Ledro 50, dove la preistoria è più blu. Il museo delle Palafitte del lago di Ledro festeggia il mezzo secolo con un ricco programma di eventi sul tema della preistoria. Storia della scoperta della palafitta. Nascita e sviluppo del museo. I nuovi filoni di ricerca
Giovedì 25 agosto 2022, alle 10, visita guidata nell’area protetta del lago d’Ampola; e al museo delle Palafitte di Ledro, alle 10.30 laboratorio, alle 16 visita guidata, e letture per bambini. Venerdì 26 agosto, alle 10, visita guidata a Ledro Land Art – un percorso artistico nella natura, situato nella pineta di Pur -, alle 10.30 e alle 16, al museo delle Palafitte di Ledro, laboratorio per i Venerdì biodiversi, alle 17 al museo Garibaldino e della Grande Guerra di Bezzecca visita guidata su “Dalle camicie rosse alla Grande guerra”. Domenica 28, in piazza Preistoria al museo delle Palafitte di Ledro, il gran finale con “Sogni dell’Adige”. Infine martedì 30 agosto, martedì 6 e 13 settembre, visita guidata al centro visitatori per la Flora e la Fauna “Mons. Ferrari” di Tremalzo (Stazione Inanellamento Casèt). Sono solo gli ultimi di oltre 150 eventi, ma già danno l’idea della ricchezza del programma Palafittando 2022 “Dove la preistoria è più blu” promossi per celebrare i 50 anni del museo delle Palafitte del lago di Ledro (Tn).

Il museo delle Palafitte, le capanne ricostruite e il lago di Ledro (foto jacopo salvi)
Quest’anno il museo delle Palafitte del lago di Ledro, nato attorno al sito palafitticolo dell’Età del Bronzo patrimonio UNESCO (https://www.palafitteledro.it/museo/), festeggia infatti i 50 anni di storia. Il claim “Ledro 50. Dove la preistoria è più blu” richiama l’antico legame tra le popolazioni palafitticole e il bacino lacustre che nel 1929 riconsegnò ai ledrensi e a tutto il mondo un villaggio sospeso su oltre 10mila pali. Per festeggiare il mezzo secolo di vita la sede satellite del MUSE – Museo delle Scienze di Trento ha messo in campo un denso calendario di proposte che da luglio e fino a settembre animano le rive del lago a suon di concerti, visite in notturna e attività “paleolitiche”. Era il 1972 quando il museo delle Palafitte del lago di Ledro aprì per la prima volta le sue porte. Nato come antiquarium, un contenitore di reperti riaffiorati dall’antico villaggio palafitticolo, oggi il Museo è un vivace polo culturale capace di rendere “pop” anche la preistoria, di aprire nuove reti di relazione dentro e fuori il territorio e raccontare con linguaggi sempre nuovi la vita quotidiana dell’Età del Bronzo. Completamente rinnovata nel 2019 ottenendo la certificazione di ecosostenibilità LEED® livello “GOLD”, la sede museale propone, tra ricostruzioni e resti originali del villaggio palafitticolo (2.200-1350 a.C.), un viaggio nel tempo alla scoperta dei nostri antenati preistorici.
“Questo importante anniversario del museo delle Palafitte del lago di Ledro”, dichiara il presidente del MUSE, Stefano Zecchi, “rappresenta non solo la grande e virtuosa rete museale del Muse sul territorio, ma anche l’eccellenza di una testimonianza storica e culturale di valore universale, Patrimonio dell’Unesco. Espressione prestigiosa di un ruolo dei Musei, non solo come spazi di conservazione di storia e civiltà, ma anche di continua narrazione e dialogo, in relazione con i fruitori della contemporaneità. Il Museo di Ledro è al tempo stesso luogo di sapere, di memoria e di esperienza emozionale, immersiva, conoscitiva ed educativa. Un Museo ‘vivente’: sito di reperti archeologici per un confronto con la nostra visione del mondo, oggi, tra passato, presente e futuro”. E il sostituto direttore e responsabile Sedi territoriali del MUSE, Alberta Giovannini: “Celebrare 50 anni di museo delle Palafitte non significa solo ripercorrere le tappe di un percorso di valorizzazione di un sito Patrimonio dell’Umanità, ma è anche raccontare la storia di un museo che ha cercato continuamente la sinergia con la comunità in cui è inserito e di cui è centro culturale e di richiamo turistico. Questo rapporto virtuoso con il territorio ha sviluppato nel tempo una vera e propria rete di realtà culturali, ReLED, di cui il museo delle Palafitte è il fulcro. Programmi rigorosi nel contenuto ma vivaci nelle modalità, hanno saputo attrarre non solo studenti ma anche migliaia di visitatori da tutta Italia e dall’estero, grazie al lavoro di personale entusiasta che ha saputo con professionalità portare il museo a essere luogo di incontro, comunicazione ma soprattutto esperienza. Come istituzione, il MUSE ha cercato di dare al museo delle Palafitte la giusta autonomia per la realizzazione di una strategia di dialogo con la comunità locale, e al contempo mettere a disposizione la forza scientifica e comunicativa di una realtà rilevante per potenziare il valore intrinseco del sito. In un luogo dove si indaga il passato, continua a vivere il desiderio di guardare a un futuro di continua crescita”.

Attività didattica al museo delle Palafitte del lago di Ledro (foto muse)
Qualche data e qualche numero sul museo delle Palafitte. 1972-2022: mezzo secolo di storie a filo d’acqua. 1972: nasce il museo delle Palafitte del lago di Ledro. 1995: prende il via la merenda preistorica, prima attività di preistoria imitativa. 1997: parte Palafittando, il programma estivo del museo. 2001: inaugura Ledrolab, spazio didattico per le scuole. 2006: nasce il villaggio preistorico-imitativo nell’area esterna. 2011: il sito entra nella lista Patrimonio UNESCO. 2012: nasce ReLED, la rete dei musei della Valle di Ledro, con capofila il museo delle Palafitte. 2019: il Museo viene ampliato e ristrutturato. 2012: il Museo ottiene la certificazione di ecosostenibilità LEED® GOLD. 2022: si festeggia il cinquantesimo compleanno. Negli ultimi dieci anni le presenze sono sempre state dai 35mila ai 40mila visitatori, eccezion fatta naturalmente durante il 2020 e il 2021 che si sono dimezzati. Ogni anno tra i 7mila e i 10mila studenti raggiungono Ledro per scoprire le palafitte.
“Il museo delle Palafitte del lago di Ledro nei suoi primi cinquant’anni ha vissuto varie fasi, cambiando vestito più volte ma rimanendo sostanzialmente sempre se stesso”, ricorda Donato Riccadonna, responsabile museo delle Palafitte del lago di Ledro. “Questa vita proteiforme ne ha sottolineato l’estrema duttilità e resilienza, e si può a ragione sostenere un paradosso apparente, e cioè la contemporaneità di un museo che racconta la preistoria. Con il tempo è anche diventato modello organizzativo di una rete museale che non è una nuova istituzione, e questo ha dell’incredibile in un mondo che sforna di continuo nuove istituzioni e regole dettate non da uomini ma da algoritmi. E cosa dire di un centro di ricerca che guarda al mondo situato in una piccola valle di montagna, dove si coniuga cultura ed economia? Forse alla fine il segreto del nostro orgoglio è tutto in questa parola: lavoro”.

Il museo delle Palafitte del lago di Ledro all’inizio degli anni ’70 del Novecento quando era ancora solo un antiquarium (foto muse)
Le origini. 1972-1994: il museo antiquarium. A raccontarci le vicende storiche del museo è la tesi “Il museo delle Palafitte del lago di Ledro: mezzo secolo di storia” (Laurea in Lettere) discussa a febbraio del 2021 all’università di Trento da Manuela Pernter. Il museo delle Palafitte del lago di Ledro nasce il 24 settembre 1972 come un antiquarium, ossia come contenitore ed espositore di reperti a tutela del sito archeologico scoperto nel 1929 quando il livello del lago fu abbassato per i lavori di collegamento della centrale idroelettrica di Riva del Garda. Sulla sponda meridionale affiorò inaspettatamente una distesa di oltre diecimila pali, testimonianza di una delle più grandi stazioni preistoriche scoperte fino ad allora in Italia, nonché una delle più importanti – ancora oggi – in Europa. La scoperta ebbe subito una grande risonanza. Il primo saggio di scavo avvenne già nel 1929 mentre la campagna di scavo di maggiore estensione fu quella diretta da Raffaello Battaglia nel 1937, che esplorò una superficie di circa 4mila metri quadrati e portò alla luce oltre 12mila pali e tantissimi reperti. In seguito il sito fu sottoposto a successive ricerche per poterne ricostruire la stratigrafia, interpretare la struttura dell’abitato e recuperare altri materiali anche a fini museografici. L’interesse fu tanto da causare l’arrivo di numerosi visitatori che iniziarono non solo a frequentare l’area archeologica per curiosità ma anche per avere un’occasione di guadagno: spesso venivano fatte delle vere e proprie “cacce al tesoro” per raccogliere souvenir o per vendere dei reperti a turisti e appassionati. Nemmeno l’istituzione di un servizio di sorveglianza mise fine a questo processo di spoliazione; perciò, grazie anche alla consapevolezza dell’amministrazione comunale, dalla metà degli anni ’50, si cominciò a pensare alla costruzione di un edificio museale di fronte all’area archeologica. Duplice l’obiettivo: da una parte si voleva salvaguardare il contesto archeologico e fare da deterrente per chi avesse voluto addentrarsi nella zona dei ritrovamenti; dall’altra valorizzare il sito e offrire un’attrazione culturale.

Il museo delle Palafitte con la capanna ricostruita come si vede in una pubblicazione di Gino Tomasi del 1972 (foto muse)
Un primo progetto, affidato al geometra Tiziano Muzzio (1957), che prevedeva la costruzione di un edificio simile a una palafitta nell’alveo vuoto del torrente Ponale, non fu mai realizzato. Successivamente, grazie anche all’interessamento del museo Tridentino di Scienze naturali, l’attuale MUSE, si arrivò al progetto definitivo realizzato dall’architetto veneziano Marcello Piovan. I lavori furono operati quasi esclusivamente da artigiani e ditte locali, mentre l’allestimento fu curato dall’allora direttore del museo Tridentino di Scienze naturali, Gino Tomasi, e dal prof. Bernardino Bagolini. Il museo venne inaugurato il 24 settembre 1972 e dopo la sua apertura fu assunto il primo custode, Pietro Risatti, che alloggiò in un piccolo appartamento a fianco del museo fino al suo pensionamento. Osservando l’edificio, alla base della sua costruzione si possono riconoscere delle idee all’avanguardia e intuitive che ne hanno determinato la fortuna e il pregio: innanzitutto la scelta del luogo.

I reperti conservati al museo delle Palafitte dialogano direttamente con l’area palafitticola del lago di Ledro (foto jacopo salvi)
Fu sostenuta e proposta fin dall’inizio l’idea di realizzare il museo all’aria aperta in adiacenza al sito archeologico, un elemento che ha portato Ledro ad avere, come pochi altri, una posizione privilegiata tra i siti palafitticoli Unesco. Forte anche la volontà di considerare senza soluzione di continuità il rapporto tra edificio, paesaggio, reperti e visitatore: l’edificio si presentava come una grande “vetrina di vetrine” che non poneva barriere visive e si rapportava direttamente con l’ambiente circostante e l’area archeologica. In parallelo si era già compresa l’importanza dell’area esterna tanto che si pensò a una ricostruzione della zona archeologica, restaurando i pali e creando un sistema di passerelle. A ciò va aggiunta la consapevolezza, di cui va dato merito all’allora direttore del museo Tridentino di Scienze naturali, Gino Tomasi, che solo dando responsabilità in sede locale, investendo su un segno tangibile e da tutti usufruibile, si poteva transitare dalla separatezza alla partecipazione, riconoscendo così ai territori il diritto di prendersi cura e identificarsi con i propri beni culturali. Nonostante l’intuizione alla base del progetto architettonico, gli oggetti restavano immobili, non vi erano allestimenti o attività per intrattenere un dialogo con i visitatori.

Educational del 22 maggio 2007 al villaggio palafitticolo museo delle Palafitte del lago di Ledro (foto muse)
Imparando facendo. 1994-2018: il museo con la scuola e il territorio. La seconda fase è quella che vede il museo vivere più cambiamenti e l’attenzione spostarsi sempre più dall’oggetto archeologico al visitatore e ai rapporti con il territorio. L’attività che più rappresenta questo momento di passaggio è la prima merenda preistorica. Autunno 1995: gli alunni delle scuole medie di Bezzecca entrano in museo con un diverso approccio, quello dell’imparare facendo, così da acquisire un nuovo modo di conoscere e rivivere il passato. Cominciano così le prime attività di archeologia imitativa per scuole e i turisti che pongono Ledro sia come propaggine meridionale di un sistema di “musei all’aperto” del centro Europa, sia come modello pionieristico a livello nazionale, per le modalità di approccio al mondo della didattica, dell’intrattenimento educativo e dell’accoglienza.

Il villaggio preistorico ad uso didattico realizzato vicino al museo delle Palafitte di Ledro (foto jacopo salvi)
Ledro si presenta come un museo di piccole dimensioni e questo fattore ha costituito in realtà un’opportunità: da una parte ha stimolato la ricerca di nuove attività per arricchire la visita, dall’altro ha permesso un contatto più diretto con il pubblico. Il successo è tanto che sorge presto la necessità di avere nuovo personale e nuovi spazi per migliorare l’offerta didattica e l’accoglienza delle classi. Nel 2001 si inaugura Ledrolab: il Comune di Molina ristruttura e mette a disposizione del museo un immobile da tempo inutilizzato trasformandolo in uno spazio per accogliere le scuole. Non basta: gli spazi sono ancora insufficienti per soddisfare tutte le richieste. Si comincia quindi a pensare alla costruzione di un villaggio preistorico imitativo-didattico, progetto che si concretizza nel 2006 nel Parco del museo. La nascita del villaggio ricostruito segna una svolta ulteriore: vengono messe sempre più in primo piano l’emozione e la sorpresa con attività basate sulla narrazione e l’intrattenimento educativo, come la Festa del villaggio e il Living Prehistory. Sempre in questa fase nasce l’idea di animare la stagione estiva, legata più al turismo e quindi non soltanto a un pubblico scolastico, con il programma Palafittando: a partire dal 1997, tutto questo ha creato un circolo economico virtuoso, che ha attirato l’attenzione di alcuni imprenditori locali diventati sponsor del museo, ha consolidato un rapporto di collaborazione con l’APT per la promozione della zona e la realizzazione di eventi ed inoltre sono stati coinvolti anche produttori locali.

Manifestazioni garibaldine al museo Garibaldino e della Grande Guerra a Bezzecca (Tn) (foto muse)
Il rapporto con il territorio si rafforza sempre di più: nel 2010 il museo di Ledro prende in gestione il museo Garibaldino di Bezzecca; nel 2012 viene creata una rete museale Ledro, ReLed, sostenuta dal piano di promozione culturale del comune, con la quale Ledro diventa una sorta di quartier generale di una rete di piccoli centri culturali, infine nel 2013 rientra sotto il museo di Ledro il coordinamento della rete di riserve delle Alpi ledrensi. Ledro non è dunque rimasto chiuso in sé ma si è aperto prima verso il territorio poi anche al contesto nazionale e internazionale: dal 2008 è membro di EXARC e nel 2011 è stato iscritto nella lista del patrimonio dell’Unesco insieme a Fiavè e altri 109 siti dell’arco alpino. Si uniscono a ciò anche rinnovati rapporti con il mondo dell’università per tesi di laurea, tirocini, partecipazioni a convegni. Non manca nemmeno l’attenzione verso il mondo della ricerca che riserva nuove collaborazioni e interessanti scoperte.

Il luminoso interno del museo delle Palafitte del lago di Ledro (foto jacopo salvi)
Verso il futuro. 2019-2021: il nuovo museo di Ledro, “museo motore”. Nel biennio 2018-2019 il museo è oggetto di una profonda ristrutturazione che ne ha modificato e rinnovato sia gli spazi interni sia quelli esterni. Il progetto, frutto di almeno un decennio di “attività preparatorie” fatto di progetti preliminari, focus group, raccolta delle FAQ dei visitatori, attenzione alle modalità di “utilizzo del museo” da parte degli stessi, risponde alla necessità di allinearsi, dal punto di vista strutturale, alla vivacità espressa nelle attività territoriali, nella creazione di reti di stampo nazionale e internazionale, nella messa in campo di strategie culturali ed economiche. Il restauro dell’edificio, l’aggiunta del nuovo blocco vetrato (che amplia gli spazi a un totale di 421 metri quadrati) e la realizzazione di una nuova struttura a pergolato esterna sono il risultato di un necessario adeguamento strutturale, fornendo nuovi spazi dedicati a conferenze, concerti, attività didattiche e mostre temporanee, e creando dunque un nuovo ambiente non solo per gli oggetti ma anche per le persone. I nuovi spazi attivano automaticamente un processo creativo, nella mente degli operatori che vi lavorano, con l’apertura di nuovi canali di comunicazione, attività e intrattenimento coinvolgendo nuovi pubblici. La ristrutturazione ha inoltre permesso di ampliare la stagione di apertura, permettendo al museo di diventare un partner strategico per il turismo sostenibile dell’area.

Piazza Preistoria, punto di riferimento per molte attività del museo delle Palafitte del lago di Ledro (foto muse)
Il sopraggiungere dell’evento Covid-19 ha modificato la vita della maggior parte delle persone e ha inciso anche sul lavoro ordinario e le attività svolte dai musei. Per rispondere e reagire a quanto andava accadendo, è iniziata per i musei una Second Life: anche il museo di Ledro, a porte chiuse e in un resettamento totale delle attività, ha dovuto immediatamente reinventarsi e riprogrammare il proprio futuro. Così è successo ad esempio nel rapporto con il mondo della scuola che è stato raggiunto da una riproposizione digitale del laboratorio “Quattro passi nella preistoria”. Il lockdown e la didattica a distanza (DAD) hanno invitato a esplorare il mondo del podcasting portando alla creazione di due format: 7MINUTI. Storie sulla linea del tempo e Motori di ricerca. Idee, persone e libri per un futuro migliore. Il museo non ha perso di vista, nonostante le problematiche, la possibilità di tornare a rivedere “dal vivo” i suoi visitatori. Il desiderio di “riportare tutti in piazza”, il desiderio di essere luogo in cui vige solo il distanziamento fisico ma non quello sociale, la possibilità di offrire un luogo culturale all’aria aperta, ha portato a raddoppiare i laboratori e le visite guidate sul territorio per ottemperare alle disposizioni in materia di numeri e assembramenti e a creare nuovi format come Piazza Preistoria, rassegna di musica, teatro, chiacchierate con ricercatori, presentazioni di libri, come in una vera e propria piazza, luogo per eccellenza della comunità che si ritrova.

Visite guidate all’interno del villaggio preistorico di Ledro (foto jacopo salvi)
Già centro di animazione culturale, con la creazione della Rete museale ReLED il museo ha realizzato un distretto culturale vallivo che ha messo in rete e quindi valorizzando le offerte culturali presenti. Il museo si è rivelato nel corso degli anni un valore aggiunto per un territorio già ricercato ed apprezzato per il suo potenziale paesaggistico e naturalistico; grazie ad esso si è creato un modo di fare cultura partecipato coinvolgendo la comunità nella lettura del patrimonio, nel mettere in campo le proprie competenze e ampliare l’offerta culturale. Nel 2021, infine, il nuovo edificio del museo delle Palafitte del lago di Ledro ottiene anche la Certificazione LEED® [Leadership in Energy and Environmental Design] livello “GOLD”, lo standard di certificazione energetica e di sostenibilità più in uso al mondo: si tratta di una serie di criteri sviluppati negli Stati Uniti e applicati in oltre 100 paesi del mondo per la progettazione, costruzione e gestione di edifici sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale, economico e della salute.

Ricerche archeologiche nel sito di Pozza Lavino a Tremalzo in Val di Ledro (Tn) (foto muse)
La ricerca scientifica. Non solo attività espositiva ed eventi. Da ormai una decina d’anni il Museo delle Palafitte ha dato avvio a una stagione di ricerca capace di gettare nuova luce sul popolamento preistorico della valle di Ledro. Nel 2011 è stato scoperto il sito d’alta quota di Pozza Lavino (Tremalzo – 1800 metri), che retrodata la prima frequentazione dell’area a circa 10mila anni fa; sono stati poi scoperti una decina di nuovi siti nel fondovalle. Questo non significa che si sia abbandonata l’attenzione sugli straordinari materiali ritrovati dal 1929 nel sito palafitticolo: le ricerche condotte negli ultimi cinque anni si sono infatti concentrate su alcuni di questi. Al momento sono quattro i filoni di ricerca studiati dai ricercatori del museo ledrense e dai colleghi operanti nella “casa madre” del MUSE.

Il pane di Ledro proveniente dall’area archeologica della palafitta (foto muse)
Il pane di Ledro. Museo, università di Trento, associazione Panificatori della Provincia di Trento, Camera di Commercio si sono messe “al tavolo” per analizzare una pagnotta di 4000 anni fa. Analisi microscopiche permetteranno di capire la composizione di questo pane e di riprodurre, con la Scuola di Arte Bianca di Rovereto, l’antica ricetta, per dare nuova vita a questo alimento e creare un cibo …senza età!

Palla di argilla con impronte proveniente dall’area archeologica della palafitta di Ledro (Tn) (foto muse)
Impronte digitali. Pare impossibile che in una palla di argilla cotta accidentalmente si siano conservate le impronte digitali delle persone che la stavano lavorando 4mila anni fa. Permutando le tecniche dall’archeologia forense, gli studiosi del MUSE stanno analizzando microscopicamente le tracce per capire sesso ed età dell’autore. Analizzando poi la composizione chimica di questa argilla cotta, sarà possibile verosimilmente individuare le fonti di approvvigionamento.

Cranio di orso proveniente dall’area archeologica della palafitta di Ledro (Tn) (foto muse)
Bears&humans project – A new tale of bears and humans in Trentino throughout Prehistory. A Ledro il corpus dei resti faunistici conta decine di migliaia di reperti; negli ultimi anni sono stati riordinati e ricatalogati dai ricercatori del MUSE anche per sopperire alla diaspora che li ha portati negli anni in diversi musei ed enti italiani. Recentemente l’analisi si è focalizzata sui resti di orso bruno. Reperti unici al mondo come i crani e le mandibole forate permettono di tracciare l’evoluzione del rapporto tra l’umanità e gli orsi trentini, da risorsa economica durante la preistoria antica a interlocutore simbolico nella comunità agro-pastorale ledrense di 4mila anni fa. Un rapporto speciale sembra legare la comunità che occupava le sponde del lago a questo animale.

Uno degli scheletri provenienti dall’area archeologica della palafitta di Ledro (Tn) (foto muse)
Genesi. Dal presente alle diverse origini. La storia del popolamento della valle di Ledro attraverso lo studio del DNA. Il progetto, attualmente in corso ha come scopo finale quello di ricostruire la storia genetica della valle di Ledro, attraverso due principali fasi di lavoro: la raccolta di 100 campioni di DNA di individui ledrensi attuali (fase 1) porterà all’estrazione del DNA mitocondriale per dare vita a un profilo genetico capace di definire l’aplogruppo di appartenenza e la relativa storia genetica (su linea materna) di ogni individuo. La seconda fase dello studio (che si concluderà nel 2023) avrà come oggetto la collezione antropologica di Ledro, che attende di essere studiata in maniera approfondita per valutare con precisione l’esatta cronologia e ricostruire i profili genetici di almeno un abitante del villaggio palafitticolo di 4000 anni fa.
Vicenza. Al museo Naturalistico Archeologico la mostra “Palafitte e Piroghe del Lago di Fimon. Legno, territorio, archeologia”: nuova luce sulla vita degli uomini e delle donne che abitavano attorno al lago di Fimon da 7000 a 3000 anni fa

Locandina della mostra “Palafitte e Piroghe del Lago di Fimon. Legno Territorio Archeologia” al museo Naturalistico Archeologico di Vicenza fino al 31 maggio 2023
Al museo Naturalistico Archeologico di Vicenza nella mostra “Palafitte e Piroghe del Lago di Fimon. Legno, territorio, archeologia” protagonista assoluto è il legno, quello utilizzato nelle imbarcazioni, il nelle case su palafitta, nelle strutture che servivano per bonificare le sponde del lago. Aperta il 19 marzo 2022, fino al 31 maggio 2023 i visitatori potranno scoprire i villaggi preistorici del Lago di Fimon sulle tracce degli appassionati e degli studiosi che nel corso degli anni hanno recuperato ed esaminato centinaia di reperti. Realizzata in onore di Gastone Trevisiol, ricercatore la cui attività si è svolta principalmente nelle Valli di Fimon e a cui si deve il ritrovamento di molti dei reperti esposti in mostra, l’esposizione è organizzata dall’assessorato alla Cultura del Comune di Vicenza, dai Musei Civici di Vicenza e dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio di Verona Rovigo e Vicenza.

Il taglio del nastro all’inaugurazione della mostra “Palafitte e piroghe del lago di Fimon” (foto sabap-vi)
La mostra è stata realizzata grazie a un comitato scientifico composto dai maggiori esperti italiani di preistoria e di antiche abitazioni e imbarcazioni, oltre che dai protagonisti delle ricerche archeologiche sul Lago di Fimon, provenienti dal ministero della Cultura e da numerose università e da laboratori all’avanguardia. La cooperativa sociale Scatola Cultura, si è occupata dell’allestimento e della didattica. La mostra gode del patrocinio e del contributo della Regione del Veneto (per gli studi dendrocronologici dei legni di Fimon tramite la legge regionale 50/84), del contributo di Fondazione Roi per le attività didattiche per scuole e famiglie, di Zordan s.r.l. per allestimento curato da Scatola Cultura. Ha il patrocinio di Provincia di Vicenza, Comune di Arcugnano, Accademia Olimpica e dei Siti preistorici palafitticoli dell’arco alpino UNESCO.

L’allestimento della mostra “Palafitte e Piroghe del Lago di Fimon. Legno Territorio Archeologia” è stato curato da Scatola Cultura (foto sabap-vi)

La presentazione della mostra al museo Naturalistico Archeologico di Vicenza: al centro, Carpanese, Tinè, Siotto, Pellizzari (foto sabap-vi)
Alla presentazione sono intervenuti l’assessore alla Cultura Simona Siotto, il soprintendente Archeologia Belle arti e Paesaggio di Verona, Rovigo e Vicenza Vincenzo Tinè, il sindaco di Arcugnano Paolo Pellizzari, il conservatore del museo Naturalistico-Archeologico Viviana Frisone, e Valentina Carpanese per Scatola Cultura. Erano presenti Romano Trevisiol, figlio di Gastone Trevisiol a cui la mostra è dedicata, e il comitato scientifico della mostra. “La mostra, frutto della collaborazione fra istituzioni e studiosi di provenienze diverse, è un ottimo esempio di come si possa lavorare insieme per obiettivi comuni: la ricerca, la conservazione e la valorizzazione di beni culturali”, dichiarato Simona Siotto. “Quello che possiamo vedere oggi nelle sale del museo è frutto di ricerche all’avanguardia tradotte in linguaggio accessibile a tutti. L’allestimento gradevole e coinvolgente rende la mostra particolarmente adatta all’attività didattica rivolta alle scuole e ad iniziative educative che potranno essere progettate in relazione a specifiche esigenze di approfondimento. L’approfondimento dedicato all’uso del legno in epoca preistorica sarà sicuramente di interesse poiché tra l’altro interessa un territorio vasto coinvolgendo in particolare il Lago di Fimon nel Comune di Arcugnano, luogo di ritrovamento di molti reperti di grande interesse per gli studiosi”.

La vetrina dedicata ai primi protagonisti delle ricerche nelle valli di Fimon (Vi) (foto sabap-vi)
La mostra si sviluppa da nuovi studi sui frammenti di legno recuperati nel Novecento e da recenti indagini archeologiche condotte con le più moderne metodologie che hanno consentito di gettare nuova luce sulla vita degli uomini e delle donne che abitavano attorno al lago di Fimon da 7000 a 3000 anni fa. Racconta come gli importanti reperti di Fimon sono stati recuperati, conservati e, oggi, studiati. La preistoria del Lago di Fimon è anche la preistoria della carpenteria del legno e racconta di come le radici di questo sapere artigianale affondino nel passato che l’archeologia moderna può rivelare e raccontare. Tra gli oggetti più significativi esposti ci sono i resti di una piroga monossile risalente a circa 5000 anni fa identificata nei reperti lignei raccolti nell’Ottocento. Si tratta di uno dei reperti eccezionalmente conservati che permetteranno al visitatore di comprendere quante cose accomunano il lontano mondo della preistoria e l’epoca attuale: piroghe monossili del tutto simili a quelle di Fimon venivano costruite fino a poche centinaia d’anni fa e negli ultimi anni vi è una forte spinta alla bioedilizia e all’uso di materiali naturali ed ecosostenibili nelle costruzioni. La mostra, attraverso l’archeologica, consente di approfondire la conoscenza della carpenteria del legno che è sempre stata poco nota, attraverso la conservazione dei legni del lago di Fimon che è qualcosa di eccezionale e unico: questo è stato possibile grazie all’ambiente umido e quindi anaerobico, condizione ideale che si è creata nella torbiera di Fimon. Solitamente, infatti, il legno, materiale organico e quindi deperibile, non si conserva quasi mai nei depositi archeologici ma viene consumato dal passare del tempo.

In mostra a Vicenza uno dei pali delle palafitte di Fimon recuperati da Paolo Lioy nella seconda metà dell’Ottocento, recentemente restaurato (foto sabap-vi)
Nella mostra “Palafitte e piroghe del Lago di Fimon” è esposto di un reperto eccezionale: uno dei pali delle palafitte di Fimon recuperati da Paolo Lioy nella seconda metà dell’Ottocento, recentemente restaurato. Segue poi la presentazione degli altri frammenti lignei recuperati durante le ricerche archeologiche più recenti. La mostra parla di come questi reperti siano arrivati fino ad oggi, raccontando dell’estrazione della torba e dei principali protagonisti della ricerca nelle Valli di Fimon: tra questi vi è Gastone Trevisiol, al quale la mostra è dedicata. Un pannello didattico racconta in maniera approfondita le numerose analisi archeologiche e scientifiche che vengono realizzate sul legno archeologico per scoprirne ogni aspetto. Infine, quattro vetrine presentano i principali siti archeologici del Lago di Fimon grazie ai reperti rinvenuti.

In mostra postazioni interattive e approfondimenti video per conoscere meglio il territorio, le ricerche e i reperti (foto sabap-vi)
Un’installazione inedita audio interattiva di Andrea Santini e Marianna Anoardi introduce i visitatori alle tematiche grazie ad un’esperienza sensoriale. Altre postazioni interattive permetteranno ai visitatori di toccare con mano il legno, mentre approfondimenti video permetteranno di conoscere meglio il territorio, le ricerche e i reperti. Con la collaborazione di Veneto Agricoltura, in alcuni vasi collocati nel portico del chiostro del museo, si possono vedere sei alberi appartenenti alle specie che vivevano attorno al Lago di Fimon tra il Neolitico e l’Età del Bronzo. Sono previste delle attività educative rivolte a bambini e famiglie ogni prima domenica del mese. Le proposte sono gratuite grazie al contributo della fondazione Giuseppe Roi. Info e prenotazioni: 3483832395 didattica.museivicenza@scatolacultura.it. Le attività didattiche per bambini e ragazzi verranno inserite anche nel Poft – Piano dell’offerta formativa territoriale per l’anno 2022-23, con particolare attenzione alle diverse abilità cognitive e disabilità. La mostra si può visitare dal martedì alla domenica, dalle 9 alle 17 da settembre a giugno, dalle 10 alle 14 in luglio e agosto. L’ingresso è compreso nel biglietto per il museo: intero 3 euro, ridotto e scuole 2 euro. Info biglietti https://www.comune.vicenza.it/cit…/scheda.php/42724,217959. Informazioni: 0444222815, museonatarcheo@comune.vicenza.it.
Verona. Il museo Archeologico nazionale è una realtà: le due protagoniste – l’ex direttrice Federica Gonzato e la nuova Giovanna Falezza – ci introducono alla nuova istituzione culturale, con un breve excursus sulla storia della sede e sull’allestimento. Apertura completa entro il 2025

Taglio del nastro all’Archeologico di Verona: da sinistra, Matteazzi, Falezza, Ferrara, Gonzato, Osanna, Sboarina (foto graziano tavan)
Obiettivo 2025. L’impegno è stato preso ufficialmente da tutti i protagonisti dell’inaugurazione del museo Archeologico nazionale di Verona nell’ex caserma asburgica San Tomaso, la prima istituzione statale nella città scaligera: da Daniele Ferrara, direttore della Direzione regionale Musei Veneto, a Giovanna Falezza, neo direttrice dell’Archeologico (che parla nell’intervista rilasciata ad archeologiavocidalpassato.com), dal prof. Massimo Osanna, direttore generale Musei ministero alla Cultura, all’architetto Chiara Matteazzi, che ha curato l’allestimento. Intanto da oggi, 18 febbraio 2022, il museo Archeologico nazionale è aperto al pubblico: per ora tre giorni alla settimana, venerdì, sabato e domenica, dalle 10 alle 18. La visita è limitata all’ultimo piano, dove è stata allestita la sezione di Preistoria e Protostoria: si va dal Paleolitico all’Età del Bronzo. Per l’Età del Ferro dovremo attendere settembre 2022.
Il nuovo museo, come ha spiegato l’ex direttrice Federica Gonzato, che ha seguito passo passo la nascita dell’Archeologico – il cui iter è iniziato almeno vent’anni fa – e ne ha curato il progetto scientifico, si distingue dai musei civici proprio perché raccoglie le testimonianze dell’archeologia di tutta la provincia di Verona: raccoglie i reperti provenienti da scavi di emergenza e da campagne di scavo curate in decenni dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio di Verona e da molte università. E soprattutto partiamo da circa 100mila anni fa di storia, dal Paleolitico: e da qui si instaura un dialogo con il visitatore per raccontargli quella che è la storia dell’uomo. “Ecco questa è proprio la mission del museo Archeologico nazionale di Verona – spiega Gonzato: l’evoluzione dell’uomo e della sua mente, di come lui vede se stesso, di come si vede proiettato nell’ambiente, e di tutto il percorso che lui fa quotidianamente di piccole scoperte e intuizioni per migliorare la sua vita quotidiana”.

Il museo Archeologico nazionale di Verona è accolto da quello che, in epoca asburgica, fu il carcere di guarnigione (Garnisons Stockhaus). L’edificio si innalza su un lotto trapezoidale, adiacente al fianco meridionale della chiesa di San Tomaso, in precedenza occupato dal monastero, con un grande chiostro quadrangolare e alcune corti minori. Il carcere (ed oggi il Museo) si articola su tre corpi di fabbrica lineari: i due maggiori si affacciano, rispettivamente, sullo stradone di San Tomaso e sulla via retrostante dell’isolato, vicolo Campanile di San Tomaso. Il terzo corpo di fabbrica, minore, li collega a meridione. Verso l’interno i medesimi fabbricati delimitano una grande corte quadrangolare; un cortile di servizio è annesso a sud del tratto minore e lo divide dagli altri fabbricati civili dell’isolato. Il tratto principale, contiguo alla facciata della chiesa, conteneva gli uffici, con la cancelleria, gli archivi, e gli alloggiamenti del personale addetto alla custodia. Al centro, verso il cortile, sporgeva il corpo poligonale della cappella, in asse con l’androne d’ingresso. Le due campate iniziali, adiacenti alla chiesa, pur inserite nel nuovo edificio, non appartenevano al Carcere, ma alla casa canonica. Questa era collegata da un passaggio, lungo il fianco della chiesa, alla vecchia sagrestia, sulla via retrostante, unita all’altro tratto del Carcere, destinato, con l’ala minore, alle celle. Il passaggio adiacente al fianco della chiesa è il resto del chiostro quattrocentesco, con gli archi murati, che continua anche sul lato della sagrestia, a est.
Ad accogliere il pubblico è lo Sciamano della Grotta di Fumane, scelto come simbolo del museo stesso. Ma sono molti i motivi e i tesori che dovrebbero spingere il pubblico a venire a visitare l’Archeologico, come spiega ad archeologiavocidalpassato.com la neodirettrice Giovanna Falezza.

Nella prima sezione cronologica, il Paleolitico, fase in cui anche il territorio veronese è testimone della piena espansione delle popolazioni neandertaliane e dell’Homo sapiens in Europa, il Museo racconta le prime forme d’arte e la vita di queste popolazioni di cacciatori e raccoglitori, accogliendo preziosi reperti di due siti di grande rilevanza a livello europeo: la Grotta di Fumane, con le sue pietre dipinte – prima fra tutte, lo sciamano -, e Riparo Tagliente.

Nella seconda sezione cronologica, il Neolitico, fondamentale fase della preistoria in cui i gruppi umani passano da un’economia basata essenzialmente su caccia e pesca all’introduzione di agricoltura e allevamento e quindi alla possibilità di produrre il cibo per il proprio sostentamento, spiccano i reperti dal sito veronese di Lugo di Grezzana che proiettano i visitatori nella vita di un villaggio neolitico, mentre i rinvenimenti da altri siti veronesi li introducono ai rituali funebri e agli oggetti dedicati al culto.

Nella terza sezione cronologica, l’Età del Rame, momento della preistoria in cui l’Uomo scopre la possibilità di utilizzare un metallo – il rame, appunto – per realizzare armi e strumenti, troviamo la capanna di Gazzo Veronese, la necropoli recentemente scoperta di Nogarole Rocca, statue-stele e preziosi corredi tombali dal territorio veronese che accompagnano i visitatori nella prima “età dei metalli”.

Nella quarta ed ultima sezione aperta al pubblico, la più articolata, l’Età del Bronzo, fase in cui le comunità umane, oltre ad introdurre l’uso del bronzo per la costruzione dei propri oggetti, diventano sempre più numerose, articolate ed interconnesse tra loro, il Museo racconta la vita di questi abili artigiani e costruttori: l’enorme pozzo di Bovolone, valorizzato con un gioco di luci, campeggia al centro della sala dedicata ai villaggi; attorno, alcuni modellini raccontano le antiche tecniche edilizie, mentre reperti eccezionali parlano al visitatore della vita e del lavoro di tutti i giorni.

Questa sezione accoglie una vetrina dedicata alla tre palafitte UNESCO della provincia di Verona, oltre ad una serie di reperti in legno dal sito di Vallese di Oppeano, eccezionalmente conservati. L’articolata vita dell’Età del Bronzo viene poi raccontata nelle sale seguenti, con una serie di reperti derivati dagli scambi con il mondo europeo e mediterraneo, e con gli eccezionali rinvenimenti dalle necropoli veronesi. Fra tutte, si ricorda quella di Olmo di Nogara, con le raffinate spade di bronzo deposte al fianco dei guerrieri. Infine, il Museo racconta quella che doveva essere l’antica ritualità, con un’ultima sala dedicata ai “doni agli dei” dell’Età del Bronzo.
Verona. L’attesa è finita. Domani si inaugura, e venerdì apre al pubblico, il nuovo museo Archeologico nazionale nell’ex caserma asburgica San Tomaso. Si inizia con la sezione di Preistoria e Protostoria: un percorso da 200mila anni fa al I sec. a.C. Ecco le prime immagini

L’attesa è finita. Il museo Archeologico nazionale di Verona è una realtà. Domani, giovedì 17 febbraio 2022, alle 11.30, si inaugura la sezione “Preistoria e protostoria: agli albori della creatività umana” del nuovo museo Archeologico nazionale di Verona nell’ex caserma asburgica San Tomaso, in stradone San Tomaso, 3. E venerdì 18 febbraio 2022 il museo sarà aperto al pubblico che nei giorni di venerdì, sabato e domenica, dalle 10 alle 18, potrà percorrere 200mila anni di storia. Là dove erano imprigionati i carbonari che lottavano contro l’Impero Asburgico hanno trovato posto infatti le testimonianze più antiche degli insediamenti umani nel territorio veronese, portate alla luce dopo un secolo e più di campagne archeologiche. Si tratta di reperti considerati i primi, eccezionali esempi delle espressioni della civiltà e della creatività umane, che si possono ora finalmente ammirare accompagnati da un chiaro corredo introduttivo. Ricostruzioni fisiche e virtuali, video e altri mezzi di comunicazione multimediale valorizzano questo straordinario patrimonio in bianche teche sovrastate dalle colossali capriate lignee del grande edificio costruito nel 1856 per farne sede carceraria.

I muri perimetrali delle celle sostengono possenti arcate in mattoni, conferendo all’ambiente la sembianza di una chiesa romanica. La Direzione regionale Musei Veneto, cui questo museo statale afferisce, ha investito fondi del ministero alla Cultura per restaurare e mettere a norma l’edificio che si sviluppa su tre piani, compresa la elegante facciata sul lungadige veronese. L’allestimento del nuovo museo Archeologico, affidato all’architetto Chiara Matteazzi su progetto scientifico dell’ex direttrice Federica Gonzato, è iniziato dall’ampio sottotetto dove hanno trovato collocazione le sezioni dedicate alla Preistoria e alla Protostoria, a documentare un lasso di tempo che prende avvio circa 200mila anni fa e si dipana sino al primo secolo a.C. Il piano intermedio accoglierà invece i reperti dell’età celtica e romana, oltre ad uffici, biblioteca e spazi per incontri, mentre il piano terra è destinato a documentare l’età altomedievale.

Domani, all’inaugurazione, con Daniele Ferrara direttore della Direzione regionale Musei Veneto e Giovanna Falezza neo direttrice dell’Archeologico, interverrà il prof. Massimo Osanna direttore generale Musei ministero alla Cultura. “Complessivamente l’investimento supererà i 3 milioni di euro, integralmente finanziati dal ministero alla Cultura”, afferma Daniele Ferrara. “Aperta al pubblico la sezione riservata alla preistoria e alla protostoria, contiamo di avviare molto presto il cantiere per la sezione romana, mentre con fondi assegnati tramite il PNNR metteremo a cantiere anche il piano terra per completare quello che si prefigura come uno dei più importanti musei archeologici italiani”.

Il percorso espositivo della sezione Preistoria e Protostoria, anche grazie a ricostruzioni fisiche e virtuali, video e altri mezzi di comunicazione multimediale, narra le principali componenti storiche del veronese in un arco cronologico compreso tra oltre 100mila anni fa e il 100 a.C. Predisposto con la collaborazione dell’università di Ferrara, dell’università di Trento e della soprintendenza ABAP di Verona, il percorso si articola in una serie di sottosezioni dedicate ai principali siti preistorici e protostorici, dal Paleolitico (rappresentato dalla famosa pietra dipinta, nota come lo “Sciamano”, considerato tra le più antiche rappresentazioni umane sino ad oggi note al mondo, proveniente dalla Grotta di Fumane), passando attraverso il Neolitico e l’età del Rame, fino all’età del Bronzo, con l’esposizione dei materiali provenienti dai siti palafitticoli inseriti nella lista UNESCO del veronese, e all’età del Ferro. L’allestimento si sviluppa in modo lineare, attraverso le diverse sale dei due bracci del terzo piano (dal Paleolitico all’età del Bronzo) fino a confluire nel terzo braccio (dedicato all’età del Ferro).

Tra i molti tesori del nuovo Museo, la neo direttrice dell’istituzione veronese, Giovanna Falezza, segnala la pietra dipinta nota come “lo Sciamano”, assunto a simbolo del nuovo museo. Tra le opere d’arte in ocra rossa rinvenute nella Grotta di Fumane e riferibili all’attività artistica dei primi Sapiens (40mila BP, Paleolitico superiore), la più famosa è questa pietra calcarea sulla quale, in ocra rossa, è raffigurato un personaggio che indossa un copricapo. Questa pietra è, ad oggi, una delle più antiche figure teriomorfe (figure di uomo-animale) del pianeta.

Risale invece all’Età del Bronzo antico, lo straordinario esemplare di vaso a bocche multiple recuperato durante lo scavo archeologico della Palafitta del Laghetto del Frassino presso Peschiera del Garda. Dal medesimo sito provengono anche ceramiche con decorazioni incise, conchiglie, metalli e utensili in osso, pietra e legno. Sempre dal Garda, rinvenuti ad una profondità di circa tre metri, provengono una tazza dell’Età del Bronzo antico e alcuni resti paleobotanici, tra i quali una spiga carbonizzata di farro.

Dal sito di Pila del Brancon, a Nogara, provengono spade ripiegate, cuspidi di lancia, pugnali ed altri elementi laminari contorti, materiali che possono essere riferiti ad una fase iniziale dell’età del Bronzo finale. Notevoli e numerosi gli oggetti da ornamento esposti nel nuovo Museo e tra essi spicca il magnifico spillone scoperto presso la palafitta de La Quercia a Lazise, lungo più di mezzo metro, con larga testa a disco e gambo ritorto.
Verona. Al museo di Storia naturale presentazione del libro “Vivere tra terra e acqua. Dalle palafitte preistoriche a Venezia”, catalogo della mostra in corso a Palazzo Mocenigo a Venezia in concomitanza con le celebrazioni per i 1600 Anni di Venezia e con il decennale dell’iscrizione nella lista dell’Unesco del sito seriale transnazionale “Siti Palafitticoli Preistorici dell’Arco Alpino”. Prenotazione obbligatoria e Green Pass

È un suggestivo viaggio nel tempo, in due tappe, quello proposto, il 28 settembre 2021, alle 16, al museo di Storia Naturale di Verona, da Federica Gonzato, direttore del museo Archeologico nazionale di Verona e del museo nazionale Atestino di Este che, al museo di Storia Naturale di Verona, presenterà il volume “Vivere tra terra e acqua. Dalle palafitte preistoriche a Venezia”, catalogo della mostra in corso sino al 31 ottobre 2021 nella città lagunare, a Palazzo Corner Mocenigo. 1600 anni fa prendeva forma la città di Venezia, innalzata su una fitta rete di pali infissi nel terreno limoso della Laguna
. Più di due millenni prima, lungo l’intero Arco Alpino, le popolazioni dell’Età del Bronzo innalzavano su pali i loro piccoli agglomerati “urbani”, di cui il Museo di Storia Naturale conserva ampia testimonianza. Dieci anni fa, l’UNESCO riconosceva i Siti Preistorici Palafitticoli dell’Arco Alpino come Patrimonio dell’Umanità. Analogo riconoscimento la città di Venezia lo aveva ottenuto nel 1987. Due “storie di pali”, lontane secoli e secoli di storia, ma vicine geograficamente e strutturalmente, che documentano come l’ingegno dell’uomo abbia saputo affrontare la sfida di vivere in un ambiente naturale tra terra e acqua. Prenotazione obbligatoria: segreteria didattica dei Musei Civici di Verona Cooperativa Le Macchine Celibi, dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 16, tel. 045 8036353 – 045 597140; segreteriadidattica@comune.verona.it (entro le 13 del 28 settembre 2021). Ingresso consentito con Green Pass e mascherina

La mostra a Venezia. Fino al 31 ottobre 2021 in Palazzo Corner Mocenigo, a Venezia, questa doppia storia è riunita nella mostra “Vivere tra terra e acqua. Dalle palafitte preistoriche a Venezia”, promossa dalla direzione regionale Musei del Veneto del ministero della Cultura e dal Comando Regionale Veneto della Guardia di Finanza, che ha la propria sede nel nobile palazzo. Alla mostra hanno attivamente collaborato anche la soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza e il museo di Storia Naturale di Verona.

Ricerche archeologiche subacquee nelle acque del laghetto del Frassino vicino a Peschiera (foto drm-veneto)
Sono stati proprio gli insediamenti palafitticoli a creare l’occasione per il coinvolgimento del museo di Storia Naturale di Verona, che raccoglie i rinvenimenti avvenuti nelle palafitte del Veronese sin dalla metà dell’Ottocento e ha rivestito nel Novecento un ruolo chiave nella ricerca degli insediamenti palafitticoli dell’Italia settentrionale. Tra le importanti e ricche collezioni di reperti da numerosi siti palafitticoli del Veneto e della Lombardia occidentale che ospita nei suoi depositi e nelle vetrine dell’esposizione, ci sono quelli dell’insediamento di Tombola di Cerea, uno dei siti palafitticoli iscritti nella lista dell’UNESCO (vedi Venezia. Nel 1600 anniversario della fondazione di Venezia e nel decennale del sito Unesco “Siti preistorici palafitticoli dell’arco alpino”, apre a Palazzo Corner Mocenigo la mostra “Vivere tra terra e acqua” – Dalle palafitte preistoriche a Venezia” che avvicina la storia di Venezia e la cultura degli insediamenti palafitticoli | archeologiavocidalpassato).

Oggetti in mostra a Venezia nell’esposizione “Vivere tra terra e acqua” (foto pm-veneto)
I reperti del museo di Storia Naturale in mostra a Venezia. Tra le opere scelte per raccontare gli aspetti salienti della vita in palafitta nella mostra veneziana ci sono 27 reperti provenienti dalle collezioni della Sezione di Preistoria del Museo di Storia Naturale: in particolare un gruppo di reperti di proprietà civica è presente nella sezione “Scambi, commerci, contatti” della mostra allestita a Palazzo Corner Mocenigo e dimostra che, ben prima di Venezia, gli scambi su lunghe distanze abbiano antecedenti già tra III e II millennio a.C. Altri oggetti preistorici delle collezioni veronesi, legati alla tessitura, sono stati selezionati per l’esposizione nella sezione “Costumi e mode nei secoli”.


Copertina del catalogo della mostra “Vivere tra terra e acqua. Dalle palafitte preistoriche a Venezia”

L’archeologa Federica Gonzato
Il volume “’Vivere tra terra e acqua. Dalle palafitte preistoriche a Venezia” sarà presentato al museo di Storia Naturale dai suoi curatori, Federica Gonzato e Ivan Toluzzo, che illustreranno il grande tema del costruire in ambienti umidi, utilizzando il legno come principale materiale, e il ruolo della Guardia di Finanza nella tutela del patrimonio culturale. Attingendo alle più avanzate ricerche internazionali, Federica Gonzato (funzionario archeologo presso la direzione regionale Musei Veneto, direttore del museo Archeologico nazionale di Verona e direttore del museo nazionale Atestino di Este) illustrerà il mondo palafitticolo e, in particolare, quello dei Siti Palafitticoli Preistorici dell’Arco Alpino riconosciuti dall’Unesco. Sono ben 111, localizzati sulle Alpi o nelle immediate vicinanze. Si trovano in Svizzera, Austria, Francia, Germania, Italia e Slovenia. Di questi ben 19 si trovano in Italia, di cui 4 in Veneto: Peschiera del Garda-Belvedere; Peschiera del Garda-Frassino; Arquà Petrarca-Laghetto della Costa e Cerea-Tombola. Una selezione di materiali da quest’ultimo sito è tuttora esposta nella sala di Preistoria del museo di Storia Naturale, frutto delle ricerche condotte negli anni ’50 del secolo scorso dall’allora direttore Francesco Zorzi. Le ricerche condotte nei siti palafitticoli alpini, in Italia e negli altri paesi coinvolti (Svizzera, Francia, Germania, Austria e Slovenia) hanno permesso agli specialisti di ricostruire, come in nessun’altra regione del mondo, la vita nelle società di agricoltori e allevatori degli ultimi cinque millenni a.C. In parallelo, il volume e la mostra analizzano la nascita “su pali” di Venezia. In questo caso i pali vennero infissi per rendere stabile la superficie su cui innalzare palazzi, chiese e case.

Ivan Toluzzo, tenente colonnello Ufficiale di Stato Maggiore presso il Comando Regionale della Guardia di Finanza di Venezia

L’archeologa Nicoletta Martinelli
Ivan Toluzzo (tenente colonnello Ufficiale di Stato Maggiore presso il Comando Regionale della Guardia di Finanza di Venezia e referente per il coordinamento delle iniziative congiunte tra il Corpo della Guardia di Finanza e la direzione regionale Musei del Veneto) tratterà delle attività di tutela del patrimonio della Guardia di Finanza attraverso il Comando Regionale Veneto, ma anche dell’attività di valorizzazione e condivisione del patrimonio culturale di cui è detentrice, col supporto del Museo Storico del Corpo, intrapresa dal 2012 con l’organizzazione di mostre tematiche, la partecipazione alla realizzazione di pubblicazioni e con l’opera di conservazione, recupero e valorizzazione architettonica delle proprie sedi in Laguna. Illustrerà, inoltre, il protocollo di intesa sottoscritto nel febbraio 2021 con la direzione regionale Musei del Veneto, che intende rafforzare la dialettica tra istituzioni pubbliche per la promozione della cultura. Infine Nicoletta Martinelli del museo di Storia Naturale illustrerà brevemente i reperti della sezione di Preistoria selezionati per l’allestimento della mostra veneziana.
Venezia. Nel 1600 anniversario della fondazione di Venezia e nel decennale del sito Unesco “Siti preistorici palafitticoli dell’arco alpino”, apre a Palazzo Corner Mocenigo la mostra “Vivere tra terra e acqua” – Dalle palafitte preistoriche a Venezia” che avvicina la storia di Venezia e la cultura degli insediamenti palafitticoli

Nel corso del 2021 si celebra l’anniversario dei 1600 anni della fondazione di Venezia, avvolta in tratti mitici, della città costruita sull’acqua, e al contempo si conta il primo decennale di un altro sito UNESCO, che celebra i “Siti preistorici palafitticoli dell’arco alpino”. È in questo contesto che va inserita la mostra “Vivere tra terra e acqua. Dalle palafitte preistoriche a Venezia” che avvicina la storia di Venezia, la città che sorge su pali infitti nel terreno limoso della laguna e la cultura degli insediamenti palafitticoli sepolti nei depositi torbosi di antichi laghetti. Due siti Unesco, separati da migliaia di anni, uniti dalla medesima spinta a costruire e vivere l’ambiente umido. L’inaugurazione venerdì 25 giugno 2021 alle 11, a Palazzo Corner Mocenigo in Campo San Polo 2128/a a Venezia, sede del Comando Regionale Veneto della Guardia di Finanza. La mostra “Vivere tra terra e acqua” – Dalle palafitte preistoriche a Venezia” (25 giugno 2021 – 31 ottobre 2021) è promossa proprio dal Comando Regionale Veneto della Guardia di Finanza, in collaborazione con la Direzione Regionale Musei Veneto, e in partnership con la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio di Verona Rovigo e Vicenza, sulla scorta del relativo Protocollo d’Intesa sottoscritto in data 24 febbraio 2021.


Tracce di palafitte conservate sotto la superficie dell’acqua (foto comando regionale guardia di finanza)

Il sito palafitticolo del laghetto della Costa ad Arquà Petrarca (Pd) (foto parco colli euganei)
Venezia vanta una lunga storia e la sua formazione, quale insediamento umano, è dovuta ad un “sinecismo” degli abitati sorti sulle altre strisce di terra della laguna in seguito alle invasioni barbariche che spinsero la popolazione ad individuare opportuno rifugio nella piccola isola che sarà l’anima della Serenissima. Patrimonio mondiale dell’umanità, l’impianto urbano di Venezia poggia su fondazioni in legno, pali infitti nel terreno morbido e limoso, che ancor oggi sorreggono le piattaforme sulle quali si innalzano i palazzi veneziani, con il loro patrimonio di storia e cultura. Una tecnica all’altezza di importanti sfide ingegneristiche, ma che affonda le sue origini a partire dal Neolitico. La mostra di Palazzo Corner Mocenigo mette a confronto la storia e la cultura di Venezia che sorge su fondazioni in legno di pali infitti nel terreno morbido e limoso e gli insediamenti palafitticoli sepolti nei depositi torbosi di antichi laghetti o corsi fluviali. Ed espone gli aspetti salienti del grande tema del costruire e vivere in ambienti umidi, proponendo un percorso che illustri, grazie ai dati scientifici provenienti dalle più aggiornate ricerche e all’osservazione diretta dei reperti esposti, gli aspetti salienti di un fondamentale momento della nostra storia: il mondo palafitticolo.


Il laghetto del Frassino vicino a Peschiera (Vr) (foto drm-veneto)

Ricerche archeologiche subacquee nelle acque del laghetto del Frassino vicino a Peschiera (foto drm-veneto)
Gli insediamenti palafitticoli sono sepolti nei depositi torbosi di antichi laghetti, o corsi fluviali, o sommersi in specchi d’acqua. Eppure, per l’UNESCO, meritano di far parte del Patrimonio dell’umanità. Le palafitte alpine hanno permesso agli specialisti di ricostruire, come in nessun’altra regione del mondo, la vita nelle società di agricoltori e allevatori tra il V e il I millennio a.C. Lungo l’arco alpino si conoscono circa 1000 siti con strutture “su palafitta”. Sono diffusi in Svizzera, Germania meridionale, Austria, Slovenia, Italia settentrionale e Francia orientale. Sono collocati per lo più presso le rive dei laghi, nelle zone di torbiera e, più raramente, lungo i fiumi. Grazie alla loro posizione in terreni saturi d’acqua, si sono conservati gli elementi strutturali in legno, i resti di cibo, gli utensili in legno e persino i tessuti. Proprio per questo motivo i resti di questi insediamenti permettono di gettare uno sguardo sulla vita del tempo: rappresentano infatti la fonte più importante per lo studio delle più antiche società contadine europee. Il sito UNESCO “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino” è stato iscritto nel 2011 nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO, è un sito seriale transnazionale che coinvolge sei nazioni europee: Austria, Francia, Germania, Italia, Svizzera e Slovenia e comprende 111 villaggi palafitticoli, 19 dei quali si trovano in Italia, di cui 4 in Veneto: Peschiera del Garda-Belvedere; Peschiera del Garda-Frassino; Cerea-Tombola; Arquà Petrarca – Laghetto della Costa.
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