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Bologna. Al via “Il viaggio dell’eroe. Dall’Antico Egitto a Hollywood”, ciclo di quattro incontri in Biblioteca Sala Borsa con l’egittologa Barbara Faenza. Ecco il programma

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La statua del dio Horus-falco nel tempio di Edfu in Egitto (foto andrés dallimonti / unsplash)

Cosa lega il mito di Osiride, l’epopea di Gilgamesh, i poemi omerici e Star Wars? Lo sapremo partecipando al ciclo di incontri, dal 16 febbraio all’11 maggio 2023, “Il viaggio dell’eroe. Dall’Antico Egitto a Hollywood”, all’auditorium Biagi in Biblioteca SalaBorsa, in piazza Nettuno 3 a Bologna. Per capire il fenomenale successo di alcune pellicole cinematografiche come Star Wars è infatti indispensabile decifrarne il “codice segreto”. Il “codice segreto” o “viaggio dell’eroe” è antichissimo, lo si rintraccia nei miti e nelle fiabe di tutto il mondo. È lo stesso che teneva con il fiato sospeso coloro che, nel mondo antico, sentivano narrare la storia del dio Osiride, dell’epopea di Gilgamesh, il racconto della guerra di Troia e del periglioso viaggio di Ulisse. Gli incontri sono a cura di “BiblioBologna. Cittadini per le biblioteche APS” e condotti dall’egittologa Barbara Faenza. Ingresso gratuito. Una volta raggiunta la capienza massima consentita non sarà possibile entrare e sostare in piedi.

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Raffigurazione di Osiride proiettata sulla parete di un tempio egizio nella mostra di Jesolo (foto Gianfranco Grendene)

Primo incontro “Miti e racconti nell’Antico Egitto: il mito di Osiride e altre storie”: giovedì 16 febbraio 2023, alle 17, in Piazza Coperta della Biblioteca SalaBorsa, a cura di BiblioBologna, con Barbara Faenza. Ingresso gratuito. L’Egitto è una terra ricca di miti, fiabe e leggende. Il mito più famoso è certamente quello del dio dei morti Osiride e della sua sposa Iside. SI parla dello scontro tra questo dio e il fratello Seth per la conquista della regalità sull’intero Egitto. Il dio Osiride, assassinato dal fratello viaggerà fino ad arrivare nel mondo dei morti di cui diventerà sovrano indiscusso.

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La statua di Gilgamesh e un lamassu da Khorsabad, oggi conservati al museo del Louvre di Parigi

Secondo incontro “Antiche storie mesopotamiche: Gilgamesh e la ricerca dell’immortalità”: giovedì 16 marzo 2023, alle 17, in auditorium Biagi della Biblioteca SalaBorsa, a cura di BiblioBologna, con Barbara Faenza. Ingresso gratuito. Dalla Mesopotamia ci arriva un vero e proprio poema epico: la storia di Gilgamesh, re di Uruk, che compie un lungo e pericoloso viaggio per sconfiggere la morte e alla fine trova la pace interiore. Un testo potente che, con il passare dei millenni, non perde il suo splendore poiché allora come oggi la più grande angoscia dell’uomo è la coscienza della propria finitezza. “Perché devo morire?” si chiede Gilgamesh … e noi con lui.

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La testa di Ulisse dal museo Archeologico nazionale di Sperlonga (foto museo Sperlonga)

Terzo incontro “Antica Grecia: il mondo degli eroi”: giovedì 13 aprile 2023, alle 17, in auditorium Biagi della Biblioteca SalaBorsa, a cura di BiblioBologna, con Barbara Faenza. Ingresso gratuito. I poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, sono classici intramontabili poiché parlano un linguaggio che ancora oggi ci coinvolge: l’eroe che deve lasciare la sua casa per andare a combattere, il mondo divino e quello umano uniti strettamente, l’ineluttabilità del destino, l’amore, la morte, l’eroismo e un pizzico di magia. Insomma, tutto quello che rientra nel cosiddetto “il viaggio dell’eroe” e che contiene gli ingredienti essenziali per la buona trama di un libro o di un film.

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Manifesto della saga di Star Wars

Quarto e ultimo incontro “Dal mito a Hollywood: Star Wars”: giovedì 11 maggio 2023, alle 17, in auditorium Biagi della Biblioteca SalaBorsa, a cura di BiblioBologna, con Barbara Faenza. Ingresso gratuito. Perché i film di Star Wars riscuotono tanto successo? Come mai sono entrati nell’immaginario collettivo? Semplice: perché la storia che raccontano è antica come il mondo. George Lucas ha attinto largamente ai miti, agli antichi poemi e alle fiabe (ultima trasformazione del mito) per realizzare i suoi film, basandosi fondamentalmente su un unico, antico mito, chiamato “ Il viaggio dell’eroe”. Tutto questo rende Star Wars più che un film un moderno poema epico.

#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: col 21.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco si sofferma sul sarcofago di Khonsumes, tipico sarcofago maschile del Terzo Periodo Intermedio

Col 21.mo appuntamento delle “Passeggiate del direttore” siamo ancora nel Terzo Periodo Intermedio. Il direttore Christian Greco ci presenta stavolta i sarcofagi maschili descrivendo il sarcofago di Khonsumes esposto nella galleria dei Sarcofagi del museo Egizio di Torino. Siamo ancora di fronte a un cosiddetto sarcofago giallo, coperto di decorazioni con l’horror vacui, e la presenza degli stessi elementi dell’unità solare osiriaca: la dea Nut al centro. Sopra la sua testa il simbolo del cielo, solcato da una barca con all’interno uno scarabeo alato con la testa d’ariete, sormontato da un disco solare, e ai due lati la rappresentazione del dio Osiride. Ma perché questo è sicuramente un sarcofago maschile? “Innanzitutto ha una parrucca striata e non decorata a falde larghe orizzontali come un sarcofago femminile, come quello di Tabekenkhonsu”, spiega Greco. “Poi vediamo che invece di avere due mani stese ha due pugni. E non c’è la decorazione di orecchini e né vediamo le rosette sotto le falde della parrucca a indicare i seni. Quindi questo è un sarcofago maschile: siamo all’epoca della XXI dinastia, ed è proprio ora che si vede la distinzione di genere nei sarcofagi. Il sarcofago in questo periodo diventa quell’elemento che raccoglie in sé tutti gli elementi fondamentali per la resurrezione del defunto. E se andiamo a vedere la cassa, vediamo, riconosciamo scene che eravamo abituati a vedere nei rilievi delle tombe tebane. La tomba è rappresentata sormontata da una piramide in mattoni crudi con la parte della cuspide resa in un altro colore perché quella era la parte in pietra dove vi era il pyramidion. La tomba è inserita poi all’interno della necropoli, della montagna tebana, custodita da uno sciacallo. E dalla montagna tebana esce la vacca hathorica, simbolo della dea Hathor, la dea dell’Occidente, custode della necropoli tebana. Anche qui c’è sulla campitura del sarcofago come uno squarcio, di colore diverso dal giallo, per mostrarci l’aldilà. E poi c’è la scena della teogenesi ovvero della dea Nut nuda, simbolo del cielo, ricurva che forma quasi una volta sostenuta da Shu, e a terra invece una divinità maschile verde che è il dio Geb. Dall’unione di Nut e Geb nasceranno le quattro divinità: Iside, Nefti, Osiride e Seth”.

La dea Hathor appare tra i rami del sicomoro: particolare della cassa del sarcofago di Tabekenkhonsu (foto museo Egizio)

Sulla cassa del sarcofago di Tabekenkhonsu ci sono alcune scene molto interessanti. “Innanzitutto, la rappresentazione della dea dell’Occidente, Hathor, che appare nell’albero sicomoro e versa, quasi facesse una libagione, dell’acqua al defunto che è qui in adorazione. L’albero si trova di fronte alla tomba, la tomba di nuovo resa con la sua facciata, sormontata dalla piramide e la parte alta, la cuspide, il pyramidion in pietra. E questa raffigurazione ci ricorda anche un inno delle tombe tebane in cui sappiamo che i familiari che fanno visita alla tomba vengono invitati a soffermarsi e a sedersi sotto i rami dell’albero sicomoro; e quando sentiranno il frusciare delle foglie non dovranno pensare che quello è il vento ma le anime dei defunti che vengono lì a sedersi. Di nuovo la tomba – sottolinea Greco – è quell’elemento liminale che permette l’incontro tra i viventi e i defunti. E poi al centro è rappresentata una scena importantissima che abbiamo visto nel papiro di Iuefankh: il capitolo 125 del Libro dei Morti. La defunta Tabekenkhonsu in abiti di viventi si trova all’interno di uno spazio architettonico definito. Dietro di lei vi è una divinità femminile con una testa un po’ strana, che per noi però è molto utile perché quella testa resa in quel modo è un geroglifico e di legge “imentet” e quindi è la dea dell’Occidente, Hathor. Tabekenkhonsu assieme alla dea dell’Occidente entra in questo spazio. Davanti a lei c’è il dio Thot, il dio della scrittura, il dio della sapienza, con in mano la paletta scrittoria, che è lì a scrivere. Perché? Perché questa è una versione molto compatta del capitolo 125 del Libro dei Morti. Non vediamo la scena della psicostasia, però sappiamo che siamo di fronte a Osiride che siede in trono seguito dalla dea Iside. E riconosciamo un altro elemento importante: il mostruoso Ammit, il divoratore, che qui è rappresentato con la testa di coccodrillo, la parte anteriore di leone, la parte posteriore di ippopotamo. È lì pronto a divorare il cuore nel caso risultasse più pesante della piuma. Anche se la scena della psicostasia qui non è resa, sappiamo che abbiamo a che fare con questa. C’è un altro elemento importante: la presenza del dio Horus, colui che deve vendicare il padre dopo che era stato ucciso da Seth. E lo vediamo qui con la corona dell’Alto e del Basso Egitto, quindi è colui che adesso ha saldamente il potere sull’Egitto ed è succeduto al padre Osiride”.

#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: col 18.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco, con la Galleria dei Sarcofagi ci porta nel Terzo Periodo Intermedio illustrando il magnifico sarcofago dello scriba Butehamon

La Galleria dei Sarcofagi al museo Egizio di Torino (foto Graziano Tavan)

Il 18.mo appuntamento con le “Passeggiate con il direttore” è il primo dedicato al Terzo Periodo Intermedio. Il direttore Christian Greco illustra il magnifico sarcofago dello scriba Butehamon che si trova all’inizio della Galleria dei Sarcofagi, ma che forse – precisa Greco – “andrebbe meglio definita come Galleria del Terzo Periodo Intermedio che ci fa capire cosa avviene alla fine del Nuovo Regno, all’epoca di Ramses XI”. Butehamon. è lo scriba della necropoli e probabilmente è lui ad abbandonare il villaggio di Deir el Medina e andare a vivere a Medinet Habu.

“Osservando il sarcofago di Butehamon”, spiega Greco, “colpiscono subito degli elementi di differenza rispetto ai sarcofagi visti in precedenza. Qui c’è un esplodere di colori e di decorazioni. Sembra quasi che ci sia un horror vacui, che ogni centimetro quadrato del coperchio sia coperto dalla decorazione. Perché? In questo momento non si costruiscono più tombe con decorazioni parietali come avevamo conosciuto nel Nuovo Regno. La crisi economica e politica dell’Egitto spinge quindi a cambiare il culto. Però tutti quei testi che decoravano le pareti sono fondamentali perché permettono la trasfigurazione del defunto, permettono al defunto di accedere alla vita dell’aldilà e allora vengono trasferiti nel sarcofago. Così il sarcofago sopperisce alla mancanza di decorazione della tomba e ne acquisisce tutti gli elementi”.

La parte superiore del sarcofago di Butehamon (foto museo Egizio)

Questo sarcofago ci introduce in quella tipologia dei “sarcofagi gialli”. Il termine è evidente e si vedrà bene con i sarcofagi di Tabakenkhonsu e di Khonsumes: questo colore giallo predominante va a sostituire l’oro che non viene più utilizzato. Il colore è ottenuto grazie all’orpimento, un pigmento a base di arsenico che dà appunto questa colorazione molto forte. “Osserviamo alcuni elementi: si vede che il coperchio esterno del sarcofago di Butehamon presenta nella parte superiore un collare wsekh sui cui lati c’è la testa di falco e di Horus; ha le braccia incrociate sul petto, con le mani chiuse a pugno, elemento tipico per definire il fatto che questo è un sarcofago di un uomo e non di una donna. Vedremo poi che le donne presentavano i sarcofagi con due mani distese. E poi al centro vi è un elemento importantissimo: la solarizzazione, il culto del dio Sole. C’è il simbolo dell’orizzonte con il disco solare sopra, e sotto vediamo il dio nella sua forma mattutina, nella sua forma di scarabeo khepri che spinge il disco solare. E poi la dea del cielo Nut che divide quasi in due il sarcofago.

“La cassa presenta elementi importantissimi legati al culto, legati proprio al fatto che il sarcofago sia un cosmogramma, che raccolga in sé in nuce tutti gli elementi fondamentali per la resurrezione del defunto. Ad esempio, su un lato, c’è una divinità maschile verde stesa, che è il dio Geb, la terra. Al di sopra, a fare quasi una volta, è la divinità femminile Nut, che è il cielo, sostenuta da Shu, dio dell’aria e dell’atmosfera. Bene questo è anche l’inizio di quella che noi potremmo chiamare teo-genesi ma anche antropogenesi. Non è solo la creazione degli dei ma anche la creazione degli uomini. Dall’unione del cielo e della terra, di Nut e Geb, nasceranno quattro divinità Iside, Nefti, Osiride e Seth, che rappresentano anche la lotta manichea tra il bene e il male. Osiride che entra poi in contrasto con Seth. Osiride è il primo sovrano dell’Egitto che viene combattuto e ucciso da Seth. Il bene però sappiamo vincerà perché Osiride, nonostante venga ucciso dal fratello, potrà poi resuscitare grazie all’opera di Iside e Nefti e diventare il sovrano dell’oltretomba. Qui in nuce quindi è rappresentato l’inizio di tutto, l’inizio della creazione degli dei, l’inizio della creazione del mondo. Il sarcofago però ci fa vedere dall’altra parte anche un qualcosa di estremamente interessante. Ci fa entrare, per quando gli umani lo possano fare, nel mondo dell’oltretomba. La campitura bianca a un certo punto si squarcia e dove il bianco non fa più da sottofondo vi sono delle scale che scendono nell’oltretomba. Questa è la Duat, l’oltretomba. Quindi possiamo aver uno sguardo nella Duat, nell’oltretomba, in quello che avverrà nell’aldilà. Ovviamente Osiride è ben presente e lo vediamo sul fondo della cassa con la rappresentazione del cosiddetto pilastro djed, che qui è quasi personificato perché ai lati le braccia del dio tengono in mano lo scettro e il flagello. I due occhi udjat e la corona atef sono sopra il pilastro djed. Il pilastro djed è esso stesso una rappresentazione di Osiride, rappresenta la sua colonna vertebrale. Quindi ancora una volta il sarcofago è il segno dell’unità solare osiriaca, di quello che l’Amduat, ovvero testo cosmografico dell’oltretomba che ci racconta del periplo solare nell’aldilà”.

Da Atum a Horus: la cosmogonia dell’Antico Egitto elaborata a Eliopoli al centro della mostra di Jesolo “Egitto. Dei, faraoni, uomini”

Il logo della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” che Jesolo ospita dal 26 dicembre 2017 al 15 settembre 2018

L’egittologo Alessandro Roccati

“La nascita del mondo (cosmogonia) costituisce uno dei cardini della religione egizia”, spiega l’egittologo Alessandro Roccati, uno dei curatori della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” aperta fino al 15 settembre 2018, nello Spazio Aquileia di Jesolo: “Secondo la visione egizia, l’uomo che diventava faraone si trasformava in dio, ovvero rivelava la propria natura divina non riconosciuta prima”. Quindi, dopo aver incontrato i popoli che nel II e I millennio a.C. interagirono con l’Antico Egitto; aver conosciuto le principali città che sorgevano lungo il Nilo, da Alessandria a Menfi a Tebe; ed essere stati a tu per tu con i faraoni, è arrivato il momento di saperne di più del pantheon egizio, tema della quarta sala della mostra jesolana. Il faraone era quindi “il solo a poter fornire il tramite con la popolazione celeste che avrebbe protetto il genere umano. Ma si pensava che anche gli dei avessero avuto un’origine, come avrebbero avuto una fine”.

Raffigurazione di Osiride proiettata sulla parete di un tempio egizio nella mostra di Jesolo (foto Gianfranco Grendene)

Stele in calcare con il dio Bes di tarda età tolemaica dal museo Barracco di Roma (foto Gianfranco Grendene)

La prima entità cosmica fu Atum, il “Tutto”. Da lui si generarono due coppie, che diedero origine ad altre due, nelle quali si riconoscono i quattro elementi: l’Aria (Shu) e il Fuoco (Tefenet), genitori della Terra (Geb: maschile in egiziano) e del(l’Acqua del) Cielo (la dea Nut). Geb e Nut separati da Shu, misero al mondo due coppie di dei, Osiride e Iside, Seth e Nefti. Dall’unione miracolosa di Osiride (che era stato ucciso da Seth) e Iside nacque Horus, il bambino modello di ogni faraone. La natura sregolata di Seth, oltre a portarlo all’uccisione di Seth, gli impedì di avere una famiglia stabile. Dalla sua unione con Nefti nacque Anubi, il dio dell’imbalsamazione (che però potrebbe essere stato frutto di una “scappatella” di Thot), ma da altre sue unioni adulterine furono generati demoni. In seguito alla sua morte, Osiride fu nel tempo considerato il dio dei morti. Atum fu presto collegato alla dottrina che vedeva nel Sole (il dio Ra, uno dei due occhi del cielo; l’altro era considerato Thot, la Luna) il creatore del mondo. Atum fu considerato quindi il sole serale, ormai vecchio, mentre il sole mattutino fu impersonato da Khepri. “Questa”, conclude Roccati, “fu la teologia elaborata ad Eliopoli (in greco la “città del sole”), presso Menfi, l’antica capitale. Essa non fu l’unica, ma altre fiorirono nel lungo periodo, connesse alle figure di altri grandi dei”.

Bronzetto ella collezione Sinopoli con il falco che porta la doppia corona dell’Alto e Basso Egitto del tardo periodo tolemaico (foto Gianfranco Grendene)

Gruppo di divinità egizie proiettate nella mostra jesolana (foto Graziano Tavan)

In mostra, accanto alla proiezione su una parete del tempio di gruppi di divinità egizie che sembrano materializzarsi e sparire nella sabbia del deserto, e a ampi pannelli con l’elenco e la descrizione delle singole divinità, ecco un bronzetto votivo di Ptah della XXV-XXVI dinastia (dal museo di Storia ed arte di Trieste) o la stele di Bes di età tardo-tolemaica (dal museo Barracco di Roma), e poi amuleti con Thot, Tauret, Bes e Pateco (museo Egizio di Firenze). Particolarmente interessante una statua in bronzo di falco con la doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto del tardo periodo tolemaico che fa parte della collezione Sinopoli. “Il bronzetto”, spiegano gli egittologi, “riproduce il dio del cielo Horo sotto forma di falco, particolarmente venerato nel santuario di Edfu e identificato dai greci con Apollo. La corona che porta sul capo lo indica come titolare della regalità: il nome di Horo fu il primo titolo portato dai faraoni dall’inizio dell’età storica”.

(4 – continua; precedenti post 12 e 17 aprile, 23 maggio 2018)