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Padova. A Palazzo Folco, sede della Sabap, presentazione del libro “Nel suburbio di Padova – Il contesto funerario romano di via Sant’Eufemia”, a cura di Cecilia Rossi, Stefania Mazzocchin e Silvia Tinazzo, e visita al laboratorio di restauro della soprintendenza con illustrazione di alcuni reperti

La soprintendenza e il dipartimento di Beni culturali dell’università di Padova presentano giovedì 15 maggio 2025, alle 16, a Palazzo Folco, sede patavina della soprintendenza, in via Aquileia 7 a Padova, il libro “Nel suburbio di Padova – Il contesto funerario romano di via Sant’Eufemia”, a cura di Cecilia Rossi, Stefania Mazzocchin e Silvia Tinazzo. Interverrà la prof.ssa Patrizia Basso, del dipartimento Culture e Civiltà – università di Verona, e sarà seguita, alle 17.30, da una breve visita al laboratorio di restauro della soprintendenza, dove il gruppo di lavoro illustrerà alcuni reperti. Ingresso libero fino ad esaurimento posti disponibili. Per la visione dei reperti presso il laboratorio di restauro, per limiti di capienza, l’accesso avverrà con turni di 6 persone alla volta, fino ad un massimo di 30 persone. Al fine di organizzare al meglio la breve visita, sarà necessario prenotarsi all’arrivo in Soprintendenza, prima dell’inizio dell’evento.

Attività al Laboratorio Didattico di Archeologia Funeraria (LaDAF) dell’università di Padova (foto agnese lena / unipd)

Il libro raccoglie gli esiti del Laboratorio Didattico di Archeologia Funeraria (LaDAF), condotto nell’estate del 2018 nel Laboratorio di Archeologia del dipartimento di Beni culturali – università di Padova. Il laboratorio ha avuto per oggetto i reperti provenienti da un contesto funerario di età romana, con tombe e strutture di bonifica, rinvenuto a Padova nel 2017 tramite un intervento di archeologia urbana nel settore orientale dell’attuale centro storico, in antico parte del primo suburbio cittadino. Lo scavo era stato condotto con la direzione scientifica della soprintendenza ABAP Ve-Met che ha poi accordato lo studio alla dott.ssa Cecilia Rossi, all’epoca Ricercatore a tempo determinato del DBC. Le attività formative hanno visto la pulitura e la ricomposizione dei manufatti, la setacciatura con flottazione delle terre di rogo, lo studio bio-archeologico dei resti umani, il micro-scavo dei contenitori integri e il campionamento dei medesimi. Analisi archeometriche e indagini biomolecolari sono state condotte sui campioni raccolti per la definizione del contenuto originario. Alle attività laboratoriali è seguito lo studio di dettaglio dei reperti, suddivisi per categorie e classi, la ricostruzione delle dinamiche rituali e l’inquadramento finale del contesto in rapporto alle conoscenze pregresse sulla Padova di età romana.

Copertina del libro “Le necropoli romane di Padova romana” di Cecilia Rossi

“Avviato negli anni Novanta con i primi lavori di dettaglio su singoli contesti funerari, emersi durante scavi urbani”, scrive Elena Pettenò, funzionario archeologo della soprintendenza, “lo studio delle necropoli di Padova romana ha trovato una sistematica edizione nel volume, uscito alle stampe nel 2014, Le necropoli romane di Padova romana a firma di Cecilia Rossi. Ad un decennio di distanza esce il presente volume che si concentra su un piccolo nucleo sepolcrale, di età giulio-claudia, emerso durante i lavori di archeologia urbana in via S. Eufemia 7, verosimilmente parte della necropoli estesa ad est dell’abitato antico e in relazione alla via Annia. Dieci anni, quelli compresi tra il 2010 e il 2020, durante i quali interventi di ricerche stratigrafiche condotte nell’immediato suburbium di Patavium hanno portato a un incremento di scoperte con conseguente ampliamento dei dati che, analizzati secondo un nuovo approccio di studio più attento ai resti umani, hanno correttamente posto la componente antropica come fulcro della sepoltura e suo elemento cardine. Di qui la necessità di porre in evidenza gli elementi di novità, il saper andare a capo, aprirsi ad un nuovo inizio, con occhio attento agli aggiornamenti metodologici e non solo”.

Copertina del libro “Nel suburbio di Padova – Il contesto funerario romano di via Sant’Eufemia” a cura di Cecilia Rossi, Stefania Mazzocchin e Silvia Tinazzo

“Nella premessa al volume, curato da Cecilia Rossi, Stefania Mazzocchin e Silvia Tinazzo – continua Pettenò -, è proprio Cecilia Rossi che illustra – suggestivamente in prima persona, tanto gli anni di studio e ricerca sono stati vissuti intensamente- il suo percorso di studio più in generale e, nello specifico, come sia nato e si sia sviluppato il progetto LaDAF, ovvero Laboratorio di archeologia funeraria, un esperimento che si può, a buon titolo, dire riuscito, proprio con l’edizione del testo. Per meglio comprenderne la genesi è utile fare un passo indietro; l’evoluzione della ricerca personale della studiosa si è arricchita dell’esperienza di workshop organizzati presso l’Ècole Française de Rome circa la “ricostruzione delle dinamiche culturali e deposizionali”, per citare le sue stesse parole, temi poi maturati durante il soggiorno di studio presso il Centre Camille Jullian ad Aix-en-Provence. Esperienze di grande sinergia foriere di suggestioni per nuovi approcci e nuove letture che si sono andati a consolidare sulla base del lavoro pregresso”.

Vaso ossuario dalla necropoli di via Sant’Eufemia a Padova (foto sabap-pd)

“Il volume – spiega Pettenò – si articola in un primo capitolo dedicato allo scavo e alla definizione topografica della necropoli affiancata da un apprestamento di bonifica con anfore, plausibilmente coevo, cui segue una rigorosa presentazione dei materiali; elencati per classe, di ciascuna viene esplicitata le caratteristiche e i confronti con altri contesti locali, la cronologia, per poi fornire il catalogo di tutti i pezzi rinvenuti. Tale approccio si avvale dello studio attento alla cultura materiale che costituisce la cifra di Stefania Mazzocchini, mentre, per quanto riguarda i disegni, sono raccolti in tavole il cui layout si deve alla eccellente mano di Silvia Tinazzo. Segue un corposo capitolo dedicato alle diverse analisi di laboratorio che hanno coinvolti non solo specialisti dell’università di Padova, ma anche il Laboratoire Nicolas Garnier SAS di Viv-le Compte (Francia); si sottolinea l’approccio multidisciplinare tanto vasto da aprirsi a contesti di studio stranieri che implementano le conoscenze. Una sezione è poi dedicata al restauro, seguito dalla collega Sara Emanuele, la quale non solo ha coordinato le attività di restauro del laboratorio, ma ha fornito di fatto una sorta di stage agli studenti che vi hanno preso parte. Il testo si chiude con un’analisi critica dei rinvenimenti, dove viene posta attenzione alla topografia e al rituale del contesto funerario, arrivando a definire le caratteristiche della compagine sociale ivi sepolta e al suo stile di vita, ponendo attenzione alla presenza della bonifica di anfore e, elemento che costituisce un valore aggiunto, una disamina degli indicatori di attività artigianali”.

Attività al Laboratorio Didattico di Archeologia Funeraria (LaDAF) dell’università di Padova (foto agnese lena / unipd)

“Il volume – sottolinea Pettenò – si caratterizza per puntualità, acribia, rigore di metodo, in ragione della consolidata competenza delle tre curatrici, ciascuna per la propria specializzazione; un metodo, che, come si è anticipato, è solido e si arricchisce anche di esperienze straniere, per lo più d’Oltralpe. Non trascurabile è il fatto che lo studio del contesto sepolcrale di via S. Eufemia prevedesse, inizialmente, un esame individuale da parte di Cecilia Rossi; ma le caratteristiche delle sepolture (ubicazione, l’essere esito di uno scavo stratigrafico, l’ottimo stato di conservazione) hanno reso i manufatti adatti ad uno studio globale, che ha consentito di applicare una nuova metodologia di studio globale, comprensivo di numerose analisi. Ne è nata così un’esperienza corale che ha coinvolto studenti in formazione per il corso magistrale e specialisti di settore. Con lezioni frontali e attività pratiche, di cui il volume è ricco di riproduzioni fotografiche, la ricerca non si è sottratta alla formazione degli studenti, alcuni dei quali sono stati coinvolti anche nella redazione del volume, il cui ricco indice è emblematico del lavoro svolto”.

“Pare molto significativo anche il logo scelto per il laboratorio il quale, tra forme e colori, allude ad una ricerca innovativa. A tale proposito vale la pena sottolineare l’importanza delle analisi biomolecolari, volte alla comprensione del contenuto di alcuni manufatti, affidata alla vasta esperienza e competenza di Nicolas Garnier che ha assicurato l’inserimento dei dati patavini in un contesto più ampio “volto alla definizione delle pratiche cultuali antiche, a prescindere dalla datazione e dal contesto culturale di appartenenza”. Il volume porta, a pieno titolo, alla visione di un’umanità dentro e dietro alle cose dando al defunto la sua centralità e soffermandosi sul ruolo dei congiunti durante i rituali funebri, spingendosi fino alla ricostruzione della compagine sociale e delle dinamiche cerimoniali, con riflessioni sullo stile di vita e lo stato di salute degli abitanti di Patavium in età imperiale. Esito di un lungo percorso, attento alla globalità degli approcci cui si sono sottoposti i diversi manufatti, il volume – conclude Pettenò – costituisce l’elaborazione finale di un lavoro che si caratterizza come uno studio paradigmatico, grazie al quale si è approfondita la conoscenza della ritualità funeraria di Padova romana, chiarendo quella che poteva essere il “funerale standard” per il ceto medio patavino della prima età imperiale e, per riprendere la parole di Cecilia Rossi, “gli esiti delle indagini scientifiche si sono rilevate tutt’altro che scontati, dando modo di ampliare, correggere e mettere in discussione quanto affermato finora sulla base delle fonti letterarie”.

Montecchio Maggiore (Vi). Al museo di Archeologia e Scienze naturali “G. Zannato” apre la mostra “Con gli occhi della divinità: il sacro a Vicenza e territorio tra mondo preromano e romano” con le novità archeologiche emerse negli ultimi anni nel Vicentino

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Locandina della mostra “Con gli occhi della divinità: il sacro a Vicenza e territorio tra mondo preromano e romano” al museo Zannato di Montecchio Maggiore dal 22 marzo al 27 luglio 2025

Un frammento in lamina di bronzo piccolo ma molto significativo proveniente da Creazzo, consegnato in museo circa due anni fa, è stato lo spunto per la mostra “Con gli occhi della divinità: il sacro a Vicenza e territorio tra mondo preromano e romano” che sarà inaugurata sabato 22 marzo 2025, alle 16, nella sala civica Corte delle Filande per proseguire al museo di Archeologia e Scienze naturali “G. Zannato” di Montecchio Maggiore con una visita guidata alla mostra, aperta dal 22 marzo al 27 luglio 2025. La mostra, a cura di Annachiara Bruttomesso, già conservatrice archeologa del museo Zannato; Mariolina Gamba, già soprintendenza ABAP Ve-Met e direzione regionale Musei del Veneto; e Anna Scalco, conservatrice archeologa del museo Zannato, è frutto della collaborazione di numerosi specialisti: Giulia Pelucchini, funzionaria archeologa SABAP VR RO VI per la provincia di Vicenza; Elena Pettenò e Cinzia Rossignoli, archeologhe SABAP VE-MET; Marisa Rigoni e Angela Ruta Serafini, già archeologhe SAV Veneto; Anna Marinetti, linguista UniVe Ca’ Foscari; Luca Zaghetto, archeologo esperto in iconografia e i restauratori Stefano Buson (già museo nazionale Atestino), Sara Emanuele e Federica Santinon (SABAP VE MET).

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Lamina votiva da Alte Ceccato di Montecchio Maggiore (foto museo zannato)

Il frammento in lamina di bronzo ha immediatamente attirato l’attenzione per la presenza di un occhio e un guerriero a stampo, elementi già noti da altre lamine del vicentino. Da qui l’idea di riunire in un’esposizione reperti noti e inediti, in lamina di bronzo ma non solo, che illustrano le manifestazioni della religiosità nel territorio vicentino durante il periodo della romanizzazione. La mostra farà conoscere al pubblico le novità archeologiche emerse negli ultimi anni nel Vicentino, frutto sia di campagne di scavo che di rinvenimenti occasionali, che hanno arricchito il quadro di conoscenze già noto. Tra i numerosi reperti esposti spiccano la lamina votiva da Brendola, che è stata scelta come logo per la mostra, e i dischi da Marostica, Rosà, Isola Vicentina: sulla parte superiore di questi votivi compaiono dei grandi occhi che rappresentano lo sguardo vigile della divinità, sul popolo dei devoti e sul loro territorio. Non mancheranno altri dischi e lamine di recentissimo rinvenimento da Quinto Vicentino e Torri di Quartesolo. Tra le testimonianze relative a Vicenza, accanto a lamine votive dal noto santuario urbano con centro scrittorio di piazzetta San Giacomo, saranno per la prima volta esposte al pubblico le eccezionali lamine, ancora inedite, provenienti da un sito al confine occidentale della città, nei pressi dell’antica via Postumia.

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La stele da Isola Vicentina contenente la parola venetkens (foto musei civici vi)

Saranno inoltre esposti importanti doni votivi con iscrizioni come i palchi di cervo di Magrè e alcune testimonianze di pratiche oracolari come le sortes di Trissino e gli ossicini con sigle da Santorso. Infine importante protagonista sarà il Monte Summano che ospitava nell’antichità un luogo di culto ed era con le sue due cime punto visivo di riferimento per tutto il territorio Vicentino: saranno in mostra le statuette miniaturistiche d’argento raffiguranti una divinità femminile e Marte insieme al deposito votivo comprendente un astragalo con sigle alfabetiche e un blocco di sostanza resinosa connessi a pratiche divinatorie e purificatorie. Sarà infine riservato spazio ad alcune notissime testimonianze scritte: la stele da Isola Vicentina contenente la parola venetkens, prima attestazione in assoluto del nome degli antichi Veneti e quella da Monte Berico, testimonianza dei confini del ter

Padova. A Palazzo Folco (aperto al pubblico per l’occasione) conferenza “Un giogo del Bronzo recente dalla palafitta di Via Comuna a Este (Pd). Archeologia e restauro”. Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria

padova_palazzo-folco_conferenza-un-giogo-del-bronzo-recente-dalla-palafitta-di-via-comuna-a-este_locandinaGiovedì 12 ottobre 2023, alle 17.30, in occasione dell’apertura straordinaria di Palazzo Folco, in via Aquileia, 7 a Padova – sede della soprintendenza ABAP di Belluno Padova e Rovigo – che sarà visitabile dalle 17 alle 21, con ingresso gratuito, si terrà la conferenza “Un giogo del Bronzo recente dalla palafitta di Via Comuna a Este (Pd). Archeologia e restauro”. Saranno presentati i reperti lignei del sito palafitticolo di Este – via Comuna, rinvenuti nel 2015 durante le indagini archeologiche preliminari alla posa di un tratto di metanodotto. Tra i materiali organici databili al Bronzo recente spicca per rarità un giogo da corna con tracce di usura e riparazione in antico. Il complesso recupero sul campo e il successivo microscavo, coordinati dagli archeologi e dal personale tecnico della Soprintendenza, sono stati condotti con l’indispensabile apporto logistico e finanziario di SNAM, mentre il delicato intervento conservativo si deve all’Istituto Centrale per il Restauro, che nell’ambito dell’attività didattica di laboratorio ha garantito le necessarie competenze specialistiche. Interverranno Carla Pirazzini, funzionario archeologo SABAP VE MET; Sara Emanuele, funzionario restauratore SABAP VE MET. Restauri a cura di Antonella Di Giovanni, funzionario restauratore ICR. L’ingresso alla conferenza è gratuito su prenotazione obbligatoria fino a esaurimento dei posti. Si prega di inviare la richiesta esclusivamente on line tramite il seguente link: https://forms.gle/bu7Gj1sjm9q1hQReA. Per la visita a Palazzo Folco non è necessaria la prenotazione e l’ingresso è libero. Il Piano di Valorizzazione dei luoghi della cultura è un’iniziativa promossa annualmente dal ministero della Cultura.

Il tesoro del Brenta: la spada restituita. Riti arcaici e vie di comunicazione tra la pianura padana e l’Europa nella mostra a Bassano. Incontro con la curatrice

La spada in bronzo del XV sec. a.C. trovata nel 2010 sul greto del fiume Brenta tra Bassano e Nove

La spada in bronzo del XV sec. a.C. trovata nel 2010 sul greto del fiume Brenta tra Bassano e Nove

La spada,  forgiata nel miglior bronzo, era stata deposta nelle acque del Brenta per garantirsi la benevolenza della divinità del fiume. E lì è rimasta per 3500 anni fino a quando, nel 2010, uno studente bassanese, Riccardo Lenner, la ritrovò fortuitamente tra Bassano e Nove, e la consegnò al museo civico del Grappa, con grande senso civico. Quella spada oggi è finalmente esposta al pubblico nella mostra  “Il Tesoro del Brenta: la spada restituita” allestita fino al 24 maggio negli spazi del museo civico di Bassano destinati alla nuova sezione dedicata alla storia cittadina ed organizzata in collaborazione con la soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto. Per la prima volta viene presentato in pubblico un raro reperto archeologico, di eccezionale interesse per forma, stato di conservazione e antichità: la spada bronzea di un capo guerriero del XV secolo a.C., foggiata e decorata da un artigiano attivo in un centro metallurgico dell’area alpina. Restaurata nel laboratorio della soprintendenza, l’arma è stata concessa in deposito permanente ai Musei Civici di Bassano del Grappa.  E se si vuole saperne di più, sabato 28 marzo, alle 16, proprio il museo civico di Bassano ospita un incontro sugli studi, il restauro e le analisi compiuti sulla spada del XV sec. a.C. ritrovata nel 2010 sul greto del Brenta. All’incontro pubblico interverranno Elodia Bianchin Citton, già funzionario archeologo della soprintendenza; Sara Emanuele, restauratrice della soprintendenza; Rocco Mazzeo,  del dipartimento di chimica “G. Ciamician” dell’università di Bologna.

La locandina dell'incontro al museo civico di Bassano sulla spada restituita

La locandina dell’incontro al museo civico di Bassano sulla spada restituita

La mostra, curata da Elodia Bianchin Citton e Giuliana Ericani, permette di conoscere un importante momento della protostoria locale (età del Bronzo medio, 1600-1200 a.C.). La spada, forgiata nel bronzo e finemente decorata a bulino, è riferibile ad una tipologia diffusa nell’Europa centrale ed è stata offerta in voto a una divinità fluviale e deposta nel fiume. La spada rappresenta durante il Bronzo medio un vero status symbol di ruolo e di rango fra e all’interno delle comunità tribali. Numerose le spade ritrovate nei letti dei fiumi, nei laghi e nelle paludi di tutta Europa, segno tangibile di un’azione intenzionale e non casuale, risultato finale di qualche forma di culto e/o di rituale funerario. Per comprendere il significato di questa ritualità, ci vengono in soccorso in parte le fonti classiche ed in parte le leggende di epoca medievale. Nel primo caso, autori come Cesare, Strabone, Plinio e Tacito descrivono, in alcune delle loro fondamentali opere, le pratiche rituali comuni tra le popolazioni celtiche, galliche e germaniche e spesso fanno riferimento all’esistenza di boschi e laghi sacri ove la gente veniva condotta per avere un contatto con gli elementi naturali come il vento e l’acqua. Nel secondo caso, sebbene miti e leggende non servano a fare storia ma spesso riportano le tradizioni, bisogna evocare la saga di re Artù ed in particolare l’episodio in cui Artù, ferito a morte durante la battaglia nei pressi di Slaughterbridge dal figliastro Mordred, incaricò Sir Bedivere (o Girflet) a gettare la mitica Excalibur in un lago vicino, dove risiedeva la Dama del Lago, colei cioè che aveva in principio offerto la spada al leggendario re.

Il disegno della spada della media età del Bronzo trovata sul Brenta a Bassano

Il disegno della spada della media età del Bronzo trovata sul Brenta a Bassano

La mostra “La spada restituita” è dunque una nuova, significativa tessera che viene ad aggiungersi al panorama descritto nella Carta archeologica del territorio bassanese; il ritrovamento della spada, assieme alle più recenti indagini archeologiche, chiarisce meglio il processo di colonizzazione che interessò la fascia pedemontana vicentina nei secoli centrali del II millennio a.C. Con questo ritrovamento viene inoltre documentata l’importanza del tratto vicentino del fiume Brenta come via di collegamento tra le regioni a nord e a sud delle Alpi, per lo scambio di merci, ma anche per la diffusione di nuove concezioni, relative alla sfera sociale, funeraria e cultuale, che si andarono affermando durante i secoli della media età del Bronzo.