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Ferrara. Al museo Archeologico nazionale aperta la mostra “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo”, culmine delle celebrazioni Spina100: racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica

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Ricostruzione di un’abitazione di Spina (foto università di zurigo)


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Le Valli di Comacchio che conservano le tracce dell’antica città etrusca di Spina (foto http://www.rivadelpo.it)

“L’impresa archeologica più importante nell’ambito dell’Italia settentrionale preromana”: così Nereo Alfieri, primo direttore del museo Archeologico di Ferrara, chiosò nel 1960 l’epica vicenda degli scavi di Spina, che andavano allora chiudendosi dopo una stagione assai intensa di scoperte e ritrovamenti, campagne di scavo e trafugamenti, clamore mediatico e partecipazione popolare. Nella tarda primavera del 1922, durante le bonifiche dei bacini lagunari attorno a Comacchio, tra operai al lavoro e trincee colme di acque di risalita, riemerse dall’oblio la ricca città portuale degli Etruschi fondata in prossimità del delta del Po alla fine del sesto secolo a.C., sommersa per secoli dalle acque dolci e dal fango e perduta alla conoscenza diretta degli uomini. Solo le fonti antiche e i poeti (Boccaccio e Carducci, per fare qualche nome) ne conservarono memoria fino a cento anni fa.

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Locandina della mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara dal 22 dicembre 2022 al 23 aprile 2023

 

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Presentazione della mostra “Spina etrusca”: da sinistra, Massimo Osanna, Vittorio Sgarbi e Giorgio Cozzolino (foto drm-emilia-romagna)

Dopo un secolo dall’impresa archeologica, il museo Archeologico nazionale di Ferrara, diretto da Tiziano Trocchi, nato per Spina e inaugurato nel 1935, intende celebrare questa ricorrenza con una mostra ospitata nei saloni di Palazzo Costabili, che – inaugurata il 22 dicembre 2022 – rimarrà aperta al pubblico fino al 23 aprile 2023: “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo” (nel video, la presentazione ufficiale con Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura; Giorgio Cozzolino, direttore regionale Musei Emilia-Romagna; Massimo Osanna, direttore generale Musei; Monica Miari, soprintendente ABAP-BO reggente; Cristina Ambrosini, responsabile Cultura della Regione Emilia-Romagna; Marco Gulinelli, assessore alla Cultura del Comune di Ferrara; Giuseppe Sassatelli, presidente dell’istituto nazionale di Studi etruschi ed italici e presidente del comitato scientifico della mostra). La mostra racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica, porto dalla strategia aggressiva a controllo delle rotte verso occidente. La mostra rappresenta il culmine delle iniziative per le celebrazioni del centenario, coordinate dalla direzione generale Musei in stretta collaborazione con la direzione regionale Musei Emilia-Romagna e il museo Archeologico nazionale di Ferrara, d’intesa con la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e per le province di Modena Reggio Emilia e Ferrara, con la partecipazione di Regione Emilia-Romagna, delle amministrazioni comunali di Ferrara e Comacchio e delle università di Ferrara, Bologna e Zurigo.

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Allestimento della mostra “Spina etrusca” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)

L’allestimento sceglie di affidarsi in modo consistente al linguaggio delle tecnologie di ricostruzione dei paesaggi e dei contesti antichi per dare vita a una narrazione di forte suggestione. Al di là dell’indubbio splendore materico dei reperti esposti – con importanti prestiti dai principali musei archeologici italiani e prestigiosi materiali provenienti dal Metropolitan Museum of Art di New York, alla cui presenza in mostra ha contribuito anche la Regione Emilia-Romagna -, la mostra intende suggerire ai visitatori il significato del grande porto di Spina per gli Etruschi del V secolo a.C. e per i cittadini “mediterranei” del 2022.

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Ceramiche esposte nella mostra “Spina etrusca: un grande porto del Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)

Col tragitto per mare dal Pireo fino al delta del Po, su imbarcazioni percorse da marinai, cariche di contenitori di vino e profumi, ricche di raffigurazioni mitiche ben note agli Etruschi, comincia il percorso espositivo, accompagnato dalle narrazioni mitologiche che ambientavano qui, alla foce dell’Eridano (antico nome del fiume Po), le tristi vicende di Fetonte e di Icaro, degli eroi greci civilizzatori per antonomasia, Diomede ed Eracle. Il profilo di Spina, per chi vi approdava dal mare, si mostrava coi dossi e le depressioni delle sue necropoli, ancora evocati nella rappresentazione delle carte geografiche del Salone d’Onore del museo, e dichiarava nelle scelte del rituale funebre la complessità della comunità che vi abitava.

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Corredi dalla necropoli di Spina (foto drm-emilia-romagna)

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Bronzetto esposto nella mostra “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)

Gli spineti si facevano seppellire con ricchi corredi di materiali ceramici e bronzei di provenienza eterogenea, che evocavano analoghe scelte nel rituale condivise con le élites aristocratiche degli altri grandi centri etruschi della Penisola. È una rete complessa di echi, di rimandi, somiglianze ed evocazioni quelle che si dipana tra gli oggetti delle tombe da Spina e da Pisa, Adria o Cerveteri. Ma la vita quotidiana degli spineti si muoveva tra l’abitato, con le sue costanti esigenze di manutenzione e adattamento all’ambiente lagunare, e il porto, fulcro dell’attività commerciale ed economica della città e dei suoi dintorni. Mercanti, anfore e marinai, rumori di sartie e di magazzini, prezzi e contrattazioni in più lingue. Anche testimonianze di culto, per pregare e ringraziare di un viaggio pericoloso giunto a destinazione. Il richiamo all’attualità, evocata con discrezione per associazione di funzioni e significati, senza mai sottintendere confronti impossibili, invita il visitatore a immaginare la storia “organica” che sfugge ai metodi di ricerca della disciplina archeologica: gli uomini, i rumori, gli odori che dovevano seguire il percorso dei bellissimi capolavori di ceramica attica oggi esposti in museo. Due mari, Tirreno e Adriatico, due porti, e lo stesso privilegio: come ci tramandano Dionigi e Strabone, entrambe le città etrusche di Spina e Pyrgi (Cerveteri), a cui la mostra dedica un’intera sezione, ebbero l’onore di costruire un donario nel santuario panellenico di Delfi.

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Preziose ceramiche a figure rosse dagli scavi di Spina (foto drm-emilia-romagna)

L’incredibile mobilità che connota la comunità spinete si riflette nella pluralità delle provenienze degli oggetti delle necropoli e nella molteplicità culturale ed etnica della compagine cittadina, frequentata da persone che parlavano e scrivevano in lingue differenti. La mostra non trascura di raccontare anche di una mobilità più recente, che testimonia i fenomeni di dispersione del patrimonio emerso dalle valli di Spina in diversi musei italiani e stranieri. Il prestigioso prestito dei vasi del Metropolitan Museum of Art di New York si fa portavoce di questo racconto e porta luce sulla presenza internazionale di Spina in numerose esposizioni museali. Il viaggio per mare dalle coste della Grecia si conclude con un percorso che termina a Ferrara, nel momento della scoperta della necropoli di Valle Trebba e nella conseguente decisione di dar vita al Regio Museo di Spina, oggi Museo archeologico nazionale di Ferrara. La mostra che celebra a Ferrara il centenario della scoperta di Spina segue dopo quasi vent’anni l’ultima grande esposizione dedicata alla città etrusca e vuole narrare il volto di un centro nodale nei traffici mediterranei e adriatici di età classica.

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Hydria etrusca a figure nere del Pittore del Vaticano 238 dal museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto drm-emilia-romagna)

Nella seconda metà del 2023 la mostra “Spina etrusca” sarà ospitata dal museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, ultima tappa del suo viaggio. “Un grande motivo di orgoglio”, commenta il direttore Valentino Nizzo, “di cui dobbiamo ringraziare la direzione regionale musei dell’Emilia Romagna e la Direzione generale Musei del MiC. Cercheremo di onorare adeguatamente l’impegno rendendo omaggio a Spina e a ciò che rappresenta nell’archeologia, nell’arte, nella storia e nel mito”.

Castello di Santa Severa. Presentazione dei progetti di valorizzazione dei siti etruschi di Pyrgi, Cerveteri e Veio nell’ambito del workshop internazionale di progettazione “Etruscan Landscapes. Mediterranean Glances”

santa-severa_etruscan-places_presentazione-progetto-sapienza_locandinaPresentazione dei progetti di valorizzazione dei siti etruschi di Pyrgi, Cerveteri e Veio da parte di studenti di architettura provenienti da università europee e dell’America latina che hanno partecipato al workshop internazionale di progettazione “Etruscan Landscapes. Mediterranean Glances”. Appuntamento sabato 17 settembre 2022, alle 16, al Castello di Santa Severa. L’intento è quello di studiare soluzioni utili alla preservazione e valorizzazione di un territorio prezioso per caratteristiche ambientali, storiche, culturali, e nel quale l’impatto di un’antica civiltà come quella degli Etruschi ha contribuito a modellare il paesaggio con dei segni che connotano in modo indelebile l’attuale configurazione della regione a nord di Roma e ne fanno qualcosa di assolutamente unico. L’apertura al mondo accademico internazionale offerta da questo workshop si innesta in un rapporto di stretta collaborazione che la Regione Lazio ha già avviato da tempo con la Soprintendenza responsabile della tutela e il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza, impegnato in questo ampio quadro territoriale con scavi e ricerche archeologiche di fama internazionale stabilmente finanziati dall’Ateneo.

Archeologia partecipata a Pyrgi. Dal Castello di Santa Severa ogni giovedì accesso del pubblico al cantiere di scavo di Sapienza Università a Pyrgi porto e nel grande santuario marittimo della città etrusca di Caere

santa-severa_pyrgi_scavo-sapienza_aperto-al-pubblico_locandinaAppuntamento con l’archeologia partecipata a Pyrgi per far conoscere il territorio e il patrimonio culturale. Oltre alle aperture straordinarie e visite guidate il sabato e la domenica che proseguiranno per tutto il mese di settembre, il giovedì è previsto l’accesso allo scavo in corso, alle 11 e alle 15, dall’ingresso del castello di Santa Severa, in modalità libera e gratuita. Le attività di valorizzazione sono in collaborazione con la Regione Lazio. È infatti partita da qualche giorno la 57ma campagna di scavo della Sapienza Università di Roma, svolta su concessione del MIC- Soprintendenza Archeologia Belle arti Paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale. In via inedita, sarà possibile visitare il cantiere di scavo e vedere in azione gli archeologi e ricercatori della Sapienza Università di Roma (da sempre impegnata qui in indagini) nel comprensorio archeologico di Pyrgi porto e del grande santuario marittimo della città etrusca di Caere (Cerveteri).

Pyrgi. Al via vasto progetto della soprintendenza dell’Etruria meridionale per la valorizzazione, la fruizione e la conservazione del patrimonio culturale, paesaggistico e naturalistico della zona del Santuario integrata con la Riserva Naturale di Macchiatonda e il Castello di Santa Severa

L’area archeologica di Pyrgi è al centro di un articolato progetto di valorizzazione della soprintendenza (foto sabap vt)

“Nell’area di Pyrgi è in atto un vasto programma di progettualità di tutela e valorizzazione, sia attraverso lo strumento vincolistico, sia con il recupero della zona del Santuario”, spiega l’archeologa Rossella Zaccagnini della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio della provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale, annunciando un progetto, basato su una azione studiata ad hoc sulle sue specificità.

Percorsi tra terra e mare nell’area di Pyrgi (foto sabap vt)
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Una veduta aerea dell’area sacra di Pyrgi a un passo dal mare

“Quello di Pyrgi, ricordano gli archeologi della Sabap Viterbo, fu uno dei santuari più importanti del Mediterraneo, frequentato anche da Fenici e Greci; con due aree sacre di circa 12mila mq, che accoglievano riti diversi. Fu il grande porto della metropoli etrusca di Caere-Cerveteri con la quale era collegata da un’arteria lunga ben 13 chilometri, da cui partiva il controllo delle rotte del mar Tirreno. Proprio in quanto porto, Pyrgi è stato crocevia di popolazioni, dal carattere multietnico, frequentato da Etruschi, Greci e Fenici. Noto anche grazie a preziose attestazioni letterarie, il sito era ricordato per la sua vocazione “marinara”, il suo santuario, la ricchezza dei suoi tesori e per le pratiche religiose che vi si svolgevano”.

Le lamine auree di Pyrgi con un testo bilingue: etrusco e fenicio (foto sabap vt)
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Ipotesi di ricostruzione dell’area santuariale di Pyrgi con i templi A e B (foto sabap vt)

Le tre lamine d’oro con iscrizione bilingue in etrusco e fenicio sono ad oggi probabilmente il più famoso ritrovamento effettuato a Pyrgi: “Documento eccezionale – sottolinea Zaccagnini – sui rapporti tra Etruschi e Cartaginesi, sull’egemonia di Caere nel Mediterraneo e su Pyrgi quale avamposto strategico”. Trovate nel 1964 durante una delle prime campagne di scavo della “Sapienza” Università di Roma, il loro rinvenimento ha portato lo scavo di Pyrgi ad essere annoverato tra i “Grandi Scavi” del prestigioso ateneo romano, consentendo di riconsegnare alla storia l’area santuariale con i due templi monumentali (noti come A e B, dedicati a Leucothea e ad Uni), il santuario meridionale, con i suoi altari e sacelli dedicati a culti misterici di tipo greco, ed il quartiere pubblico-cerimoniale, che con i suoi edifici ci offre uno spaccato di vita quotidiana. Gli scavi si susseguono ininterrottamente dal 1957, con intere generazioni di archeologi che hanno qui operato negli anni, ma il sito è talmente ricco che la sua conoscenza non è stata ancora esaurita.

Il castello di Santa Severa che insiste sull’antico castrum romano di Pyrgi

L’obiettivo della Soprintendenza per il futuro è non solo quello di preservare un bene archeologico di indubbio valore, ma anche quello di integrare tale conoscenza con il contesto ambientale, paesaggistico e monumentale circostante, mantenutosi miracolosamente quasi intatto con la Riserva Naturale di Macchiatonda e il Castello di Santa Severa, tanto da essere stato dichiarato nel 2017 Monumento Naturale dalla Regione Lazio. Vasto 60 ettari, è ancora conservato: un ecosistema ricco di biodiversità da salvaguardare, habitat ideale per molte specie. “Un mix di naturalità, antropizzazione, monumentalità, paesaggio. Con scelte condivise occorre non solo studiarne meglio la morfologia, ma preservare, con il drenaggio delle acque in eccesso, l’assetto sia archeologico delle evidenze, che naturale, animale e vegetale”.

Rendering dei percorsi di visita dell’area di Pyrgi (foto sabap vt)

La grande azione di tutela e valorizzazione avviata a Pyrgi dalla soprintendenza prevede l’imposizione di vincoli, per evitarne la cementificazione, e un moderno progetto di fruizione della zona del Santuario, che vede in campo professionisti esperti di ingegneria naturalistica che progettino modalità concrete di conservazione, fruizione e accessibilità. “Sono in studio percorsi di visita”, continua l’archeologa Rossella Zaccagnini, “che si integrino in un ambiente tanto delicato a partire da un centro visite dotato delle più moderne tecnologie, una nuova esposizione dei reperti all’interno della Manica Lunga del Castello di Santa Severa e la rifunzionalizzazione dei depositi del materiale archeologico, che comprendono una attrezzata sala studio e il laboratorio di restauro. L’intento – conclude Zaccagnini – è rendere Pyrgi un luogo simbolo di rinascita e fulcro e architrave di civiltà, incentivandone la valorizzazione, la fruizione e la conservazione del patrimonio culturale, paesaggistico e naturalistico”.

Etruria Meridionale. Ripulite dai volontari tornano alla luce le mura poligonali romane dell’etrusca Pyrgi, il porto di Caere-Cerveteri

Un tratto delle mura poligonali del castrum romano di Pyrgi

Un tratto delle mura poligonali del castrum romano di Pyrgi

È tornato in luce l’intero circuito murario in opera poligonale del castrum romano di Pyrgi, l’antica cittadina dell’Etruria corrispondente all’odierna Santa Severa, sulla via Aurelia. Circa 500 metri di mura sono ora nuovamente visibili e possono essere ammirate dai visitatori, dopo che sono state ripulite dalla coltre di rovi e di immondizie che l’avevano sepolte negli ultimi anni, grazie all’intervento curato dai volontari per i beni culturali del gruppo archeologico del Territorio Cerite (Gatc), svolto in collaborazione con la soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale.

Il castello di Santa Severa che insiste sull'antico castrum romano di Pyrgi

Il castello di Santa Severa che insiste sull’antico castrum romano di Pyrgi

Modellino con una ricostruzione del Tempio B di Pyrgi

Modellino con una ricostruzione del Tempio B di Pyrgi

Pyrgi fu una piccola città dell’Etruria meridionale costiera, porto principale di Caere (l’odierna Cerveteri), da cui dista 13 km, e sede del più importante santuario non solo della città, ma di tutta l’Etruria marittima, sacro a una divinità identificata comunemente con Leucotea. Scavi condotti dall’università di Roma a partire dal 1957, anche con l’aiuto della prospezione geofísica, hanno riportato alla luce quasi per intero il grande santuario, con scoperte clamorose (le famose “lamine d’oro di Pyrgi”), cui si è aggiunta dal 1983 una seconda area sacra. Tra il 1964 e il 1967 sono state scavate le mura e le porte della colonia romana, mentre nel 1972 è stato allestito sul posto un Antiquarium statale. L’insediamento etrusco occupava il breve promontorio fronteggiato dall’insenatura naturale del porto, oggi quasi del tutto interrata, prolungandosi a Sud lungo la costa per 300 metri, con una superficie complessiva di 10 ettari, in parte erosa dal mare. Dopo una lunga fase di frequentazione iniziata almeno dalla fine dell’VIII sec. a.C., il sito fu urbanizzato intorno al 600 a.C. secondo un piano apparentemente ortogonale, con strade larghe e ben drenate, case con muri dapprima a mattoni crudi su zoccolo di ciottoli grossi, più tardi interamente di pietre a secco. Al di là del centro abitato furono insediate, in una piana costiera fino allora deserta, due aree sacre, separate da un fosso alimentato da una sorgente situata poco all’interno, l’unica esistente nell’intero comprensorio. La costruzione dei primi sacelli si data verso il 540-530 a.C. La svolta decisiva solo verso il 510 a.C., quando l’area a Nord del fosso fu rialzata e monumentalizzata con la costruzione di un recinto rettangolare di 36 metri per almeno 72. All’interno fu innalzato il tempio Β (20 X 30 m) che aveva una cella quadrata con pronao ad ante precedute da una coppia di colonne, fasciata da una peristasi di 4×6 colonne, con portico meno largo sul lato posteriore. “Muri e colonne erano di tufo intonacato di bianco”, spiegano gli archeologi, “mentre la decorazione del tetto e degli stipiti della porta della cella era fittile. Sul frontone altorilievi ricordavano le fatiche di Eracle”.

Una veduta aerea dell'area sacra di Pyrgi a un passo dal mare

Una veduta aerea dell’area sacra di Pyrgi a un passo dal mare

Le lamine d'oro di Pyrgi (due con iscrizione in etrusco, una in fenicio) trovate nel 1964

Le lamine d’oro di Pyrgi (due con iscrizione in etrusco, una in fenicio) trovate nel 1964

Assieme ai resti della decorazione del tempio nel 1964 sono venute in luce tre lamine d’oro a forma di fogli verticali di cm 8/9 X 18/19, iscritte (due in etrusco e la terza in fenicio), databili, per quanto lo consentono fonetica e paleografia, alla stessa epoca del tempio. L’iscrizione etrusca lunga (36 parole) e quella fenicia (41 parole) costituiscono una bilingue, anche se non puntuale, mentre l’etrusca corta contiene informazioni aggiuntive. “La bilingue – ricordano gli etruscologi – commemora l’impresa di un re «su» Caere, Thefarie Velianas, che ha costruito un «luogo santo» nel «tempio» di Uni, in fenicio chiamata Astarte, e lo ha donato alla dea per ringraziarla del favore ricevuto di regnare per tre anni. Poiché nella terminologia fenicia (e biblica) il «tempio» del dio (letteralmente la «casa») è quello che in Occidente si usa chiamare piuttosto il santuario, con tutta la molteplicità di strutture e di spazi di cui proprio il caso in questione è un buon esempio, è lecito identificare il più circoscritto ma cultualmente più importante «luogo santo» con il tempio B, alla cui porta probabilmente le lamine erano affisse, in compagnia delle grandi bullae d’oro rinvenute assieme con esse (forse le “stelle” citate nella chiusa del testo fenicio)”.

La porta di NordEst del circuito originale delle mura poligonali di Pyrgi

La porta di NordEst del circuito originale delle mura poligonali di Pyrgi

Intorno al 280-270 a.C. sia il santuario monumentale che l’area Sud furono devastati da un evento bellico, forse collegato al conflitto allora insorto tra Roma e Caere, cui seguirono la riduzione a prefettura della città etrusca e l’annessione a Roma dell’intero litorale. Poco dopo templi, sacelli e ogni altra costruzione furono demoliti e i loro resti accumulati al suolo, colmando le bassure, e livellando accuratamente le due aree. La devastazione che colpì le aree sacre coinvolse, a quanto risulta dall’esame della sezione tagliata dall’erosione marina, anche l’intero abitato. Sulle rovine del quartiere antistante il porto fu impiantata la colonia romana, di 5 ettari e mezzo. Le mura urbane, che fungono alla base da contenimento dell’interro che ha livellato i resti della città etrusca, disegnano un rettangolo di 218 X 270 metri. Costruite con massi di arenaria locale lavorati sulla faccia esterna in una raffinata opera poligonale, sono le meglio conservate che si conoscano per una colonia “optimo iure”.

Un tratto delle mura poligonali di Pyrgi ripulito dai volontari

Un tratto delle mura poligonali di Pyrgi ripulito dai volontari

Oggi il circuito delle mura costruito in grandi blocchi di pietra calcarea messi in opera a secco conserva ancora i resti di ben tre delle quattro porte originali dalle quali uscivano le strade rivolte verso le altre colonie romane del territorio: Alsium in direzione dell’attuale Palo Laziale di Ladispoli e Castrum Novum a Santa Marinella; la porta nord era rivolta alla via Aurelia che veniva raggiunta con un breve diverticolo. Resta invece ancora sepolta e sconosciuta la porta affacciata sul mare che dava accesso al porto antistante la città. Il muro era spesso circa 3 metri e altro forse più di 10 metri, liscio verso l’esterno e contraffortato all’interno da un alto terrapieno. Sulla sommità doveva trovarsi un parapetto merlato di tufo, alcuni resti del quale sono ancora visibili nell’intercapedine della Casa della Legnaia all’interno del Castello di Santa Severa. Il percorso delle mura è ora ben visibile e può essere riscoperto con una breve passeggiata a partire dalla spiaggia del castello.

Seguendo il percorso lungo le mura si incontrano ancora tre porte del castrum romano di Pyrgi

Seguendo il percorso lungo le mura si incontrano ancora tre porte del castrum romano di Pyrgi

Il possente circuito murario, ripulito per la prima volta nel 1993 dopo anni di abbandono dai volontari del Gruppo Archeologico, e mantenuto nel tempo dagli operatori museali della Società Archeodromo, è stato finalmente interessato nel 2005 da un sostanziale intervento di recupero e valorizzazione voluto dal Comune di Santa Marinella nell’ambito del grande progetto comprensoriale denominato “Sistema Cerite-Tolfetano-Braccianese”, finanziato dalla Regione Lazio. I lavori del primo lotto, curati dalla ditta Euro Elettra per un costo di circa centomila euro, hanno portato alla bonifica del palmeto e del percorso, alla messa in opera di un impianto d’illuminazione che consente ora la visita notturna di circa duecentocinquanta metri di passeggiata lungo l’imponente muratura in grandi blocchi poligonali, per un tratto conservata per oltre cinque metri di altezza. Panchine in travertino, cestini e pannelli didattici arredano il percorso costituendo una piacevole occasione di informazione sulla storia e l’archeologica dell’antica Pyrgi. Quindi un nuovo interessante itinerario di visita, unico nel suo genere in Etruria. Un percorso che permette al visitatore di perimetrare per intero la cinta muraria di un castrum romano del III secolo a.C., conservata ancora con i resti delle porte urbane e del loro sistema di difesa. Il percorso, tramite le visite guidate dagli operatori del museo, sarà agibile anche di notte, consentendo a tutti la riscoperta di una storia millenaria ed emozionante in un clima di grande suggestione.