Speciale innamorati a Pompei: aperta eccezionalmente per San Valentino la domus dei Casti Amanti, un’esperienza unica e irripetibile. Dopo il 14 febbraio sarà chiusa per restauri fino al 2020

Apre per San valentino la preziosa domus dei Casti Amanti, un cantiere aperto tra impalcature e passerelle metalliche
A San Valentino? Alla Casa dei Casti Amanti a Pompei. Un’esperienza unica e irripetibile: la domus romana è infatti oggi un cantiere aperto off limits, che rimarrà inaccessibile al pubblico per i prossimi tre anni. Ma per gli innamorati e i turisti che nella settimana di San Valentino, dall’11 al 14 febbraio 2017, hanno in programma una visita agli Scavi di Pompei, la soprintendenza speciale ha pensato di fare un regalo… speciale: aprire eccezionalmente al Casa dei Casti Amanti, un gioiello del sito archeologico ai piedi del Vesuvio. E per gli appassionati dei social saranno pubblicati i selfie e le foto degli innamorati postati su Instagram.

L’affresco con il bacio che ha dato il nome alla domus dei Casti Amanti di Pompei aperta per San Valentino
Il nome della domus nasce dal bacio “casto” che due amanti si scambiano in uno dei quadretti di banchetto che decorano il triclinio della casa, con annesso panificio. Si trattava infatti dell’abitazione di un ricco panettiere e all’interno della domus sono visibili oltre al forno del panificio, splendidamente conservato, con le annesse macine anche le due stalle con i resti di sette animali. Ancora non integralmente esplorata, Vittorio Spinazzola nel 1912 aveva iniziato l’indagine della facciata con il balcone con colonnato, poi danneggiato nel bombardamento del 1943. Lo scavo è proseguito, a più riprese, dal 1982 fino al 2004, con un ampio progetto di restauro e valorizzazione. Poco prima dell’evento drammatico del 79 d.C., erano in corso la risistemazione della rete idraulica e, nella Casa dei Pittori al lavoro, il rifacimento della decorazione parietale nel grande oecus (stanza di ricevimento): l’interruzione improvvisa lasciò incompleti i quadretti dei quali era già eseguita la sinopia. Indizio dell’abbandono repentino dei lavori sono le numerose coppette ancora piene di pigmenti che l’artista stava adoperando. Aperta al pubblico per la prima volta nel 2010 e poi richiusa, la domus dei Casti Amanti viene ora in via straordinaria proposta alla visita del pubblico prima dell’avvio del grande cantiere che ne consentirà il restauro globale e la valorizzazione, oltre che riconfigurare le scarpate dell’area.

La selva di tubi e impalcature che oggi imbraga il complesso della Casa dei Casti Amanti e quella dei Pittori al Lavoro
La casa fa parte di un’unica grande Insula che comprende anche la Domus dei Pittori al Lavoro e alcune botteghe. La visita alla Casa dei Casti Amanti ovviamente richiede alcune accortezze: l’area di 2600 metri quadri infatti, ingabbiata da una fitta rete di tubolari, è interessata da lavori di scavo, messa in sicurezza e restauro che mettono in luce tutta la delicatezza dello status della domus. Per questo l’accesso sarà consentito a gruppi di venti persone (non è richiesta la prenotazione), per disciplinare il percorso dei turisti in questo gigantesco cantiere che consiste in aree ricche di reperti archeologici al piano terra e camminamenti su pedane in ferro grigliate ai piani alti dai quali si può ammirare la pianta di due importanti domus pompeiane: la Casa dei Casti Amanti, ovviamente, e la vicina Casa dei Pittori al lavoro. La prima “attenzione” per i visitatori è già subito all’ingresso: due gradini che separano di soli quaranta centimetri un muro antico e dallo scheletro intero e suggestivo di un grosso mulo, emerso dagli scavi insieme ad altri animali che si trovavano nella stalla al momento della esplosione del Vesuvio e che giacciono al suo fianco. L’intero flusso dei visitatori che arriverà a Pompei nei quattro giorni di apertura straordinaria della Casa dei Casti Amanti dovrà infilarsi in questo passaggio.
Il progetto di restauro e messa in sicurezza dell’area prevede la rimozione dell’attuale ingabbiatura di tubolari, inoltre, lo scavo della restante parte delle due domus confinanti, la messa in sicurezza dei muri pericolanti e l’installazione di una moderna copertura in alluminio con lucernari, e una passerella in acciaio sospesa. Il tutto poggerà su 12 pilastri esterni alle mura. “Chi entra oggi nella Casa dei Casti Amanti”, assicurano gli archeologi della soprintendenza, “non può fare a meno di abbassare il tono della voce. I visitatori provano soggezione e una forma di spavento davanti allo spettacolo della bellezza, della distruzione e della morte che si presenta allo sguardo. L’impatto con gli scheletri di cinque muli ridotti in mummie e in parte pietrificati espone il visitatore a un duro confronto con la sofferenza degli animali utilizzati per la macina dell’annesso panificio e abbandonati alla loro sorte al momento dell’esplosione del Vesuvio nel 79 d.C. Poi i muri con file di colonne, in parte in piedi e in parte abbattuti e trascinati dal peso della lava. Le anfore implose. E, infine, i danni del bombardamento durante la Seconda guerra mondiale rappresentano tutti insieme l’insulto della storia e degli elementi alla vita quotidiana della bella città vesuviana”. Per terminare i lavori, che saranno appaltati entro la fine del 2017, saranno utilizzati 10 milioni di euro del Grande progetto Pompei. Quando l’opera sarà ultimata, una parte della villa oggi inesplorata sarà visitabile, insieme alla Casa dei Pittori al Lavoro, che si presenta sontuosa con le stanze affrescate e un giardino nell’impluvium ricostruito con il cannucciato, proprio come si presentava nel 79 d.C, prima dell’eruzione del Vesuvio. Chi ha dunque la fortuna di entrare in quest’area della Regio IX nel weekend lungo, dedicato a San Valentino, ammirerà non solo la Casa dei Casti Amanti ma anche l’annessa domus dei Pittori al Lavoro. E potrà dirsi privilegiato. Perché, dopo il 14, il cantiere chiuderà per i prossimi 3 anni e sarà riaperto al pubblico solo nel 2020.
La giornata dell’amore sarà celebrata anche attraverso Instagram. Infatti la soprintendenza speciale di Pompei ha organizzato con la comunità Igers Campania uno speciale percorso dedicato all’amore: 15 fotografi molto seguiti sul popolare social network visiteranno il sito archeologico e la Casa dei Casti Amanti e pubblicheranno il giorno di San Valentino le loro foto usando gli hashtag #ILovePompeii, #DiscoverPompeii e #CastiAmanti.
“Il corpo del reato”: in mostra a Pompei un primo lotto di tesori antichi, prove del saccheggio del patrimonio archeologico di Campania, Puglia, Basilicata, avvenuti tra il 1970 e il 1990. In vent’anni depredati più di 800mila reperti
Sono ceramiche, crateri, ex voto, anche qualche falso: dal IV secolo all’età romana. Vengono dalla Campania (Pompei e nei dintorni come Boscotrecase, Gragnano e Sant’Antonio Abate), ma anche da Puglia e Basilicata. In tutto 170 reperti con una caratteristica in comune: ognuno è un “corpo del reato”, come ricorda il titolo della mostra, “Il corpo del reato” appunto, che li presenta, fino al 27 agosto 2017, all’antiquarium degli scavi di Pompei. Ma questi preziosi reperti in mostra sono solo alcuni dell’immenso patrimonio archeologico saccheggiato dai tombaroli. E sono stati proprio i tombaroli a immettere sul mercato clandestino una enorme quantità di oggetti dal valore inestimabile, alcuni dei quali finiti persino in collezioni di musei internazionali come il Getty a Los Angeles e il Metropolitan di New York. Tra il 1970 e il 1990 si calcola siano stati depredati non meno di 800mila reperti. “Questa mostra denuncia lo “stupro” subito dal patrimonio culturale italiano, saccheggiato e clandestinamente rivenduto dal 1960 a oggi”, afferma Massimo Osanna, soprintendente di Pompei. “Il recupero dei reperti consente oggi di esporre qui una piccola parte del “bottino” svincolato e ora in vetrina nell’antiquarium degli Scavi di Pompei”. Si tratta di materiale di deliziosa fattura e di immenso valore, recuperato con operazioni internazionali da carabinieri, guardia di finanza e magistratura e lasciato nel buio di locali blindati, dai quali non poteva essere spostato né mostrato perché costituiva, appunto corpo di reato”.
Nelle vetrine dell’Antiquarium di Pompei ora sono dunque esposti 170 reperti: ceramiche, statue, anfore, offerte votive che affiancano oggetti di pari bellezza, ma prodotti dai falsari, anche questi finiti per decenni nei depositi giudiziari e ora rispolverati e collocati in teche di vetro. Gli originali di fronte ai fake dimostrano quanta perizia i falsari hanno mutuato dalla storia antica che ha fatto grande l’Italia. “Questi oggetti”, stigmatizza Osanna, “simboleggiano la violazione cui è costantemente sottoposto il patrimonio culturale. Molti di questi reperti provengono dalla Daunia, non sono quindi tutti del territorio campano, ma sono stati trafugati in Puglia e in Basilicata, regioni che hanno maggiormente subito il saccheggio di opere antiche. Purtroppo sono anche una cruda testimonianza della perdita di conoscenza per la nostra società. In molti casi, infatti, non è possibile risalire ai luoghi in cui sono stati trafugati e, nel contempo, alle popolazioni che hanno subito il saccheggio non è più dato conoscere le straordinarie bellezze di cui erano custodi”. I reperti esposti sono stati sequestrati anche a piccoli ricettatori non inseriti nella ramificata filiera del commercio internazionale, dediti piuttosto a rifornire il livello “basso” del mercato, quello dei piccoli antiquari e delle collezioni private. Oggetti, quindi, trafugati e destinati al solo desiderio personale, ma che oggi tornano seppur silenti a essere patrimonio di ogni cittadino del mondo.
Osanna sottolinea il valore anche educativo della mostra che “vuole offrire ai visitatori il senso dell’oltraggio arrecato al patrimonio culturale italiano”. I reperti esposti sono associati ai nomi dei detentori illegali ai quali le forze dell’ordine effettuarono i sequestri, avvenuti tra gli anni Sessanta e Novanta del secolo scorso, quando la razzia di migliaia di siti italiani alimentò preziose collezioni di musei internazionali come il Getty a Los Angeles e il Metropolitan a New York. Per allestire questa mostra, è stato necessario superare i vincoli burocratici che bloccavano questi beni durante i lunghi processi per i quali, appunto, costituivano corpo di reato. Grazie alla sensibilità del giudice Carlo Spagna, magistrato delegato all’ufficio Corpi di Reato del Tribunale di Napoli, la soprintendenza di Pompei è entrata in possesso del materiale ora esposto. “Certe cose o si fanno in un giorno o non si fanno”, afferma il giudice Spagna spiegando con quale celerità è riuscito a ottenere ciò che non era affatto semplice: fare uscire dai sotterranei i reperti sequestrati negli anni Settanta, risalendo all’iter giudiziario per constatarne la chiusura. “Altri reperti sono stipati nell’Antiquarium di Stabia e speriamo presto di poterli svincolare per esporli al pubblico”, promette Osanna. I beni archeologici assegnati in via definitiva alla soprintendenza di Pompei provengono da Castel Capuano, a Napoli, sede del Museo Criminale che il giudice Spagna ha auspicato venga presto rinominato Museo delle Regole.

Tra i reperti sequestrati anche qualche falso come il famoso torso di ermafrodita: autentica contraffazione
Attenti ai falsi. Tra i vasi decorati, utilizzati in epoca romana durante i banchetti, le piccole brocche dipinte finemente di nero, i boccali e i contenitori in vetro per custodire preziosi unguenti, spicca un busto bianchissimo di un ermafrodita. Né volto, né gambe ma il corpo sembra di una giovane donna dai seni appena accennati, vita stretta e fianchi rotondi, ma con portentosi genitali maschili. Ebbene, proprio questo busto è un clamoroso falso. Ed è il più fotografato. “Che sia un falso si ricava dall’analisi della fattura dei capelli e dei peli del pube, scolpita in riccioli”, assicura Luana Toniolo, l’archeologa che ha curato l’allestimento della mostra. Secondo solo al mercato della droga, quello dei falsi archeologici e artistici oggi è un vero e proprio business illegale. Ultimamente si è calcolato che i reperti archeologici immessi sul mercato dai trafficanti sono falsi per circa due terzi del loro volume. Falsi perfetti, o quasi, realizzati da artigiani e rifilati attraverso un’efficiente rete di canali, ai collezionisti privati e ai mediatori stranieri. Ad ogni sequestro, i tecnici delle soprintendenze si impegnano così a valutare l’autenticità degli oggetti custoditi clandestinamente, cercando di riconoscere la contraffazione sulla base degli errori che, involontariamente, il falsario può avere compiuto seguendo gli stili e gli usi del tempo antico. Nei laboratori dei falsari si rifà tutto: bronzi, ceramiche dipinte, monete, statue. Per soddisfare la richiesta di realizzano “falsi inediti” o rielaborati da oggetti veri; i falsi vengono poi venduti singolarmente o mescolati insieme a qualche pezzo autentico.
Scavi di Pompei. Per Natale i visitatori hanno trovato tre “doni”: restituiti il piccolo Lupanare, la casa di Obellio Firmo e la casa di Marco Lucrezio Frontone grazie agli interventi programmati dal Grande Progetto Pompei

Il grande atrio della casa di M. Obellio Firmo restituita per le festività natalizie ai visitatori degli scavi di Pompei
Erotismo e lusso a Pompei nel 79 d.C nei 50mila mq restituiti ai turisti: il piccolo Lupanare, la casa di Obellio Firmo, la casa di Marco Lucrezio Frontone e, in più, lo scavo inedito di un ambiente totalmente occultato dal terreno sono i “doni” di Natale degli Scavi di Pompei ai visitatori del sito archeologico. Sessanta milioni di euro spesi, altri 40 milioni da impiegare. I fondi europei per i restauri del Grande progetto Pompei sono ancora in gran parte non spesi, ma il volto della città antica è già completamente cambiato come hanno sottolineato il direttore della soprintendenza speciale di Pompei, Massimo Osanna, e il direttore generale del Grande Progetto Pompei, gen. Luigi Curatoli, nel presentare la vastissima area di 50mila metri quadrati liberata da ponteggi, puntellamenti, vecchi residui di materiali inidonei che rendevano non percorribile le Regio V e IX. È terminato, infatti, il lavoro di messa in sicurezza della Regio V e IX previsti dal Grande Progetto Pompei. Un’imponente opera di restauro che ha interessato le murature (integrazione di lacune e mancanze, stilatura dei giunti, revisione delle creste murarie, manutenzione o sostituzione di piattabande), gli apparati decorativi (pulizia, consolidamento, piccole integrazioni, sostituzione di materiali non idonei di vecchi restauri), oltre a prevedere interventi su strade e marciapiedi, cancelli e coperture, consentendo anche di conoscere e documentare dettagli finora ignoti delle aree interessate. Gli interventi strutturali sulle murature più compromesse hanno finalmente resi accessibili gli edifici del piccolo lupanare (Regio IX, insula 5, civico16), custode di un’altra serie di affreschi erotici in uno degli ambienti, la maestosa Casa di Obellio Firmo ( Regio IX insula 14 civico 4) aperta sul decumano di via di Nola e la casa di Marco Lucrezio Frontone (Regio V) completata con il restauro dell’ambiente triclinare, con lo splendido affresco che raffigura l’uccisione di Neottolemo da parte di Oreste.

Il gigantesco forziere in bronzo e ferro che M. Obellio Firmo teneva nell’atrio di ingresso della sua domus
Un gigantesco forziere in bronzo e ferro, sfondato dai lapilli dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. accoglie i visitatori all’ingresso della casa di Obellio Firmo, aperta nel sito archeologico di Pompei al termine del restauro. Cinque persone, delle quali sono stati trovati gli scheletri, tentarono di ripararsi all’ingresso del secondo atrio di questa Domus abitata da una famiglia aristocratica che mostrava la propria potenza economica esponendo all’ingresso una imponente cassaforte tra quattro colonne visibili dalla strada. La domus di M. Obellio Firmo è tra le più grandi e articolate di Pompei: il nome del proprietario, al momento dell’eruzione del Vesuvio, appunto Obellio Firmo, era scritto nell’angolo Nord Ovest del peristilio. La casa aveva due ingressi: il più importante, chiuso da un portone, era quello sul civico 4 di via di Nola, con un monumentale atrio a quattro colonne in tufo di più di 7 metri di altezza. Qui, visibile anche dalla strada, a ribadire lo status sociale della famiglia, c’era un cartibulum (tavolo) in marmo a sostenere una statuetta. Un atrio secondario era destinato all’accoglienza dei clientes con sedili in muratura. È qui che sono stati trovati gli scheletri di cinque persone in cerca di un riparo durante l’eruzione. Su questo atrio gravitavano anche gli ambienti privati della casa, con la cucina e il quartiere termale tra i più antichi di Pompei.
Con le festività natalizie è stata aperta anche un’altra sontuosa dimora: la casa di Marco Lucrezio Frontone, identificata grazie alle iscrizioni elettorali rinvenute durante gli scavi. Lucrezio Frontone aveva infatti intrapreso una brillante carriera politica, candidandosi alle principali cariche pubbliche della città. In uno dei tre soggiorni di questa domus furono trovati i resti di cinque adulti e tre bambini morti in seguito dell’eruzione del Vesuvio. All’interno di questa casa, un gioiello per le decorazioni di notevole qualità nonostante le limitate dimensioni (460 mq), si può ammirare l’elegante parete a fondo nero e quadretti del tablino raffiguranti immaginarie ville marittime che affiancano i quadri principali: quello con il trionfo di Bacco e Arianna, e quello con gli amori di Venere e Marte. E poi, in un piccolo cubicolo, amorini in volo su un fondo giallo ocra e contorni di scene moraleggianti in cui si riconoscono Narciso e Perona, rappresentata mentre allatta il vecchio padre Micone per salvarlo dalla morte a cui era stato condannato. Triste pudore fuso con pietà è la traduzione del distico dipinto nell’angolo superiore della composizione per celebrare l’amore filiale proposto dal mito. I padroni di casa hanno ritratto i volti dei propri figli ai lati dell’ingresso di questo interessante cubicolo che probabilmente era la stanza dei ragazzi. Forse sono i volti di quei bambini trovati morti. La stanza della padrona di casa (domina) è decorata dall’affresco di Arianna che porge il filo a Teseo in una scena della toilette di Venere. Sulle pareti del giardino è ancora visibile l’affresco con scene di caccia (leoni, pantere e orsi, tori, buoi e cavalli). Al termine dei lavori di messa in sicurezza è stato restituito alla vista dei turisti il grande triclinio in cui campeggia il quadro in cui Neottolemo viene ucciso da Oreste davanti al tempio di Apollo a Delfi. La parte posteriore della casa è occupata dagli ambienti di servizio, con cucina e latrina, dal viridario e da un portico con tre colonne su cui si affacciano diversi ambienti di soggiorno. È qui che sono stati trovati gli scheletri di cinque adulti e tre bambini schiacciati dal crollo del tetto durante l’eruzione del 79 d.C.
La terza novità delle festività natalizie per i visitatori è il Piccolo Lupanare (“Lupanariello”) restaurato all’interno di una struttura che era, probabilmente, un luogo di ristorazione in cui veniva esercitata la prostituzione. Quattro affreschi erotici rivelano la natura degli incontri che si tenevano in quel locale, del quale era stata murata la finestra per garantire la privacy ai clienti. Inedito, infine, lo scavo emerso dalla pulizia effettuata dagli archeologi nella Regio IX, insula 3, utilizzata già dai pompeiani come una sorta di “discarica” di materiali di costruzione. Così la trovò Giuseppe Fiorelli e la lasciò durante i suoi scavi a metà del 1800. Oggi, grazie ai restauri del Grande Progetto Pompei, è riportato alla luce il pavimento in signinum di una dimora probabilmente abbandonata a seguito del terremoto del 62 d.C. Nei pressi, è stato portato alla luce un antico panificio (pistrinum) con una parte della macina, edificio poi trasformato in una tintoria (fullonica), con vasca e annesso lavatoio. Una bomba nel 1943 semidistrusse il pavimento in basoli della strada. Gli archeologi del Grande Progetto Pompei hanno risistemato la pavimentazione originaria di questa parte del sito.
A Pompei a tavola con gli antichi romani. Coldiretti, dall’esperienza di Eatstory, propone alcune antiche ricette pompeiane abbastanza facili. Provate a realizzarle

A Pompei con “Eatstory. Da noi il cibo ha una storia” si possono rivivere atmosfere e sensazioni gastronomiche del passato
Lo street food? Non è una caratteristica solo dei nostri giorni. Basta andare agli scavi di Pompei per ricredersi. L’antica città romana era piena di botteghe dove si serviva e si poteva consumare il “cibo da strada”, che era molto diffuso. Il cibo cucinato aveva aromi tramandati fino a oggi. Sulle tavole dei pompeiani non mancavano frutta, dolci e vino. Ma ai pompeiani piaceva molto mescolare il dolce e il salato. Anche oggi possiamo gustare quei sapori. Proprio in queste settimane, come già detto (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/11/07/a-pompei-con-eatstory-larcheologia-sposa-lenogastronomia-i-turisti-negli-spazi-coldiretti-possono-rivivere-atmosfere-e-sensazioni-del-passato-obiettivo-superare/) i visitatori di Pompei hanno un motivo in più per lasciarsi coinvolgere emotivamente dagli scavi romani: per tutto dicembre, almeno, c’è “Eatstory. Da noi il cibo ha una storia” iniziativa promossa da Coldiretti e soprintendenza speciale di Pompei che per la prima volta ha portato all’interno dell’area archeologica di Pompei la possibilità di degustare il cibo degli antichi romani. Proprio da questa esperienza gli esperti di Coldiretti hanno rielaborato alcune antiche ricette pompeiane che ora propongono per i nuovi percorsi legati al progetto Eatstory. Ecco come realizzarle.
GLOBI (dolce) – Ingredienti: usare come formaggio la ricotta (preferibile) altrimenti il “primo sale” o un caprino; farina di farro; miele; semi di papavero; olio o sugna per la frittura. Preparazione: mescolare in parti uguali il formaggio e la farina di farro. Con questo impasto preparare tante polpettine. Versare dello strutto in una padella calda in cui friggere i “globi” da rigirare con due palette per favorire la cottura. Sollevare dalla padella e spalmare di miele, poi cospargere di semi di papavero. Servire così.
CASSATA DI OPLONTIS – In un affresco di un triclinio della Villa di Oplontis (Torre Annunziata) è raffigurato un dolce dalla incredibile somiglianza con una moderna cassata, il tradizionale dolce siciliano a base di ricotta e zucchero. Ecco una ricetta basata su ingredienti dell’epoca. Ingredienti: frutta secca tagliata a dadini, albicocche (150 gr), prugne (150 gr), uva sultanina (100 gr), datteri (a piacere). A parte tenere alcuni frutti interi per la decorazione; 600 grammi di miele; 100 grammi di noci spellate; 20 grammi di pinoli; 1,5 kg di ricotta di mucca; 150 grammi di farina di mandorle; colore rosso per alimenti; carta forno. Preparazione: passare in poco miele 100 gr di noci spellate e i pinoli fino ad ottenere una miscela caramellata consistente. Lasciar raffreddare e poi sminuzzare. Passare 1 kg e mezzo di ricotta vaccina al setaccio lasciandone 100 gr per la decorazione superiore. Mescolare il resto aggiungendo gradatamente 500 gr di miele fino ad ottenere una crema di dolcezza pari a quella della normale cassata. Continuare a mescolare fin quando la crema non diventa morbida e leggera. Aggiungere la frutta a dadini ed il caramello sminuzzato. A parte, impastare 150 gr di farina di mandorle con un po’ di miele e un po’ di colore rosso da pasticceria in polvere così da ottenere una sorta di marzapane rosso. Foderare una teglia dal diametro di 30 cm con carta unta con olio dalla parte interna. Stendere il marzapane rosso con un mattarello per ottenere una striscia con cui foderare i fianchi della teglia. Riempire il vuoto della teglia con la crema di ricotta ed infilare il tutto nel frigorifero. Lasciare riposare un giorno, poi sformare la cassata su di un vassoio staccando la carta delicatamente. Coprire la parte superiore con un velo di ricotta passata al setaccio e decorare con la frutta messa da parte.
LIBUM (PIZZA AL FORMAGGIO) – Ingredienti: 6 etti di formaggio; 3 etti di farina di grano tenero; 150 g di semola. Preparazione: il “libum” si prepara tritando bene nel mortaio 6 etti di formaggio; aggiungere 3 etti di farina di grano tenero o, se si vuole più morbido, appena 1 etto e mezzo di semola, e mescolare bene il tutto. Con questo impasto si fa una pagnotta, la si appoggia su foglie di lauro e si cuoce col coppo lentamente, in forno caldo.
OLIVE NERE IN AGRODOLCE – Preparazione: si prepara una marinata composta da 3 parti di miele ed una di aceto, nonché un pizzico di semi di finocchiella, il tutto sufficiente a coprire interamente le olive. Nel caso non si avesse tanto tempo e si volesse gustare subito le olive, utilizzare una pirofila dove versare le olive. Preparare la marinata con 3 parti di miele ed una di aceto nonché con un pò di semi di finocchiella e versarla sulle olive, ma senza coprirle interamente.
SALA CATTABIA (BRUSCHETTA POMPEIANA) – Ingredienti: pane casereccio (tipo integrale) in fette; acqua; aceto; 50 grammi di parmigiano grattugiato; 3-4 foglie di coriandolo verde o prezzemolo; 3-4 foglie di menta; pepe in polvere; 2 spicchi di aglio; 3 cucchiai di miele millefiori; 3 cucchiai di olio Evo. Preparazione: immergere le fette di pane in una bagna composta da due parti d’acqua e una parte di aceto, facendo colare il liquido eventualmente in eccesso. Preparare in un frullatore una salsa con il parmigiano grattugiato, le foglie di coriandolo verde o prezzemolo, di menta, un pizzico di pepe, 2 spicchi di aglio (se piacciono), il miele e l’olio. Avrete realizzato una pasta (nel caso aggiungere un altro pò di olio o pochissima acqua) con cui spalmare le fette di pane.
A Pompei con “Eatstory” l’archeologia sposa l’enogastronomia: i turisti negli spazi Coldiretti possono rivivere atmosfere e sensazioni del passato. Obiettivo: superare i tre milioni di visitatori entro fine anno. Ogni martedì degustazioni di un tipico menù pompeiano. Se va bene, l’iniziativa sarà proposta negli altri siti vesuviani
Tre mesi per testare il gradimento del pubblico sull’abbinamento archeologia-enogastronomia negli Scavi di Pompei. Poi si vedrà. Con l’obiettivo, intanto, neppure tanto nascosto, di superare entro la fine dell’anno i tre milioni di visitatori dell’area archeologica più famosa d’Italia grazie appunto a “Eatstory. Da noi il cibo ha una storia”, presentato il 5 novembre scorso dal soprintendente Massimo Osanna, il direttore generale del Grande Progetto Pompei Luigi Curatoli, il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo, alla presenza del ministro per i Beni culturali Dario Franceschini (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/11/04/pompei-a-pranzo-negli-scavi-archeologici-con-un-antico-menu-pompeiano-promosso-da-coldiretti-eatstory-da-noi-il-cibo-ha-una-storia/). Fino a dicembre, ogni martedì e sabato, alla Casina dell’Aquila, per la prima volta all’interno dell’area archeologica di Pompei si può degustare il cibo degli antichi romani. Con “Eatstory” infatti i visitatori potranno rivivere atmosfere e sensazioni del passato, apprendere e partecipare direttamente ad attività di coltivazione, trasformazione e conservazione dei prodotti locali. A conclusione di questo percorso è prevista la degustazione di pietanze o l’acquisto di prodotti preparati secondo le tecniche in uso all’epoca dell’eruzione. Ed è proprio la degustazione di un tipico menu pompeiano, preparato secondo le ricette e consumato secondo le modalità del passato nel contesto storico originale, la rivoluzionaria iniziativa della Coldiretti resa possibile grazie al protocollo con la soprintendenza per i Beni archeologici di Pompei e alla collaborazione con il Grande progetto Pompei.
“Pompei è città unica perché custode della memoria del nostro passato in tutti i suoi aspetti”, interviene il soprintendente Osanna. “Le numerose testimonianze della vita quotidiana del mondo romano è quanto di più vivo e forte ci è stato restituito. Sono numerosissime, a Pompei, le tracce tangibili dei gusti e delle tradizioni gastronomiche risalenti a 2000 anni fa. Dalle migliaia di graffiti ritrovati sui muri antichi, ai tanti oggetti di uso domestico rinvenuti nelle case, fino ai più fragili e impressionanti reperti organici carbonizzati, di legni, fibre ma soprattutto di cibi, da quelli preparati come le pagnotte di pane, ai prodotti della terra (cereali, fichi, melagrane, olive, lenticchie, ceci e tanto altro)”. Secondo Osanna, Eatstory “è l’occasione per mettere in evidenza l’origine dei nostri prodotti e dunque lo stretto legame tra mondo antico a moderno e la collaborazione con Coldiretti ci consente, attraverso la degustazioni di quegli stessi prodotti all’interno dell’area archeologica, di vivere un’esperienza unica”.
E a scorrere il menù non c’è dubbio che per i visitatori sarà proprio un’esperienza unica. Come antipasto (gustum) saranno serviti scriblita (focaccia con spezie), caseus (ricotta), caseus caprinus (formaggio di capra), brassica pompeiana (cavolo pompeiano in salsa di garum) e cucurbitas frictas (zucca fritta). La portata principale (mensae primae) a base di porcellum assus (maialino arrostito), esicia omentata (polpette avvolte nell’omento, ovvero la rete di maiale) e patina de apua fricta (torta di acciughe fritte) mentre come dolce e frutta (mensae secondae) sono stati serviti mala (mele annurche), mala granata (melograni), pira (pere), uvae (uva), caricae (fichi secchi) del Cilento e basynias (struffoli) come dolce, ma anche noci, nocciole e mandorle campane. Il tutto innaffiato da vino (vinum) falernum rubrum (falerno del massico rosso) e vinum passim (vino passito) e panis Pompeii. “Si tratta di specialità che”, sottolinea la Coldiretti, “sono state trasmesse praticamente inalterate nel corso dei secoli grazie all’impegno di generazioni di agricoltori che ne hanno custodito gelosamente tecniche e segreti. La mela annurca, a esempio, è senza dubbio il frutto maggiormente caratterizzante la Campania Felix, come dimostrano i dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano (in particolare nella Casa dei Cervi), città romana sommersa insieme a Pompei dalla distruttiva eruzione del Vesuvio del 79 d.C.”.
“Il turista”, spiega Curatoli di Grande Progetto Pompei, “attraverso le brochure approntate da Coldiretti, scoprirà come 2000 anni fa si mangiasse in modo assai simile ad oggi, seppure i prodotti subissero una lavorazione evidentemente meno progredita. Proprio per incrementare l’offerta turistica, la manifestazione che nasce a Pompei, qualora incontrasse il favore dei visitatori, proseguirà, durante il prossimo anno, negli altri siti archeologici dell’area appena menzionata, anche per favorire lo sviluppo socio-economico della zona attraverso il rilancio delle imprenditorialità anche agricole”. “Un’opportunità unica per l’Italia”, interviene Moncalvo di Coldiretti, “dove cultura e cibo sono le principali leve di attrazione turistica, strategiche per il rilancio dell’economia e dell’occupazione nel Mezzogiorno e in tutta Italia. Con questa iniziativa, si uniscono due eccellenze del Made in Italy che può contare sul primato mondiale nell’enogastronomia e sul maggior numero di siti inclusi nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità (51 siti), davanti alla Cina (50) e alla Spagna (48), su un totale di 1.052 siti (814 culturali, 203 naturali e 35 misti) presenti in 165 Paesi del mondo”.
Pompei. A pranzo negli Scavi archeologici con un antico menù pompeiano promosso da Coldiretti: “Eatstory, da noi il cibo ha una storia”
A pranzo negli Scavi di Pompei con un antico menù pompeiano. L’inaugurazione di “Eatstory, da noi il cibo ha una storia” è fissata per sabato 5 novembre 2016, dalle 9.30 al Quadriportico Teatro di Pompei alla presenza di Luigi Curatoli, direttore generale grande progetto Pompei; di Massimo Osanna, soprintendente speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia; di Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali e Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti. Il progetto “Eatstory, da noi il cibo ha una storia” è infatti realizzato dalla Coldiretti nell’area archeologica di Pompei e punta a fare rivivere ai visitatori degli scavi atmosfere e sensazioni del passato, “ma anche l’opportunità di apprendere e partecipare direttamente ad attività di coltivazione, trasformazione e conservazione dei prodotti locali. A conclusione di tale percorso è prevista la degustazione di pietanze o l’acquisto di prodotti preparati secondo le tecniche in uso all’epoca dell’eruzione”. Per la prima volta dunque nell’area archeologica di Pompei arriva il cibo degli antichi romani per far conoscere ai visitatori da tutto il mondo il legame che unisce la storia dell’Italia al proprio patrimonio enogastronomico. È prevista la degustazione del menu Pompeiano (gustum, primae mensae e secundae mensae) preparato secondo le ricette e consumato secondo le modalità del passato nel contesto storico originale. Una opportunità unica al mondo per l’Italia, sottolinea Coldiretti, “dove cultura e cibo sono le principali leve di attrazione turistica strategiche per il rilancio dell’economia e dell’occupazione nel mezzogiorno ed in tutta Italia, come dimostra il dossier Coldiretti presentato nell’occasione”.
Pompei, ecco il “museo diffuso”: dai cubicula ricreati nella Villa Imperiale alla cucina nella Fullonica di Stephanus. E poi arredi nelle domus e reperti organici alla Palestra grande
Un museo dentro il museo. La tradizionale visita agli scavi di Pompei dal foro alle domus all’anfiteatro si arricchisce di “nicchie” a tema in punti diversi del sito archeologico. Così, se già da aprile 2016 nella Villa Imperiale sono stati ricreati i cubicula (stanze da letto), ora nella grande Palestra sono esposti reperti organici, nella Fullonica di Stephanus (aperta nelle festività natalizie 2015, vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/12/23/pompei-alla-vigilia-di-natale-il-premier-renzi-inaugura-sei-domus-ricche-di-affreschi-sulla-via-dellabbondanza-restaurate-nellambito-del-grande-progetto-pompei/) è stata ricreata una cucina del I secolo, e due domus sono state arredate come si sarebbero presentate prima della terribile eruzione del 79 d.C. È il cosiddetto “museo diffuso” tanto caro al soprintendente Massimo Osanna: spazi dislocati in diversi punti della città antica dedicati a temi specifici. Si è cominciato con Villa Imperiale, lussuosa residenza di I secolo dopo Cristo addossata alle mura di Pompei presso Porta Marina, mai aperta al pubblico prima di questa primavera, scoperta casualmente nel 1943 a seguito dei bombardamenti alleati che colpirono anche l’Antiquarium, oltre che altri edifici all’interno degli scavi. E scavata nuovamente nel 1947 da Amedeo Maiuri. Nella Villa Imperiale sono riproposte suggestive ricostruzioni di ambienti domestici della città romana e si può riammirare la grande sala da pranzo, il triclinio, con affreschi del mito di Arianna, Teseo e il Minotauro, il volo di Dedalo e la caduta di Icaro. E nel tempio di Iside sono ripercorsi i culti egizi.

La foto d’archivio del 1916 che testimonia l’allestimento voluto dall’allora soprintendente Vittorio Spinazzola
Nella Fullonica di Stephanus, antica lavanderia situata lungo via dell’Abbondanza, è stata riallestita la cucina sul modello adottato un secolo prima dall’allora soprintendente Vittorio Spinazzola, documentato da una foto d’archivio che risale al 1916. L’allestimento della Fullonica di inizio Novecento rispondeva a un criterio didattico, molto moderno per l’epoca, di riproposizione degli spazi per mettere il visitatore a contatto con la vita quotidiana della città antica. Si poteva comprendere il funzionamento e l’organizzazione di una cucina del I sec. d.C. con la griglia in ferro per la carne ancora appesa alla parete e il vasellame necessario per la preparazione e la cottura degli alimenti disposto sul bancone. Gli oggetti di uso quotidiano oggi esposti provengono tutti dal deposito di Casa Bacco e sono stati identificati attraverso la rilettura delle “Librette Inventariali”, registri d’epoca che riportano il numero d’inventario dei pezzi, riferiscono dove sono stati trovati e forniscono brevi descrizioni. La Fullonica di Stephanus era dotata di grandi vasche in muratura per il risciacquo, alimentate da un flusso d’acqua ininterrotto e di bacini in pietra per la tintura, il lavaggio e la smacchiatura, che avveniva utilizzando particolari tipi di argilla o di orina. Terrazze al piano superiore erano adibite all’asciugatura e ai trattamenti delle stoffe. Una pressa (il “torcular”) serviva a stirare il tessuto e a renderlo brillante.
Nella Palestra grande, invece, trovano esposizione permanente i reperti organici, già inclusi nella mostra “Mito e Natura” da poco conclusasi e qui integrati da una ulteriore sezione di reperti naturalistici provenienti da Moregine. Infine due domus con gli arredi del I secolo d.C. I reperti collocati nelle due domus sono protetti da una struttura in cristallo temprato da 13,52 mm, con particolari accorgimenti di sicurezza nel caso di rottura accidentale, e con un sistema di scarico dei pesi a terra. La struttura è realizzata nel rispetto del contesto archeologico e non sigilla l’ambiente, permettendo il ricambio d’aria ed evitando la formazione di microclimi dannosi per la conservazione dei reperti archeologici.
Pompei. Ancora scoperte a Porta Ercolano: all’interno di due botteghe artigiane gli scheletri di cinque pompeiani – tra cui un bambino – in fuga dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Hanno trovato la morte dove speravano di salvarsi

Scavo a Porta Ercolano di Pompei: Il ritrovamento di cinque giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio
Stavano scappando dall’inferno del Vesuvio del 79 d.C., si erano riparati all’interno di una bottega artigiana, una scelta per loro fatale: quello che doveva essere il loro rifugio sicuro è diventata la loro tomba. Duemila anni dopo Pompei ci restituisce un altro tassello di storia quotidiana, di momenti di vita e di morte. Gli archeologi nel corso di una campagna di scavo nell’area di Porta Ercolano hanno riportato alla luce cinque scheletri di giovani pompeiani in fuga dall’eruzione del Vesuvio: lì vicino resti di oggetti in oro, vasellame e un urceus (contenitore) del prezioso garum, quella che oggi chiamiamo “colatura di alici”; e poi zappe, forse usate dai giovani per scavarsi un cunicolo tra la cenere e i lapilli oppure lasciate lì, secoli dopo, dai saccheggiatori di tombe. Siamo dunque ancora a Porta Ercolano di Pompei, una zona che si sta rivelando particolarmente ricca, tra necropoli e area produttiva. Un anno fa, lo ricordiamo, qui era stata trovata la tomba di una donna sannitica, quindi del periodo in cui il nucleo abitato di Pompei non era ancora stato romanizzato. E poche settimane fa l’annuncio della scoperta dei resti di un giovane sepolto in una tomba, con tanto di corredo funerario, risalente a quasi 400 anni prima della devastante eruzione che cancellò le antiche Pompei, Ercolano e Stabiae (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/07/06/pompei-stupisce-ancora-nella-necropoli-di-porta-ercolano-scoperta-tomba-a-cassa-del-iv-secolo-a-c-con-corredo-funerario-completo-un-anno-fa-la-stessa-area-restitui-una-tomba-sannitica-che-fa-luce/).

Il soprintendente Massimo Osanna in sopralluogo alla tomba sannitica della necropoli di Porta Ercolano a Pompei

Lo scavo della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs
Sono queste le ultime scoperte della campagna di ricerca a Porta Ercolano della soprintendenza di Pompei con l’Ècole Francaise de Rome, le Centre Jean Bérard e il Cnrs. I ritrovamenti particolarmente interessanti di sepolture e botteghe crea non poche problematiche. Gli archeologi dovranno infatti rispondere a ulteriori interrogativi sulla organizzazione, gestione e trasformazione, di questo intreccio tra spazio funerario e commerciale nell’area suburbana di Porta Ercolano. “Queste ultime scoperte”, sottolinea il soprintendente Massimo Osanna, “confermano come Pompei riservi continue sorprese. Sapevamo che in questa zona esisteva una prolifera attività produttiva. E qui abbiamo trovato le botteghe dei vasai, fuori le mura, perché questa produzione implicava rumore, fumi, scarti di lavorazione. Credevamo che queste attività fossero state altamente indagate, poiché la zona fu oggetto di scavo già nell’800 con l’archeologo Giuseppe Fiorelli. Invece, qui, abbiamo trovato ancora tracce delle attività che si svolgevano e, con la fortuna che deve sempre assistere l’archeologo, abbiamo trovato anche tombe dell’epoca sannitica, risalenti alla fine del V, e inizio del IV secolo. Le indagini che seguiranno ci daranno informazioni su come in quell’epoca cambia il popolamento di Pompei”.
I cinque scheletri, tra cui quello di bambino, sono stati trovati nel cantiere di scavo di due botteghe artigiane. Secondo Claude Pouzadoux, direttrice del Centre Jean Bérard, questi cinque pompeiani erano probabilmente in fuga dall’eruzione del 79 d.C. e avevano cercato rifugio in uno di questi locali, dove invece sono rimasti intrappolati e sono morti. “Purtroppo”, continua, “questo luogo è stato devastato dai tombaroli tra la fine ‘700 e gli inizi ‘800, scavatori clandestini alla ricerca di oggetti preziosi e metalli. Il loro passaggio ha scomposto le ossa delle cinque vittime, che ora ci apprestiamo a ricomporre e a studiare. Ai saccheggiatori dell’epoca sfuggirono tre monete d’oro (tre aurei datati 74 e 77/78 d.C.) e un fiore in foglia d’oro, probabilmente un pendente di collana. E poi ci sono vasi di diverse forme, alcuni anneriti dalla cottura. E c’è anche un’anfora dal collo allungato, un urceus, tipico contenitore per il garum, l’apprezzata ‘colatura di alici’ che ancora oggi viene prodotta dai pescatori della costiera amalfitana, come saporita salsa di pesce, un gustoso condimento della cucina meridionale”.
Pompei stupisce ancora. Nella necropoli di Porta Ercolano scoperta tomba a cassa del IV secolo a.C. con corredo funerario completo. Un anno fa la stessa area restituì una tomba sannitica, che fa luce sul periodo preromano

Il soprintendente Massimo Osanna in sopralluogo alla tomba sannitica della necropoli di Porta Ercolano a Pompei
Pompei non smette mai di stupire: nuove scoperte nella necropoli di Porta Ercolano dove, solo un anno fa, è emersa una tomba di età sannitica, importante testimonianza delle pratiche funerarie della Pompei preromana, illustrata da un ricco corredo composto da più di una decina di vasi decorati della metà del IV sec. a.C. “Il rinvenimento contribuisce a far luce sulla società pompeiana in un momento cruciale della storia della Campania antica che vede strutturarsi in maniera nuova le comunità italiche”, avevano esultato gli archeologi del cantiere di scavo della soprintendenza Pompei con l’Ecole française de Rome, le Centre Jean Bérard e il CNRS che stanno conducendo un progetto di ricerca nella zona della necropoli di Porta Ercolano con l’obbiettivo di studiare le trasformazioni di un’area commerciale fuori le mura di Pompei. Il tipo di sepoltura, tra l’altro miracolosamente salvata dal bombardamento del 1943 (a pochi metri era, infatti, esplosa una bomba che aveva fatto deflagrare le lastre della tomba), ben nota in altri centri della stessa cultura come Paestum, finora era stata documentata a Pompei solo da vecchie notizie ottocentesche.
Come si diceva, nuove scoperte. Gli archeologi hanno portato alla luce un’altra tomba a cassa in lastre di calcare del IV sec. a.C. con corredo funerario completo composto da almeno sei vasi a vernice nera, che si aggiunge alle rare testimonianze funerarie di età preromana. All’interno lo scheletro di un adulto depositato sul dorso, con corredo deposto lati del corpo, al livello delle braccia e dei piedi. Le prime osservazioni permettono di avanzare l’ipotesi che si tratti di un individuo di sesso maschile. Ma anche in ambienti di botteghe poco distanti dall’area funeraria tre monete d’oro e un pendente di collana ritrovati tra le ossa degli scheletri di alcuni fuggiaschi, mescolate alla rinfusa dopo i saccheggi degli scavatori clandestini che dopo l’eruzione del 79 d.C. si avventurarono nella città alla ricerca di tesori sepolti sotto la cenere. E ancora la scoperta di un forno, probabilmente per la fabbricazione di oggetti in bronzo e di una cava utilizzata per l’estrazione di materiale per costruzioni. “Pompei continua ad essere una fonte inesauribile di scoperte scientifiche e la stretta cooperazione internazionale della Soprintendenza con le missioni straniere di scavo ci inorgoglisce particolarmente”, interviene il soprintendente Massimo Osanna. “Le attività di ricerca che si stanno concentrando nelle necropoli di Pompei continuano a riservare grandi sorprese. Questo testimonia che Pompei è una città tuttora viva, non solo da salvaguardare, ma che continua a produrre elementi di studio e a perpetrate in qualche modo la sua anima. In quest’ultimo caso, alla Necropoli di Porta Ercolano, si tratta di ritrovamenti particolarmente interessanti perché ci consentono di indagare un periodo storico finora poco studiato nell’area pompeiana, proprio per gli scarsi rinvenimenti”.

Uno degli aurei datati tra il 74 e il 77/78 d.C. trovati tra gli scheletri intrappolati nel retrobottega dall’eruzione
La campagna ha avuto inizio il 16 maggio 2016 con lo scavo di due botteghe. “Durante le attività”, ricordano gli archeologi della missione internazionale, “sono, con sorpresa, emersi 4 scheletri di pompeiani intrappolati nel retrobottega al momento dell’eruzione. La scoperta ancora più sorprendente è che le mura della bottega nella quale avevano cercato riparo era stata interessata dal passaggio di fossores, scavatori clandestini alla ricerca di oggetti preziosi e metallo. Tra le ossa degli scheletri sono stati ritrovati, sfuggiti ai saccheggiatori dell’epoca, tre monete d’oro (tre aurei datati tra il 74 e il 77/78 d.C.) e un fiore in foglia d’oro, probabilmente un pendente di collana. Gli scheletri spostati durante le ricerche degli scavatori clandestini risultano, ad una prima analisi, appartenere a individui in giovane età, tra cui una ragazza adolescente. Anche l’altra stanza a fianco è stata ‘visitata’ da scavatori clandestini attirati probabilmente da un tubo di piombo, materiale di cui erano alla ricerca, che alimentava una fontana nel portico antistante”. L’approfondimento dello scavo in questo piccolo ambiente, di cui ancora non sono state definite le funzioni, ha permesso d’identificare una struttura produttiva relativa ad una precedente fase di utilizzo della bottega. La struttura, un forno verticale al quale si accede tramite alcuni scalini, è per ora un unicum a Pompei e può essere messo in relazione molto probabilmente con la fabbricazione di oggetti in bronzo.
Le prossime ricerche potranno confermare o smentire queste prime interpretazioni. “Questa scoperta è di particolare rilevanza per conoscere le attività artigianali che si svolgevano in questi ambienti”. L’esplorazione di una seconda bottega, più verso la porta della città, ha anch’essa rivelato una sequenza stratigrafica interessante che racconta le ultime fasi della bottega, quando l’intero edificio era in fase di restauro. Una delle stanze che apre direttamente sulla strada probabilmente era utilizzata come cava di materiale. Al centro un pozzo circolare scavato nel terreno naturale doveva anch’esso servire per l’estrazione di materiale, anche se la singolare struttura rimane ancora per molti versi misteriosa. La particolarità di questo pozzo, infatti, del diametro di 1,75 m. sta nel fatto che esso era accessibile attraverso una scala a chiocciola, ricavata nello stesso terreno naturale. Sul fondo, uno strato di tufo friabile ha scoraggiato gli scavatori antichi che hanno deciso di abbandonare la struttura prima di riempirla nuovamente.
Musica e archeologia a Pompei. Per la prima volta l’anfiteatro romano apre alle rockstar con il pubblico: il 7 e 8 luglio David Gilmour, il 12 Elton John. E nelle gallerie – divenute sede espositiva – una mostra fotografica ricorda l’evento del 1971 “Pink Floyd. Live at Pompeii”
L’anfiteatro romano di Pompei si prepara a vivere un’estate a tutto rock: il 7 e 8 luglio 2016 con il concerto di David Gilmour e il 12 luglio con la performance di di Elton John. E nelle sue gallerie è pronto ad ospitare la suggestiva mostra fotografica “Pink Floyd. Live at Pompeii. The exhibition by Adrian Maben”. Grandi eventi, ma di conseguenza anche grandi lavori per preparare l’anfiteatro ad accogliere nel modo migliore le migliaia di appassionati di musica e archeologia. È questo il motivo per cui la soprintendenza speciale di Pompei ha chiuso in questi giorni l’anfiteatro: niente visite fino al 25 per “consentire gli interventi di disallestimento della Piramide, sede temporanea della mostra Mito e Natura che fino al 15 giugno ha visto in esposizione reperti organici e affreschi di Nature Morte”. L’anfiteatro riaprirà regolarmente al pubblico il 26 giugno in attesa delle rockstar. Il 7 e 8 luglio Gilmour sarà il primo artista a tenere un concerto rock con pubblico nell’anfiteatro. Nel 1971, infatti, i Pink Floyd furono sì i primi a suonare in questo luogo storico registrando “Pink Floyd: live at Pompeii”, con riprese in quattro giorni, ma senza pubblico ad assistere. E Gilmour, che faceva parte della storica formazione rock, potrà avere, come ha dichiarato, “l’onore di tornare e vivere nuovi indimenticabili momenti ma questa volta in maniera ancora più speciale perché ci sarà il pubblico presente”. E proprio per ricordare e rivivere quello storico evento, il 21 giugno, in occasione della Festa della Musica, indetta dal Ministero per i beni e le attività culturali e il Turismo in tutti i siti statali e museali oltre che in piazze e parchi d’Italia, sarà aperta in anteprima la mostra “Pink Floyd. Live at Pompeii. The exhibition by Adrian Maben”, in una location speciale e dal significato altamente evocativo: le gallerie, che con questo evento diventano sede espositiva permanente anche per manifestazioni future.
Proprio quell’ottantina di metri di gallerie dell’anfiteatro romano più antico e visitabile, finora mai rese accessibili ai visitatori, furono aperte solo nel 1971 per il concerto della band e nel 1984 per le esigenze di scena durante le riprese del film “Gli Ultimi giorni di Pompei” di Peter Hunt tratto dal romanzo storico del 1834 di Edward Bulwer-Lytton. Due settori dedicati quindi a Pompei e alla musica: quella del mitico 1971 (nel braccio sinistro) e alla Pompei dei tempi moderni (a destra), alla sua lenta rinascita tra restauri, interventi di valorizzazione e eventi nel sito. Più di 250 foto, tra scatti di scena ed immagini inedite raccontano quei quattro giorni di inizio ottobre dal 4 al 7 del 1971 che divennero leggenda. Scatti originali di Jaques Boumandill, il cameraman di allora; il video del film, con le di interviste che Maben, il regista realizzò negli studi londinesi di Abbey Road mentre David Gilmour, Nick Mason, Roger Waters e Richard Wright erano alle prese con le registrazioni dell’album “The Dark Side of the Moon”, ma anche un video che raccoglie tagli di registrazione di chiacchiere in libertà della band, le cosiddette “Chit Chat with Oysters”. E ancora, filmati di alcuni tra i tanti gruppi attuali ispirati alla mitica formazione. E ad immettere nell’atmosfera di quei giorni la musica della band che accompagna i visitatori lungo i passaggi sotterranei di questa sede espositiva unica e suggestiva.































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