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Egitto. Con la Tac sbendata digitalmente dopo 2300 anni la mummia del Ragazzo d’oro, adolescente vissuto in una ricca famiglia in epoca tolemaica, sepolto a Edfu con maschera d’oro e sandali: tra le bende e nel corpo 49 amuleti di cui 30 d’oro: occhio di Horus, scarabei, nodo di Iside, piume di Maat. E una lingua d’oro

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Lo sbendaggio digitale della mummia del Ragazzo d’oro, scoperta a Edfu, e conservata al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

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La paleoradiologa Sahar Saleem accanto alla mummia del Ragazzo d’Oro prima della Tac al Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

Dopo 2300 anni la mummia del “Ragazzo d’oro” è stata sbendata rivelando ben 49 amuleti preziosi di 21 tipi differenti, dall’occhio di Horus allo scarabeo, dall’amuleto dell’orizzonte alla placenta, dal nodo di Iside alle due piume. Sono stati inseriti dagli abilissimi imbalsamatori tra le bende dell’adolescente vissuto in una ricca famiglia dell’Antico Egitto in epoca tolemaica. Ma senza danneggiare la mummia del Ragazzo d’oro conservata nel seminterrato del museo Egizio di Tahrir al Cairo per più di un secolo. Come? Con uno sbendaggio digitale grazie alle scansioni TC e alla stampa 3D eseguite dal team, guidato da Sahar Saleem, sul corpo imbalsamato del ragazzo, rinvenuto nel 1916 in un cimitero utilizzato in epoca tolemaica, tra il 332 e il 30 a.C., circa nella città di Edfu, Governatorato di Assuan, nel Sud dell’Egitto. I risultati di questi studi scientifici, che hanno portato a svelare l’identità di questa mummia, il suo stato di conservazione e ciò che contiene di segreti, sono stati pubblicati su Frontiers in Medicine il 24 gennaio 2023. La mummia è stata esaminata per la prima volta nel 2015 da Sahar Saleem, paleoradiologa alla Facoltà di Medicina dell’università del Cairo, in collaborazione con Sabah Abdel Razek, direttore generale del museo Egizio di Tahrir, e Mahmoud El-Haloogy, ex direttore del museo, utilizzando scansioni TC , in sicurezza, attraverso il dispositivo nel museo, utilizzando la radiologia avanzata, i moderni programmi per computer e la stampa 3D.

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La posizione degli amuleti sulla mummia del Ragazzo d’Oro (foto ministry of tourism and antiquities)

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La Tac ha rivelato le diverse tipologie degli amuleti (foto ministry of tourism and antiquities)

Gli antichi egizi ritenevano che dopo la morte del corpo, il defunto dovesse affrontare un viaggio nell’aldilà, superando una prova per dimostrare la purezza della propria anima: per questo il corpo veniva mummificato e protetto con amuleti. “Il corpo di questo ragazzo, morto all’età di 15 anni”, spiega Sahar Saleem, “è stato imbalsamato con grande cura. Il cervello è stato rimosso attraverso la narice, e la resina è stata posta all’interno della cavità cranica. Anche le viscere sono state rimosse attraverso una piccola incisione nel basso addome, mentre gli imbalsamatori hanno mantenuto il cuore, che si vede ai raggi X, all’interno della cavità toracica”. Il giovane è stato sepolto con un paio di sandali e una maschera dorata. “Gli egizi erano affascinati da piante e fiori e credevano che possedessero effetti sacri e simbolici”, continua Saleem: “il Ragazzo d’oro era stato infatti sepolto con della felce. Fiori e piante sono stati trovati anche nelle tombe dei faraoni Amenofi I e Ramses II”. Le scansioni TC bi e tridimensionali hanno mostrato – come detto – che c’erano 49 amuleti disposti in tre colonne tra le pieghe dei rotoli di lino e all’interno del corpo della mummia. Di questi, 30 sono d’oro, mentre il resto degli amuleti sono di pietre semipreziose, argilla o maiolica, oltre a un amuleto a forma di lingua di oro posto all’interno della bocca del defunto in modo che potesse parlare nell’altro mondo, e anche a un altro grande amuleto a forma di scarabeo in oro posto all’interno della cavità toracica della mummia, che è stato riprodotto utilizzando la stampa 3D.

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Il grande amuleto a forma di scarabeo d’oro posto nel torace della mummia del Ragazzo d’Oro e rivelato dalla Tac al Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

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La radiografia rivela un amuleto a lingua d’oro nella bocca della mummia del Ragazzo d’Oro conservata al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

“Lo studio”, ha spiegato il prof. Sabah Abdel Razek, “ha fatto luce sulla vita sociale nell’antico Egitto migliaia di anni fa. Lo studio ha fornito una profonda comprensione delle loro credenze e rituali funebri e della loro abilità tecnica nella mummificazione e nell’artigianato nella creazione di amuleti, maschere e decorazioni”. La simbologia egizia è molto affascinante, spiegano gli autori. La lingua d’oro è stata apposta per garantire al ragazzo la possibilità di parlare nell’aldilà, l’amuleto accanto al pene doveva proteggerlo dalle incisioni necessarie per l’imbalsamazione. Il nodo di Iside era un omaggio alla divinità per invocarne la clemenza, un gioiello ad angolo retto avrebbe dovuto assicurare l’equilibrio al defunto, mentre le piume di struzzo rappresentavano la dualità della vita spirituale e materiale. Lo scarabeo che è stato posizionato nel torace, menzionato anche nel Libro dei Morti, doveva aiutare il giovane durante il giudizio dell’anima, che veniva pesata attraverso il cuore in uno dei piatti della bilancia della dea Maat, in contrapposizione con una piuma. Lo scarabeo doveva sostituire il cuore nell’eventualità in cui il corpo fosse stato privato dell’organo.

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Il sarcofago della mummia del Ragazzo d’Oro conservato al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

L’uso della tecnologia e delle tecniche moderne nell’imaging medico tridimensionale ha contribuito a fornire una visione preziosa della mummia, convincendo la direzione del museo Egizio del Cairo di spostare la mummia dal seminterrato del museo per esporla nelle sale aperte al pubblico con la scritta “mummia del ragazzo d’oro”. La visualizzazione di scansioni CT accanto alla mummia contribuisce a un’esposizione museale distintiva che offre ai visitatori un’esperienza unica che supporta la loro comunicazione con l’antica civiltà egizia.

Le mani d’argento del principe etrusco scoperte nella tomba di Vulci sono tornate a brillare nella mostra a Villa Giulia di Roma

La mostra “Principi immortali. Fasti dell'aristocrazia etrusca a Vulci” al museo Etrusco di Villa Giulia a Roma

La mostra “Principi immortali. Fasti dell’aristocrazia etrusca a Vulci” al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma

È passato solo un anno dalla scoperta della monumentale tomba etrusca “delle mani d’argento” alla necropoli dell’Osteria di Vulci, alle porte di Montalto di Castro, e il suo prezioso corredo, databile intorno al 640-620 a.C., è già fruibile al grande pubblico nella mostra “Principi immortali. Fasti dell’aristocrazia etrusca a Vulci”, aperta fino al 29 giugno al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. La mostra, curata da Simona Carosi e Patrizia Petitti, presenta per la prima volta l’eccezionale ritrovamento venuto alla luce in occasione di uno scavo condotto nell’ambito di un intervento di valorizzazione avviato grazie a un finanziamento europeo concesso dalla Regione Lazio, nella necropoli dell’Osteria a Vulci.

La necropoli etrusca dell'Osteria a Vulci, utilizzata dal IX sec. a.C. all'epoca romana

La necropoli etrusca dell’Osteria a Vulci, utilizzata dal IX sec. a.C. all’epoca romana

La necropoli etrusca dell’Osteria è a un tiro di schioppo dal Castello della Badia di Vulci dove sono raccolte importanti testimonianze della città etrusca di Vulci: dal IX secolo a.C. all’età romana la necropoli è stata utilizzata per sepolture di famiglie aristocratiche, e dal ‘700 è stata oggetto di interventi di scavo non sempre condotti con quelli che oggi sono considerati criteri scientifici irrinunciabili, ma la stessa necropoli – proprio per la sua ricchezza – ha subito nei secoli anche violazioni e saccheggi. Qui, nella primavera del 2013, è stata scoperta la “tomba delle mani d’argento” che fa parte di un gruppo di sepolture aristocratiche come la “tomba della sfinge”, nota per aver restituito esempi di scultura funeraria e la “tomba dei soffitti intagliati”.

Le mani in lamina d'argento con foglia d'ora sulle unghie di tre dita: appartenevano a uno sphyrelaton

Le mani in lamina d’argento con foglia d’ora sulle unghie di tre dita: appartenevano a uno sphyrelaton

Un morso di cavallo trovato nella tomba "delle mani d'argento" a Vulci

Un morso di cavallo trovato nella tomba “delle mani d’argento” a Vulci

Una preziosa fibula scoperta nella tomba "delle mani d'argento" a Vulci

Una preziosa fibula scoperta nella tomba “delle mani d’argento” a Vulci

Anche la “tomba delle mani d’argento” non è sfuggita in antico alle avide mani dei tombaroli. Ma la sua eccezionalità rimane. È una tomba monumentale, appartenuta a personaggi di rango principesco, articolata in un lungo corridoio di accesso (il cosiddetto “dromos”) che immetteva in un atrio a cielo aperto sul quale si aprivano tre camere funerarie che contenevano i resti di almeno tre individui. Lo scavo ha restituito ceramiche locali e d’importazione, buccheri e set da vino, frammenti di lamine di bronzo, elementi in ferro appartenuti a un piccolo carro, un paio di morsi di cavallo in bronzo decorati a giorno con teorie di cavalli e uccelli, e le rare e fragilissime “mani d’argento”, che hanno dato il nome alla tomba, realizzate con una lamina in una lega di argento e rame lavorata a sbalzo, con una leggera foglia d’oro applicata sulle unghie di tre dita.  Le due mani dovevano appartenere a una statua (uno sphyrelaton, statua funeraria in più materiali) di due metri, un simulacro quindi del defunto, fatto di legno, stoffa, mani d’argento, collo in osso, ricoperto da una veste decorata con placchette in oro e da un mantello di lana finissima illuminato da minuscoli bottoncini dorati. Un’immagine di forte valore simbolico, una specie di rappresentazione del defunto tesa a “sostituire la fisicità dissolta e a mimare la vita passata reale e quella futura nell’Aldilà”, precisa la soprintendente dell’Etruria meridionale Alfonsina Russo Tagliente. Queste statue infatti accompagnavano nel rituale funerario gli esponenti di alto rango della società vulcente con l’intento di compensarne simbolicamente la perdita della corporeità e farli assurgere, sublimandone la morte, ad una dimensione ormai eroica ed immortale. Vulci e il suo territorio hanno restituito nel tempo altri esempi di statue: quelli di Marsiliana d’Albegna, assieme a quelli della “tomba del carro di bronzo”di Vulci in esposizione permanente al museo Etrusco di Villa Giulia, provengono da contesti ricostruibili e si datano tra gli inizi ed il secondo quarto del VII secolo a.C.

Lo scarabeo-sigillo con il cartiglio in faience con il cartiglio del faraone Bocchoris (XXIV dinastia)

Lo scarabeo-sigillo con il cartiglio in faience con il cartiglio del faraone Bocchoris (XXIV dinastia)

Nell’esposizione sono presenti altri elementi legati alla statua, in particolare numerosi oggetti di ornamento posti a decorare  le vesti funebri cerimoniali. Indicano l’altissimo rango dei defunti anche alcuni finimenti di cavallo e resti di un carro. Le scoperte più importanti sono avvenute nell’ambiente principale della “tomba delle mani d’argento”. Qui sono stati trovati oggetti preziosi, ornamenti in oro e argento, fibule, anelli, ganci, collane in oro, pasta vitrea, faïence. E quasi duemila bottoncini in bronzo rivestiti in oro che dovevano ornare il mantello della defunta. Su una fibula è stato rinvenuto il frammento di un tessuto di lana, una vera novità. La presenza di ambra del Baltico fa pensare a rapporti con il lontano Nord, mentre dall’Egitto viene sicuramente il piccolo scarabeo-sigillo egizio, simbolo della rinascita del dio Sole,  in faïence, rinvenuto in una zona vicina riservata al rituale funerario, che riporta il cartiglio regale col prenome del faraone Bocchoris, sovrano della XXIV dinastia, che regnò per soli sei anni alla fine dell’VIII sec. a.C.

Le due mani d'argento trovate nella tomba di Vulci in mostra a Villa Giulia a Roma

Le due mani d’argento trovate nella tomba di Vulci in mostra a Villa Giulia a Roma

Sergio Caci, sindaco di Montalto di Castro; Francesco Barracciu, sottosegretario; Alfonsina Russo Tagliente, soprintendente

Sergio Caci, sindaco di Montalto di Castro; Francesca Barracciu, sottosegretario; Alfonsina Russo Tagliente, soprintendente dell’Etruria Meridionale

La mostra, allestita al piano nobile di Villa Giulia, nelle sale dei Sette Colli e delle Quattro Stagioni, raccoglie 80 reperti, tutti analizzati e restaurati, e ricostruisce la struttura originaria della tomba, con il corridoio di accesso (dromos) e le tre camere funerarie piene di monili, ceramiche e resti di un carro. “Sono state ricostruite le camere sepolcrali con gli oggetti rinvenuti nel terreno così come si trovavano”, spiegano le curatrici. Gli oggetti preziosi sono esposti nelle bacheche. Accanto pannelli bilingue raccontano la storia del sito e del ritrovamento. Una grande mappa illustra le vie dei commerci nel Mediterraneo. In una sala didattica è possibile sperimentare anche la tessitura a telaio. “A questa mostra”, commenta il sottosegretario del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, Francesca Barracciu, “va un doppio plauso, perché presenta una scoperta a tempo di record in un paese in cui spesso i depositi dei musei sono stracolmi di materiali che attendono solo di essere mostrati, e per la felice collaborazione tra ministero, enti locali e soprintendenze. È poi ora di smetterla – aggiunge – con queste ‘guerre di religione’ contro i privati e, anzi, si deve promuovere il mecenatismo in percorsi virtuosi che nulla hanno a che fare con la mercificazione della cultura. Su questo asset dobbiamo puntare per scalare nuovamente la classifica dei paesi più visitati al mondo”. Intanto gli studi attorno alla “tomba delle mani d’argento” continuano per stabilire un inquadramento scientifico completo. Gli archeobotanici – ad esempio – hanno scoperto quali erano nel rituale funebre i tipi di legno e le offerte utilizzati per la cremazione (che convive nella tomba anche col rito dell’inumazione). Cipresso, quercia, leccio e poi uva, fave, orzo, frumento, canapa, ma anche fiori appariscenti come narcisi, astri, margherite, papaveri.

Il Castello della Badia di Vulci a Montalto di Castro, che ospita il museo etrusco

Il Castello della Badia di Vulci a Montalto di Castro, che ospita il museo etrusco

La mostra consente al pubblico di compiere un viaggio nel tempo tra i misteri dei principi etruschi; un viaggio affascinante che potrà proseguire visitando il parco archeologico-naturalistico di Vulci e i luoghi incontaminati dell’antica città etrusca, dove il connubio tra natura e cultura è ancora in grado di comunicare emozioni indimenticabili. La mostra è proprio un invito a visitare il parco archeologico naturalistico di Vulci e il museo della Badia dove la mostra sarà esposta in autunno. In occasione del semestre di presidenza italiano, per promuovere l’affascinante civiltà etrusca è prevista poi una trasferta a Bruxelles, importante palcoscenico internazionale.