A Ferragosto al museo Egizio di Torino in compagnia della regina Nefertari

A Ferragosto al museo Egizio di Torino. Il 15, 16 e 17 agosto 2024 si può godere la visita del museo Egizio fino alle 20. Sarà l’occasione per poter ammirare il recente allestimento della sala dedicata alla regina Nefertari, la grande sposa reale del faraone Ramses II, la cui tomba fu scoperta giusto 120 anni, nel 1904, da Ernesto Schiaparelli, direttore del museo torinese e della missione archeologica italiana in Egitto all’inizio del Novecento. Oggi il ricco corredo è conservato proprio a Torino. Prenota il tuo biglietto su https://egizio.museitorino.it
Torino. Al museo Egizio apre la sala Nefertari col corredo funerario della tomba della Grande Sposa Reale di Ramses II scoperta da Schiaparelli proprio 120 anni fa. E nel pomeriggio conferenza di Tarek Tawfik (università del Cairo) su “The Tomb of Nefertari. Encountering the Queen”. Conferenza in presenza e on line in collaborazione con Acme

Sala Nefertari al museo Egizio di Torino: gli ushabti dal corredo della tomba della regina (foto museo egizio)

Sala Nefertari al museo Egizio di Torino: allestimento con Enrico Ferraris (foto museo egizio)

Sala Nefertari al museo Egizio di Torino: allestimento con Cinzia Soddu (foto museo egizio)
Il corredo funerario della regina Nefertari (1295-1255 a. C.) torna a Torino al termine di un tour internazionale, durato 8 anni e partito da Leiden in Olanda nel 2016 per poi toccare l’Ermitage di San Pietroburgo in Russia e numerosi musei oltreoceano, negli Stati Uniti e in Canada. E dal 9 agosto 2024 al museo Egizio di Torino si può ammirare la sala Nefertari nel nuovo allestimento curato da Enrico Ferraris, con la collaborazione di Cinzia Soddu, e realizzato con il sostegno della Fondazione Crt.
Monili, amuleti, ushabti e calzari: sono alcuni dei reperti in esposizione, che ritornano nelle vetrine di inizio Novecento, volute da Ernesto Schiaparelli, all’epoca alla guida del Museo Egizio e che nella Valle delle Regine nei pressi di Luxor, il 12 marzo 1904 scoprì la tomba della Regina Nefertari: “Nella parte superiore del declivio, i nostri scavatori misero in luce i primi gradini di una scala scavata nella rupe sottostante. […] Col furore che invade i lavoranti quando sanno di essere vicini alla scoperta di una tomba, i mucchi di macerie che coprivano la scala vennero in breve sgombrati; e col rapido procedere del lavoro venne progressivamente in luce una bella scala. […] La tomba era aperta, e non rimaneva più alcuna traccia dell’antica chiusura […].”. È nell’inverno 1903 che Schiaparelli avvia la Missione Archeologica Italiana nel sito, dove con i colleghi egiziani e italiani, concentrerà le sue ricerche per tre anni. Oltre 40 furono le tombe scoperte, ma il ritrovamento più sensazionale fu quello della tomba della regina Nefertari, Grande Sposa Reale di Ramesse II, che ancora oggi incanta per la bellezza della decorazione dipinta.

Dettaglio del modellino ligneo della tomba di Nefertari, fatto realizzare da Schiaparelli nei primi decenni del Novecento (foto graziano tavan)
In esposizione anche il modellino ligneo della tomba, fatto realizzare da Schiaparelli nei primi decenni del Novecento. La riproduzione offre la possibilità di guardare nei minimi dettagli il complesso ciclo di pitture dedicate al viaggio ultraterreno della regina Nefertari e che servì al Getty Conservation Institute da base per i restauri delle pitture originali negli anni Novanta.
In occasione dell’apertura della sala, è atteso a Torino al museo Egizio, un ospite d’eccezione: Tarek Tawfik, presidente dell’Associazione Internazionale degli Egittologi, direttore del Centro per gli Studi Archeologici e il Patrimonio Internazionale a Luxor, già direttore generale del Grand Egyptian Museum (Gem), nuovo appuntamento, con le conferenze organizzate con l’Associazione ACME, Amici e Collaboratori del Museo Egizio. Il professore Tawfik incontra il pubblico il 9 agosto 2024, alle 18, nella sala conferenze dell’Egizio con la conferenza “The Tomb of Nefertari. Encountering the Queen”. L’ingresso in sala conferenze è libero con prenotazione obbligatoria al link https://www.eventbrite.it/…/the-tomb-of-nefertari… Evento in inglese con traduzione simultanea in italiano in sala. Disponibile anche in streaming sui canali Facebook e YouTube del Museo Egizio. Il programma di incontri è realizzato in collaborazione con il dipartimento di Studi storici dell’università di Torino. Tra i temi toccati nel corso della sua conferenza le sfide da fronteggiare per rendere nuovamente accessibile la tomba di Nefertari, al momento chiusa al pubblico, per preservarne le decorazioni parietali.

Ritratto di Nefertari dipinto all’interno della sua tomba nella Valle delle Regine a Tebe Ovest in Egitto (foto graziano tavan)

L’interno totalmente affrescato della Tomba di Nefertari nella Valle delle Regine a Tebe Ovest in Egitto (foto graziano tavan)
La Regina Nefertari doveva essere una donna eccezionale. Durante il regno del re Seti I, si sposa con il principe Ramesse e riesce a rimanere la “grande sposa reale” di Ramses il Grande fino alla sua morte. Le lettere cuneiformi rivelano il suo ruolo nella diplomazia estera con gli Ittiti e la sua prominente apparizione nel grande tempio adiacente al gigantesco tempio di Ramses II ad Abu Simbel sottolinea il suo coinvolgimento nel dimostrare la supremazia politica verso i confini meridionali dell’Egitto. I dettagli nella sua straordinaria tomba decorata (QV66) permettono un incontro ravvicinato con questa regina che conquistò il cuore di Ramesse II. Ci si immergerà nel mondo di Nefertari per comprendere l’architettura della sua tomba e le scene religiose che tanto rivelano sull’arte e lo stile di vita di una delle più famose spose reali del Nuovo Regno. Deve essere stata una sfida per gli artigiani del tempo creare una tomba così incredibilmente decorata, ma è anche una sfida per noi oggi preservarla per farla ammirare alle future generazioni.

Tarek Tawfik, presidente dell’associazione internazionale degli Egittologi
Tarek Sayed Tawfik Ahmed ha conseguito una laurea e un master in Egittologia alla Facoltà di Archeologia dell’università del Cairo e un dottorato di ricerca in Egittologia all’università di Bonn, in Germania. Ricopre il ruolo di direttore del Centro per gli Studi Archeologici e il Patrimonio Internazionale a Luxor, ed è stato direttore generale del Progetto del Grande Museo Egizio, dove continua a svolgere un ruolo chiave come membro del Comitato Superiore del ministero del Turismo e delle Antichità per Musei ed Esposizioni. Tawfik è il vicedirettore degli scavi di Saqqara per la Facoltà di Archeologia dell’università del Cairo. È professore associato di Egittologia presso la stessa facoltà; inoltre, è anche visiting professor in diverse importanti università a livello mondiale. Tawfik è stato eletto vice presidente dell’Associazione Internazionale degli Egittologi nel novembre 2019. Fa parte del comitato editoriale del British Journal of Egyptian Archaeology (JEA) dal 2014. Inoltre, è vicepresidente del Consiglio Internazionale dei Musei in Egitto (ICOM). Di recente, Tawfik è stato eletto presidente dell’Associazione Internazionale degli Egittologi durante la Conferenza ICE XIII a Leiden nel 2023.
Torino. Il presidente Mattarella presenzierà alle celebrazioni del bicentenario del museo Egizio. Il direttore Greco annuncia interventi ed eventi: dalla sala Nefertari (9 agosto) alla Galleria “Materia. Forma del Tempo”, dalla consegna all’Italia del Tempio di Ellesiya (20 novembre) alla nuova Galleria dei Re, dalla piazza Egizia all’Egitto immersivo (2025)

Christian Greco, direttore del museo Egizio, presenta gli interventi per il bicentenario (foto museo egizio)
Sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 20 novembre 2024 ad aprire ufficialmente la tre giorni di celebrazioni del bicentenario del museo Egizio di Torino (1824-2024). In realtà l’anno del bicentenario è già iniziato nell’ultimo scorcio del 2023 e continuerà per quasi tutto il 2025. A ripercorrere quanto già fatto e ad annunciare il grosso degli eventi che ci aspettano nei prossimi mesi è stato il direttore del museo Egizio Christian Greco.

Galleria della Scrittura al museo Egizio di Torino: l’ingresso (foto graziano tavan)
Galleria della Scrittura. “Il bicentenario è già iniziato”, esordisce Greco, “e noi l’abbiamo iniziato il 19 dicembre 2023 aprendo la prima sala che è la Galleria della Scrittura: con la scrittura declinata in tutte le sue valenze” (vedi Torino. Al museo Egizio da oggi apre la Galleria della Scrittura, percorso permanente di mille metri quadrati che ospitano 248 reperti, un viaggio in 10 sezioni all’origine delle scritture dell’antico Egitto, a ritroso nel tempo di 4000 anni. L’intervento del direttore Greco per “archeologiavocidalpassato” | archeologiavocidalpassato). Il progetto espositivo della Galleria della Scrittura è stato firmato da tre curatori del Museo: Paolo Marini, Federico Poole e Susanne Toepfer, quest’ultima responsabile della Papiroteca del Museo, che ospita una delle più significative collezioni di papiri al mondo.

L’allestimento temporaneo “Verso la nuova Galleria dei Re” al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
Verso la nuova Galleria dei Re. Per consentire il riallestimento della Galleria dei Re, le statue della Galleria dei Re sono protagoniste dal 23 aprile 2024 di un nuovo allestimento temporaneo nell’atrio e sotto le arcate del museo Egizio e dell’Accademia delle Scienze, dal titolo “Verso la nuova Galleria dei Re” (vedi Torino. Al museo Egizio, nell’anno del bicentenario, avviato il riallestimento della Galleria dei Re: fino a ottobre le statue di dei e faraoni sono spostate nell’atrio e sotto le arcate del museo Egizio e dell’Accademia delle Scienze. L’esposizione “Verso la nuova Galleria dei Re” ricorda il loro arrivo, 200 anni fa, con la collezione Drovetti | archeologiavocidalpassato). L’esposizione, frutto della collaborazione tra le due istituzioni, offrirà fino a ottobre 2024 ai visitatori una suggestione dell’origine del museo, 200 anni fa, quando arrivarono a Torino le grandi sculture di faraoni e divinità. Nel 1823 queste, infatti, assieme a migliaia di reperti della collezione Drovetti, varcarono la soglia del palazzo barocco che oggi ospita il museo Egizio e l’Accademia delle Scienze e furono sistemate al piano terreno e nella corte. Un anno dopo nacque a Torino il primo museo Egizio al mondo.

Una delle sale dello statuario con l’allestimento di Dante Ferretti, per le Olimpiadi Invernali di Torino 2006 (foto museo egizio)
“Il primo ripensamento – spiega Greco – è stato innanzitutto il basamento, perché forse tutti noi siamo sempre stati colpiti da quell’immagine che ci ha regalato Dante Ferretti, che venne in aiuto del museo nell’anno delle Olimpiadi (2006), arrivavano le delegazioni straniere, non c’erano soldi per rifare il museo, e quindi bisognava regalare un sogno. E questo sogno ce l’ha regalato, che era l’Egitto di Hollywood che rimarrà nella memoria di tutti, ed è documentato sul nostro sito. Però forse – continua – ci siamo dimenticati a essere una relazione intima con le statue a vederle. Oggi le vediamo tutte ribassate, e riusciamo finalmente a vederne i volti”. “Quando ho deciso al progetto della nuova Galleria dei Re– confessa Greco – ho pensato che questo sarà il mio licenziamento! Perché tutti adoravano la Galleria dei Re e in genere un direttore deve venire incontro a quello che vuole il visitatore e invece noi l’abbiamo cambiata”. Il progetto si chiama “Dall’oscurità alla luce”: “Queto è il concetto fondamentale: l’Egitto che torna con la sua luce. Già oggi al tramonto le Sekhmet acquistano una luce particolare che sembra davvero di rivederle nelle loro corti in Egitto”.
Giardino funerario e orto. “Il 1° maggio 2024 abbiamo aperto un piccolo giardino funerario” (vedi Torino. Al museo Egizio apre al pubblico un nuovo allestimento permanente “Giardini egizi: l’orto e il giardino funerario” | archeologiavocidalpassato). “Quello del museo Egizio – spiega Greco – riproduce il giardino funerario proposto nel Djehuty Project dal professor José Manuel Galán, ritrovato difronte a due tombe del Medio Regno (1991-1965 a.C.): una specie di griglia fatta in argilla rialzata con piante messe a dimora dentro questi cubi di terra e utilizzate nei rituali funerari. È l’ultimo omaggio a quelle persone che sotto quella sala riposano perché le mummie sono persone che riposano e mai avrebbero immaginato di essere oggi a Torino e che in quel giardino ritrovano uno degli elementi del paesaggio che hanno perso”. Dall’altra parte c’è un tipico orto così come viene rappresentato in una tomba di Beni Hasan, anch’esso realizzato con una specie di griglia dove si portava l’acqua a mano perché le piante sui diversi terrazzamenti potessero essere annaffiate.

La sala immersiva delle Gallerie d’Italia di Torino con la video-installazione “Paesaggi/Landscapes” (foto graziano tavan)
Paesaggi / Landscapes. “Paesaggi/Landscapes” è l’installazione immersiva, che dal 13 giugno al 12 settembre 2024 si può vedere gratuitamente, al mattino, alle Gallerie d’Italia di Torino, parte del progetto culturale ideato dal museo Egizio in cui la fotografia e la video-arte incontrano l’archeologia e l’antico Egitto. A corollario della video-installazione, e in concomitanza della chiusura del museo Egizio (17 giugno – 12 luglio 2024) per i lavori di copertura del cortile barocco, c’è stato un ciclo di dialoghi a ingresso libero che metterà a confronto fotografi, artisti ed egittologi saranno i protagonisti di “Paesaggi/Landscapes” (vedi Torino. Alle Gallerie d’Italia la video-installazione immersiva “Paesaggi/Landscapes”, progetto culturale ideato dal museo Egizio – in partnership con Intesa Sanpaolo – in cui la fotografia e la video-arte incontrano l’archeologia e l’antico Egitto: anticipazione di ciò che i visitatori del museo Egizio potranno sperimentare con “Egitto immersivo” nel 2025 | archeologiavocidalpassato). “È un primo assaggio di quello che vogliamo sia l’Egitto immersivo che vedremo nel 2025”, sottolinea Greco, “ovvero 200 anni dopo la nascita del museo Egizio ci siamo interrogati e ci siamo chiesti: cosa manca al museo Egizio? L’Egitto. E l’ambiente un po’ lo ricreiamo con il giardino e un po’ con un Egitto immersivo, ovvero cercando di far capire come il paesaggio sia un palinsesto in cui l’elemento antropico ha operato cercando di ricostruire il paesaggio”.

Il direttore Greco presenta il manifesto che annuncia l’apertura della sala Nefertari al museo Egizio (foto museo egizio)

La locandina della mostra “Queen Nefertari: eternal Egypt” al Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City
Nefertari. Il primo appuntamento del bicentenario è il 9 agosto 2024. Innanzitutto alla sera il museo Egizio avrà l’onore di ospitare il prof. Tarek Tawfik, presidente dell’associazione internazionale degli Egittologi, che parlerà su “La tomba di Nefertari. Incontro con la regina”, In occasione dell’inaugurazione della nuova sala del museo Egizio per il corredo della tomba della regina Nefertari, scoperta 120 anni fa da Ernesto Schiaparelli durante gli scavi della Missione Archeologica Italiana, tra 1903 e 1905. Nefertari, la sposa di Ramses II non si vede al museo Egizio da 8 anni. Ha fatto parte di una mostra itinerante che ha toccato prima l’Ermitage di San Pietroburgo, facendo 2 milioni e mezzo di visitatori (vedi “Nefertari e la Valle delle Regine. Dal museo Egizio di Torino”: all’Ermitage in mostra i capolavori conservati nella città sabauda parte delle ricche collezioni Drovetti e Schiaparelli | archeologiavocidalpassato), poi è andata a Leiden (vedi Il corredo della tomba di Nefertari del museo Egizio di Torino star della mostra “Le Regine del Nilo” a Leiden, in Olanda, prima esposizione temporanea all’estero del direttore Greco | archeologiavocidalpassato), quindi è approdata negli Stati Uniti (vedi Usa. Nonostante il contesto internazionale condizionato dalla pandemia, terza tappa nordamericana della mostra “Le Regine del Nilo” con 250 reperti del museo Egizio di Torino. Al Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas) proposto un nuovo allestimento dal titolo “Queen Nefertari’s Egypt”. Il direttore Greco: “Seguite tutte le operazioni di allestimento da remoto” | archeologiavocidalpassato) e in Canada (vedi Apre al Canadian Museum of History di Gatineau (Ottawa, Québec) la mostra “Queens of Egypt”, con 250 reperti del museo Egizio di Torino: dopo Kansas City e Fort Worth in Texas, i reperti delle collezioni torinesi proseguono il viaggio in Nord America e arrivano in Canada | archeologiavocidalpassato) per 5 anni. Dal 1° agosto 2024 la città di Torino è tappezzata col manifesto che riproduce uno degli oggetti più belli della Tomba di Nefertari, il Pilastro Djed-Zed. Sono state recuperate le vetrine volute da Schiaparelli arricchite da foto che ci riportano alla Valle delle Regine di inizio Novecento.

Christian Greco, direttore del museo Egizio, presenta la nuova galleria “Materia. Forma del Tempo” (foto museo egizio)
Galleria “Materia. Forma del Tempo”. “Un museo deve mettere al centro la materia: ecco quindi una serie di nuove biblioteche che verranno aperte in questa sala – anticipa Greco -. “La biblioteca dei legni: quali legni erano conosciuti nell’Antico Egitto? Quali pigmenti erano conosciuti? Perché i legni sono fondamentali e ci permettono all’interno dell’archeologia di datare, e quindi impareremo a cosa serve la Dendrocronologia. E poi la biblioteca della ceramica per rendere visibile quello che è l’elemento portante in archeologia: senza la ceramica noi non possiamo datare i vari strati. Sono 5600 vasi del museo Egizio che non sono mai stati esposti nella loro totalità, verranno presentati in un vetrinone che come una libreria. Ci sarà una scala che porta al secondo piano per poter vedere tutti i vasi in sequenza, ordinati per topografia – quindi nei luoghi in cui sono stati trovati – e poi in ordine cronologico. E in questo siamo precursori a livello internazionale”.

Il tempio di Ellesiya ricostruito nelle sale del museo Egizio di Torino (foto museo Egizio)
Tempio di Ellesiya. Il 20 novembre 2024 arriverà al museo Egizio il presidente Mattarella. “Per noi è molto importante che venga il presidente – sottolinea Greco – perché il presidente rappresenta tutti, rappresenta l’unità del nostro Paese. E noi restituiremo al presidente per restituirlo all’Italia il Tempio di Ellesiya, donato dal presidente Nasser all’Italia. Però c’era una cosa che doveva essere portata a termine del progetto iniziato da Silvio Curto: restituire questo tempio alla nazione. Il tempio non è del museo Egizio, il tempio è stato donato all’Italia. Ci sono stati altri tre Paesi che hanno ricevuto un tempio: gli Stati Uniti, i Paesi Bassi e la Spagna. La Spagna ha optato per l’esposizione in un parco, il Metropolitan ce l’ha all’interno del Met ma c’è un cubo di vetro che permette a chi è a Central Park di vedere all’interno, a Leiden si decise di coprire una piazza per rendere questo tempio fruibile. Noi stiamo per avviare i lavori per aprire una porta su via Duse e il tempio sarà fruibile gratuitamente per tutti. Lo consegneremo al Presidente della Repubblica, e dopo, nel pomeriggio del 20 novembre, apriremo il museo fino alle 21 per la comunità scientifica nazionale e internazionale. E poi fino alle 2 di notte avremo una prima notte bianca gratuita. La gratuità e la restituzione a Torino del museo Egizio continueranno poi il 21 e il 22 novembre in un festival di tre giorni che sarà per restituire a tutti il museo che è di tutti. E voglio che sia una festa che coinvolgerà tutti, voglio coinvolgere l’università, il Politecnico, voglio che vengano i giovani e che capiscano che questo museo in primis è loro”.

Christian Greco, direttore del museo Egizio, presenta gli allestimenti multimediali al Tempio di Ellesiya (foto museo egizio)
Il tempio di Ellesiya sarà raccontato. “Ci saranno due modalità in cui il tempio verrà raccontato”, spiega Greco. “Ci sarà un video-mapping sulle superfici del tempio che ci racconterà le varie parti del tempio e poi ci sarà una proiezione che darà una spiegazione invece sulla storia del museo. Una storia – continua Greco – che ci permette di nuovo di raccontare, di declinare una memoria sotto una valenza diversa, perché non esiste una memoria unica. In archeologia si deve dimenticare la parola identità. Non esistono identità, esistono caratteristiche diverse, esistono ibridazioni, e non si può pensare che ci sia un qualcosa di unico, un bianco e un nero, ma ci sono diverse gradazioni”.

Christian Greco, direttore del museo Egizio, presenta il nuovo allestimento della Galleria dei Re (foto museo egizio)
Galleria dei Re. “Innanzitutto recuperiamo l’ingresso monumentale Museum – spiega Greco – con una porta in legno bellissima arricchita di elementi esoterici che ci testimonia anche il sentire di Torino di fine ‘800. Si rivede la volta, si rivedono le due lapidi, una che ci ricorda di Drovetti e l’altra in lettere d’oro che ci ricorda della visita di Jean-Françoise Champollion, e che finalmente saranno esposte. Cambia la concezione: finestre aperte sulla corte interna, finestre aperte su piazza Carignano e luce. Le statue sono tutte abbassate e saranno in un contatto molto più intimo. Da metà piazza Carignano guardando verso il museo, con le luci accese, di sera si riuscirà a vedere le statue all’interno. La statua di Seti II sarà nella luce, con una parete dietro graficata che ci farà vedere da dove lui arriva perché lo sforzo di contestualizzazione lo faremo anche qui. La statua di Seti II è stata trovata difronte alla cappella di Seti II nel gran cortile del Tempio di Karnak. appena si entra dalla porta monumentale di Nectanebo I immediatamente a Nord c’è il suo fratello gemello che si trova al Louvre – il nostro però è più bello – e quindi finalmente ci sarà questo tentativo di contestualizzazione. Lo stesso avverrà con le Sfingi, esposte in una maniera diversa. Non più che guardano il pubblico ma che si guardano loro e che dovranno in prospettiva anche ricordare quel dromos che collegava il tempio di Karnak e il tempio di Luxor”.

Bicentenario museo Egizio: rendering della piazza Egizia, veduta zenitale (foto OMA Rotterdam)
Piazza Egizia. Per consentire tutti i singoli interventi è stato necessario coprire la corte, attraverso un bando internazionale cui hanno partecipato 38 progetti da 34 Paesi. È stato scelto un progetto olandese (vedi Torino. Per le celebrazioni del bicentenario il museo Egizio cambia volto e si apre alla città: il cortile diventa la Piazza Egizia, urbana e coperta con accesso libero al tempio di Ellesija. Ecco i dettagli del progetto dello studio OMA di Rotterdam vincitore del concorso internazionale indetto dalla Compagnia di San Paolo | archeologiavocidalpassato). È una copertura leggera e completamente reversibile, perché non entra nelle pareti e quindi si potrà togliere in qualsiasi momento. È in vetro e acciaio che nell’ottica degli architetti ricorda quella che doveva essere la griglia di scavo. “Questo ci permetterà di avere una piazza”, spiega Greco, “dove avverranno una serie di cose. Ma la piazza con tutti i servizi annessi non sarà pronta per novembre, quando verrà il Presidente della Repubblica, ma sarà completata tra giugno e settembre 2025”. InfoPoint. Nel 2025 ci sarà un infopoint condiviso che sarà museo Egizio e Accademia delle Scienze, “perché il valore è che questo museo continua a essere all’interno di questo palazzo dove l’Accademia delle Scienze ha avuto il primo curatorio dove l’Accademia delle Scienze ancora c’è e dove insieme accoglieremo il pubblico per dire qui c’è un luogo congiunto e ci sono delle cose che si possono fare. Il mio sogno è di poter unire un giorno il patrimonio tangibile e intangibile, Accademia delle Scienze e museo Egizio per tentare assieme di valorizzare questo, quindi non solo le collezioni ma anche il palazzo in cui sono i saperi che si sono accumulati per cercare di far partecipare il museo Egizio a una candidatura Unesco.

Progetto OMA per il museo Egizio di Torino: rendering del bookshop accessibile dalla piazza Egizia (foto OMA Rotterdam)
La copertura della piazza ci ha permesso finalmente di stamponare le arcate del portico che è il portico di un palazzo barocco, così da poter percepire questa idea di interno ed esterno. Ci sarà la libreria, ricordando un po’ i portici di carta di Torino, prima di entrare nella Galleria dei Re. Questa piazza diventerà un luogo in cui chi entra, un po’ in piccolo date le nostre dimensioni, possa decidere dove andare. Si può andare al Tempio di Ellesiya, che è gratuito; si può andare sotto, nell’Egitto immersivo, che è gratuito; si può andare alla Galleria dei Re, o alla Galleria Materia Forma del Tempo; oppure prendere la scala mobile, raggiungere il secondo piano e cominciare il percorso cronologico. Quindi un museo che diventa molto più permeabili”. Continua Greco: “Toglieremo finalmente la scala mobile che porta adesso nell’ipogeo, perché oggi questa scala mobile oscura completamente il muro romano. La nuova scala, molto più leggera, utilizzabile anche per piccole conferenze, permetterà di far vedere tutto il muro romano su cui è costruito tutto l’edificio”.

Progetto OMA: rendering del giardino Egizio al livello -1 della piazza Egizia del museo Egizio di Torino (foto OMA Rotterdam)
Giardino egizio ed Egitto immersivo. Sarà pronto nel 2025. “In molte tombe tebane del Nuovo Regno – riprende Greco – il giardino viene rappresentato come un luogo in cui soggiornare. Così noi ricreeremo un giardino antico egizio e questo giardino è una parte della ricostruzione del paesaggio, perché dal giardino si entrerà in quello che è l’Egitto immersivo. Qui non saranno solo immagini, ma ci saranno anche reperti esposti vicino al loro paesaggio. E lì accanto c’è la sezione della Storia del Museo, anche questa gratuita. È il passato e il futuro del museo in dialogo tra loro”.
Torino. Il museo Egizio ricorda con le foto originali d’Archivio la data del 15 febbraio, anniversario della scoperta a Deir el Medina della tomba intatta di Kha e Merit da parte di Ernesto Schiaparelli direttore della Missione Archeologica Italiana

Tomba intatta di Kha e Merit (Deir el Medina, Egitto): il corridoio di accesso alla camera funeraria al momento della scoperta nel 1906 (foto archivio museo egizio)

La galleria con la Tomba di Kha al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
Ieri, 15 febbraio 2023, il museo Egizio di Torino ha voluto ricordare questa data molto importante per il museo facendo rivivere i momenti della scoperta con le foto d’epoca dell’Archivio dell’Egizio: in questo stesso giorno, nel 1906, venne ritrovato il pozzo d’accesso alla tomba del “direttore dei lavori” Kha e sua moglie Merit, dove riposavano le mummie dei coniugi circondate dal loro corredo che oggi si può ammirare nelle sale del museo torinese.

Tomba intatta di Kha e Merit (Deir el Medina, Egitto): ingresso della camera funeraria al momento della scoperta nel 1906 (foto archivio museo egizio)
Infatti, il 15 febbraio 1906, nella necropoli del villaggio di Deir el-Medina, a Tebe Ovest, la Missione Archeologica Italiana, diretta da Ernesto Schiaparelli, scoprì la tomba di Kha e della consorte Merit. La tomba, ritrovata intatta, restituì, oltre alle mummie dei titolari, anche il loro ricco corredo funerario. Kha fu “Soprintendente ai lavori nella Grande Sede” (Necropoli della Valle dei Re), oltre che “Scriba reale”. La sua attività si svolse durante i regni di tre faraoni: Amenhotep II, Tutmosi IV e Amenhotep III, dal 1425 al 1353 a.C.

Tomba intatta di Kha e Merit (Deir el Medina, Egitto): la camera funeraria al momento della scoperta nel 1906 (foto archivio museo egizio)
Schiaparelli, con il cuore gonfio d’emozione, racconta come “nella camera tutto era in ordine perfetto, nella disposizione medesima che prima di uscire dalla tomba i parenti del defunto vi avevano dato”. Il corredo era infatti intatto e alcuni oggetti erano stati sigillati al tempo di Kha.

Tomba intatta di Kha e Merit (Deir el Medina, Egitto): la maschera d’oro di Merit al momento della scoperta nel 1906 (foto archivio museo egizio)
Un video realizzato da IBAM CNR – Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali con le foto dell’archivio storico del Museo ci fa rivivere il momento della scoperta.

Tomba intatta di Kha e Merit (Deir el Medina, Egitto): trasporto del corredo funebre nel 1906 (foto archivio museo egizio)
Ernesto Schiaparelli (1856-1928) è sicuramente noto per la direzione del museo Egizio (dal 1894), per la fondazione della M.A.I., la Missione Archeologica Italiana, e per le grandi scoperte avvenute durante le ricerche e gli scavi realizzati in Egitto dal 1903 al 1920, fra le quali spiccano certamente il rinvenimento della tomba della regina Nefertari nella Valle delle Regine e quello della tomba intatta di Kha e Merit a Deir el-Medina.
Vicenza. Christian Greco, direttore del museo Egizio, introduce alla visita della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana. Ecco la sua prolusione alla presentazione ufficiale

Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023

Mostra “I creatori dell’Egitto eterno”: da sinistra, Paolo Marini, Corinna Rossi, Christian Greco, Francesco Rucco, Simona Siotto, Cédric Gobeil (foto graziano tavan)
Nell’anno, il 2022, in cui vengono celebrati gli anniversari di due avvenimenti fondamentali per la storia dell’Egittologia, i 200 anni dalla decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion e il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, il museo Egizio di Torino cura, per la prima volta in Italia, un progetto espositivo così importante “al di fuori del museo”, presentando una straordinaria selezione di reperti e sviluppando un tema centrale per gli studi egittologici. Parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana a Vicenza fino al 7 maggio 2023 (e durante le festività, fino all’8 gennaio 2023, sempre aperta dalle 10 alle 18, eccetto Capodanno dalle 13 alle 18), fortemente voluta dalla Città di Vicenza e curata dal direttore del museo Egizio, Christian Greco, dalla docente di Egittologia al Politecnico di Milano, Corinna Rossi, dagli egittologi e curatori del museo Egizio, Cédric Gobeil e Paolo Marini. Qualche numero: 180 reperti originali, 3 installazioni multimediali, 4 curatori, 2 prestatori (museo Egizio di Torino e museo del Louvre di Parigi), 17mila prenotazioni, 550 gruppi, 1 città (Vicenza).

L’allestimento della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” nella Basilica palladiana di Vicenza (foto graziano tavan)

Christian Greco, Francesco Rucco e Simona Siotto alla presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza (foto graziano tavan)
In occasione della presentazione ufficiale della mostra, prima della vernice, alla presenza del sindaco di Vicenza Francesco Rucco e dell’assessore alla Cultura Simona Siotto, il direttore dell’Egizio Christian Greco nella sua prolusione ha introdotto gli elementi più significativi che hanno sotteso la realizzazione della grande mostra, e il perché della scelta del villaggio di Deir el Medina e dei suoi abitanti per il senso della vita e della vita dopo la morte secondo gli antichi Egizi. Grazie a una registrazione live del regista veneziano Alberto Castellani, che l’ha gentilmente messa a disposizione di archeologiavocidalpassato.com, tutti gli appassionati possono così prepararsi meglio alla visita della mostra.
“Questa mostra, grazie al lavoro di tutti, vi permetterà di fare un viaggio ideale – lo si vede già dal video all’inizio dell’esposizione – tra Vicenza e Deir el Medina”, annuncia Christian Greco. “E quando Guido Beltramini, direttore del Cisa, mi disse Vorremmo una mostra dell’Egitto a Vicenza, pensare a Deir el Medina fu immediato. Perché era pensare a un villaggio, a un insediamento di cui conoscevamo le vite delle donne e degli uomini che vi avevano lavorato; era vedere l’altra faccia della medaglia, era collegarlo a quell’idea che era piaciuta molto al sindaco che l’ha voluto porre anche come manifesto per Vicenza candidata alla capitale della Cultura: l’idea di fabbrica, ovvero di un contesto sociale ed economico che lavora assieme per una trasformazione. Ebbene, a Deir el Medina avvenne questo.

Statua della dea Sekhmet (XVIII dinastia, regno di Amenofi III, 1390-1353 a.C.) conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“E quindi voi, visitando la mostra – spiega Greco -, vi troverete catapultati prima nella sponda Est della Tebe del Nuovo Regno, dove vengono eretti i grandi templi delle divinità locali che diventano divinità nazionali: Amon, colui che è nascosto – questo significa il nome -, che diventa la divinità principale dell’Egitto, profondamente legata alla regalità. E, come ricordava l’assessore Simona Siotto, l’esistenza e la caducità dell’esistenza era un qualcosa che interrogava molto gli Egizi e quindi proprio in quel periodo nella sponda Ovest di Tebe (vedrete la magnifica statua di Sekhmet) cominciarono a erigere i templi cosiddetti di milioni di anni, dove il culto del faraone potesse essere portato avanti.

La stele dedicata ad Amenofi I e Amhose Nefertari da Amenepimet e dal figlio Amennakht, conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Servivano però delle maestranze – fa notare il direttore del museo Egizio -, servivano delle persone che sapessero progettare, operare, scavare nella roccia, trasformare le pareti, levigarle, fare la sinopia. Dopo di ché scolpirle, e poi ancora con i pigmenti trasformare completamente questo spazio. Oggi si parla molto di metaverso. Ma cosa c’è di più metaverso della per djet, della casa per l’eternità, di quello spazio cioè che, una volta varcata la soglia, diventava la casa del faraone per sempre? Uno spazio però in cui valevano delle regole diverse, delle regole spazio-temporali completamente diverse. Non erano più in questa realtà. Serviva quindi uno sviluppo del tempo diverso, dal tempo ciclico che era il tempo del dio Sole, che ogni giorno risorge e di notte combatte contro Apofis e poi può tornare sulla terra. E il faraone, una volta entrato, dopo il rituale dell’Apertura della Bocca, era completamente trasformato.

Il faraone Ramses II tra il dio Amon e la dea Mut, gruppo in granito dal tempio di Amon a Karnak (XIX dinastia, regno di Ramses II, 1279-1213 a.C.), conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Prima l’assessore Siotto ricordava come si potrebbe definire la vita. Allora – continua Greco – i biologi e i filosofi si interrogano molto. E a me ha sempre molto colpito vedere immagini su cui i biologi lavorano molto: che differenza c’è tra una persona nel momento in cui è in vita e il momento successivo in cui la vita non c’è più? Cos’è la vita? Ebbene oggi ci dicono che nel momento successivo non ci sono più quelle connessioni, non ci sono più le connessioni molecolari, non c’è più l’energia, non c’è più lo scambio. E pensate che gli Egizi questo l’avevano capito perfettamente già nel Medio Regno, e codificato nel Nuovo Regno. E l’hanno capito in una serie di cose. Hanno capito che la persona era complessa. La persona era composta dal corpo. Però se io cadessi morto in questo momento gli egiziani mi definirebbero cadavere. Il corpo doveva ridiventare immagine vivente della persona, ricomponendo una serie di cose: ricomponendo il nome, ricomponendo l’ombra, ricomponendo il ba che è l’anima che può trasmigrare da questo all’altro regno, il ka che è la forza vitale, e mettendo assieme tutto questo potevano tornare a vivere.

Statuetta in legno della dea Tauret, dedicata dal disegnatore Parahotep, venerata in ambito domestico, proveniente da Deir el Medina, e conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Ebbene quindi in mostra – sintetizza Greco – vedrete come vivevano gli abitanti di Deir el Medina, questo villaggio voluto da Amenofi I e dalla madre Ahmose Nefertari, che per 600 anni ospita 120 famiglie che hanno un unico compito: quello di costruire le tombe nella Valle dei Re e nella Valle delle Regine. Il loro nome è “servitore nel luogo della verità (Set Maat)”, e avevano forse il lavoro più importante al mondo, cioè quello di consegnare all’eternità la vita dei faraoni in modo che il loro culto potesse perpetrarsi. Però non era un mero culto regale, era un qualcosa di più vitale, di cosmico. Lo vedrete nel video curato da Corinna Rossi, e ringrazio Robin Studio per il lavoro eccellente che anche questa volta hanno fatto, che vi farà fare un viaggio all’interno di uno dei progetti più antichi al mondo, il progetto della tomba di Ramses IV. La vedrete trasformata, potrete viaggiare assieme al faraone, come questo spazio era un nuovo spazio di vita.

Dettaglio del modellino della Tomba di Nefertari, scoperta da Ernesto Schiaparelli nel 1904, conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“La mostra continua Greco – vi farà riflettere sulla wehem meswt, sulla rinascita, su quello che gli egiziani chiamavano la nuova vita che non era la morte. Ci saranno gli elementi che tutti noi ricolleghiamo all’Egitto, ovvero i sarcofagi, che sono quel luogo di trasformazione che permette al corpo di tornare a nuova vita. E passando dalla prima alla seconda parte della mostra, passerete proprio dalla vita del villaggio alla vita nell’aldilà e incontrerete un personaggio importantissimo, incontrerete Nefertari, la cui tomba fu trovata nel 1904 da Ernesto Schiaparelli. E vedrete il modello che Schiaparelli ha fatto fare. Ma vedrete anche le statuette funerarie. E vedrete gli oggetti che Nefertari si era portata con lei. Pensate, c’è persino una manopola con sopra il nome di Ahy, un faraone che era vissuto più di 200 anni prima, e quindi forse lei era legata ad Ahy che era stato sovrano dell’Egitto; o era un oggetto di famiglia caro, un ricordo che lei volle portare tomba. Non dobbiamo pensare che gli egiziani fossero degli alieni. Avevano lo stesso trasporto per la cultura materiale che abbiamo noi.

Ushabti in faience del faraone Seti I (XIX dinastia, 1290-1279 a.C.) conservati al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“In mostra si possono vedere le statuette in faiance, meravigliose, di un altro grande sovrano, Seti I, proprio di fronte a Nefertari. Vedrete i sarcofagi gialli. Vedrete il sarcofago di XXV dinastia che ci fa vedere un’evoluzione dell’iconografia.
“Però volevamo chiudere facendovi vedere anche la fine di questa storia. Amenofi I e Ahmose Nefertari hanno voluto questo villaggio. Questo villaggio ha funzionato. Poi probabilmente – oggi si direbbe – l’Egitto aveva speso troppo rispetto alle proprie necessità. Già all’epoca di Ramses III cominciamo ad assistere a dei disagi sociali, e nell’epoca di Ramses XI, probabilmente durante la vita di Butehamon, venne abbandonato il villaggio. Non è sicurissimo, perché alcuni ostraka, sia figurativi sia letterari, forse ci attestano una continuazione della vita nel villaggio. Però sappiamo sicuramente che Butehamon fondò un suo ufficio, la casa, forse anche la sua tomba nel tempio di Medinet Habu, qualche chilometro più a Sud, in un posto che era protetto. E sappiamo che Butehamon aveva un compito importantissimo: lui andava in giro per la necropoli, perché abbiamo ritrovato i suoi graffiti, a mettere in sicurezza i sarcofagi che venivano depredati. A Londra c’è un documento, il Robbery Papyrus, che ci parla del fatto di come fosse finito questo periodo dell’Eldorado, di come una vedova viene interrogata da un magistrato che le chiede ma perché tuo marito notte tempo si è introdotto in una tomba e ha rubato dei bacili di bronzo? e lei risponde perché con quello io e i miei figli abbiamo mangiato per tre anni. “E allora abbiamo voluto farvi riflettere anche su questo: come questa parabola del villaggio si concluda anche con un periodo di crisi e lo facciamo vedere – a mio giudizio in modo esemplare – utilizzando le nuove tecnologie, facendovi vedere il sarcofago di Butehamon, colui che mise in sicurezza i sarcofagi delle necropoli e al contempo, mentre lo faceva, prese dei pezzi per mettere in sicurezza anche il proprio.

Sarcofago giallo femminile, in legno e stucco, del Terzo periodo intermedio (XXI dinastia, 1076-943 a.C.) conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“È una mostra quindi – conclude – che ci fa riflettere sulla vita, sulla vita dopo la morte, sull’esistenza, sulle difficoltà dell’esistenza, su come il lavoro veniva organizzato, su come si svilupparono anche delle credenze locali, e su come c’è un tema etico che pare trascendere i limiti temporali della storia. Alla fine anche per gli Egizi, come molto spesso anche per noi, quello che contava era maat, era la giustizia, era la verità, ed era l’unica cosa che ci permetteva di vivere bene sulla terra e di poter ambire a una vita dopo. E allora auguriamoci anche noi, come si auguravano gli antichi Egizi, di diventare maat keru, veritieri di voce, e di poter essere dotati di vita come il dio Sole per sempre”. Buona visita.
Apre al Canadian Museum of History di Gatineau (Ottawa, Québec) la mostra “Queens of Egypt”, con 250 reperti del museo Egizio di Torino: dopo Kansas City e Fort Worth in Texas, i reperti delle collezioni torinesi proseguono il viaggio in Nord America e arrivano in Canada

Nuova tappa del tour nordamericano dei reperti del museo Egizio di Torino, protagonisti della mostra itinerante “Regine del Nilo”. Nonostante il complesso contesto internazionale fortemente condizionato dalla pandemia di Covid-19, la mostra “Queens of Egypt” approda con un nuovo allestimento al Canadian Museum of History di Gatineau (Ottawa), dove può essere visitata dal pubblico canadese a partire da mercoledì 2 giugno 2021. L’esposizione, dopo Kansas City e Fort Worth in Texas, si presenta nella nuova sede col titolo “Queens of Egypt”: il percorso espositivo che si snoda attraverso circa 250 reperti del Museo che comprendono, insieme a statue e oggetti di vita quotidiana, il corredo funerario e il coperchio del sarcofago di Nefertari, portati alla luce dalla Missione Archeologica Italiana guidata da Ernesto Schiaparelli e al lavoro nella Valle delle Regine tra il 1903 e il 1905. Prima di tornare nelle vetrine, alcuni reperti – nello specifico alcune stele e sarcofagi – sono stati oggetto di una campagna di analisi realizzate in collaborazione con il museo di Gatineau e il Canadian Conservation Institute: attraverso diverse tipologie di analisi sono state studiate la composizione chimica dei differenti pigmenti e la loro reazione in seguito alle sollecitazioni da radiazioni luminose.

“Le restrizioni dell’ultimo anno ci hanno imposto nuove modalità di lavoro anche per quanto riguarda le mostre itineranti che continuiamo a promuovere all’estero”, dichiara il direttore del museo Egizio, Christian Greco: “un grandissimo e incessante impegno che coinvolge in particolare il nostro ufficio Collection Management e i colleghi della Soprintendenza, a cui va un sentito ringraziamento, e che ci permette di inaugurare un’altra importante tappa dell’esposizione dedicata alle regine d’Egitto. Un risultato importante che testimonia inoltre la forza della cultura materiale che abbiamo l’onore e l’onere di custodire, e la sua capacità di continuare a coinvolgere pubblici di tutto il mondo”.

“Siamo davvero orgogliosi di poter proseguire il percorso di internazionalizzazione che il Museo sta conducendo da anni, e che nel corso delle tappe nordamericane ci ha permesso di raccogliere un significativo successo”, aggiunge Evelina Christillin, presidente del museo Egizio: “in tutte le sedi statunitensi e canadesi toccate finora la nostra mostra si è infatti imposta come una delle più apprezzate dal pubblico, con oltre 500mila visitatori complessivi. Un’attività strategica, quindi, che continua a vederci in prima linea in piena sintonia con i nostri partner locali, il ministero dei Beni culturali e la Soprintendenza torinese”.
Usa. Nonostante il contesto internazionale condizionato dalla pandemia, terza tappa nordamericana della mostra “Le Regine del Nilo” con 250 reperti del museo Egizio di Torino. Al Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas) proposto un nuovo allestimento dal titolo “Queen Nefertari’s Egypt”. Il direttore Greco: “Seguite tutte le operazioni di allestimento da remoto”
Il museo Egizio di Torino è chiuso in rispetto delle norme sanitarie, ma il viaggio della regina Nefertari non si ferma. Nuova tappa del tour nordamericano dei reperti del museo Egizio, protagonisti della mostra itinerante “Regine del Nilo” che, nonostante il complesso contesto internazionale fortemente condizionato dalla pandemia di Covid-19, è approdata con un nuovo allestimento al Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas), dove potrà essere visitata dal pubblico statunitense fino al 14 marzo 2021. L’esposizione, dopo le tappe di Washington e Kansas City si presenta nella nuova sede col titolo “Queen Nefertari’s Egypt” proponendo un focus dedicato proprio alla regina moglie del faraone Ramses II (1279 – 1213 a. C.).


Il manifesto della mostra “Queen Nefertari’s Egypt” al Kimbell Art Mueum di Fort Worth (Texas)
L’attuale scenario internazionale, condizionato dalla pandemia, ha richiesto un impegno particolare al personale del museo Egizio per l’allestimento della mostra: “Vista l’impossibilità di recarci negli Stati Uniti per seguire il disallestimento della mostra a Kansas City e la preparazione di quella al Kimbell Art Museum”, spiega il direttore del museo Egizio, Christian Greco, “per la prima volta il nostro ufficio Collection Management ha seguito tutte le operazioni da remoto, con un grandissimo impegno e un lavoro durato complessivamente oltre due mesi, svolto fianco a fianco con i colleghi della Soprintendenza, che ringrazio per la proficua e costante collaborazione. Gli importanti sforzi fatti e l’inaugurazione di questa nuova tappa della mostra itinerante dedicata alla regina Nefertari testimoniano ancora una volta la forza della cultura materiale e degli oggetti che abbiamo l’onore e l’onere di custodire: i reperti del museo si confermano un patrimonio dell’umanità, capace di trasmettere delle storie universali e di sensibilizzare il pubblico internazionale circa l’importanza del passato, chiave di lettura fondamentale per capire noi stessi e il tempo presente”.

“Siamo davvero soddisfatti e orgogliosi di poter proseguire il percorso di internazionalizzazione e di diffusione della cultura egizia che il Museo sta conducendo da anni”, dichiara Evelina Christillin, presidente del museo Egizio, “un’attività che continua a vederci in prima linea in piena sintonia con i nostri partner locali, il ministero dei Beni culturali e la soprintendenza torinese, e nell’ambito della quale hanno pari priorità tanto la valorizzazione quanto la sicurezza dei reperti. L’apertura al pubblico di questa mostra è per noi un segnale estremamente positivo e dimostra il grande dinamismo del nostro Museo: anche se in questo momento siamo chiusi al pubblico la nostra attività non si è fermata e anzi abbiamo continuato a lavorare sulla conservazione, la ricerca e per proporre sempre nuovi contenuti digitali, come dimostrano alcune recenti iniziative tra cui la trasmissione radio ‘Quello che gli Egizi non dicono’ e il calendario di conferenze egittologiche online avviato a novembre”.
Il percorso espositivo (nel video Jennifer Casler Price, curatrice del museo texano, ci conduce in un tour attraverso la mostra “Queen Nefertari’s Egypt”) si snoda attraverso circa 250 reperti del museo Egizio di Torino che comprendono, insieme a statue e oggetti di vita quotidiana, il corredo funerario e il coperchio del sarcofago di Nefertari, portati alla luce dalla Missione Archeologica Italiana guidata da Ernesto Schiaparelli e al lavoro nella Valle delle Regine tra il 1903 e il 1905. L’esposizione racconta inoltre ai visitatori la storia delle mogli dei faraoni durante il Nuovo Regno nel periodo che va dal 1500 al 1000 a.C., quando regine come Ahmose Nefertari, Hatshepsut, Tiye, Nefertiti, e in particolare Nefertari, erano donne influenti che non ricoprivano soltanto il ruolo di mogli ma gestivano anche il palazzo del faraone esercitando un potere politico significativo.
In occasione dell’apertura al pubblico, il direttore Christian Greco ha tenuto una conferenza inaugurale per il Kimbell Art Museum, introdotta dal direttore Eric Lee, trasmessa sui canali social del museo di Fort Worth, che qui riproponiamo, dal titolo “Le collezioni del museo Egizio e le ricerche in corso”.
Cosmetici ed effetti terapeutici nell’Antico Egitto. Ne parla il prof. Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert al museo Egizio di Torino: “Il kohol nelle ricette mediche. Vasi cosmetici e trattati medici sulle malattie dell’occhio sui papiri”

Il cofanetto da toeletta che faceva parte del corredo funerario di Merit, sposa dell’architetto Kha, conservato al museo Egizio di Torino
C’è un reperto prezioso, tra le migliaia esposti al museo Egizio di Torino, che spesso passa quasi inosservato ai più, presi come siamo a memorizzare il più possibile di quella civiltà affascinante quale è quella dell’Antico Egitto. Si trova nella sala riservata alla tomba dell’architetto Kha (“Capo della Grande Casa”, vissuto intorno al 1400 a.C.) e della moglie Merit, scoperta integra e inviolata da Ernesto Schiaparelli nel 1906 a Deir el Medina. Tra letti, panche, sgabelli, cofani, tele, tuniche, stoffe, vasellame in ceramica, metallo e pietra, nel corredo di Merit c’è anche uno straordinario cofanetto da toeletta, che conserva alcuni vasetti per la conservazione e il trasporto di unguenti e cosmetici, tra i quali il famoso kohol per il trucco agli occhi.

La locandina della conferenza del prof. Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert al museo Egizio di Torino
Ma quel trucco ha un “trucco”, e scusate il gioco di parole: aveva anche effetti medicamentosi. Martedì 4 giugno 2019, alle 18, se ne parla al museo Egizio nella conferenza “Il kohol nelle ricette mediche. Vasi cosmetici e trattati medici sulle malattie dell’occhio sui papiri”, tenuta dal professor Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert. Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert è professore di Egittologia all‘istituto di Egittologia dell‘università di Lipsia e direttore generale del museo Egizio “Georg Steindorff” dell’università di Lipsia. Tra i suoi interessi di ricerca: l‘antica letteratura egizia, la religione, la medicina e la magia. I contenitori egizi porta kohol sono di solito considerati soprattutto come vasi porta cosmetici. Galena nera e malachite verde, che formano i costituenti di base della pittura per occhi (kohol), sono però integrati da una vasta gamma di altri ingredienti. Alcuni contenitori databili al Nuovo Regno, tuttavia, recano sulle superfici titoli di ricette mediche che raccontano il loro vero scopo. Inoltre, le iscrizioni possono essere collegate a manuali medici sulle malattie degli occhi. Oltre alla “pittura quotidiana per occhi” incontriamo mezzi specifici per trattare sia problemi stagionali, sia i frequenti problemi degli occhi che molestavano gli Egizi di ogni livello sociale. La loro accessibilità era limitata e legata al Tesoro Reale, però. L’intervento del professor Hans-Werner Manfred Fischer-Elfert tratterà questi temi da una prospettiva combinata su cosmetici e medicina. La conferenza sarà introdotta da Federico Poole, curatore del museo Egizio. Ingresso libero in sala Conferenze fino a esaurimento posti.

Un ritratto della regina Nefertari con gli occhi truccati porge due vasetti per cosmetici (dipinto dalla tomba di Nefertari nella valle delle Regine)
Le regine dell’Antico Egitto amavano truccare gli occhi con il kohol, che allungava la forma dell’occhio, così da ricordare quella del dio Horus. Occhi truccati. Li vediamo nei ritratti della regina Nefertari, sposa del faraone Ramses II, dipinti nella sua tomba, scoperta nella Valle delle Regine da Ernesto Schiaparelli nel 1904. O nel busto della regina Nefertiti, sposa del faraone Akhenaten, scoperto a tell el-Amarna da Ludwig Borchardt nel 1912, e oggi conservato a Berlino. Ma, come verrà ben illustrato nella conferenza del museo Egizio di Torino, quel trucco non soddisfaceva solo un’esigenza estetica, o un sentimento religioso. C’era anche un risvolto medico-farmacologico. “l clima torrido, il sole abbacinante e l’ambiente polveroso dell’Egitto”, spiegano gli esperti, “non erano certo salubri per l’epidermide e gli occhi. Gli antichi creatori di cosmetici avevano quindi messo a punto trucchi dotati di potere protettivo o terapeutico”. È proprio quanto succede con il kohol i cui componenti principali – come abbiamo visto – erano la malachite (carbonato del rame di colore verde intenso) e la galena (composto del piombo dal tono grigio scuro) cui venivano aggiunti grassi animali, cera d’api o resine per agglutinarli. “Tramite l’uso di tipici bastoncini di legno, questi pigmenti venivano stesi generosamente sulle palpebre proteggendo gli occhi dal tracoma, una malattia infiammatoria cronica della congiuntiva, di natura virale e contagiosa. Inoltre, evitavano l’emeralopia, ovvero l’abbassamento della vista al tramonto e curavano la congiuntivite”.
Il corredo della tomba di Nefertari del museo Egizio di Torino star della mostra “Le Regine del Nilo” a Leiden, in Olanda, prima esposizione temporanea all’estero del direttore Greco
Le “Regine del Nilo” protagoniste fino al 17 aprile 2017 di una grande mostra al museo di Antichità (Rjiksmuseum van Oudeheden) di Leiden, in Olanda. E tra le mogli dei faraoni del Nuovo Regno (1500-1000 a.C.), come Ahmose Nefertari (XVIII dinastia, madre di Amenofi I), Hatshepsut (XVIII dinastia, moglie di Thutmosi II), Tiye (XVIII dinastia, moglie di Amenofi III e madre del futuro Akhenaton), Nefertiti (XVIII dinastia, moglie di Akhenaton) e Nefertari (XIX dinastia, moglie di Ramses II), donne influenti che gestivano il palazzo del faraone esercitando un potere politico significativo, di certo a Leiden la star è Nefertari, rappresentata da ben 250 reperti del corredo della tomba della regina moglie di Ramses II, provenienti dal museo Egizio di Torino. Questa di Leiden è infatti la prima mostra itinerante all’estero del nuovo corso del museo Egizio di Torino.
“È stato per me un onore presentare la mostra “Regine del Nilo” al museo di Leiden alla presenza del ministro olandese della Cultura, Jet Bussenmaker”, interviene Christian Greco, direttore dell’Egizio. “L’esposizione, che per il 95% è composta da oggetti che provengono dal museo Egizio, presenta i risultati della ricerca sullo straordinario patrimonio scoperto da Ernesto Schiaparelli e dalla Missione Archeologica Italiana impegnati nella Valle delle Regine tra il 1903 e il 1905 dove, oltre alla tomba di Nefertari, che rappresenta una delle massime espressioni pittoriche dell’Antico Egitto, portarono alla luce anche altre tombe di principesse come Ahmose, del visir Imhotep e di quattro figli del faraone Ramesse III”.
Al Rjiksmuseum van Oudeheden di Leiden i visitatori possono ammirare la bellezza della tomba ed entrare simbolicamente nelle sale grazie all’esposizione del prezioso modellino storico, testimonianza unica che ne ricostruisce l’architettura, per la cui realizzazione Ernesto Schiaparelli incaricò l’assistente Francesco Ballerini: in tutto 350 reperti archeologici di cui 245 provenienti dal museo Egizio con sculture, gioielli, oggetti preziosi oltre al coperchio del sarcofago e al corredo funerario di Nefertari.










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