività in Italia e negli Stati Uniti che si occupa della tutela del patrimonio artistico. Proprio da Baghdad, fonti della commissione nazionale per il patrimonio culturale hanno detto che parte dei reperti del museo di Mosul distrutti nel video diffuso dall’Isis erano copie e che gli originali sono custoditi al Museo iracheno della capitale o all’estero. Altri pezzi erano invece originali, ma le autorità non precisano la loro quantità. Il filmato, diffuso dall’Isis, è “devastante” secondo Daniele Morandi Bonacossi, docente di archeologia all’università di Udine e direttore della missione archeologica “Terra di Ninive” nel nord Iraq. “I nostri riferimenti a Mosul sono stati costretti ad andare via. I loro dipartimenti sono stati chiusi. Senza lavoro e sotto minaccia sono ora lontani dalla città”, afferma Morandi Bonacossi con una lunga esperienza di scavi e ricerche in Siria e Iraq. “Ero a Dohuk (in Kurdistan iracheno) quando due settimane fa abbiamo appreso la notizia della distruzione di un tratto delle mura di Ninive. Ma nessuno può confermare questo fatto”.

A colpi di martello contro un lamassu (toro alato androcefalo) da Ninive

A colpi di martello contro un lamassu (toro alato androcefalo) da Ninive

Daniele Morandi Bonacossi (univ. di Udine) in Iraq con Gil J. Stein (Oriental Institute of Chicago)

Daniele Morandi Bonacossi (univ. di Udine) in Iraq con Gil J. Stein (Oriental Institute of Chicago)

Sui danni inflitti dall’Isis al museo di Mosul e al sito di Ninive, il docente dell’ateneo friulano afferma che alcune delle statue distrutte sono copie in gesso di statue di epoca partica (secondo secolo a.C. – primo secolo d.C.), provenienti dal sito di Hatra, a circa 100 km a sud ovest di Mosul e scavato in passato da una missione dell’università di Torino. Altri pezzi erano invece originali, come conferma Morandi Bonacossi. “Ci sono molte statue originali di calcare, che rappresentano divinità e sovrani”.  Sul sito di Ninive, i jihadisti hanno distrutto con diabolica metodicità delle statue colossali che rappresentano tori androcefali di epoca assira. Nel filmato dell’Isis si vede in particolare la distruzione di due «lamassu» (così venivano chiamati in assiro) posti accanto a una delle 15 porte di Ninive, quella dedicata al dio Nergal. Sul valore commerciale di queste statue il docente italiano non può esprimersi: “Il loro valore è incalcolabile. Ma non sarebbe possibile per i jihadisti metterle sul mercato. Sono statue che pesano centinaia di tonnellate e c’è bisogno di uno sforzo logistico enorme per poterle rimuovere da dove si trovano. È più probabile – conclude Morandi Bonacossi – che l’Isis abbia venduto gli oggetti più piccoli e abbia invece distrutto le statue che non avrebbe potuto piazzare nel mercato nero”.

Le straordinarie vestigia di Hatra, la città partica nel nord dell'Iraq

Le straordinarie vestigia di Hatra, la città partica nel nord dell’Iraq

Nelle prime ricostruzioni giornalistiche si è parlato soprattutto dei reperti artistici che risalgono al periodo assiro-babilonese, ma nel video la maggioranza delle opere distrutte sembra provenire dal sito archeologico di Hatra, città-stato alleata dell’impero partico, e risalgono per lo più al II-III secolo dopo Cristo. L’impero dei Parti si sviluppò tra il III secolo avanti Cristo e il III secolo d.C. e si estendeva, al momento della sua massima espansione, nei territori degli odierni Iran, Iraq e sulle coste orientali della penisola arabica.

“Imagines”, weekend a Bologna col cinema archeologico di qualità: da Nefertiti a Cleopatra, dal fascino delle tombe di Tarquinia ai misteri di Gobekli Tepe in Turchia, dalla figura di Francesco Orsoni a quella di Antonino Di Vita

Il Gruppo archeologico bolognese iscritto ai Gruppi archeologici d'Italia

Il Gruppo archeologico bolognese iscritto ai Gruppi archeologici d’Italia

Il Gabo propone il film "Alla ricerca di Nefertiti" (qui il famoso busto di Berlino)

Il Gabo propone il film “Alla ricerca di Nefertiti” (qui il famoso busto di Berlino)

Weekend all’insegna del cinema archeologico di qualità: da Nefertiti a Cleopatra, dal fascino delle tombe di Tarquinia ai misteri di Gobekli Tepe in Turchia, dalla figura di Francesco Orsoni a quella di Antonino Di Vita. Come tradizione, l’ultimo fine settimana di novembre il Gruppo archeologico bolognese organizza “Imagines: obiettivo sul passato”, rassegna del documentario archeologico giunto alla dodicesima edizione. Alla Mediateca di San Lazzaro di Savena (Bologna) si inizia venerdì 28 Novembre 2014, alle 15.15, con la presentazione della rassegna con Gabriele Nenzioni, direttore del museo della Preistoria “L. Donini” di San Lazzaro (Bologna) e Giuseppe Mantovani, vicedirettore del Gruppo Archeologico Bolognese e curatore della rassegna “Imagines”. Segue la proiezione del documentario “Alla ricerca di Nefertiti”, regia di Brando Quilici (60’). Introduce la proiezione: Barbara Faenza. Oltre 3000 anni fa, una regina dalla leggendaria bellezza, Nefertiti, e suo marito, il faraone eretico Akhenaton, scossero le fondamenta dell’antico Egitto: la sua cultura, la sua capitale, perfino i suoi dei. Poi scomparvero, e della loro sorte, e di quella dei loro resti, per secoli non si seppe più nulla. Un famoso egittologo egiziano è ritornato nella Valle dei Re con le più avanzate tecnologie sulle tracce della bellissima regina, per scoprire cosa è stato di lei e della sua famiglia, una famiglia resa ancora più celebre dal giovane che si presume figlio di Akhenaton, e che a sua volta regnerà sull’Egitto col nome di Tutankamon. Dopo l’intervallo, proiezione del documentario “Al di là della Morte. Le tombe di Tarquinia si animano”, regia di Franco Viviani (25’). Introduce la proiezione: Silvia Romagnoli. Il filmato è lo sforzo di proporre in modo nuovo le tombe dipinte di Tarquinia, patrimonio UNESCO, dando cioè movimento ad alcune celebri scene della pittura etrusca, allo scopo di rendere il più possibile comprensibile ad un pubblico di non specialisti il celebre ciclo pittorico.

I fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni, qui in una loro missione nel deserto nubiano, propongono il film "Il viaggio alla miniera di smeraldi di Cleopatra”

I fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni, qui in una loro missione nel deserto nubiano, alla rassegna “Imagines” di  Bologna sono presenti con il film “Il viaggio alla miniera di smeraldi di Cleopatra”

La seconda giornata, sabato 29 novembre 2014, inizia alle 15.15, proiezione del documentario “Il viaggio alla miniera di smeraldi di Cleopatra”, regia di Alfredo e Angelo Castiglioni (27’). Introducono la proiezione: Alfredo e Angelo Castiglioni. Il documentario è la cronaca di una missione archeologica condotta nel 1985 dai fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni alla ricerca delle dimenticate miniere di smeraldi di Cleopatra. La missione, seguendo un vecchio itinerario, ritrovò le antiche miniere, i villaggi dei minatori e I templi scavati nella roccia. Alle 16.15, proiezione del documentario “La culla degli dei”, regia di Tim Conrad (53’). Introduce la proiezione: Gabriele Nenzioni. Il primo tempio conosciuto al mondo, un luogo in cui si professava una misteriosa religione organizzata già oltre 11000 anni fa, si trova sulla sommità di una collina nel sud della Turchia. Gobekli Tepe è un luogo enigmatico, eretto da un popolo sconosciuto di cacciatori-raccoglitori con blocchi di pietra monumentali per celebrare un culto di cui sappiamo ben poco. Un’équipe di National Geographic passa al vaglio tutti I dati disponibili per saper qualcosa di più su questa culla della religione e della civiltà umana. Dopo l’intervallo, alle 18.15, proiezione del documentario “Francesco Orsoni. Storia di un pioniere dell’archeologia preistorica”, regia di Claudio Busi e Giuseppe Rivalta (50’). Introduce la proiezione: Claudio Busi. Negli ambienti della ricerca scientifica bolognese dell’800 emerge, fra personalità di grande rilievo, la figura di Francesco Orsoni, singolare figura di autodidatta. Ebbe fin da ragazzo un forte interesse per le scienze naturali, che lo portò a scoprire nel 1871 la grotta del Farneto nella fascia collinare nei pressi di S. Lazzaro.

Il film “Storie dalla sabbia. La Libia di Antonino Di Vita" ricostruisce la figura del grande archeologo

Il film “Storie dalla sabbia. La Libia di Antonino Di Vita” ricostruisce la figura del grande archeologo

“Imagines” si chiude domenica 30 novembre 2014 con una giornata piena. Alle 10.30, mattinata per i ragazzi. Proiezione del documentario “Le dodici fatiche di Ercole”, regia di Franco Viviani (30’). Introduce la proiezione: Elena Tonini. Alle 15.15, proiezione del documentario “Storie dalla sabbia. La Libia di Antonino Di Vita”, regia di Lorenzo Daniele (28’). Introduce la proiezione: Maria Antonietta Rizzo. “Anni sessanta. La Libia cambiava pelle in quegli anni. Modernità e tradizione si misuravano, si scontravano. Un mondo si trasformava e io avevo il privilegio di esserne testimone. Ogni giorno mi regalava un tassello nuovo su cui riflettere. Imparai a guardare la realtà in cui mi muovevo senza giudicare, senza pormi sul terreno di una diversità dichiarata. Appresi molto dalle persone più disparate”. La Libia di ieri, quella di oggi, filtrata attraverso I ricordi di uno dei più grandi protagonisti dell’archeologia mediterranea, il professore Antonino Di Vita. Alle 16.30, proiezione del documentario “La via Amerina”, regia di Raniero Pedica e Marcello Avoledo (40’). Introduce la proiezione: Marco Mengoli. Il Video è un viaggio archeologico-naturalistico sull’asse viario della via Amerina, tra boschi di lecci e le acque del Rio Maggiore, territorio ancora incontaminato. Il tratto della via preso in esame è stato a lungo luogo di sepoltura per gli abitanti di Falerii Novi, antica città romana del III secolo a.C. Dopo l’intervallo, alle 18, proiezione del documentario “Monumenti nella roccia”, regia di Giuseppe Mantovani (38’). Introduce la proiezione: Giuseppe Mantovani. Un viaggio nella splendida Tuscia Viterbese alla ricerca di antichi e poco conosciuti monumenti rupestri etrusco-romani e medievali che sorgono in questa zona d’Italia, nascosti tra boschi e foreste.

 

Egitto. “La piramide di Zoser a Saqqara non crollerà”: il ministro assicura il mondo che entro il 2015 finiranno i restauri sotto la supervisione dell’Unesco, smentendo le accuse sui danni causati al monumento negli ultimi anni

La piramide del faraone Zoser a Saqqara con le impalcature per i restauri

La piramide del faraone Zoser a Saqqara con le impalcature per i restauri

Il ministro alle Antichità Mamdouh Eldamaty

Il ministro alle Antichità Mamdouh El-Damaty

“La piramide di Saqqara non crollerà mai”: lo ha gridato ai giornalisti il ministro delle Antichità egiziane, Mamdouh El-Damaty, dopo la ridda di polemiche sul restauro della piramide del faraone Zoser a Saqqara, la più antica d’Egitto. Il ministro, da settimane in giro per siti archeologici per verificare lo stato delle opere in tutto il Paese, ha accolto una folla di giornalisti proprio davanti alla gigantesca opera, che risale ad almeno 4600 anni fa. Da lungo tempo sui gradoni che la caratterizzano sono state montate impalcature di legno che salgono lungo tortuose curve fino alla cima, a 62 metri di altezza. Ma l’imperizia avrebbe causato dei crolli, così come una pozza scavata all’esterno per arrivare alle fondamenta della piramide. “È tutto falso”, ha incalzato il ministro prima di infilarsi nello stretto e buio cunicolo che porta alla camera centrale. Il caldo, asfissiante fuori, è diventato rovente all’interno. Ovunque piloni per sorreggere il soffitto, altre impalcature, questa volta d’acciaio. “Vedete i lavori sono in corso, erano fermi da tre anni a causa dell’instabilità nel Paese”, ha sottolineato.

Le sabbie del deserto per secoli hanno protetto la prima piramide della storia dal degrado del tempo. L’imponente costruzione “a mastabe sovrapposte” fu realizzata dall’ingegnere Imenhotep nella necropoli di Saqqara sotto il comando del faraone Zoser (2635-2615), secondo re della III dinastia. Ma questi ultimi decenni hanno “soffocato” le strutture di oltre 4600 anni fa. Già nel 1992 un terremoto aveva danneggiato la piramide a gradoni, ma oggi la situazione è molto peggiorata nonostante gli sforzi dei restauratori per salvarla. Anzi, almeno secondo un gruppo di esperti che ha lanciato l’allarme sulle sue condizioni, sarebbero stati proprio gli interventi più recenti a danneggiare ulteriormente il monumento. Il progetto di restauro della piramide di Zoser punta a recuperare la grande opera di Imenhotep, considerato come il primo ingegnere della storia, autore di una vera e propria rivoluzione nell’architettura funeraria dell’Antico Egitto. Un merito che gli sarà riconosciuto anche nelle dinastie successive. Sotto gli ordini del re Zoser, Imenhotep pensò di sovrapporre su più piani le mastabe tradizionali, ottenendo così una costruzione a piramide a gradoni di 60 metri, che permetteva al suo re di essere più vicino al cielo, quando doveva essere ricevuto da Ra, dio del sole e l’origine della vita. Ma la polemica si è ulteriormente accesa nelle ultime settimane, dopo che diversi gruppi che si preoccupano della conservazione del patrimonio hanno denunciato che l’attuale cattivo stato della piramide è dovuto alla negligenza della società incaricata del restauro, società che, sempre secondo le loro affermazioni, non avrebbe mai restaurato un sito archeologico prima dell’intervento a Saqqara. E poi ci sono le segnalazioni-proteste degli egittologi che si sono alzate più volte negli ultimi anni. Sono stati proprio gli egittologi a denunciare che la pietra originale veniva rimpiazzata con pietre nuove. Un’accusa che i lavoratori impiegati dal ministero delle Antichità cercano di negare o minimizzare. “Oltre il 90% dei blocchi che abbiamo usato sono della piramide, recuperati al suolo e nelle vicinanze”, ha assicurato Hasan Imam, un ingegnere che ha partecipato alla ricostruzione. “Il monumento è in buone condizioni e solo un altro terremoto potrebbe causarne il crollo”.

Dal 2002 sono in corso i restauri della grande piramide a gradoni di Saqqara, la più antica dell'Egitto

Dal 2002 sono in corso i restauri della grande piramide a gradoni di Saqqara, la più antica dell’Egitto

Gli interventi nell’area archeologica di Saqqara sono iniziati nel 2002, ma la complessità del lavoro e i problemi economici ne hanno più volte causato la sospensione. Nel 2006, la società egiziana Al-Shorgaby, specializzata in progettazione e costruzione, ha vinto la gara d’appalto per il restauro. I lavori sono proseguiti fino al 2010 e, dopo un tentativo – fallito – di riprendere l’attività, sono tornati a fermarsi allo scoppio della rivoluzione nel 2011. E proprio in quei giorni, quando al Cairo, che dista 30 chilometri, si inneggiava alla rivoluzione contro Mubarak, qui e negli altri siti della zona sono entrati in azione i tombaroli, razziando quanto possibile. Ma la piramide soffre anche di vari problemi strutturali: al di sotto della camera centrale vengono infatti utilizzate travi d’acciaio, come “airbag”, per sostenere le mura, e fermare un processo di sprofondamento di alcune parti.

La selva di impalcature che si articolano nel cuore della piramide di Zoser

La selva di impalcature che si articolano nel cuore della piramide di Zoser

E si arriva così a un paio di settimane fa, quando l’appena nominato il ministro delle Antichità, Mamdouh El-Damaty ha annunciato il proseguimento dei lavori sulla piramide di Zoser, che dovrebbe essere completato entro la fine del 2015. All’annuncio diversi giornali locali hanno dato voce alle lamentele di quei gruppi che si preoccupano di tutelare il patrimonio e così lo scandalo è arrivato fino alle autorità egiziane. Proprio per smentire queste notizie, il ministero ha organizzato per la stampa una visita al sito archeologico. Lo stesso ministro delle Antichità – come si diceva all’inizio – è penetrato nel cuore della piramide, dove ha spiegato ai giornalisti che le impalcature poste pochi metri sopra la camera sepolcrale la rendono “completamente sicura”. El-Damaty ha poi insistito sul fatto che “i lavori di restauro vanno avanti correttamente, sotto la supervisione di un team dell’Unesco che è venuto in Egitto”.

Operai al lavoro sul fianco della piramide che domina la piana di Saqqara

Operai al lavoro sul fianco della piramide che domina la piana di Saqqara

Il ministro El-Damaty è in prima linea nel rilancio dei siti archeologici egiziani, che fino al 2010 garantivano una bella fetta del business miliardario legato al turismo. Altre immense opere sono in corso, a cominciare dal nuovo Grande Museo che dovrebbe aprire i battenti il prossimo anno. L’Unesco guarda con molta attenzione ai passi del governo, e in una recente visita ufficiale ha lodato gli sforzi del Cairo. Ma mancano i fondi: per la ristrutturazione del museo islamico, tanto per fare un esempio, quello semidistrutto lo scorso gennaio nel primo attentato kamikaze nella storia del Cairo, l’unico e più importante finanziatore straniero è l’Italia.

I tesori del museo Egizio di Torino esposti per la prima volta in Germania nella mostra “Egitto. Dei, uomini e Faraoni” mentre procede il progetto del “grande museo Egizio” pronto per la primavera 2015

La mostra "Egitto. Dei, uomini e Faraoni" nelle ex fonderie di Volklingen in Germania

La mostra “Egitto. Dei, uomini e Faraoni” nelle ex fonderie di Volklingen in Germania

I faraoni del museo Egizio di Torino “padroni” delle fonderie tedesche.  Sono 250 i capolavori del museo Egizio di Torino esposti all’interno della mostra “Egitto. Dei, uomini e Faraoni. Tesori del Museo Egizio di Torino” aperta fino al 22 febbraio 2015 alle ex fonderie Völklingen Ironworks, della città di Völklingen nello stato federale del Saarland in Germania, sito dichiarato dall’Unesco Patrimonio Culturale dell’Umanità nel 1994. L’importante polo museale tedesco accompagnerà i suoi visitatori per 6 mesi nell’affascinante mondo dell’antico Egitto, un viaggio di circa 4mila anni alla scoperta di una delle civiltà più straordinarie e importanti dell’intera umanità, attraverso l’esposizione di alcuni tra i più celebri reperti della collezione del museo Egizio di Torino, che vanta la seconda collezione di antichità egizie del mondo nonché la più importante e ricca al di fuori dell’Egitto.

In Germania per la prima volta esposti alcuni tesori provenienti dal museo Egizio di Torino

In Germania per la prima volta esposti alcuni tesori provenienti dal museo Egizio di Torino

La città tedesca di Völklingen, poco distante dal confine con Francia e Lussemburgo, è nota per le sue storiche fonderie. Oggi questi spazi sono adibiti a eventi e mostre. Dopo le due importanti esposizioni, che hanno messo in dialogo questi spazi industriali con le grandi civiltà degli Inca e dei Celti, ecco la mostra “Egitto. Dei, uomini e Faraoni. Tesori del Museo Egizio di Torino” che presenta divinità, uomini e faraoni dell’Antico Egitto, attraverso le collezioni del Museo Egizio di Torino. Dall’istituzione sabauda arriverà infatti la parte più ampia dei reperti esposti, ben 250, che approderanno per la prima volta nei territori della Grande Regione tedesca. “Assicurare i tesori egizi ha comportato cifre da capogiro”, confessano gli organizzatori comunque fermamente convinti che l’opportunità di vederli esposti in un uno spazio simile sia impagabile. La mostra è stata realizzata con il contributo della soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici. Potranno essere ammirati tra gli altri gli splendidi sarcofagi lignei risalenti al Terzo Periodo Intermedio e una statua monumentale della dea Sekhmet del Nuovo Regno. “Così alle ex fonderie di Völklingen”, spiega Meinrad Maria Grewenig, direttore generale del sito Unesco di Völklingen: “due capitoli della storia umana, come l’industrializzazione e la civiltà dell’antico Egitto, si incontrano in un luogo unico, semplicemente incomparabile!”. E aggiunge: “Per celebrare il ventennale dell’iscrizione di Völklingen nella lista dei siti Unesco, è stato aperto un nuovo e più confortevole Visitor Center che offre un mix di informazioni audio e tecnologia spettacolare in un’atmosfera particolare che ne fa un’esperienza straordinaria. Inoltre – conclude-, proponiamo anche la mostra “25 anni dalla riunificazione tedesca” con le 40 fotografie chiave del celebre fotografo Helmut R. Schulze sulla riunificazione delle due Germanie dopo la caduta del muro di Berlino”.

Il nuovo allestimento negli spazi ipogei del museo Egizio di Torino

Il nuovo allestimento negli spazi ipogei del museo Egizio di Torino

Verso il nuovo museo Egizio 2015. Mentre un consistente nucleo di tesori dell’istituzione sabauda sono in Germania, il museo Egizio di Torino è al centro di un grande progetto di trasformazione il cui termine dei lavori è fissato per i primi mesi del 2015 (si parla di aprile 2015, cioè un mese prima dell’inaugurazione di Expo Milano). Nonostante il cantiere, il museo è comunque sempre aperto al pubblico. Da quasi un anno, con l’apertura al pubblico dei nuovi ambienti ipogei e l’inaugurazione di un allestimento temporaneo di grande suggestione, pensato per valorizzare un migliaio di reperti tra i più rappresentativi della collezione museale, è attivo un nuovo percorso museale dal titolo “Immortali. L’Arte e i Saperi degli antichi Egizi”: è in questo nuovo spazio ipogeo che si descrive la varietà e la ricchezza tecnica ed artistica raggiunta dagli Egizi per soddisfare i vari aspetti della loro vita quotidiana e religiosa.